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È facile immaginarsi lo stupore di Sapyeha quando vide che Kmita, non solo ritornava salvo, ma conduceva seco parecchie decine d'uomini a cavallo, oltre il suo vecchio e fedele sergente. Kmita dovette raccontare due volte al Capitano generale e a Pan Oskyerko la storia dell'accaduto. Essi lo ascoltarono con immensa curiosità ed infine lo lodarono altamente.
Kmita era affranto dalla stanchezza, ma nonostante stabilì di raggiungere in quella notte i suoi Tartari, i quali stavano appostati nelle foreste e sulle strade dietro l'armata di Bogoslavio.
Ordinò che gli si sellasse un cavallo fresco, ed uno pel vecchio Soroka che voleva condurre con sè.
Cavalcarono insieme come due amici. La strada era lunga perchè dovettero girare le foreste per non cadere nelle mani di Bogoslavio. Raggiunsero i Tartari senza incidenti, e Akbah Ulan si presentò subito a Babinich e gli fece un esatto rapporto di ciò aveva fatto. Tutti i ponti erano stati distrutti e le dighe tagliate; i prati erano diventati veri pantani.
Bogoslavio non aveva altra scelta che vincere o morire. Non poteva pensare a ritirarsi.
In quella notte non si poteva fare nulla, ma la mattina seguente Kmita andò coi Tartari verso il campo di Bogoslavio, fra Suhovol e Yanov.
Kmita si fece così dappresso, che la fanteria di Bogoslavio aperse il fuoco su di lui; ma egli non se ne curò. Cavalcò tranquillo fra le palle che fischiavano intorno a lui ed esaminò ogni cosa. I Tartari, sebbene meno resistenti al fuoco, dovevano seguirlo e tacere. Allora la cavalleria si slanciò fuori del campo tentando coglierlo di fianco. Egli retrocedette, poi avanzò di nuovo, ma la cavalleria era già rientrata nel campo.
Invece di ritornare direttamente a Suhovol, Pan Andrea si spinse verso occidente, e giunse al Kamyonka.
Questo fiume era straripato ed aveva inondato le campagne adiacenti. Kmita gettò parecchi rami nell'acqua per misurare la rapidità della corrente, e disse poi ad Ulan:
— Noi attraverseremo il fiume, gireremo il loro fianco e li assaliremo da tergo.
Ulan non voleva saperne di attraversare il fiume a nuoto, ma, come sempre, dovette cedere.
Prima che scendesse la notte, Kmita aveva ordinato che si tagliassero rami di salici, canne secche e giunchi, e che queste cose si legassero ai fianchi dei cavalli. Appena apparve in cielo la prima stella egli intraprese la difficile traversata nuotando alla testa del suoi uomini. Avanzavano adagio, ma avanzavano.
Ad un tratto giunsero ai loro orecchi gli echi d'un lontano combattimento.
— La battaglia è cominciata! — gridò Kmita.
— Noi ci annegheremo! — rispose Akbah Ulan.
— Non annegherete. Seguitemi!
I Tartari non sapevano che fare, quando ad un tratto videro che il cavallo di Kmita era uscito dalla melma, avendo certamente trovato un fondo solido.
Poco dopo tutti sentirono un terreno solido sotto le zampe dei loro cavalli.
Più d'un centinaio di quest'ultimi rimasero nell'acqua, ma quasi tutti gli uomini uscirono dal fiume sani e salvi. A quelli che avevano perduto le loro cavalcature, Kmita ordinò di salire in groppa insieme agli altri uomini, e così mossero verso le trincee.
Dal lato d'Yanov il fuoco diventava sempre più forte e nutrito; era chiaro che Sapyeha aveva attaccato l'intera linea.
Ma anche nelle trincee, verso le quali si avanzava Kmita, si udivano delle grida. Una quantità di cataste di legna ardevano vicino ad esse mandando una viva luce, che permise a Pan Andrea di distinguere la fanteria che faceva pure fuoco, ma raramente.
Vedendo avanzarsi le truppe di Kmita, invece di far fuoco le salutarono con alte grida, credendo che Bogoslavio mandasse loro un rinforzo.
Ma quando i Tartari furono distanti solo duecento passi la fanteria cominciò ad agitarsi, ed un gran numero di soldati guardarono che sorta di gente era quella che si avvicinava.
Quando la distanza non fu che d'una cinquantina di passi, un urlo terribile risuonò nell'aria, e le forze di Kmita si slanciarono innanzi e circondarono la fanteria, stringendola come in un anello di ferro.
— Allah!... Herr Jesus!... Dio mio!...
In quel momento si aprirono le cateratte del cielo e principiò a diluviare. I fuochi si spensero ed il combattimento continuò nell'oscurità, ma non durò a lungo.
Attaccata all'improvviso, la fanteria di Bogoslavio venne sconfitta. La cavalleria, nella quale militavano molti Polacchi, depose le armi.
Allorchè la luna si mostrò di nuovo fra le nuvole, non lasciò vedere che un'orda di Tartari intenta a far bottino. Ma nemmeno questo durò a lungo. Si udì il suono d'una tromba e Tartari e volontari balzarono a cavallo.
E li condusse con la rapidità del vento verso Yanov.
Un quarto d'ora dopo il paese era in fiamme. Di sopra all'incendio immense colonne di fumo e faville si spingevano verso il cielo rosseggiante.
Così Kmita fece conoscere al Capitano generale ch'egli aveva sconfitta la retroguardia dell'esercito di Bogoslavio.
Ma all'improvviso, in un campo illuminato a giorno dall'incendio, egli si vide comparire dinanzi uno squadrone della gigantesca cavalleria dell'Elettore, comandato da un cavaliere che portava un'armatura d'argento e cavalcava un cavallo bianco.
— Bogoslavio! — urlò Kmita con voce che non aveva più nulla di umano, slanciandosi contro lo squadrone con tutta la colonna tartara.
Lo squadrone si slanciò innanzi a sua volta, e poco dopo avvenne un urto terribile. I Tartari caddero come spighe di grano abbattute dalla tempesta, e quello squadrone di uomini giganteschi passò sopra di loro con la velocità di un turbine, prendendo la fuga.
Alcuni dei Tartari balzarono in piedi e cominciarono ad inseguirli.
Era possibile atterrare quegli uomini selvaggi, ma impossibile ucciderli tutti in un colpo: quindi, a poco a poco, molti si rialzarono e si diedero ad inseguire i fuggenti. Se non che alla testa dello squadrone cavalcava sempre l'ufficiale nella splendida armatura, ma Kmita non si trovava più alla testa dei Tartari.
Solamente all'alba questi cominciarono a ritornare, trascinando quasi ognuno dietro di sè un uomo a cavallo.
Tosto fu trovato Kmita, che venne trasportato incosciente nel campo di Pan Sapyeha.
— Dov'è Bogoslavio? — furono queste le prime parole di Babinich quando rinvenne a mezzodì..
— Il suo esercito è distrutto. In principio parve arridergli la vittoria, ma uscito dal bosco di salici s'incontrò in campo aperto colla fanteria di Pan Oskyerko e venne battuto, — gli rispose Pan Sapyeha che gli sedeva accanto.
— Io non so se gli sono rimasti cinquecento uomini, giacchè i vostri Tartari ne hanno preso un gran numero.
— Ma egli?
— È fuggito.
Kmita rimase silenzioso un momento, poi disse:
— Io lo inseguirò anche in capo al mondo.
A ciò rispose il Capitano generale, porgendogli un foglio, e dicendo:
— Vedete le notizie che ho ricevuto oggi dopo la battaglia.
Kmita lesse ad alta voce le seguenti parole:
«Il re di Svezia è partito da Elblang: egli marcierà su Zamost, poi su Leopoli contro Giovanni Casimiro. Venite con tutte le vostre forze a salvare il Re e la patria, perchè io non posso tener fronte al nemico da solo.
Dopo breve silenzio Pan Sapyeha domandò a Kmita:
— Volete venire con noi o andare a Taurogi coi Tartari?
Kmita chiuse gli occhi per un istante, indi disse:
— Gli affari privati vengono dopo quelli della patria.
Il Capitano generale lo strinse fra le sue braccia e gli disse:
— Voi siete un figlio per me, e siccome sono vecchio ricevete la mia benedizione.