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Era quasi la mezzanotte quando Kmita si annunziò ai posti avanzati del principe; ma nessuno dormiva in tutto il campo. La battaglia poteva cominciare ad ogni momento, perciò le truppe si tenevano pronto ad ogni evento.
Il principe Bogoslavio, sebbene tormentato dalla febbre, comandava le truppe in persona, e siccome cavalcava con difficoltà, si faceva portare da quattro soldati in una lettiga aperta. Rientrava appunto a Yanov dopo di avere accertato che i suoi soldati erano disposti a seconda dei suoi ordini, quando gli fu detto che avvicinavasi un inviato di Sapyeha.
Bogoslavio, in causa dell'oscurità, non poteva riconoscere Kmita, tanto più che questi si era nascosto il viso, ponendosi in testa un cappuccio. Il principe si avvide di ciò solamente quando Kmita, smontato da cavallo, si trovò dinanzi a lui; egli gli comandò di toglierselo subito.
— Qui siamo a Yanov e non v'è ragione di far misteri, — diss'egli. — Voi venite da parte di Pan Sapyeha?
— Sì.
— Perchè avete domandato un salvacondotto mentre avete Sakovich? Pan Sapyeha è troppo cauto, ma con ciò non dà prova di molta abilità.
— Questo non è affar mio — replicò Kmita.
— Mi accorgo che siete poco disposto a conversare.
— Ho portato una lettera e devo inoltre parlarvi di un mio affare particolare.
— Di un affare particolare? — ripetè Bogoslavio con sorpresa.
— Devo rivolgere una domanda a Vostr'Altezza.
— Sarò lieto di non rifiutarla. Ora vi prego di seguirmi. Vorrei offrirvi un posto nella lettiga ma è troppo piccola.
Si misero in moto e durante il tragitto Pan Andrea soffrì orribilmente e fu più volte assalito dalla tentazione di uccidere quell'uomo che aveva fatto tanto male a lui e ne faceva tanto alla sua patria. Si sentiva la gola così stretta che temette di non poter pronunciare una parola.
Finalmente giunsero all'alloggio del principe. I soldati deposero la lettiga; due servi presero il principe per le braccia. Egli si rivolse a Kmita, e fra i denti, che tremavano per la febbre, gli disse:
— Vogliate seguirmi.
Dopo alcuni istanti si trovarono in una stanza dove ardevano dei carboni nel caminetto emanando un calore insopportabile.
I servi adagiarono il principe in una poltrona e lo copersero con pelliccie, quindi recarono una lampada e si ritirarono. Il principe gettò indietro la testa, chiuse gli occhi, e rimase qualche tempo in tale posizione; poi disse:
— Parlate presto; ho bisogno di riposare.
Kmita lo guardò attentamente. Il principe non sembrava molto mutato perchè le sue guance erano, come sempre, dipinte. Pan Andrea rimase dinanzi a lui in piena luce. Il principe sollevò lentamente le palpebre. Ad un tratto le spalancò del tutto, e sulla sua faccia apparve come una fiamma. Ma non durò che un attimo, ed egli chiuse di nuovo gli occhi.
— Se tu sei un fantasma io non ti temo, — disse egli, — ma vattene.
— Sono venuto con una lettera del Capitano generale, — rispose Kmita.
Bogoslavio si scosse ad un tratto come se volesse discacciare delle visioni: quindi guardò Kmita e gli chiese:
— Mi sono ingannato sul vostro essere?
— No, — rispose Pan Andrea additando la cicatrice.
— Questo è il secondo! — mormorò il principe fra sè. — Poi ad alta voce aggiunse: — Dov'è la lettera?
— Eccola, — disse Kmita porgendogli la lettera.
Bogoslavio cominciò a leggere, e, com'ebbe finito, i suoi occhi risplendettero d'una luce strana.
— Va bene, — disse, — si è già indugiato abbastanza. A domani la battaglia, e ne sono lieto, perchè non avrò la febbre.
— E noi pure siamo lieti, — rispose Kmita.
Dopo un breve silenzio, durante il quale quei due nemici inesorabili si misurarono a vicenda, il principe pel primo prese a dire:
— Ho indovinato che eravate voi che mi assaliste coi Tartari?
— Sì.
— E non avete paura di venir qui?
— Avete fatto forse assegnamento sulla nostra lontana parentela? Io potrei strapparvi la pelle, signor cavaliere.
— Sì, Altezza.
— È vero che siete venuto con un salvacondotto. Ora comprendo perchè Pan Sapyeha lo chiese. Ma voi avete attentato alla mia vita. Sakovich si trova nel vostro campo; ma Sapyeha non ha diritti su Sakovich, mentre io li ho su voi, cugino.
— Io sono venuto per rivolgervi una preghiera, Altezza.
— Vogliate esporla.
— Voi avete qui un soldato prigioniero, uno di quegli uomini che mi aiutarono a rapirvi. Io ho comandato, egli ha obbedito. Vi prego di rimettere quell'uomo in libertà.
Bogoslavio pensò un poco.
— Io sto considerando, — disse egli, — quale delle due cose è più grande, il vostro coraggio come soldato, o la nostra insolenza come richiedente.
— Io non vi domando quell'uomo per nulla.
— E che cosa mi darete per lui?
— Me stesso.
— È possibile ch'egli sia così prezioso? Voi pagate generosamente, ma pensate se ciò basta; perchè certo avrete qualch'altra cosa più preziosa da riscattare.
Kmita si accostò d'un passo al principe e divenne sì terribilmente pallido, che Bogoslavio, non ostante il suo coraggio, cambiò tosto il soggetto della conversazione.
— Pan Sapyeha non accetterà il patto. Io vi tratterrei volontieri, ma ho garantito al principe sulla mia parola d'onore la vostra salvezza.
— Gli manderò una lettera dove gli dirò che rimango di mia propria volontà.
— Ed egli dichiarerà, a dispetto della vostra volontà, che io devo rimandarvi a lui. Voi gli avete reso troppo grandi servigi. Egli non lascierà libero Sakovich, ed io apprezzo più Sakovich di voi.
— Io supplico Vostr'Altezza per quell'uomo e sono pronto a fare...
— Che cosa?
— A deporre ogni pensiero di vendetta.
— Sentite, Pan Kmita: io sono lieto quando sono minacciato da qualche pericolo, perchè allora la vita mi è meno tediosa. La vendetta di cui mi minacciate, per me è un piacere. Ma se volete che io esaudisca la vostra preghiera, piombate domani durante la battaglia su Sapyeha, e dopo domani io rimetterò in libertà il vostro soldato, e vi perdonerò tutti i vostri torti. Tradiste Radzivill, ora tradite Sapyeha.
— È questa l'ultima parola di Vostr'Altezza? — disse Kmita facendo sforzi sovrumani per frenarsi.
— Voi pregate ma in pari tempo minacciate, — disse Bogoslavio. — Prostratevi a Radzivill, quando pregate! Battete la vostra fronte sul suolo, ed allora forse vi esaudirò.
La faccia di Pan Andrea era pallida come quella di un morto; egli si passava la mano sulla fronte, sugli occhi, sulla faccia coperti di sudore, e parlava con voce spezzata, come se la febbre del principe si fosse trasfusa in lui.
— Se, Vostr'Altezza rilascia libero quel vecchio soldato, io sono pronto a prostrarmi ai vostri piedi.
Gli occhi di Bogoslavio brillarono di gioia. Egli aveva umiliato il suo nemico ed esultava in cuor suo.
Kmita stava dinanzi a lui coi capelli irti in testa, tremante in tutto il corpo. La sua faccia, somigliante a quella d'un falco, adesso più che mai richiamava alla mente un uccello da preda. Non avreste potuto decidere s'egli stesse per prostrarsi dinanzi al principe, o se piuttosto volesse precipitarsi su di lui. Ma Bogoslavio, senza distogliere gli occhi da Kmita, disse:
— Senza testimoni, no! — E voltosi verso la porta gridò: — Entrate!
E tosto una moltitudine di ufficiali polacchi e forestieri, nonchè molti servi, entrarono nella stanza.
— Signori! — disse il principe, — ecco qui Pan Kmita porta bandiera d'Orsha ed inviato di Pan Sapyeha, che è venuto a chiedermi un favore, e che desidera avere tutti voi signori a testimoni, che, per ottenerlo, s'inginocchia dinanzi a me.
Kmita barcollava come un ubriaco, fremeva, ma cadde ai diedi di Bogoslavio.
Tutti assistettero muti ed estatici a quella scena; tutti compresero, che in quel momento avveniva qualche cosa di straordinario.
Il principe si alzò, e senza dire una parola passò nella stanza attigua, facendo cenno a due servi che lo seguissero.
Kmita si rialzò. Il suo volto non esprimeva più collera, ma solo indifferenza ed insensibilità. Appariva affatto inconscio di quanto succedeva intorno a lui e sembrava aver perduto ogni energia.
Passò mezz'ora... un'ora. Fuori delle finestre si udì il calpestìo di cavalli e il passo misurato dei soldati. Kmita rimase sempre seduto come se fosse una statua.
D'improvviso la porta si aprì. Entrò un ufficiale con otto soldati.
— Glovbich! — diss'egli riconoscendo l'ufficiale.
— Ho l'ordine di legarvi le mani e di condurvi fuori di Yanov.
L'ufficiale lo condusse fuori della stanza ed a piedi attraverso Yanov. Camminarono per un'ora. Sulla strada si unirono a loro alcuni uomini a cavallo. Kmita li udì parlare in polacco. I Polacchi che servivano Bogoslavio conoscevano tutti il nome di Kmita, e perciò erano molto curiosi di vedere ciò che gli succederebbe. Il drappello passò oltre i ripari e giunse ad un campo aperto, nel quale Pan Andrea vide un distaccamento dello squadrone di cavalleria leggiera di Bogoslavio.
Alcuni soldati reggevano delle torcie accese.
Alla luce di queste torcie, Kmita vide un palo tagliato di recente infisso nel terreno. Quello è per me, — pensò. — Bogoslavio ha ordinato di impalarmi. Egli sacrifica Sakovich alla propria vendetta.
Ma s'ingannava. Il palo era destinato a Soroka.
Il vecchio soldato sedeva accanto al palo a capo scoperto e con le mani legate.
— Soroka! — gridò Kinita in tono lamentevole.
— Ai comandi di Vostra Grazia! — rispose il vecchio soldato balzando in piedi.
L'esecutore, che aveva dato dell'acquavite a Soroka, gli si accostò.
— Andiamo, — gli disse — è ora.
Un altro soldato si avvicinò ed essi cominciarono a spogliare il vecchio sergente.
Il momento era solenne. Regnava un lugubre silenzio. Le torcie tremavano nelle mani di coloro che le tenevano.
Intanto, dai ranghi formanti il quadrato, si udirono delle voci di protesta che divennero sempre più forti.
D'improvviso Kmita gridò come se avessero condotto lui stesso al patibolo
— Fermatevi!
L'esecutore si fermò involontariamente. Tutti gli occhi erano rivolti su Kmita.
— Soldati! — gridò Pan Andrea. — Il principe Bogoslavio è un traditore del Re e della Repubblica! Voi siete circondati e domani sarete fatti a pezzi. Voi servite un traditore: voi servite contro la patria! Ma chi lascia questo servizio lascia il traditore; ed avrà il perdono del Re, il perdono del Capitano generale. Io vi pagherò il salario... un ducato per uno... due ducati! Scegliete! Non è affar vostro, valorosi soldati, servire un traditore! Evviva il Re! Evviva il Capitano generale della Lituania!
Il tumulto divenne una tempesta; i ranghi si sparpagliarono. Una moltitudine di voci gridarono:
— Morte ai traditori! Evviva il Re!
Nello stesso tempo alcune sciabole tagliarono le corde che legavano Kmita. Egli saltò immediatamente sopra uno dei cavalli pronti pel supplizio di Soroka, e gridò:
— Venite con me dal Capitano generale!
— Io vengo, — gridò Glovbich, — viva il Re!
— Evviva, evviva! — risposero cinquanta voci; e cinquanta sciabole scintillarono.
— A cavalla, Soroka! — comandò Kmita.
Vi furono alcuni che volevano resistere, ma alla vista delle sciabole sguainate tacquero. Uno, per altro, volse il cavallo e sparì in un attimo. Le torce si spensero e le tenebre avvolsero ogni cosa.
Nel frattempo Bogoslavio, oppresso dalla febbre e dalle fatiche della giornata, era andato a coricarsi. Fu svegliato da un gran rumore, che si faceva davanti al suo quartiere, e da alcune bussate alla porta.
— Altezza, Altezza! — gridarono molte voci.
— Dorme, lasciatelo dormire! — dissero i paggi. Ma il principe si pose a sedere sul letto e gridò:
— Un lume!
Portarono un lume e nello stesso tempo entrò l'ufficiale di guardia.
— Altezza! — disse l'ufficiale, — l'inviato di Sapyeha ha fatto ammutinare lo squadrone di Glovbich e lo ha condotto dal Capitano generale.
Bogoslavio rimase per un istante muto e come impietrito per la meraviglia.
— Battete i tamburi! — gridò alfine. — Fate prendere le armi ai soldati!
L'ufficiale uscì per far eseguire l'ordine.
— È un uomo terribile! — disse il principe fra sè, e si sentì preso da un nuovo accesso di febbre.