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I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio
Dopo la disfatta di Kanneberg, e un altro attacco a Ruduik, ove poco mancò che il Re stesso non rimanesse vittima dell'impavido Roh Kovalski, Carlo Gustavo continuò la sua ritirata marciando con ogni precauzione; perchè egli era non solamente un famoso Capitano, ma anche un cavaliere d'inarrivabile coraggio. Charnyetski, Vitovski e Lyubomirski lo inseguivano e l'incalzavano come si spinge un animale selvatico verso il laccio. Molti distaccamenti facevano giorno e notte grande schiamazzo attorno agli Svedesi. Le truppe andavano sempre più mancando di provvigioni e sempre più perdevano le forze ed il coraggio, nè altro più vedevano dinanzi a loro che la morte.
Alla fine si rinchiusero nell'angolo dove s'incontrano il San e la Vistola. I due fiumi, straripati come di solito in primavera, li difendevano da due lati, il terzo lato fu solidamente fortificato con trincee, sulle quali si collocarono i cannoni.
La posizione era inespugnabile ma potevano morirvi di fame. Però, anche da questo lato gli Svedesi si confortarono colla speranza, che i comandanti manderebbero loro le provvigioni per acqua da Cracovia e da altre fortezze, situate lungo il corso del fiume. Per esempio, era molto vicina Sandomir, dove il colonnello Shinkler aveva raccolto una grande quantità di vettovaglie. Egli le mandò tosto, sicchè gli Svedesi finalmente mangiarono, bevettero, dormirono, e quando vegliavano cantavan salmi, lodando Iddio perchè li aveva salvati da sì orribili strette.
Ma Charnyetski preparava loro nuovi colpi.
Sandomir in mano agli Svedesi poteva sempre venire in aiuto all'esercito, quindi Charnyetski pensava al modo di prender la città col castello in un sol colpo, distruggendo poi gli Svedesi.
— Prepareremo loro un magnifico spettacolo, — diss'egli al consiglio di guerra. — Mentre staranno guardando dall'opposta spiaggia, noi assaliremo la città, ed essi non potranno prestarle aiuto. Quando avremo in mano Sandomir, non lasceremo passare le provvigioni da Wirtz a Cracovia.
Lyubomirski, Vitovski ed altri tentarono di dissuadere Charnyetski da cotale impresa, dicendogli che non avevano fanteria nè cannoni d'assedio.
— Ma i nostri contadini — domandò Charnyetski combattono forse male come fanteria? Se io avessi duemila soldati come Mihalko, vorrei prendere, non solo Sandomir, ma anche Varsavia.
E senza ascoltare altri consigli egli attraversò la Vistola. Appena i suoi comparvero sulla riva opposta, duemila uomini accorsero, quali con falci, quali con moschetti o con carabine, e marciarono insieme a lui contro Sandomir.
Piombarono sulla città quasi all'improvviso, e cominciò nelle strade un fiero conflitto. Gli Svedesi si difendevano furiosamente dalle finestre e dai tetti, ma non poterono far fronte all'impeto degli assalitori.
Il colonnello Skinkler, vedendo che non poteva resistere nel castello, raccolse quanto poteva di uomini, materiali, vettovaglie e provvigioni, e messili in barche, vogò verso il Re, che contemplava dalla riva opposta la sconfitta dei suoi uomini senz'essere in grado di prestar loro soccorso.
Il castello cadde nelle mani dei Polacchi; ma il furbo Svedese, aveva posto nelle cantine sotto alle mura bariletti di polvere colle miccie accese.
Quand'egli apparve dinanzi al Re gli disse:
— Il castello salterà in aria con tutti i suoi uomini. Charnyetski potrebbe essere del numero.
— Se ciò è vero, vorrei vedere io stesso come fanno i devoti Polacchi a volare in Paradiso, — replicò il Re, e si fermò tosto con tutti i suoi generali.
A dispetto dei comandi di Charnyetski, che prevedeva qualche inganno, i volontari ed i contadini entrarono nel castello in cerca di Svedesi nascosti e di supposti tesori. Le trombe diedero il segnale d'allarme perchè ognuno si ritirasse nella città; ma gli uomini penetrati nel castello non udirono le trombe o non vollero udirle.
Tutto ad un tratto il suolo tremò sotto i loro piedi, un terribile rombo scosse l'aria, una colonna gigantesca di fuoco s'innalzò verso il cielo, le mura, i tetti, tutto il castello balzarono in aria con tutti quelli che vi si trovavano.
Carlo Gustavo rideva a crepapelle, ed i suoi cortigiani si fecero tosto a ripetere le sue parole:
— I Polacchi vanno in Paradiso, vanno in Paradiso!
Ma quella gioia era prematura, perchè frattanto Sandomir rimase nelle mani dei Polacchi, e così non potè più fornire i viveri all'esercito svedese.
Charnyetski si accampò di fronte agli Svedesi, dall'altro lato della Vistola, e sorvegliò il passaggio.
Sapyeha, capitano generale della Lituania e Voivoda di Vilna, venne dall'altro lato del San e prese ivi la sua posizione.
Gli Svedesi erano completamente investiti.
— La trappola è chiusa! — si dicevano i soldati polacchi nel campo.
Chiunque, anche il meno versato nelle cose di guerra, comprendeva che gl'invasori non potevano sottrarsi dalla inevitabile distruzione, a meno che avessero potuto ricevere in tempo qualche rinforzo.
Anche gli Svedesi ne erano persuasi. Essi avrebbero potuto ritornare a Yaroslav per la medesima via da cui erano venuti, ma sapevano bene che in tal caso nessuno di loro avrebbe riveduta la Svezia.
Intanto Charnyetski, lasciato il comando delle truppe a Lyubomirski, attraversò la Vistola all'imboccatura del San, scortato dallo squadrone di Lauda, onde abboccarsi con Pan Sapyeha.
L'incontro dei due uomini egregi, che servivano la patria non per ambizione ma per vero amore, fu oltremodo cordiale.
— La Repubblica gioisce quando tali uomini si abbracciano, — diceva Zagloba a Pan Michele e a Pan Giovanni. — L'anima sussulta di giubilo alla vista di un tale incontro. Vi garantisco inoltre, che non resteremo a bocca asciutta, perchè Sapyeha ama le feste ed i banchetti.
— Dio è misericordioso! I tempi brutti per noi passeranno — disse Pan Giovanni.
La conversazione venne interrotta dalla comparsa di Babinich, la cui alta persona emergeva in lontananza sopra un'onda di teste.
Pan Michele e Zagloba cominciarono a fargli cenno col capo; ma egli era così occupato a guardare Charnyetski, che non si accorse subito di loro.
— Vedete — disse Zagloba — come è diventato magro?
— Convien dire che non ha potuto arrecare gran danno a Bogoslavio — osservò Volodyovski, — altrimenti sarebbe più allegro.
— È certo che ha potuto far poco, perchè adesso Bogoslavio è dinanzi a Marienburg con Steinbock, e sta assediando la fortezza.
— Speriamo in Dio che non gli riesca di conquistarla.
— Ecco Pan Babinich che viene a noi! — esclamò Pan Giovanni.
Infatti egli li aveva veduti, e si avvicinava facendosi largo fra la folla. Si salutarono tosto come buoni amici e conoscenti.
— Che c'è di nuovo? Che cosa avete fatto col principe? — gli domandò Zagloba.
— Ben poco, ma ora non c'è tempo per parlarne perchè si andrà subito a tavola. Voi rimarrete qui stanotte; dopo la festa venite da me a passare la notte fra i miei Tartari. Io ho una comodissima tenda, discorreremo fra i bicchieri fino all'alba.
— Io non mi oppongo di certo, — disse Zagloba, — ma almeno ditemi in che maniera siete tanto dimagrato.
— Quel demonio incarnato mi ha mandato a gambe all'aria col mio cavallo, e da quel momento io sputo sangue e non riesco a rimettermi. Speriamo nella misericordia di Nostro Signore che io possa presto cavar sangue a lui.
Nel frattempo tutta la folla passava davanti a loro dirigendosi verso il luogo ove erano disposte le tavole. In onore di Charnyetski, Sapyeha fece un trattamento da re. La tavola dove Charnyetski sedeva era coperta di bandiere svedesi. L'idromele ed il vino abbondavano, dimodochè verso la fine ambedue i Capitani erano alquanto brilli. Finalmente la fresca brezza serotina indusse i commensali a porre un termine al banchetto.
Allora Kmita condusse i suoi ospiti dai Tartari. Essi sedettero nella sua tenda sovra casse piene d'ogni sorta di bottino, e cominciarono a parlare della spedizione di Kmita.
Questi, dopo di essere rimasto un momento in silenzio, principiò a narrare i particolari dell'ultima campagna di Sapyeha contro Bogoslavio, e della costui sconfitta a Yanov; finalmente raccontò come il principe Bogoslavio avesse sbaragliato i Tartari e fosse fuggito passando sopra il suo corpo.
— Ma — interruppe Volodyovski — voi diceste che volevate inseguirlo coi vostri Tartari anche al Baltico.
— E voi diceste a me in altri tempi, — riprese Kmita, — che Pan Giovanni, qui presente, quando Bogun rapiva la fanciulla da lui amata, dimenticò lei e la vendetta perchè la patria era in pericolo. Ora l'uomo prende le abitudini delle persone con le quali convive; io mi sono unito a voi, signori, e voglio seguire il vostro esempio.
— Possa la Madre di Dio rimeritarvi come ha premiato Pan Giovanni! — disse Zagloba. — Pure io preferirei che la vostra fanciulla si trovasse in mezzo ad una foresta anzichè nelle mani di Bogoslavio.
— Questo non monta! — esclamò Pan Michele, — la ritroverete.
— Io vorrei ritrovare non solo lei, ma la sua stima e il suo amore.
— Con una cosa verrà anche l'altra, — disse Pan Michele, — quand'anche doveste impadronirvi di lei con la forza come quella volta... ve ne ricordate?
— Non farei più una cosa simile.
Qui Pan Andrea sospirò profondamente, e dopo una pausa, disse:
— Non solo io non ho trovato lei, ma Bogoslavio ne ha rapito un'altra.
— Che diavolo! È dunque un Turco? — sclamò Zagloba.
— Quale altra?
Kmita rispose a questa domanda narrando loro per filo e per segno tutta la storia di Zamoyski e di Panna Anusia Borzogobati.
Durante il racconto non aveva mai pronunciato il nome della ragazza, ma quando infine Zagloba gli chiese chi fosse; egli rispose:
— È di famiglia distintissima, una dama di compagnia della principessa Griselda. Fu fidanzata a quel tale Podbipienta che voi, signori, avete conosciuto:
— Anusia Borzogobati! — gridò Volodyovski balzando in piedi. E si slanciò contro Kmita gridando: — Siete voi, traditore, che l'avete lasciata portar via da Bogoslavio!
— Non siate ingiusto con me — replicò Kmita senza alterarsi. — Io la condussi salva da Sapyeha, ed ebbi cura di lei come se fosse stata una mia sorella. Bogoslavio la prese, non da me, ma da un altro ufficiale dal quale il Capitano generale la faceva accompagnare presso la sua famiglia: il nome di quest'ufficiale non me lo ricordo bene.
— Dov'è egli adesso?
— È stato ucciso, così almeno dissero gli ufficiali di Sapyeha. Io stavo attaccando Bogoslavio coi Tartari, perciò non posso sapere se non quello che vi ho detto. Ma al vedere il mutamento della vostra fisonomia, m'accorgo che siamo compagni di sventura, e, se è così, non ci rimane che vendicarci insieme.
— Eccovi la mia mano — disse Volodyovski. — Da ora in poi siamo amici per la vita e per la morte. Quello di noi due che l'incontrerà prima, lo pagherà per tutti e due. Dio mi conceda che possa incontrarlo per il primo.
— Non vorrei essere nei panni del principe Bogoslavio, — disse Zagloba — anche se qualcuno dovesse aggiungere Livonia ai suoi titoli. È già troppo l'avere un Kmita alle costole, ma che cosa fare con un Volodyovski? Inoltre io voglio fare alleanza con voi. La mia testa e le vostre sciabole! Non so se vi sia un potentato nel mondo cristiano, che possa tener fronte a cosiffatta alleanza.
Per suggellare il patto Zagloba volle che si portasse altro vino, e dopo aver vuotato ripetutamente le coppe ricolme, Kmita prese a narrare in qual modo aveva liberato dalle mani del principe il suo fedele Soroka.
Pan Michele provò gran piacere nell'udire quei fatti meravigliosi, e disse alla fine:
— Possa Dio aiutarvi, Yendrek! Peccato che non possiamo star sempre assieme, perchè il servizio è servizio. Chi sa chi di noi due lo incontrerà per il primo!
— Per giustizia toccherebbe a me... purchè non mi succeda qualche altro contrattempo.
Cambiando poi discorso, soggiunse:
— Ho sentito dire da Pan Sapyeha, che non appena avremo spazzato via gli Svedesi e catturato il loro Re, marcieremo direttamente alla volta di Varsavia. Allora avrà certo fine questa guerra e poi verrà la volta dell'Elettore. Charnyetski andrà con Lyubomirski a Brandeburgo, ed io, col tesoriere della Lituania, nella Prussia elettorale; e se dopo ciò non uniremo la Prussia alla Repubblica, sarà perchè nella nostra cancelleria non abbiamo la testa di un Zagloba, che con lettere autografe minacci l'Elettore.
— Sapyeha ha detto questo? — domandò Zagloba arrossendo dal piacere.
— Tutti lo udirono. Ed io mi rallegrai oltre ogni dire, pensando che, se non più presto, raggiungeremo allora senza dubbio Bogoslavio.
— Dio voglia che possiamo raggiungerlo prima, — soggiunse Volodyovski; ma ora mi pare, signori, che sarebbe tempo di andare a dormire.
Tutti approvarono, e dopo di aver recitato le loro preghiere si coricarono sopra le coperte di feltro distese in terra e tosto si addormentarono.