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Una settimana dopo, Kmita varcava il confine della Prussia elettorale a Raygrod.
Douglas, con Radzeyovski e Radzivill, dopo di aver lasciato piccole guarnigioni nei castelli, si diedero ad inseguire Gozyevski.
Kmita venne informato di ciò prima di passare il confine, e si dolse assai di non aver potuto incontrare il suo mortale nemico faccia a faccia, tanto più che temeva che Volodyovski, il quale lo aveva pure giurato, gli infliggesse la meritata punizione.
Allora, non potendo sfogare la vendetta sul traditore per il male fatto alla Repubblica ed a lui, la sfogò in una maniera terribile nelle terre dell'Elettore.
Kmita aveva tenuto sì a lungo i suoi Tartari a freno, che alla fine, quando li lasciò liberi come uno stormo di uccelli da preda, diventarono tanti selvaggi nel massacrare e distruggere. L'uno sorpassava l'altro; e giacchè non potevano fare prigionieri, nuotavano nel sangue da mane a sera.
Egli si avanzò sempre più verso il Nord lungo il confine, incendiando ed uccidendo senza pietà. La tristezza lo opprimeva terribilmente. Avrebbe voluto trovarsi a Taurogi l'indomani: ma la strada era ancora lunga e difficile, perchè alla fine cominciavano a suonare a stormo tutte le campane nella provincia prussiana.
Tutti quanti presero le armi per resistere ai terribili invasori. Si chiamarono tutte le guarnigioni dalle città più remote, si formarono reggimenti perfino di fanciulli.
Kmita correva di qua e di là rapido come il fulmine. Scappava, si nascondeva, poi ad un tratto si slanciava fuori e batteva quei soldati improvvisati: ma con tutto ciò non poteva avanzare così presto come prima.
Egli poteva, è vero, rientrare nei confini della Repubblica e, a dispetto dei distaccamenti svedesi, muovere direttamente verso Taurogi; ma egli non volle, perchè desiderava servire la patria e posporre a questa i suoi interessi privati.
Intanto giunse una notizia che infuse coraggio nelle popolazioni prussiane, ma ferì aspramente il cuore di Babinich, cioè la notizia di una grande battaglia a Varsavia, perduta dal Re di Polonia.
— Carlo Gustavo e l'Elettore hanno battuto le truppe di Giovanni Casimiro, — ripetevano con piacere i Prussiani, — Varsavia è ripresa. Questa è la più grande vittoria della guerra, ed ora è finita per la Repubblica! — Tutti gli uomini che i Tartari prendevano e torturavano per avere informazioni, ripetevano la stessa cosa.
Era dunque tutto finito? Tutto quel sollevamento, tutti quei trionfi della Repubblica non significavano più nulla e si riducevano ad una vana illusione?
Kmita si strappò i capelli e si morse le mani per la rabbia.
— Cadrò pur io — disse: — ma prima questo paese nuoterà nel sangue.
E cominciò a combattere come un forsennato che cerca la morte.
Ne' suoi Tartari ogni traccia di minimi sentimenti umani svanì; e si tramutarono in tante belve feroci.
Kmita impedì loro di caricarsi di bottino. Essi presero soltanto denaro e oro, che cucirono nelle selle.
Passò un altro mese in battaglie e fatiche superiori ad ogni credere.
I cavalli avevano assoluto bisogno di qualche giorno di riposo, perciò il giovane colonnello, desiderando pure di avere notizie e riempiere i vuoti delle sue file con nuovi volontari, si ritirò vicino a Dospada, nella Repubblica.
Le notizie vennero presto e tanto liete, che Kmita ne perdette quasi i sensi. Era bensì vero che il valente e sfortunato Giovanni Casimiro aveva perduto una grande battaglia di tre giorni a Varsavia; ma per qual ragione?
La milizia generale, per la massima parte era rincasata, e quella ch'era rimasta non aveva combattuto collo stesso ardore come nella presa di Varsavia, e al terzo giorno vi nacque il panico: ma nei primi due giorni la vittoria inclinava dalla parte dei Polacchi.
Le truppe regolari avevano però dimostrato una tale forza di resistenza, che gli stessi generali svedesi e di Brandeburgo rimasero stupefatti.
Giovanni Casimiro si era coperto di una gloria immortale. Si diceva ch'egli erasi mostrato un condottiero uguale a Carlo Gustavo, e che se tutte le sue truppe avessero combattuto, il nemico avrebbe perduto la battaglia, e la guerra sarebbe finita.
Egli seppe inoltre, che lo stesso Elettore pensava più che mai a salvarsi, giacchè un grandissimo numero dei suoi uomini erano caduti a Varsavia e i rimanenti morivano decimati dalle malattie.
Siccome i cavalli erano riposati e Kmita aveva riempito i vuoti delle sue file, egli ripassò il confine a Dospada e piombò di nuovo sui Tedeschi.
Altre bande seguirono il suo esempio, incontrando pochissima resistenza. Intanto giunsero nuove sempre più consolanti e tanto liete, che si stentava a crederle.
Dicevasi che Carlo Gustavo, spintosi verso Radom, si ritirava a rompicollo verso la Prussia. Perchè mai? Non si potè saperlo che qualche tempo dopo, ma alla fine il nome di Charnyetski risuonò in tutta la Repubblica. Aveva vinto a Lipets, a Stjemeshno e a Rava, dove fece a pezzi la retroguardia di Carlo; poi attaccò e disfece completamente due mila uomini a cavallo reduci da Cracovia. Il colonnello Forgell, fratello del generale, tredici capitani e ventiquattro luogotenenti furono fatti prigionieri. Qualcuno sosteneva, nella foga dell'entusiasmo, che Giovanni Casimiro non aveva perduto a Varsavia, ma che la sua marcia lungo la Repubblica era uno stratagemma per distruggere il nemico alla spicciolata.
Kmita stesso lo pensò. Essendo soldato fin da giovinetto s'intendeva di guerra, e non aveva mai visto un vincitore trovarsi dopo la vittoria in peggiori condizioni di prima.
Pan Andrea si ricordò allora le parole di Zagloba, che le vittorie non farebbero prosperare la causa degli Svedesi, e che una sola disfatta la distruggerebbe.
Rammentò pure la profezia che lo riguardava personalmente. Allora si sentì ardere il sangue nelle vene: non volle perdere tempo, e decise di abbandonare il massacro dei Prussiani per correre a Taurogi.
Alla vigilia della sua partenza dalla Prussia, un nobile di Lauda, dello squadrone di Volodyovski, gli portò una lettera del piccolo cavaliere:
«Noi andiamo con Pan Sapyeha ed il principe Michele Radzivill contro Bogoslavio e Valdek — scriveva Pan Michele. — Venite, giacchè vi si apre il campo alla vendetta; venite, perchè dobbiamo pagare ai Prussiani il male fatto alla repubblica.»
Pan Andrea non credeva ai suoi occhi, e quasi sospettava che il nobile fosse mandato da un comandante prussiano o svedese per attirarlo in un'imboscata. Ma poi riconobbe il nobile ed ogni suo sospetto svanì.
Non esitò un istante e accorse a marcie forzate con la sua truppa. Due giorni dopo, a notte avanzata, gettavasi nelle braccia di Volodyovski, che stringendolo in fraterno amplesso, gli disse:
— Valdek e Bogoslavio sono a Protski e fortificano il campo. Noi marcieremo a quella volta all'alba, vale a dire fra due o tre ore.
— Un presentimento arcano mi dice che Dio me lo darà nelle mani — replicò Kmita veramente commosso.
— Io non sarò invidioso se questa fortuna capiterà a voi, perchè voi avete più gravi ragioni di me contro di lui, — replicò Volodyovski. — Del resto, avete compiuto grandi cose; neppure Zagloba potrebbe inventare a propria lode, fatti più meravigliosi di quelli compiuti da voi.
— Ma dov'è Zagloba?
— È rimasto con Sapyeha, perchè piangeva disperatamente Kovalski.
— È caduto?
— Il principe Bogoslavio.
Kmita digrignò i denti e si lasciò cadere sopra una panca nascondendosi il viso nello mani.
— Roh Kovalski è morto da prode cavaliere — soggiunse Pan Michele. — Carlo Gustavo istesso, dopo la battaglia, ne celebrò i funerali, e un intero reggimento di guardie sparò salve d'onore sulla fossa.
— Ditemi ora che cos'è accaduto. Ciò darà forza alla mia rabbia, — disse Kmita.
— Pan Michele si versò un bicchiere di vino, bevette, e cominciò:
— Nel secondo giorno della battaglia, in cui la fortuna pendette incerta, gli Usseri di Lituania, comandati dal principe Polubinski, nei quali serviva Kovalski, mossero all'attacco. Erano mille e duecento uomini. Vedemmo la fanteria di Brandeburgo piantare le sue picche nel terreno per resistere al primo urto. Cominciarono a sparare i moschetti e tutto rimase avvolto nel fumo. Per un po' gli Usseri restarono invisibili, poi si sentì come un rumore di tuono. Guardiamo. Gesù Maria! Gli uomini dell'Elettore giacevano tutti a terra e gli Usseri galoppavano lontano nel campo. Essi assalirono la cavalleria, poi un altro reggimento di fanteria abbattendo tutti. Il tumulto era spaventevole. Gli Usseri avevano quasi oltrepassato l'intera armata, quando incontrarono un reggimento delle guardie a cavallo, in mezzo alle quali era lo stesso Carlo Gustavo; lo assalirono come un turbine e lo sbaragliarono.
Qui Pan Michele tacque, e Kmita esclamò:
— O Madre di Dio! Vedere una tal cosa e poi morire!
— Io non ho mai visto un attacco simile — continuò il piccolo cavaliere. — Fummo comandati anche noi di avanzare ed io non vidi più nulla. Ma ho udito da un testimonio oculare che Carlo Gustavo corse il rischio di rimanere ucciso. I suoi generali lo supplicarono di ritirarsi, ma egli non volle ascoltarli. Mosse innanzi. Kovalski lo riconobbe e si avventò contro di lui. I petti dei due cavalli si urtarono; il Re ed il suo cavallo precipitarono a terra. Carlo Gustavo si alzò prontamente, toccò il grilletto d'una pistola, sbagliò il colpo. Il cappello del Re era caduto. Kovalski mirò alla sua testa. Gli Svedesi fremevano dal terrore... quando Bogoslavio, come sbucato dalle viscere della terra, spara nell'orecchio di Kovalski un colpo di pistola e lo uccide.
A questo punto Pan Michele si fece il segno della croce, e soggiunse:
— Oh Signore, dategli l'eterno riposo e la luce risplenda su lui in eterno.
— Per tutt'i secoli dei secoli! — rispose Kmita. — Prostki non è lontano! Ricordatevi, Signore, che Bogoslavio è vostro nemico perchè è un eretico.
— Ed un nemico della patria — aggiunse Pan Michele. — La sua fine si approssima. Zagloba era ispirato quando la predisse dopo quell'attacco degli Usseri.
— Se Dio mi assiste egli pagherà presto il fio di tutti i suoi tradimenti! — esclamò Kmita.
Mentre così diceva, si udì da lungi il canto del gallo, poi il clangore delle trombe. Ben presto tutto il villaggio fu in moto. Strepitarono le armi, i cavalli nitrirono. Oscure masse di cavalleria si raccoglievano sulla strada maestra.
Ai primi chiarori del giorno nascente, l'avanguardia muoveva, con Kmita alla testa, verso Prostki.