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Sebbene Kettling si fosse trovato vicino al principe Bogoslavio, pure non sapeva tutto, nè poteva dire tutto quello che si faceva a Taurogi, perchè era egli stesso acciecato dall'amore che nutriva per Panna Billevich.
Bogoslavio aveva un altro confidente, Pan Sakovich, lo Starosta d'Oshmiana; e questo solo sapeva quanto profondamente il principe amasse la sua leggiadra prigioniera, e quali mezzi avesse impiegati per poter conquistarne il cuore e la persona.
Quell'amore non era che un prepotente desiderio, giacchè il cuore di Bogoslavio non era capace di altri sentimenti; ma il desiderio era sì violento, che quell'esperimentato cavaliere perdeva la testa.
Sakovich gli suggerì un mezzo che credeva infallibile.
— Il vostro medico non conosce forse delle erbe magiche? — diss'egli. — Dategli l'ordine di preparare un filtro e oggi o domani il vostro desiderio sarà soddisfatto.
Ma al principe non garbava questo metodo, e per più ragioni. Anzitutto il vecchio Eraclito Billevich, nonno di Olenka, gli era apparso in sogno, e standogli al capezzale lo aveva fissato minacciosamente fino al primo canto dei galli. Bogoslavio ricordava bene il sogno, perchè quel cavaliere, senza essere pauroso, era superstizioso, e teneva le malìe, i sogni, le apparizioni soprannaturali a tal punto, che scorrevagli un brivido nelle ossa pensando alla terribile forma sotto cui quel fantasma avrebbe potuto apparirgli una seconda volta, se mai egli avesse a seguire i consigli di Sakovich. Lo stesso Sakovich, che non credeva gran fatto in Dio, ma che, come il principe, paventava i sogni e gl'incantesimi, titubava alquanto nel dare cosiffatti consigli. La seconda ragione della perplessità di Bogoslavio era che la «Donna Valacca», come tutti chiamavano la principessa Radzivill vedova del principe Giovanni, conviveva colla sua figliastra a Taurogi. Costei, venendo da un paese in cui il suo sesso aveva maniere piuttosto libere, non era troppo severa, ma contuttociò non sopportava che al suo fianco un uomo, il futuro sposo della sua figliastra, compiesse atti tali da attirare su di sè la vendetta del cielo.
Ma anche dopo la partenza della principessa con la sua figliastra per la Curlandia, Bogoslavio non osò eseguire il suo disegno. I Billevich erano gente doviziosa; essi non avrebbero mancato di intentargli un processo: e la legge puniva tali misfatti colla perdita delle proprietà, dell'onore e della vita.
I Radzivill, certamente, erano potenti, ed erano in grado di sopraffare la forza stessa delle leggi; ma se la vittoria propendeva dal lato di Giovanni Casimiro, il principe poteva trovarsi in seri imbarazzi. Le forze di Giovanni Casimiro crescevano ogni giorno; il potere di Carlo Gustavo diminuiva invece a vista d'occhio, per la continua perdita d'uomini e per l'esaurimento del denaro.
Il principe Bogoslavio, uomo intraprendente ma calcolatore, studiava la posizione. I desideri lo tormentavano, la ragione gli suggeriva di frenarsi, le superstiziose paure trattenevano l'impeto del sangue. Nello stesso tempo la sua salute era seriamente scossa; sorsero grandi ed urgenti questioni, spesso inerenti ai destini della guerra; e tutte queste circostanze tormentavano l'anima del principe al punto da farlo ammalare.
Si trovava appunto in una delle sue crisi nervose, assalito inoltre da una forte febbre, quando una sera disse al suo fido Sakovich:
— Le mie mani ed i miei piedi ardono; sento un formicolìo nella schiena, ho la bocca asciutta ed amara; non ho mai provato una cosa simile. Io devo possedere quella fanciulla a tutti i costi, anche a costo di sposarla.
Sakovich divenne serio, e replicò: — Altezza, non bisogna neppur pensarvi! Seguite piuttosto il mio consiglio. Fate preparare un filtro dal vostro medico e somministrateglielo.
— Bisogna bene che lo segua, altrimenti divento pazzo! — esclamò il principe. — Al diavolo gli scrupoli, al diavolo tutti i Billevich e tutta la Lituania con i suoi tribunali, e Giovanni Casimiro per soprappiù!
Lo Starosta d'Oshmiana contemplò estatico Bogoslavio, che non aveva mai veduto in tale stato d'agitazione.
Tutto a un tratto si percosse la fronte ed esclamò:
— Altezza, io ho forse trovato un mezzo migliore di tutti i filtri.
— Quale mezzo? Parla, per l'amor di Dio!
— Vi è in Tyltsa un tale chiamato Plaska, che fu prete a Nyevorani, ma che, rinnegata la propria fede, si fece Luterano, si ammogliò, si rifugiò sotto l'Elettore, ed ora negozia in pesci secchi. Il vescovo Parchevski tentò adescarlo perchè ritornasse ad Jmud, dove stava preparato un buon rogo per bruciarlo vivo; ma l'Elettore non volle lasciarsi sfuggire un convertito.
— Che importa a me di tutto ciò? — disse il principe con impazienza.
— Che ve ne importa? Ve ne importa molto, perchè egli vi unirà alla fanciulla, la quale crederà di essere vostra legittima moglie. Siccome egli non appartiene più alla congregazione cattolica, questa non riconoscerà come valido il matrimonio, e voi potete torcere in seguito il collo al brav'uomo, lagnandovi di essere stato ingannato da lui. Ma prima di quel tempo... crescite et multiplicamini. Io sarò il primo ad impartirvi la mia benedizione.
— Comprendo e non comprendo, — disse il principe. — Io dunque dovrei?...
— Vostr'Altezza farà una domanda formale a Panna Billevich ed a suo zio. Se rifiutano, comandate che mi strappino la pelle di dosso. Si può resistere a Radzivill quando si tratta di essere semplicemente sua amante: ma non quando si tratta di diventare sua moglie. Voi dovete soltanto dire a Billevich ed a sua nipote, che, per un riguardo verso l'Elettore ed il Re di Svezia, i quali vorrebbero farvi sposare la principessa di Dueponti, il vostro matrimonio deve rimaner segreto finchè non siasi conclusa la pace.
Per qualche tempo Bogoslavio tacque; poi, tutto acceso in volto, disse:
— In tre giorni soli non si può far tutto. Io devo muovere contro Sapyeha.
— Anzi, quest'è una fortuna. Se ci fosse più tempo non si potrebbe giustificare la precipitazione. Invece, data la ristrettezza del tempo, voi potete chiamare il primo prete che si avrà sotto mano onde egli celebri lo sposalizio in via d'urgenza, e poi potete condurre con voi la sposa al campo.
La proposta delle nozze colmò il vecchio Billevich di gioia, e Bogoslavio riferiva il giorno dopo a Sakovich:
— Egli non ha opposto la menoma difficoltà. Ma sono curioso di sentire che cosa dirà la ragazza. Che importa a me di lui! Dio mio! come tarda quel vecchio! E se Plaska mancasse?
— E celebrerà il matrimonio da furfante.
— Egli celebrerà da furfante per un furfante.
Il principe si mise a ridere e soggiunse:
— Quando si ha un ruffiano per confidente, non vi può essere altra sorta di sposalizio.
A questo punto i due scoppiarono a ridere d'un riso sinistro. Intanto la notte scendeva rapidamente.
Entrarono i servi con candelabri. Un soffio d'aria fece
— Guarda — disse il principe — come bruciano le candele. Che vuol dire?
— Forse lo spirito del vecchio Billevich...
— Sei pazzo! Bel momento di parlare di spiriti!
La conversazione fu interrotta di nuovo dal sopravvenire del porta spada e di Panna Kulvyets. Il principe fece alcuni passi verso di lui appoggiandosi al bastone. Sakovich si alzò.
— Ebbene? che nuove? posso andare da Olenka? — domandò il principe.
Il porta spada spalancò le braccia e piegò la testa sul petto.
— Altezza, mia nipote dice che il testamento del colonnello Billevich le vieta di decidere del proprio destino; e se anche non glielo vietasse, ella non isposerebbe mai Vostr'Altezza, perchè il suo cuore non è inclinato per voi.
— Sakovich!... sentite? — disse Bogoslavio con voce terribile.
— Io pure sapevo di quel testamento — continuò il porta spada. — ma in sul principio non mi è parso un ostacolo invincibile.
— Me ne rido io dei testamenti di voi nobili,— disse il principe.
— Ma non ne ridiamo noi — replicò Pan Tomaso esaltandosi. — Secondo quel testamento è libera di sposare Kmita o di entrare in un monastero.
— Chi? Vigliacco! Kmita? Vi farò vedere io Kmita!
— A chi date del vigliacco?... a Billevich?
E il porta spada si portò la mano al fianco con gran furia; ma Bogoslavio, in un attimo, lo colpì al petto col pomo del suo bastone, talchè Billevich mandò un lamento e stramazzò a terra. Poi il Principe, con un calcio lo spinse da una parte, e si slanciò fuori della stanza.
— Gesù! Maria! Giuseppe! — gridò Panna Kulvyets.
Ma Sakovich, presala per una spalla, le puntò un pugnale al petto, e disse:
— Quieta, mio gioiello, quieta, carissima colomba, od io taglio la vostra dolce gola come quella di una pecorella. Sedete qui; non occorre che assistiate allo sposalizio di vostra nipote.
Ma anche in Panna Kulvyets scorreva sangue nobile, sicchè appena udì le parole di Sakovich, il suo terrore si trasformò in disperazione e frenesia.
— Ruffiano! bandito! pagano! — gridò — ammazzatemi, perchè altrimenti io metterò sossopra la Repubblica. Il fratello ucciso, la nipote oltraggiata! Io non voglio più vivere!
Sakovich le troncò la parola ponendo la sua mano sulla bocca della donna.
— Zitta, cornacchia! — disse fra i denti. — Io non ti taglierò la gola; ma ti tapperò la bella bocca col tuo fazzoletto; poi prenderò il liuto e ti canterò i miei... sospiri.
Così dicendo, lo Starosta di Oshmiana, con rara destrezza, imbavagliò Panna Kulvyets col fazzoletto ch'ella teneva in mano, e la spinse sul sofà...
Dopo alcun poco si aprì la porta ed entrò Panna Alessandra.
La donzella aveva la faccia bianca, i capelli in disordine, la fronte aggrottata, gli occhi minacciosi. Visto lo zio disteso al suolo, s'inginocchiò vicino a lui e gli passò la mano sulla testa e sul petto.
Il porta spada mandò un profondo sospiro, aprì gli occhi, si sollevò a metà, e guardò attorno per la stanza, come svegliandosi da un sogno; finalmente, con l'aiuto di Olenka, riuscì a poco a poco a porsi in piedi. Soltanto allora Olenka s'accorse che Panna Kulvyets giaceva sul sofà.
— L'avete assassinata? — domandò a Sakovich.
— Dio me ne guardi! — rispose lo Starosta d'Oshmiana.
Eravi tanta potenza in quella voce, che Sakovich obbedì senza fiatare.
— Ed ora — disse la donzella — andate dal vostro padrone, che giace di là per terra.
— Che cos'è avvenuto? — gridò Sakovich con impeto. — Voi ne risponderete.
— Non a te, vile servo! Va via!
Sakovich si slanciò fuori come un ossesso.