Henryk Sienkiewicz
Il diluvio

PARTE SECONDA

CAPITOLO XXVI.

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CAPITOLO XXVI.

Passarono circa venti giorni. Il Re rimaneva sempre al punto di congiunzione dei due fiumi, e mandava continuamente corrieri alle fortezze ed ai comandi di Cracovia, di Varsavia e d'altri luoghi, con ordini di affrettarsi ad assisterlo. Essi gli spedirono provvigioni nella maggior quantità possibile, ma tuttavia non sufficienti. Dopo altri dieci giorni gli Svedesi cominciarono a mangiare la carne di cavallo; il Re ed i generali si sentirono invadere l'animo dalla disperazione, pensando che ne sarebbe di loro, quando la cavalleria non avesse più cavalli, ve ne fossero per tirare i cannoni. A tutto ciò si aggiungevano le tristi notizie che venivano da ogni parte. Tutto il paese era in fiamme, come se qualcuno vi avesse sparsa la pece e poi appiccato il fuoco. I comandi minori e le guarnigioni non potevano prestare soccorso, perchè erano quasi imprigionati nelle città e nei villaggi. La Lituania, tenuta fino allora in soggezione dalla ferrea mano di Pontus de la Gardie, si era minacciosamente sollevata. La Grande Polonia, che era stata la prima a cedere, era pure stata la prima a scuotere il giogo. I corpi armati di nobili e di contadini, non solo assalivano le guarnigioni nei villaggi, ma attaccavano le città. Invano gli Svedesi prendevano terribili vendette, invano mettevano a ferro e fuoco tutta la regione, invano innalzavano le forche per punire gl'insorti. Chi doveva soffrire soffriva, chi doveva morire moriva. Il sangue svedese scorreva per tutta la Grande Polonia. Hulsha, Jegotski ed il Voivoda di Podylasye scorrazzavano pel paese come fuoco distruttore.

La fame, questo nemico più terribile di tutti gli altri, straziava le viscere degli Svedesi, confinati nelle città dietro le porte chiuse.

Nella stessa condizione trovavasi la Mazovia. In Podlyasye i nobili si riunirono a migliaia a Sapyeha, oppure si portavano a combattere in Lituania. Lyubelsk era in mano dei confederati. Dalla lontana Russia vennero i Tartari, e con loro i Cosacchi costretti all'obbedienza.

Pertanto nessuno dubitava che fra breve quel campo fra i due fiumi, nel quale si era rinchiuso Carlo Gustavo col grosso del suo esercito, sarebbe divenuto una gran tomba nella quale sarebbe rimasto sepolto il Re con tutti i suoi a gloria della Repubblica.

Prevedevasi già la fine della guerra; molti dicevano che a Carlo Gustavo rimaneva una sola via di scampo: riscattare stesso e dare la Livonia svedese alla Repubblica.

Ma ad un tratto avvenne un mutamento propizio pel Re di Svezia. Marienburg, finora assediata invano, si arrendeva il 20 marzo a Steinbock, il quale potè affrettarsi ad accorrere in aiuto di Carlo Gustavo.

Dall'altro lato il Margravio di Baden marciava pure con nuove truppe in soccorso degli Svedesi.

La notizia della caduta di Marienburg, dell'avanzarsi dell'armata di Steinbock e della marcia del Margravio di Baden, si diffuse rapidamente producendo una dolorosa impressione ai Polacchi. Steinbock era ancora lontano, ma il Margravio, che veniva innanzi a marcie forzate, poteva arrivare da un momento all'altro e cambiare d'un tratto la posizione a Sandomir.

I Capitani polacchi tennero un consiglio di guerra, al quale presero parte Charnyetski, Sapyeha, Michele Radzivill, Vitovski e Lyubomirski, che era stanco di starsene sulle rive della Vistola. In questo consiglio fu deciso che Sapyeha, coll'armata lituana, rimarrebbe a sorvegliare Re Carlo onde prevenire l'evasione, e Charnyetski muoverebbe contro il Margravio e lo incontrerebbe al più presto possibile.

Furono dati subito gli ordini opportuni, e la mattina seguente le trombe diedero il segnale della partenza.

Le truppe marciarono piene di slancio sino a Zavada, dove Charnyetski le passò in rivista, ponendosi poi alla loro testa. Egli sentiva dentro di la certezza che avrebbe ricacciato al di dei confini l'armata del Margravio; e l'idea di quella vittoria, riportata in anticipazione, fece brillare sul suo viso un raggio di gioia.

Le truppe polacche continuarono la loro marcia, animate dalle più liete speranze. Marciavano e notte, si fermavano se non quanto era indispensabile per dare riposo ai cavalli.

A Kozyenitsi incontrarono otto squadroni svedesi, sotto il comando di Torneskiold. Gli uomini di Lauda che formavano l'avanguardia, furono i primi a vederli, e senza indugiare un istante si precipitarono su di loro. Vennero poi Shandarovski, Vansovich e finalmente Stapkovski con i loro squadroni.

Gli Svedesi, pensando d'aver a che fare con qualche distaccamento, li ricevettero in campo aperto; due ore dopo non rimaneva di essi un sol uomo, che potesse recarsi dal Margravio ad avvertirlo che Charnyetski si avanzava contro di lui.

Dopo di che i Polacchi continuarono la marcia verso Magnushev, poichè alcune spie li informarono che il Margravio trovavasi a Varka con tutte le sua forze.

Alle notte Volodyovski fu mandato innanzi con un distaccamento per fare una ricognizione e Zagloba volle unirsi a lui.

Dopo qualche ora Volodyovski trattenne il cavallo.

— Ebbene? che c'è? — domandò Zagloba. — Perchè ci fermiamo?

Varka è in vistarispose Volodyovski. — Il campanile è illuminato dalla luna. Però mi fa meraviglia di non vedere nessun Svedese da questa parte del fiume. Andiamo a nasconderci fra quelle macchie; forse Iddio ci manderà qualche informatore.

Pan Michele condusse il distaccamento nella boscaglia e lo dispose a circa cento passi dalla strada, ordinando agli uomini di serbare il più assoluto silenzio.

Aspettiamo qui — diss'egli — ed ascoltiamo onde scoprire possibilmente che cosa succede dall'altra parte del fiume.

Ascoltarono, ma per buon tratto di tempo non udirono nulla. I soldati cominciavano a barcollare sulle loro selle e ad addormentarsi. Zagloba si chinò sul collo del suo cavallo e si addormentò parimenti. Perfino i cavalli sonnecchiavano. Ma Volodyovski vegliava, ed il suo fine orecchio udì qualche cosa di simile al passo d'un cavallo sulla strada.

— Ecco, viene qualcuno! silenzio! — disse ai soldati.

Egli si portò sul limitare del bosco, e perlustrò con lo sguardo la strada illuminata dalla luna; non si vedeva nulla, ma il passo del cavallo si avvicinava.

— Vengono di certo! — disse Volodyovski, che si affrettò a destare i suoi uomini.

Tutti tennero più strettamente il loro cavallo, trattenendo il respiro. Intanto sulla strada apparve un drappello d'una trentina di cavalieri svedesi. Essi cavalcavano adagio ed in ordine sparso. Alcuni discorrevano, altri canticchiavano a bassa voce. Passarono senza sospetto vicino a Pan Michele. Finalmente il drappello scomparve dietro una curva della strada. Volodyovski aspettò sinchè il rumore dello scalpitìo dei cavalli si perdette in lontananza, quindi si accinse a seguirli.

Egli condusse innanzi lo squadrone con una certa lentezza. Attraversarono un bosco foltissimo. Sull'orlo della foresta, dal lato opposto distante circa due miglia, eravi un albergo. Appena Volodyovski si fu avvicinato a quel luogo mise lo squadrone al passo, onde non allarmare gli Svedesi che sospettava dovessero trovarvisi.

Giunto a meno d'un tiro di cannone si udì un rumore di voci.

— Ci sono — disse Pan Michele.

Infatti, gli Svedesi si erano fermati all'albergo, dove cercavano qualcuno per informazioni, ma la casa era vuota.

Tutto ad un tratto le grida dei Polacchi accompagnate da spari risuonarono alle loro orecchie. In un momento apparve un'oscura massa di soldati, come se fossero usciti dalla terra. E tosto una terribile confusione, un fragore di armi, un frastuono di voci empì lo spazio.

Rimasero sul terreno dinanzi alla bettola cinque uomini e altrettanti cavalli. Volodyovski proseguì il cammino verso il campo di Charnyetski con venticinque prigionieri.

Charnyetski in persona volle subito interrogarli, ed i prigionieri dissero tosto, senza bisogno di tortura, tutto ciò che sapevano riguardo alle forze del Margravio. Charnyetski si fece alquanto pensieroso, comprendendo che il Margravio aveva fatto una nuova leva, ma nello stesso tempo apparve dalle deposizioni dei prigionieri ch'egli era lontano dall'immaginare che Charnyetski fosse vicino, e lo credeva invece occupato ad assediare Carlo Gustavo a Sandomir.

Allora disse tosto al suo. aiutante:

Vitoski, fate dare il segnale di montar a cavallo!

Mezz'ora dopo gli squadroni attraversavano le foreste ed i campi, ed in breve giunsero in vista di Varka, o piuttosto delle rovine di questa città, che sei anni prima era stata incendiata.

La truppa trovavasi ora sull'aperta pianura, sicchè fu veduta dagli Svedesi; ma il Margravio credette che fossero piccoli distaccamenti riunitisi per allarmarlo.

Ma quando si videro gli squadroni avanzare l'un dopo l'altro, nacque l'allarme nel campo svedese che si dispose per la battaglia.

Le truppe nemiche erano separate soltanto dal fiume Pilitsa. Charnyetski fece dare fiato alle trombe, e con i suoi squadroni si avanzò verso il fiume.

A trecento passi dal ponte rallentarono la corsa. I due terzi degli uomini dello squadrone di Vansovich, che si trovava in prima fila, balzarono giù di sella e si slanciarono di corsa verso il ponte.

Ma anche gli Svedesi vennero dall'altra parte, e tosto si impegnò il combattimento.

Da ambe le parti l'obbiettivo pel quale si combatteva era il ponte, costrutto in legno, difficile a prendersi ma facile a difendere.

Passò un quarto d'ora. Charnyetski spinse innanzi i dragoni di Lyubomirski in aiuto a Vansovich.

Ma frattanto gli Svedesi assalivano l'opposta fronte coll'artiglieria. Essi trassero sul posto altri cannoni, e le bombe cominciarono a volare sopra le teste degli uomini di Vansovich e dei dragoni.

Il Margravio dal limitare della foresta osservava il combattimento con un cannocchiale.

Vansovich si avanzava ostinatamente, e la difesa diveniva sempre più accanita. Gli uomini di Vansovich cadevano fitti, ma venivano ordini di avanzare assolutamente.

Charnyetski assassina quegli uominigridò all'improvviso Lyubomirski.

Vitovski, esperto soldato, vedeva che la cosa andava a finir male e fremeva d'impazienza. Alla fine, spronato a sangue il cavallo, corse da Charnyetski.

— Vostra Grazia, — gridò, — il sangue scorre inutilmente; non possiamo prendere il ponte.

— Non ho bisogno del ponte! — rispose Charnyetski. — Nel fiume gli squadroni e voi al vostro posto!

Gli occhi di Charnyetski lampeggiavano mentre pronunciava queste parole. Vitovski si ritirò senza aggiungere altro.

Charnyetski si slanciò come un fulmine alla testa degli squadroni, gridando:

— Chi ama Dio, la fede e la patria sopra ogni cosa, mi segua.

Ciò detto diede di sprone al cavallo e spiccò un salto nel fiume.

Tutti gli squadroni, primo quello di Lauda, lo seguirono con entusiasmo.

Charnyetski toccò terra pel primo: ma fu tosto raggiunto dallo squadrone di Lauda. Allora agitando il bastone:

— Al galoppo! — gridò a Volodyovski. — All'assalto!

Due reggimenti di cavalleria svedese, che erano appostati in riserva, videro quello che succedeva; ma era tale lo stupore dei colonnelli che, avanti ch'essi si fossero mossi, lo squadrone di Lauda piombò sul primo reggimento con forza così irresistibile, che col primo urto lo sbaragliò completamente.

Allora si comprese perchè Charnyetski avesse comandato a Vansovich di assalire il ponte, sebbene non fosse sua intenzione di conquistarlo. In tal modo l'attenzione del nemico era tutta concentrata sul ponte, e intanto gli Svedesi non pensarono a difendere il fiume. Invano gli ufficiali fecero supremi sforzi per ristabilire un po' d'ordine, e invano il Margravio richiamò i reggimenti di cavalleria che teneva in riserva nella foresta: prima che essi fossero giunti sul posto e pronti a combattere, lo squadrone di Lauda già era piombato nella mischia come l'angelo della morte; dopo di esso venne un secondo, poi un terzo, un quarto, un quinto, un sesto, squadrone. E allora cominciò la vera battaglia che finì con la rotta degli Svedesi, i quali si diedero alla fuga.

I Polacchi li inseguirono senza posa, e specialmente tutti quelli che fuggivano verso la foresta furono raggiunti e fatti a pezzi.

Prima che il sole volgesse al tramonto, l'esercito di Federico Margravio di Baden aveva cessato di esistere.

Verso l'imbrunire cominciarono a sbucare dalla foresta i primi corpi di cavalleria con lieti clamori e canti. Essi traevano seco una moltitudine di prigionieri legati, che camminavano allato ai cavalli, senza elmetti, colla testa china sul petto, laceri, insanguinati.

Il campo di battaglia presentava una spaventevole vista. Dappertutto mucchi di cadaveri, di lancie, di moschetti, misti a corazze ed elmetti.

L'aria era satura d'un odore nauseante, di sangue, di polvere, di sudore, di esalazioni dei cadaveri.

Giunse infine Charnyetski col reggimento del Re, e si fermò in mezzo al campo. Le truppe lo acclamarono entusiasticamente. Egli era oltremodo stanco, ma il suo viso era raggiante.

Alle acclamazioni dell'esercito rispondeva:

— Non a me la gloria; non a me, ma a Dio!

Al suo fianco stavano Vitovski e Lyubomirski. Quest'ultimo era macchiato di sangue, avendo combattuto come un semplice soldato: eppure appariva contrariato e triste, perchè anche i suoi reggimenti gridavano:

Viva Charnyetski! Viva il vincitore!

L'invidia incominciava a rodere l'anima del maresciallo.

In quel momento, dall'unica chiesa rimasta a Varka dopo l'incendio, si udì il suono dell'Ave Maria. Allora tutti si scopersero; il padre Pyekarski, cappellano, intuonò l'Angelus, e mille voci risposero unendosi in una voce sola.

Era già notte quando Charnyetski giunse a Varka. Fu quella la notte più felice della sua vita, perchè gli Svedesi non avevano mai toccato una simile sconfitta dal principio della guerra. Tutte le batterie, tutte le bandiere, tutti gli ufficiali, meno il Margravio, i conti Schlippenbach e Ehrenhaim, erano stati catturati. Charnyetski sussultò di giubilo pensando ai grandi e benefici effetti che quella vittoria avrebbe per la Repubblica: ma fors'anche gli parve intravvedere per , in un avvenire non lontano, il bastone dorato di Capitano generale.

Frattanto non capiva in dalla gioia; quindi, rivoltosi a Lyubomirski che gli cavalcava al fianco, gli disse:

— Ed ora a Sandomir a briglia sciolta! Ora che le nostre truppe hanno imparato come si traversa un fiume senza passar sul ponte, il San, la Vistola ci spaventano più.

Lyubomirski non rispose, ma una nube sempre più fosca, oscurò il suo viso.


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