Henryk Sienkiewicz
Il diluvio

PARTE SECONDA

CAPITOLO XXII.

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CAPITOLO XXII.

Mentre ogni uomo valido della Repubblica montava a cavallo per difendere la patria, Carlo Gustavo rimaneva in Prussia, occupato a sottomettere le città di quella provincia ed a negoziare coll'Elettore.

Dopo una facile ed inaspettata vittoria, egli s'accorse che il leone svedese aveva inghiottito più di quanto il suo stomaco poteva sopportare. Dopo il ritorno di Giovanni Casimiro egli perdette ogni speranza di conservare la Repubblica; ma volle almeno serbarsi la parte maggiore della sua conquista, e sopratutto la provincia fertile e popolata che confinava con la Pomerania. Ma proprio quella provincia fu la prima a ribellarsi serbandosi fedele al suo legittimo Re. Perciò Carlo Gustavo stabilì di debellare gl'insorti, e di schiacciare le forze di Casimiro, appunto per soffocare ogni speranza di resistenza e di salvezza in quella provincia.

E siccome egli soleva far seguire i fatti alle proprie decisioni colla stessa rapidità onde il fulmine segue il lampo, così avvenne, che prima che alcuno nella Repubblica avesse avuto il menomo sentore della sua marcia, egli aveva già oltrepassato Varsavia ed era penetrato nel cuore del paese.

Non era più quel Carlo Gustavo, buono, affabile e ridente che applaudiva la cavalleria polacca e lodava i soldati in generale. Adesso, dovunque si mostrava, scorreva a torrenti il sangue di contadini e dei nobili: dovunque passava distruggeva a fil di spada i drappelli armati, appiccava i prigionieri.

Ma ben presto egli s'accorse quanto mai fosse ardua la sua impresa. La guerra si andava estendendo intorno a lui come l'acqua intorno ad un bastimento perduto in mezzo al mare. La Prussia era in fiamme, e così la Grande Polonia, che poco prima aveva accettato la sua sovranità. L'incendio divampava nella Piccola Polonia, nella Lituania e a Jmud.

Si tennero frequenti consigli nel campo svedese. Col Re marciavano: suo fratello Adolfo, che comandava tutto l'esercito; Roberto Douglas; Enrico Horn, parente di quell'Horn che era stato ucciso a Chenstohova dalla falce d'un contadino; Valdemaro, principe di Danimarca, e quel tale Miller che aveva lasciata la sua gloria militare dinanzi a Yasna Gora; Ashemberg, il più abile condottiero di cavalleria fra gli Svedesi; Hammerskiold, che comandava l'artiglieria; poi il vecchio maresciallo Arwid Wittemberg, famoso per la sua rapacità ed oramai pressochè distrutto dal mal francese: e finalmente Forgell, e molti altri.

Questi uomini erano terrorizzati, pensando che tutto l'esercito insieme al Re perirebbe forse fra gli stenti, la fame e la furia dei Polacchi. Il vecchio Wittemberg consigliò al Re di battere in ritirata, ma questi non volle accettare quel consiglio.

Egli citò Alessandro il Macedone, al quale amava di essere paragonato, e si pose in marcia, alla caccia di Charnyetski. Questi, non avendo forze considerevoli bene addestrate, si ritirò dinanzi a lui, ma gli girava intorno come un lupo, sempre pronto a sorprendere il nemico.

Gli Svedesi non potevano mai sapere dov'egli fosse, ma sovente egli assaliva dei distaccamenti, faceva dei prigionieri e s'impadroniva di carri e di provvigioni.

Alla fine gli Svedesi lo attaccarono a Golamb, non lungi dal punto dove il Dnieper si congiunge colla Vistola. Alcuni squadroni polacchi, trovandosi pronti per la battaglia, caricarono il nemico, spargendo il disordine e lo sgomento nelle suo file.

Alla loro testa si slanciò Volodyovski col suo squadrone di Lauda, abbattendo Valdemaro principe di Danimarca: i due Kavetskis, Samuele e Giovanni, si slanciarono dall'altura con i loro corazzieri contro i mercenari inglesi comandati da Wilkinson, e li sconfissero in meno che non si dice.

In un batter d'occhio gli Svedesi furono ricacciati sino alla Vistola; il che vedendo Douglas, si affrettò alla riscossa con un scelto corpo di cavalleria. Ma anche questo rinforzo venne respinto. La battaglia fu terribile. Caddero molti Svedesi, ma anche molti Polacchi; il solo Volodyovski, sebbene si gettasse nel più fitto della mischia, ne usciva perfettamente illeso. Ma ad un tratto le sorti della battaglia cambiarono. Carlo Gustavo si avanzò con l'artiglieria, ed i reggimenti di Charnyetski, indisciplinati e poco istruiti, non poterono prendere posizione in tempo.

Perciò Charnyetski diede ordine che si desse il segnale della ritirata non volendo esporli ad essere decimati dal nemico.

Grande fu la contentezza nel campo svedese. Non grandi, veramente, erano i trofei della vittoria; pochi sacchi di avena e pochi carri vuoti; ma non era questo il momento per Carlo Gustavo di curarsi del bottino. Egli si consolò pensando che la sua fortuna non lo aveva abbandonato e che appena egli si era mostrato, aveva disfatto quello stesso Charnyetski, sul quale si fondavano le più alte speranze di Giovanni Casimiro e della Repubblica.

Quando si deposero dinanzi al Re i cadaveri di Wilkinson e del principe Valdemaro, morti durante la battaglia, egli si rivolse ai suoi generali, e disse loro:

Spianate le vostre fronti, o signori; perchè questa è la più gran vittoria che io abbia conseguita in quest'anno, e può darsi ch'essa decida l'esito di tutta la guerra.

— Le truppe di Charnyetski si sbaragliarono ma si riordineranno facilmente, — osservò il vecchio Wittemberg.

Maresciallo, — rispose il Re, — io non ritengo che voi siate ua Capitano inferiore a Charnyetski; ma se io vi avessi battuto, credo che non vi trovereste in grado di raccogliere le vostre truppe entro due mesi.

Wittemberg si accontentò d'inchinarsi in silenzio.

I generali si sentirono confortati dalle parole del Re. Entusiasmate da quella vittoria, le truppe marciarono dietro al Re con grida e canti di gioia e presto furono dimenticati gli stenti e le fatiche dei tempi passati.

Il giorno successivo, dopo alcune ore di riposo, i soldati si rimisero in marcia allegramente. Due reggimenti di dragoni sotto il comando di Dubois, un francese, presero la via di Markushev e Grabov, precedendo di cinque miglia il corpo principale dell'esercito.

In sulla sera Carlo Gustavo giunse a Grabov, lieto e di buon umore. Egli era in procinto di coricarsi, quando il colonnello Aschemberg gli fece annunciare per mezzo dell'ufficiale di guardia che aveva d'uopo di parlargli urgentemente.

Poco dopo egli era ammesso alla presenza del Re, non solo ma insieme ad un capitano dei dragoni. Il Re, che aveva una memoria prodigiosa per cui ricordava il nome quasi di ogni soldato, riconobbe tosto il capitano.

— Che c'è di nuovo, Freed? — gli chiese. — Dubois è forse tornato indietro?

Dubois è morto.

Il Re rimase confiso: solo allora notò che il capitano aveva l'aspetto di un uomo uscito dalla tomba e che aveva l'uniforme stracciata.

— Ma i dragoni? — egli soggiunse.

— Tutti fatti a pezzi. Io solo mi sono salvato.

Il volto di Carlo Gustavo si contrasse spaventevolmente.

— Chi ha fatto ciò? — esclamò fremente di collera.

Charnyetski.

Carlo Gustavo rimase muto e fissò Aschemberg; questi fece soltanto un cenno affermativo col capo come per ripetere: «Charnyetski, Charnyetski, Charnyetski

— Tutto ciò è incredibile, — disse il Re dopo una pausa. — L'avete veduto voi coi vostri occhi?

— Come vedo Vostra Maestà. Egli mi comandò di dichiararvi che ora attraverserà di nuovo la Vistola, ma che ritornerà tosto sulle nostre traccie.

— Ha egli molta truppa? — chiese Carlo Gustavo sforzandosi a parere tranquillo.

— Non potrei dirlo esattamente, — replicò il capitano. — Forse quattro o cinquemila uomini.

— Bisogna dire che quell'uomo abbia fatto un patto col diavoloosservò il Re passandosi una mano sulla fronte.

— È avvenuto quello che predisse il maresciallo Wittemberg, — disse Aschemberg.

— Tutti voi sapete prediresoggiunse con impeto il Re — ma non sapete dare un consiglio.

Aschemberg impallidì e tacque.

Carlo Gustavo, quand'era contento, pareva la bontà in persona; ma ogniqualvolta corrugava la fronte, ispirava un'indescrivibile paura a tutti quelli che lo avvicinavano. Questa volta però si contenne, e domandò al capitano Freed:

Charneytski ha buone truppe?

— Io ho veduto alcuni squadroni, quali li hanno soltanto i Polacchi.

— Sono i medesimi che ci assalirono con tanta furia a Golamb: devono essere vecchi soldati. Ma Charnyetski si mostrava contento e fiducioso?

— Come quando, in principio, ci ha battuti a Golamb. Maestà, io vi ho ripetuto quello che Charnyetski mi ha detto; ma nel momento in cui io partivo, un ufficiale superiore mi si avvicinò, e mi disse ch'egli aveva atterrato Gustavo Adolfo in un conflitto corpo a corpo, e trascese in maniera esorbitante contro Vostra Maestà.

— Non vi preoccupate di ciò — disse Carlo Gustavo. — Charnyetski non è disfatto, quest'è il punto importante. Tanto più rapidamente noi dobbiamo marciare per raggiungere il «Dario polacco» al più presto possibile. Voi siete liberi di andare, signori. Annunciate alle truppe che i reggimenti dei dragoni perirono per mano di contadini che li attirarono nei pantani. Noi avanziamo!

Gli ufficiali uscirono; Carlo Gustavo rimase solo e s'immerse nei suoi pensieri. In presenza del suo esercito mostrava sempre una grande fiducia in se stesso e nella sua stella, ma quando era solo lo assalivano talvolta mille paure e mille dubbi.


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