Henryk Sienkiewicz
Il diluvio

PARTE SECONDA

CAPITOLO XXIII.

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CAPITOLO XXIII.

La mattina successiva il Re e l'esercito si rimisero in marcia e raggiunsero Lublino. Colà Carlo Gustavo ricevette la notizia che Sapyeha aveva respinto Bogoslavio e si avanzava con un numeroso esercito. Carlo lasciò Lublino lo stesso giorno, dopo aver semplicemente rafforzato la guarnigione del luogo.

L'obbiettivo attuale della sua spedizione era Zamost; perchè, s'egli poteva occupare quella fortezza, acquisterebbe una base fissa per le successive operazioni. Taluni sostenevano bensì che Zamost era inespugnabile, ma siccome Carlo Gustavo vedeva che i Polacchi non eran gran fatto versati in materia di fortificazioni, così non si curava del giudizio altrui e si credeva sicurissimo di conquistare Zamost. Sapendo che ogni magnate era autorizzato a fare trattati per conto proprio o si permetteva di farli, egli, essendo un uomo astuto, raccolse tutte le informazioni possibili sul conto del proprietario di Zamost.

Giovanni Sapyeha, che in quel tempo macchiava il proprio nome col tradimento, con gran dolore di suo fratello il Capitano generale, lo fornì ampiamente di notizie intorno alla persona di Zamoyski.

— Se egli mi aprisse le porte di Zamost, io gli offrirei qualche cosa che nessun re di Polonia potrebbe offrirgli, — disse il Re.

Sapyeha avrebbe voluto chiedergli che cosa gli avrebbe offerto: ma guardò soltanto Carlo Gustavo con una certa curiosità. Il Re comprese lo sguardo e rispose:

— Gli offrirò la provincia di Lyubelsk come principato indipendente.

— Vostra Maestà è estremamente generosa, — soggiunse Sapyeha, non senza una certa ironia nella voce.

Ma Carlo rispose col cinismo che gli era abituale: — Naturalmente io gliela perchè non è mia.

— Io penso, Maestà, che riescirete meglio con l'adulazione. Non è un uomo molto intelligente e può essere facilmente sorpreso. Ditegli che lui solo può liberare la Repubblica dalla guerra, dalle sconfitte e da ulteriori disgrazie, aprendovi le porte di Zamost. Se il pesce abbocca all'amo, vi entreremo; altrimenti no.

— Ho udito dire che la fanteria della fortezza è buona, ma che vi manca la cavalleria.

— La cavalleria è necessaria soltanto in campo aperto, e d'altronde Charnyetski può benissimo impiegare qualche squadrone per uso della fortezza.

— Voi vedete solo difficoltà sopra difficoltà.

Rimane sempre da sperare nella stella di Vostra Maestà.

Giovanni Sapyeha aveva ragione di prevedere che avrebbe fornito Zamost della cavalleria occorrente. Infatti, vi aveva mandato i due squadroni che avevano più sofferto a Golamb, cioè, quelli di Shemberk e di Lauda per farli riposare e rinforzare di nuove reclute.

Pan Zamoyski infatti li accolse ospitalmente, e udendo quali famosi soldati erano fra essi, Pan Giovanni, Pan Michele e Zagloba, esaltò al cielo quegli uomini, li colmò di doni, e li fece assidere quotidianamente alla sua tavola.

In quella notte Volodyovski uscì in servizio di perlustrazione e la mattina ritornò con parecchi informatori. Questi uomini asserivano che il Re di Svezia era a Shchebjeshyn in persona, e che quanto prima sarebbe a Zamost.

Zamoyski si rallegrò a tale notizia, e si diede tosto attorno con grande attività, avendo un vero desiderio di provare i suoi cannoni sugli Svedesi. Del resto egli considerava, e con ragione, che se alla fine avesse dovuto cedere, ad ogni modo avrebbe tenuto in iscacco il nemico non meno d'un paio di mesi, durante il qual tempo Giovanni Casimiro avrebbe raccolto truppe, chiamata l'intera orda dei Tartari in suo aiuto, e organizzata in tutto il paese una resistenza potente e vittoriosa.

Giacchè mi si presenta l'opportunità, — diss'egli con energia ai suoi ufficiali, — di rendere alla patria ed al Re un notevole servigio, vi dichiaro, signori, che mi farò piuttosto saltare in aria prima che un piede svedese entri qua dentro.

— Noi siamo pronti a perire con Vostra Grazia, — dissero gli ufficiali in coro.

— Avanti dunque! Alle mura! — comandò Zamoyski.

Tutti uscirono, le mura erano guarnite di soldati che aspettavano con impazienza gli Svedesi.

Zamoyski, nella sua ricca armatura e col bastone dorato del comando in mano, ne faceva il giro, chiedendo ad ogni istante:

— Ebbene, non sono ancora in vista? — e ricevendo da ogni parte risposta negativa, brontolava contro la lentezza del nemico.

Del resto era difficile scorgere gli Svedesi a cagione della nebbia, la quale non si dissipò che verso le dieci della mattina. Allora si cominciò a gridare dal lato occidentale delle mura:

— Vengono, vengono, vengono!

Zamoyski, con tre aiutanti e Zagloba, si recò in fretta in un punto sporgente del bastione d'onde la vista poteva spaziare in lontananza. Nei reggimenti che marciavano in testa si poteva distinguere ad occhio nudo la fanteria; veniva poi l'artiglieria e finalmente la cavalleria.

L'immensa massa si avanzava rapidamente verso la fortezza.

Quando furono giunti alla doppia distanza di un tiro di colubrina dalle mura, gli Svedesi cominciarono a sfilare. La fanteria ruppe i ranghi per la prima; una parte si diede a piantare le tende, un'altra principiò a scavare le trincee.

Ad un tratto si udirono squillare le trombe. Alcuni cavalieri, preceduti da un trombettiere, uscirono dalle file dell'oste nemica e mossero verso il castello. A metà strada legarono un fazzoletto bianco sulla punta di una spada e si fecero ad agitarlo in alto.

— Un'ambasciata! — esclamò Zagloba. — Anche a Kyedani son venuti colla stessa petulanza e mi ricordo quello che è successo.

Zamost non è Kyedani, ed io non sono il Voivoda di Vilna, — rispose Zamoyski.

L'inviato, ch'era Pan Sapyeha, si sentì dire che Zamoyski non avrebbe mai parlato coi traditori, e che se il Re di Svezia desiderava parlargli, mandasse uno Svedese, non un Polacco.

Mezz'ora dopo, Forgell, svedese, e con un seguito di suoi connazionali, si presentava alla porta della fortezza. Pian piano fu calato il ponte levatoio, e il generale entrò in città. gli occhi dell'inviato, quelli d'alcun altro del seguito furono bendati; evidentemente Zamoyski voleva che vedessero tutto, e fossero in grado di riferire ogni cosa al Re.

Ma l'alterezza, anzi un disprezzo appena celato da forme in apparenza cortesi, delusero le speranze dell'astuto Forgell, così ch'egli cominciò a sentirsi a disagio, e ricorse infine all'ultimo espediente; si tolse di tasca un plico suggellato, e alzandosi disse:

— Per aprire le porte di questa fortezza, Sua Maestà offre a Vostra Grazia Serenissima la Provincia di Lyubelsk in perpetuo possesso.

Tutti rimasero attoniti; e Zamoyski stesso rimase sorpreso. Forgell cominciava già a volgere intorno a uno sguardo trionfante, quando ad un tratto, fra un profondo silenzio, Zagloba, che stava dietro a Zamoyski, gli disse in polacco:

— Vostra Grazia offra in cambio al Re di Svezia i Paesi Bassi.

Zamoyski, senza indugiare un minuto secondo, disse, sollevando fieramente il capo:

— Ed io offro a Sua Maestà Carlo Gustavo i Paesi Bassi.

In quel momento la sala risuonò d'un immenso scoppio di risa. Forgell impallidì, ma aspettò con gli occhi fiammeggianti che quel parossismo d'ilarità fosse passato. Poi chiese con voce spezzata:

— È questa l'ultima parola di Vostra Grazia?

— No! — replicò Zamoyski, — perchè l'ultima parola la diranno i cannoni.

Così ebbe fine l'ambasciata.

Due ore dopo il cannone tuonava dalle trincee degli Svedesi: ma i cannoni di Zamoyski rispondevano con ugual forza.

Il Re di Svezia, trasportato dalla collera, comandò di incendiare tutti i villaggi e le capanne, sicchè la circostante campagna sembrava un mare di fuoco.

Il giorno successivo Carlo Gustavo ricevette una quantità di altri cannoni d'assedio, che furono subito collocati nelle trincee ed aprirono tosto il fuoco. Il Re non pensava, in verità, ad aprire una breccia, ma voleva convincere Zamoyski ch'egli era determinato ad assalirlo furiosamente e senza misericordia.

Ma Pan Zamoyski non se ne persuadeva.

L'esercito degli assedianti cominciò intanto a trovarsi in una posizione assai critica perchè mancavano le vettovaglie ed i foraggi.

Zamoyski invece, prima che arrivasse il nemico, aveva ritirato da tutti i suoi possedimenti per un raggio di molte miglia dalla città tutto quanto poteva occorrergli per mantenere la sua guarnigione.

E a rendere ancor più difficile la posizione degli Svedesi è d'uopo aggiungere, che Pan Charnyetski non si era portato sulla riva opposta della Vistola, ma stava girando intorno all'esercito Svedese come un lupo intorno all'ovile. Inoltre Pan Zapyeha si avanzava vittorioso dal Nord verso Zamost.

Il vecchio Wittemberg, il più sperimentato condottiero svedese, comprese che la sua situazione era molto seria, ed espose pienamente il suo pensiero al Re.

Il Re riconosceva in cuor suo che il vecchio guerriero aveva ragione; ma non volle lasciar intravvedere che il suo genio fosse esaurito. Egli contava sempre su qualche evento inaspettato. Quindi ordinò che si facesse fuoco giorno e notte.

— Io fiaccherò il loro coraggio; vedrete che si persuaderanno, — così egli rispondeva al vecchio maresciallo.

Dopo parecchi giorni di continuo cannoneggiamento, il Re mandò di nuovo Forgell alla fortezza onde convincere Zamosyski della necessità di intavolare delle trattative. Il danno che Zamost doveva avere sofferto dal bombardamento avrebbe certo reso più arrendevole il padrone della città.

Zamoyski rispose:

— Il danno c'è! Voi ammazzaste sulla piazza del mercato un maiale, e se bombardate un'altra settimana, forse ne ammazzerete un altro.

Forgell portò una tal risposta al Re. Alla sera si radunò il consiglio nei quartieri reali. Il giorno successivo gli Svedesi cominciarono a levare le tende, a rimuovere i cannoni dalle trincee ed a mettersi in marcia.

Carlo Gustavo mosse verso il Sud, benchè Wittemberg consigliasse di tornare in Varsavia; egli tentò di convincere il Re che era quella l'unica via di salvezza. Ma «l'Alessandro Svedese» aveva giurato assolutamente d'inseguire il «Dario polacco» fino ai più remoti confini del Regno.


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