Henryk Sienkiewicz
Il diluvio

PARTE SECONDA

CAPITOLO XXIX.

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CAPITOLO XXIX.

La sortita non aveva raggiunto che in parte il suo scopo, sebbene lo squadrone di Bogoslavio fosse entrato in città. Gli squadroni di Pan Kotvich e Oskyerko avevano seriamente sofferto; ma gli Svedesi pure avevano seminato il terreno di cadaveri, e un reggimento di fanteria assalito da Volodyovski e Vankovich era stato quasi distrutto. Pan Sapyeha aveva sofferto più di tutti, pensando che la sua fama avrebbe potuto essere seriamente compromessa e per sempre.

Hassling era stato condotto dinanzi al Capitano generale ed ai colonnelli che vollero esaminarlo, e Pan Andrea fremeva d'impazienza, perchè gli premeva di poter discorrere con lo Scozzese a quattr'occhi.

Verso sera ricevette l'ordine di partire per una ricognizione. Egli obbedì a denti stretti, benchè avesse appreso ad anteporre il pubblico servizio ai suoi interessi privati.

Al ritorno trovò Hassling nel suo alloggio, ma tanto ammalato da non poter parlare. Aveva la febbre ed era fuori di . Perciò Kmita fu costretto ad accontentarsi di quanto gli ripetè Zagloba delle sue confessioni; ma queste riguardavano i pubblici affari, non quelli che gli stavano tanto a cuore.

— Dov'è adesso Bogoslavio? — domandò Kmita, cui non interessava tutto il resto.

Secondo quanto dice Hassling (e non ha alcun motivo per mentire) egli si trova col fratello del Re nel campo trincerato fra i fiumi Narev e Bug, e vi comanda un'intera divisione di cavalleriarispose Zagloba.

— E il Re dov'è? — chiese Pan Andrea distrattamente.

— È andato in Prussia. Il Re non suppone che noi siamo già dinanzi a Varsavia, e che cattureremo Wittemberg. Comunque sia, dovette andarvi per due ragioni: primo perchè ha bisogno di vincere l'Elettore anche al prezzo di tutta la Grande Polonia; secondo perchè le truppe ch'egli ha condotto fuori da quella trappola nella quale erano rinchiuse, non possono per ora combattere.

Qui la conversazione fu interrotta dalla comparsa di Volodyovski.

— Come sta Hassling? — egli chiese dal limitare della porta.

— È ammalato e vaneggiarispose Kmita.

— E tu, mio caro Michele, che cosa vuoi sapere da Hassling? — disse Zagloba.

— Non lo sai forse? — replicò il piccolo cavaliere con impazienza.

— Non rammentavo che nel giardino di Bogoslavio si trova un fiore che t'interessa assai. Ma non mi sembra che tu debba adirarti per la mia domanda. Se vuoi sfogare il tuo dispetto su qualcheduno, sfogalo su Bogoslavio e non su me.

Dio mi conceda di trovarlo! — esclamò Pan Michele.

Credo che Pan Babinich nutra lo stesso desiderio, — soggiunse Zagloba, — ma Bogoslavio sta in guardia... e senza i miei strattagemmi voi non riuscirete.

I due giovani balzarono in piedi e gli chiesero:

— Avete qualche strattagemma? Parlate, parlate!

— Ma voi credete che trovare uno strattagemma sia come trarre la sciabola dal fodero? Se Bogoslavio fosse qui, certamente potrei trovarne più d'uno, ma a tale distanza, non solo uno strattagemma, ma nemmeno un cannone non colpisce. Del resto, perchè volete proprio interrogare questo Hassling? Non è l'unico prigioniero, potete interrogarne altri.

— Ne ho già interrogati altri, ma essi sono soldati, non sanno nulla; egli, come ufficiale aveva accesso alla Corterispose Kmita.

— Questa è una ragione plausibilerispose Zagloba. Bisogna che gli parli anch'io; da quello ch'egli mi dirà sulla persona del principe Bogoslavio può nascere nella mia mente una buona idea. Ora l'importante è di finire al più presto l'assedio, perchè dopo moveremo certamente contro le truppe accampate sul Narev. Ma mi pare che Sua Maestà e i Capitani tardino un po' troppo a comparire.

Mentre così diceva apparve Akbah Ulan, che, rivolgendosi a Kmita, disse:

Effendi! le truppe del Re si avanzano di della Vistola.

Tutti balzarono in piedi e si precipitarono fuori.

Il Re infatti era arrivato. Apparvero prima i Tartari, sotto Suba Gazi, ma non così numerosi come si aspettava; dopo di essi venivano le truppe del Regno, molto ben armate e sopratutto piene d'ardore. Prima di sera l'intero esercito aveva passato il ponte costruito recentemente da Oskyerko. Sapyeha aspettava il Re con gli squadroni schierati in ordine di battaglia, e col bastone del comando in mano, si recò a piedi incontro al Re, seguito da tutti i dignitari militari e civili.

Il Re si avanzò cavalcando un magnifico destriero donatogli da Lyubomirski. Dietro il Re cavalcavano il nunzio del Papa, l'arcivescovo di Leopoli, il vescovo di Kamenyets, il prete Tsyetsishovski, il Voivoda di Rus, il barone Lisola, il conte Pöttingeg, Pan Kamenyetski, l'ambasciatore di Mosca Pan Grodzitski generale d'artiglieria, Tyzenhauz e molti altri. Sapyeha si avanzò per tenere la staffa al Re; ma il Re balzò leggermente giù di sella, si affrettò incontro a Sapyeha e, senza profferire parola, lo strinse in un lungo amplesso.

I Lituani, i quali si aspettavano che Pan Sapyeha dovesse forse incontrare un rimprovero, o per lo meno una fredda accoglienza perchè aveva lasciato fuggire Carlo Gustavo da Sandomir e per l'ultima sua trascuratezza a Varsavia, al vedere quell'atto di cordialità del Re, scoppiarono in un solo frenetico grido di: «Evviva Giovanni Casimiro!» al quale tutta l'armata rispose gridando:

Evviva il Re! evviva, i Lituani!

Quelle grida fecero tremare le mura, e dietro le mura gli Svedesi.

Dopo i saluti e un'affrettata rivista delle truppe, il Re ringraziò gli squadroni di Sapyeha fra l'universale entusiasmo, e tutti andarono a Uyazdov. Le truppe occuparono le posizioni loro assegnate. Alcuni squadroni rimasero a Praga; altri si schierarono intorno alla città. Un lunghissimo treno di carriaggi continuò ad attraversare il ponte sulla Vistola fino al mezzodì successivo.

Alla mattina i dintorni della città biancheggiavano di tende. Innumerevoli mandre di cavalli nitrivano nei prati circostanti. Dietro all'armata venne una moltitudine di Armeni, Ebrei, Tartari con le loro mercanzie. Una nuova città, ancor più estesa e tumultuosa di quella assediata, parve sorgere nella pianura circostante.

Gli Svedesi, abbagliati dal potere del Re di Polonia, non fecero sortite durante i primi giorni; sicchè Pan Grodzitski, generale d'artiglieria, potè quietamente percorrere il circuito della città e formare il suo piano d'assedio.

Vennero innalzate qua e delle trincee, secondo il piano del generale, e tosto vi si collocarono i cannoni piccoli, giacchè i grossi dovevano giungere soltanto un paio di settimane più tardi.

I lavori si mandarono innanzi il più rapidamente possibile.

Gli Svedesi tentarono più d'una volta d'impedirli, e non passava giorno senza che facessero una sortita; ma appena i moschettieri erano fuori della porta, i Polacchi gettavano le vanghe ed i badili, ed impugnate le sciabole si scagliavano loro addosso, con tale furia, che i nemici erano costretti a ritirarsi a precipizio. In queste scaramuccie gli uomini cadevano in gran numero, e non essendovi tempo per seppellire i morti, questi rimanevano dove cadevano, ammorbando l'aria intorno alla città con miasmi pestiferi.

Ad onta delle più gravi difficoltà, ogni giorno i cittadini evadevano e si recavano al campo del Re, narrando quello che accadeva in città, e supplicando in ginocchio che si affrettasse l'assalto. Dicevano essi che gli Svedesi erano largamente provvisti di vettovaglie, ma la popolazione moriva di fame. Le donne, i vecchi, i bambini erano stati scacciati dalle case occupate dalle truppe, e tutta quella povera gente trovavasi esposta, ora alla pioggia, ora agli ardori del sole; le malattie si andavano sviluppando e facevano gran numero di vittime.

Giovanni Casimiro si disperava udendo tali racconti, e mandava corrieri sopra corrieri a sollecitare l'arrivo dei cannoni d'assedio.

Intanto gli assedianti si confortavano col pensiero che la guarnigione finirebbe col mancare di provviste, giacchè le strade erano in tal modo bloccate che un topo non poteva passare, e gli assediati perdevano ogni speranza che le truppe di Douglas, le quali stazionavano più dappresso, venissero in loro aiuto.

Alla fine i Polacchi, prima ancora dell'arrivo dei cannoni d'assedio, apersero il fuoco sulla fortezza coi piccoli cannoni. Pan Grodzitski, dalla parte della Vistola, innalzò davanti a degli altissimi ripari di terra, si spinse quasi fino a duecento passi dalla fossa, ed aprì un fuoco continuo sulla sfortunata città.

Il magnifico palazzo Kazanovski fu distrutto e i Polacchi non se ne rammaricarono perchè l'edifizio era proprietà del traditore Radzeyovski.

Pan Grodzitski dirigeva il fuoco sulla cosidetta «torre dei Bernardini» avendo determinato di tentare l'assalto da quella parte.

Intanto i volontari, impazienti di impadronirsi dei tesori accumulati dagli Svedesi nella città, chiesero il permesso di tentare l'assalto. Dapprima il Re rifiutò, ma alla fine acconsentì. Un gran numero di alti ufficiali si assunsero di condurli, e fra essi Kmita, il quale era esacerbato oltre ogni dire per quell'ozio forzato, e non aveva neppure la possibilità d'intrattenersi con Hassling, il quale giaceva a letto in preda al delirio e per parecchie settimane non fu in grado di parlare.

Grodzitski si oppose all'assalto, sostenendo, e con ragione, che se non fosse stata aperta prima una breccia la città non si poteva prendere; ma fu obbligato a tacere poichè il Re aveva dato il permesso.

Il 15 giugno si riunirono circa seimila uomini, e si prepararono tegole, fascine e sacchi di sabbia. Verso sera, a piedi nudi ed armati la massima parte di sole sciabole, cominciarono ad avvicinarsi alla città. Appena fu del tutto scuro, gli uomini si slanciarono, ad un dato segnale, nella fossa, e cominciarono a riempirla. Gli Svedesi li ricevettero con un fuoco micidiale di moschetti, e allora s'impegnò un accanito combattimento lungo tutto il lato orientale della città.

Col favore dell'oscurità i Polacchi colmarono in un attimo la fossa e raggiunsero le mura in una massa disordinata. Kmita, con duemila uomini si slanciò sopra un fortino che sorgeva presso la Porta di Cracovia. Ad onta d'una disperata difesa egli se ne impadronì d'un sol colpo; la guarnigione cadde tutta quanta sotto le sciabole, senza che un sol uomo si salvasse. Pan Andrea comandò si puntassero i cannoni contro la porta, ed alcuni di essi contro le mura più lontane, e ciò per aiutare quelli che volevano dare la scalata.

L'assalto venne finalmente respinto; ma il fortino preso da Kmita rimase in mano dei Polacchi.

Alla mattina Wittemberg, per il quale quel fortino aveva una grande importanza, mandò un corpo di fanteria, coll'ordine che non ritornasse senz'averlo riconquistato; ma Grodzitski mandò a Kmita un rinforzo, coll'aiuto del quale egli, non solo respinse la fanteria, ma le piombò addosso e la fece a pezzi.

Grodzitski ne provò tale contentezza che corse in persona dal Re col rapporto.

Il Re, che era dolente perchè durante gli assalti erano periti inutilmente tanti uomini, si rallegrò assai nell'udire il rapporto di Grodzitski, e chiese:

— Chi ha preso il fortino?

Pan Babinichrisposero molte voci.

Il Re battè le mani ed esclamò:

— Egli è sempre il primo dappertutto!

Poi ordinò che gli recassero tosto un cavallo ed un cannocchiale da campo; e salito in sella galoppò verso il luogo ove Kmita si difendeva così coraggiosamente, mantenendosi sul posto conquistato benchè una vera pioggia di palle, bombe, ed ogni sorta di proiettili infocati piombassero sul fortino.

Il Re si fermò a lungo a contemplare quello spettacolo. Alla fine gridò:

Babinich dovrebbe essere rilevato dal comando. Signori, chi di voi prenderebbe di buon grado il suo posto?

Non si trovavano vicini al Re Pan Giovanni, Pan Stanislao, Volodyovski, perciò seguì un momento di silenzio.

— Io! — disse alfine Pan Topor Grylevski, ufficiale dello squadrone leggiero del Primate.

— Io! — disse Tyzenhauz.

— Io!... Io!... Io! — gridarono parecchie voci.

Vada quegli che si è offerto pel primodisse il Re. Pan Topor Grylevski diede senz'altro di sprone al suo cavallo e si allontanò di gran carriera, ma dopo poco tempo Tyzenhauz esclamò ad un tratto:

Grylevski ritorna! Bisogna dire che Kmita sia caduto e che il fortino sia stato riconquistato dagli Svedesi.

Il Re si riparò gli occhi con una mano. Grylevski giunse, trattenne il cavallo, e, ansando, disse:

Maestà!

— Che è successo? È morto? — domandò il Re.

Pan Babinich dice che sta bene, e non vuole che nessuno prenda il suo posto; egli domanda solo che gli mandino da mangiare perchè non si regge più in piedi.

— Quel Babinich è uomo veramente straordinario! — esclamò Giovanni Casimiro, — ma è impossibile ch'egli possa sostenersi a lungo.

Maestà, lassù è il finimondo, — soggiunse Pan Grylevski. — Sono caduti molti uomini, ma mentre mi allontanavo veniva la fanteria di Grodzitski a surrogarli, ed ora si battono di nuovo.

— Dal momento che non possiamo dare l'assalto finchè non sia fatta una breccia, — disse il Re, — noi assaliremo il sobborgo di Cracovia; questa sarà la miglior diversione.

— Il sobborgo di Cracovia è quasi una fortezzaosservò Tyzenhauz.

— Sia pure così, — replicò il Re, — gli Svedesi non lascieranno la città per portargli aiuto. Tutte le loro forze sono rivolte contro Babinich. Io darò ordine di attaccare sul momento; ma prima di tutto benedirò Babinich.

Così dicendo il Re tolse ad un cappellano un crocifisso d'oro, e levandolo in alto benedisse da lontano il colle sul quale sorgeva il fortino, esclamando:

— O Dio d'Abramo, d'Isacco e di Giacobbe, abbi pietà del Tuo popolo e salva coloro che muoiono. Amen.

Amen! Amen! — ripeterono tutti i presenti.


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