Henryk Sienkiewicz
Il diluvio

PARTE SECONDA

CAPITOLO XXXIII.

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CAPITOLO XXXIII.

Per due giorni Sakovich non si allontanò dal letto di Bogoslavio. Il principe era stato assalito da una crisi nervosa terribile. Calmatisi i suoi nervi sopravvenne una strana debolezza; egli passò l'intera notte cogli occhi fissi sulla volta della camera senza proferire una parola. Il giorno dopo prese alcune droghe e cadde in un sonno profondo. Si destò l'indomani a mezzogiorno.

— Come state Altezza? — gli domandò Sakovich.

Meglio. Vi sono lettere?

— Dell'Elettore e di Steinbock: ma è meglio differirne la lettura perchè voi siete ancora troppo debole.

— Le voglio subito.

Sakovich andò a prendere le lettere e Bogoslavio le trascorse due volte: e, dopo aver pensato un poco, disse:

Domani andremo a Podlyasye.

Domani sarete a letto come oggi.

— Io sarò a cavallo. Taci! Non fare osservazioni! Sakovich ammutolì e nella stanza regnò un lungo silenzio. Finalmente Bogoslavio l'interruppe, dicendo:

Ora ti narrerò quello che mi è accaduto. Io corsi come un pazzo nella sua stanza. Quel che ho detto non ricordo, ma so ch'ella gridò: «Mi getto piuttosto nel fuoco!» E si gettò in quell'enorme camino, dove il fuoco ardeva. Io mi precipitai dietro a lei e la trassi sul pavimento. Le sue vesti erano in fiamme. Io dovetti spegnere il fuoco e nello stesso tempo tenerla. In quel momento fui preso da un capogiro, le mascelle mi si serrarono e rimasero rigide. Pensai che qualcuno mi lacerasse le vene del collo. Poi mi parve che le scintille che volavano intorno a noi, si convertissero in pecchie e ronzassero.

— E che avvenne poi?

— Io non me ne ricordo: ma provai una sensazione terribile come se fossi stato sospeso sopra un baratro senza fondo. Oh che terrore, che terrore! Mi si rizzano ancora i capelli sul capo. E non solo il terrore, ma... non saprei spiegarmi, come un vuoto nel petto, un malessere indefinito, un tormento inesplicabile. Fortunatamente Dio m'ha assistito, altrimenti non sarei qui adesso a parlare con te.

Vostr'Altezza ha avuto una forte crisi di nervi. Il male stesso produce le visioni. Dobbiamo fare un buco nel ghiaccio del fiume e di mandar all'inferno il vecchio?

— Il diavolo se lo porti! Non voglio pensare a nulla. Domani marcieremo.

— Se dovete marciare domani, sarebbe meglio lasciar partire la ragazza.

— I miei desideri sono ormai spenti.

— Tanto meglio; che se ne vadano al diavolo!

Impossibile!

Perchè?

— Il vecchio ha confessato d'avere un immenso tesoro nascosto a Billevich. Io li tratterrò qui e requisirò il denaro. In tempo di guerra è permesso. Faremo scavare il giardino. Mentre Billevich è qui, non potrà gridare a tutta la Lituania che lo abbiamo derubato. Se penso a tutti i denari che ho sprecato in feste per colei, non è che una restituzione.

Sakovich aprì la bocca per dire qualche cosa, ma il principe non gli diede il tempo di parlare.

— Sono state spedite le truppe come ho comandato? — gli chiese.

— La cavalleria è già partita per Kyedani con ordine di proseguire per Kono e di aspettare colà. I nostri squadroni polacchi sono ancora qui. Non ho voluto mandarli innanzi. Gli uomini sembrano fidati, ma potrebbero imbattersi nei confederati.

Va bene.

Kyrits colla fanteria deve marciare adagio onde possiamo trovare dietro di noi una scorta in caso di difficoltà.

— È partito Patterson?

Patterson è ancora qui. Egli cura Kettling cui è molto affezionato, e che si è ferito piuttosto gravemente con la sua spada. Se io non conoscessi Kettling per un coraggioso ufficiale, direi quasi che si sia ferito a bella posta per evitare la campagna.

— Avrò bisogno di lasciare qui un centinaio d'uomini, come pure a Rossyeni ed a Kyedani. Le guarnigioni svedesi sono deboli, e De la Gardie, a quanto pare, chiede ogni giorno uomini a Lövenhaupt. Quando noi saremo partiti, i ribelli, dimenticando la sconfitta di Shavli, rialzeranno la testa.

Sembra anzi che si vadano rafforzando. Ho sentito dire che gli Svedesi sono stati battuti a Telski.

— Dai nobili o dai plebei?

— Da contadini condotti da un prete: ma ci sono pure armate di nobili, particolarmente intorno a Lauda.

— Gli uomini di Lauda sono con Volodyovski.

— Si sono armati i vecchi ed i ragazzireplicò Sakovich.

— È una fortuna che io sia principe dell'Impero, — soggiunse Bogoslavio, — e che non oseranno appendermi pei piedi ad un albero di pino. Potessi almeno avere le entrate de' miei possedimenti! non mi curerei delle risorse della Repubblica. Basta, chiamami Patterson.

Sakovich uscì, e ritornò subito con Patterson.

Al letto di Bogoslavio fu tenuto un consiglio di guerra, in cui egli stabilì di muovere all'alba verso Podlyasye a marcie forzate.

Alla sera il principe si sentì tanto bene che festeggiò la propria guarigione con gli ufficiali e si divertì fino a notte avanzata.

Sento che questa campagna mi ridonerà la salutedisse agli ufficiali che lo circondavano.

Al che Patterson si permise di rispondere:

Fortunatamente Dalila non ha reciso interamente la chioma a Sansone.

Bogoslavio lo guardò per un po' con una strana espressione, per la quale lo Scozzese rimase confuso: non disse nulla, ma un lampo minaccioso brillò nei suoi occhi.

All'alba del nuovo giorno le truppe, con Bogoslavio alla testa, si misera in marcia. A Taurogi non rimasero che Billevich, Olenka e Panna Kulvyets, senza contare Kettling ed il vecchio ufficiale Braun, che aveva il comando della piccola guarnigione.

Billevich, dopo quel colpo ricevuto al petto, continuò per più giorni a mandare sangue dalla bocca; ma poichè nessun osso era rotto, a poco a poco si rimise; e allora ricominciò a pensare alla fuga.

Intanto giunse da Billevich un ufficiale con una lettera di Bogoslavio per il porta spada.

Il principe chiedeva scusa dei suoi trasporti, dicendosi pentito di quanto aveva fatto in un momento di disperazione, e si dichiarava pronto ad accettare il denaro che un giorno il porta spada gli aveva offerto.

A questo punto Billevich cessò di leggere, picchiò un pugno sul tavolo, e gridò:

— Prima ch'egli abbia a ricevere un quattrino del mio, m'ha da vedere in sogno!

Proseguitedisse Olenka.

Billevich riavvicinò la lettera agli occhi.

«Non volendo disturbarvi ad esporre la vostra salute fra questi torbidi per prendere il denaro, abbiamo ordinato noi stessi di disseppellirlo e contarlo

Qui Billevich perdette la voce; la lettera gli sfuggì di mano e cadde a terra. Per qualche tempo parve come impietrito: poi si cacciò le mani fra i capelli e se li tirò con quanta forza aveva in corpo.

— Un'altra ingiustizia! — esclamò Olenka. — La punizione è vicina, perchè la misura sarà presto colma.


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