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Il 6 Settembre le truppe polacche si fermarono a Vansosh per riposarsi avanti la battaglia. Gozyevski contava trattenersi qualche giorno, ma gli eventi disposero altrimenti.
Babinich, conoscendo bene i confini, fu mandato in ricognizione con due squadroni lituani ed un nuovo distaccamento di Tartari, e gli venne raccomandato di procurarsi informatori. Quarant'otto ore dopo ritornava con una quantità di Prussiani e Svedesi, fra cui il rinomato Von Rössel capitano in un reggimento prussiano sotto il comando di Bogoslavio.
Babinich, puntando la spada alla gola dell'ufficiale, ne aveva ricavato cammin facendo tutte le informazioni che bramava.
Il comandante in capo delle truppe era Waldek, ma in realtà egli dipendeva in ogni cosa da Bogoslavio, alla cui influenza sottostava lo stesso generale svedese Israel.
Ma l'informazione più importante data da Rössel, era che due mila uomini di scelta fanteria di Pomerania dovevano avanzarsi da Elko a rinforzare Prostki: ma il conte Waldek, temendo che questi venissero sopraffatti dall'orda, voleva lasciare il campo fortificato, unirsi con i reggimenti della Pomerania, e poi trincerarsi di nuovo. Bogoslavio, stando a ciò che diceva Rössel, era assolutamente contrario, e non aderì che negli ultimi giorni. Gozyevski ne fu lietissimo, perchè era certo che la vittoria non gli avrebbe fallito. Il nemico poteva difendersi nelle trincee per qualche tempo; ma nè la cavalleria svedese, nè la prussiana, potevano resistere contro i Polacchi in campo aperto.
Bogoslavio era persuaso di ciò, come ne era persuaso Gozyevski, e perciò non approvava i piani di Waldek.
Tutti erano d'accordo.
Volodyovski e Babinich condussero Rössel ai loro quartieri per averne altre informazioni riguardo a Bogoslavio. Il capitano fu assalito in principio da seri timori, perchè sentiva ancora la punta della sciabola di Kmita sulla sua gola. Ma il vino gli sciolse lo scilinguagnolo. Avendo già servito nella Repubblica fu in grado di rispondere in polacco alle domande di Pan Michele, che nulla sapeva di lingua svedese.
— Servite da molto tempo sotto gli ordini di Bogoslavio? — gli chiese.
— Io servo l'Elettore, — rispose Rössel — ma il mio reggimento fu sottoposto al suo comando. — Conoscete Pan Sakovich?
— Lo vidi a Konigsberga.
— Col principe?
— No: egli è rimasto a Taurogi.
Volodyovski sospirò e fremette. — Decisamente non ho fortuna, — disse.
— Non affliggetevi! — soggiunse Babinich. — Voi lo troverete; se no, lo troverò io.
E rivoltosi a Rössel: — Voi siete un vecchio soldato e conoscete la nostra cavalleria da gran tempo. Che cosa ne pensate? Da qual parte può pendere la vittoria?
— Se vi affrontano fuori delle trincee penderà per voi; ma voi non potete prendere le trincee senza fanteria nè cannoni, tanto più che ogni cosa è stata fatta sotto la direzione di Radzivill.
— Lo considerate voi dunque come un gran condottiero?
— Non solo io, ma in generale tutti. A Varsavia il Re di Svezia, seguendo il suo consiglio, vinse la battaglia.
— Bogoslavio gode ora buona salute? — soggiunse Volodyovski. — Ha sofferto per molto tempo di una febbre ostinata che deve averlo indebolito.
— Egli ora sta bene o si può dire sano come un pesce,
— replicò Rössel, — ma io credo, che se il principe non saprà moderare gli impulsi del suo sangue non avrà lunga vita.
— Così la penso anch'io, — mormorò Babinich fra i denti.
— Ma si dà forse alla pazza gioia anche nel campo? — chiese Pan Michele.
— Senza dubbio, — replicò Rössel. — Ho veduto io stesso due belle fanciulle nella sua tenda; i servi mi dissero che stiravano i suoi merletti, ma...
Nell'udire queste parole Babinich si fece di tutti i colori. Balzò in piedi, ed afferrando Rössel pel braccio lo scosse violentemente, gridando:
— Non sono Polacche, — rispose Rössel sgomentato.
Babinich guardò Pan Michele ed entrambi emisero un sospiro di sollievo.
— Signori, permettete ch'io mi riposi, — soggiunse Rössel. — I Tartari mi hanno trascinato per dieci miglia con una corda al collo ed io sono terribilmente stanco.
Kmita chiamò Soroka, e gli raccomandò il prigioniero, poi tornò da Pan Michele.
— È tempo di finirla, — gli disse.
— È tempo di finirla — ripetè Volodyovski, scotendo la sciabola.
In quel momento suonarono le trombe nel campo del Vice Capitano generale a cui subito risposero quelle degli squadroni lituani.
Un'ora dopo le truppe erano in marcia.
Non avevano percorse cinque miglia, quando si vide venire da Byeganski un messaggero dello squadrone di Korsak, il quale recava la notizia che un drappello era stato catturato. Interrogati i prigionieri, confessarono che tutta l'armata doveva lasciare Protski verso le otto della mattina, e che gli ordini erano già stati impartiti.
— Sproniamo i nostri cavalli — disse Gozyevski — e, se a Dio piace, prima di sera quell'armata avrà finito di esistere.
Kmita con i suoi Tartari si spinse innanzi a tutti. Giunti a due miglia di distanza da Protski si fermarono per dare un breve riposo ai cavalli.
Kmita, montato sopra un cavallo fresco, galoppò innanzi per spiare il campo nemico.
Dopo mezz'ora di corsa s'imbattè in un distaccamento mandato da Korsak in ricognizione.
— Che c'è di nuovo? — domandò.
— Non dormono: sono in gran moto — rispose il comandante. — Dovrebbero essere partiti ma non hanno carri sufficienti.
Kmita ascese un'altura boschiva dalla quale si poteva vedere il campo nemico senza pericolo di essere veduti.
Certo nessuno dormiva, e si preparavano evidentemente alla marcia, perchè nel centro si vedeva un gran movimento.
Pan Andrea raggiunse di nuovo il distaccamento, e disse al comandante:
— Si dispongono a marciare — ma prima che si muovano ci vorrà del tempo. Passeranno altre due ore, e fra due ore il Vice-Capitano sarà qui. Così dicendo diede di sprone al suo cavallo e ritornò a briglia sciolta presso il suo squadrone.
Trovò Gozyevski che montava a cavallo. Pan Andrea descrisse tosto esattamente quanto aveva veduto. Il Vice-Capitano lo ascoltò con grande soddisfazione, e si avanzò immediatamente con i suoi squadroni.
Come Kmita aveva predetto, dopo due ore si fermarono a piedi di quell'elevazione dalla quale egli aveva osservato il campo nemico.
Il comandante del distaccamento, vedendo avvicinarsi le truppe, si slanciò incontro alle medesime, informando il Vice-Capitano che il nemico, dopo aver fatto retrocedere i picchetti di qua del fiume, erasi già mosso, e che la retroguardia lasciava in quel momento le trincee.
Allora Gozyevski trasse il bastone del comando, e disse:
— Ora non possono tornare indietro, perchè i carri intercettano loro la strada. Avanti, in nome di Dio!
Gli squadroni, l'uno dopo l'altro, ascesero al trotto l'altura. Certamente Valdek non si aspettava così presto la comparsa dell'oste nemica. Dopo un quarto d'ora le due armate si trovarono di fronte. Non erano separate che da un fiume.
Il primo colpo venne sparato dai Prussiani contro i Polacchi.
La battaglia era incominciata.
Lo stesso Vice-Capitano si slanciò verso le truppe di Kmita, gridando:
— Avanti, Babinich! avanti in nome di Dio contro quella linea. — E accennò col bastone un reggimento di cavalleria.
— Seguitemi! — comandò Pan Andrea. E spronando il cavallo galoppò verso il fiume con la velocità di una freccia partita da un arco.
Ciò visto, il reggimento di cavalleria mosse loro incontro, dapprima al passo, poi al trotto. Quando furono a cento passi di distanza dal nemico, si udì il comando: — Fuoco! — nel medesimo istante si sollevarono mille mani armate di pistole.
Una striscia di fumo corse da un capo all'altro della fronte: poi i due corpi si urtarono l'un l'altro con urto tremendo. Al primo impeto i cavalli arretrarono: sulle teste dei combattenti lampeggiarono le sciabole e su tutta la linea principiò un orribile massacro.
Kmita stesso, coperto di una maglia, dono di Sapyeha, combatteva come un semplice soldato, avendo al suo fianco i due Kyemlich e Soroka, il cui compito era di vegliare sul loro padrone; e ad ogni momento uno di essi si voltava a destra o a sinistra calando un formidabile colpo.
Kmita si scagliava col suo sauro nel fitto della mischia, e impiegando tutt'i suoi colpi segreti e la sua forza gigantesca uccideva senza pietà.
Molti indietreggiavano dinanzi a quell'uomo terribile.
Finalmente Pan Andrea colpiva alla tempia il porta stendardo: questi mandò un gran grido, cadde all'indietro e abbandonò la bandiera. In quel momento il centro si divise, e le ali disordinate, ridotte in due informi masse, fuggirono rapide verso le linee più lontane dell'esercito.
Kmita spinse lo sguardo in fondo al campo, e ad un tratto scorse un reggimento di dragoni, che volava come il vento in aiuto della cavalleria sbaragliata.
— Non importa! — pensò fra sè, — Volodyovski passerà presto il guado per aiutarmi.
In quel momento tuonò il cannone così forte che la terra tremò sino nelle fondamenta: e la moschetteria dalle trincee sparò contro i ranghi più avanzati dei Polacchi.
In mezzo al fumo Kmita con i suoi volontari e i Tartari si batteva coi dragoni.
Ma dalla parte del fiume nessuno veniva in suo aiuto.
Il nemico aveva lasciato passare il guado a Kmita a bella posta; poi aveva coperto il fiume con una pioggia tale di obici e di palle, che nessuno poteva più passarvi.
Allora Gozyevski si slanciò al galoppo, e vedendo ch'era impossibile di guadare il fiume aggrottò le ciglia, guardò per un momento col cannocchiale l'intera linea delle truppe nemiche, e gridò al suo aiutante:
— Correte da Hassan Bey; che faccia passare l'orda come può, in altro punto, e poi assalga di fianco il nemico. Tutto ciò che troveranno nei carri è per loro!
L'aiutante galoppò a tutto fiato; Pan Gozyevski si avanzò tra i cespugli fino dove stava lo squadrone di Lauda.
Volodyovski era alla testa dello squadrone, triste e silenzioso.
— Che ne pensate? — gli domandò il Vice Capitano — Passeranno i Tartari?
— I Tartari passeranno ma Kmita perirà — rispose il piccolo cavaliere.
— Se questo Kmita, avesse una testa sulle spalle potrebbe vincere la battaglia, non perire.
Volodyosvski non parlò, ma pensò:
— Bisognava non far passare il fiume a nessuno o a cinque reggimenti. — Ad un tratto disse: — Se Vostra Grazia mi desse l'ordine, vorrei provare di nuovo a guadare il fiume.
— Non darò quest'ordine! — esclamò Gozyevski alquanto aspramente, — basta che periscano quelli.
— Essi periscono già — replicò Volodyovski.
Il tumulto diveniva sempre più distinto. Evidentemente Kmita si ritirava verso il fiume.
— È questo ch'io volevo! — gridò Pan Gozyevski, e di gran carriera raggiunse lo squadrone di Voynillovich.
Infatti Kmita si ritirava con i suoi uomini; essi battevansi colle loro estreme forze e li sosteneva soltanto la speranza che qualcuno venisse in loro aiuto.
Passò un'altra mezz'ora: ad un tratto il reggimento di cavalleria pesante di Bogoslavio si slanciò in aiuto dei dragoni rossi.
— La morte viene! — pensò Kmita vedendoli venire. Ma egli era un uomo che non temeva di perdere la vita e credeva sempre nella vittoria.
Il reggimento di Bogoslavio si avanzava a tutta corsa, e non era più distante che un centinaio di passi. In un momento essi avrebbero disfatto i Tartari. Pan Andrea portò allora il fischio alla bocca e ne trasse un suono acuto. I Tartari volsero i loro cavalli, e colla stessa rapidità con cui il turbine solleva la sabbia, l'orda fuggì.
Il rimanente della cavalleria corazzata, i dragoni rossi e il reggimento di Bogoslavio si precipitarono ad inseguirli.
Il guado non era più che ad un centinaio circa di passi.
Pochi momenti dopo i primi ranghi degl'inseguitori cominciavano a toccare colle sciabole i Tartari che si trovavano in coda.
D'improvviso avvenne una cosa strepitosa.
Appena l'orda fu presso il guado, risuonò un fischio tremendo; e la massa informe dei Tartari, invece di slanciarsi nel fiume a cercare la salvezza sull'altra riva, si divise in due, e si slanciò a destra e a manca. I reggimenti che li inseguivano col massimo impeto, non poterono frenare il loro slancio e precipitarono nel fiume.
Il cannone, che sino allora non aveva cessato di tuonare, tacque; così pure la moschetteria.
Gozyevski non aspettava precisamente che questo momento.
Appena la cavalleria fu nell'acqua, il terribile squadrone reale di Voynillovich, le si precipitò addosso come un uragano; poi quello di Lauda e di Korsak, e lo squadrone dei volontari; e per ultimo lo squadrone corazzieri del principe Michele Radzivill.
Prima che i reggimenti prussiani potessero far fronte furono sbaragliati e vinti.
In un momento il fiume rosseggiò di sangue.
Pan Gozyevski era raggiante di gioia, perchè una volta che la cavalleria fosse di là del fiume era certo della vittoria.
Intanto Waldek, Bogoslavio ed Israel mandarono tutta la cavalleria a trattenere l'assalto, e si affrettarono ad allineare la fanteria.
Nè Bogoslavio, nè Waldek, nè Israel si lusingavano che la loro cavalleria avrebbe trattenuta la cavalleria polacca.
Avvenne come i condottieri prussiani prevedevano. L'impeto della cavalleria lituana fu tale, che gli avversari non resistettero un sol momento.
— In guardia! — gridarono gli ufficiali nel quadrato. — Fuoco!
I moschetti spararono come in un colpo solo, ma dopo un istante la terribile cavalleria polacca si precipitava sul quadrato ed il reggimento veniva schiacciato e sbaragliato.
Si vedevano soltanto dei gruppi di soldati di fanteria che fuggivano in disordine. I cavalieri grigi li inseguivano gridando: — Lauda! Lauda!
Volodyovski col suo squadrone sbaragliò anche il secondo quadrato.
Ma la vittoria poteva ancora sorridere ai Prussiani, giacchè vi erano due reggimenti intatti.
Waldek era confuso. Bogoslavio solo vegliava e disponeva ogni cosa. Vedendo il crescente pericolo, mandò Pan Byes a prendere quei due reggimenti.
Byes partì al gran galoppo; ma mezz'ora dopo ritornava col terrore negli occhi.
— L'orda è penetrata nel campo! — gridò da lungi.
Infatti, si udì in quel momento un urlo terribile che si avvicinava sempre più.
Tosto apparvero gruppi di soldati svedesi in preda al panico, che correvano a caso verso le prateria.
— Hassan Bey è penetrato nel campo! — gridò Gozyevski estasiato.
Di tutta la brillante armata svedese-prussiana, non rimase più che una massa confusa, e la battaglia non era più una battaglia perduta ma una tremenda rotta.
Bogoslavio, vedendo che tutto era perduto, risolse di salvare almeno sè stesso e parte della cavalleria. Con un supremo sforzo riuscì a raccogliere qualche centinaio di cavalieri; e con essi fuggì verso l'ala sinistra dove era il corso del fiume.
Era già lontano quando il principe Michele Radzivill coi suoi Usseri lo assalì di fianco e disperse d'un sol colpo l'intero distaccamento. Dopo di che gli uomini di Bogoslavio fuggirono, parte isolati e parte in gruppi. Non potevano salvarsi che per la velocità dei loro cavalli.
Bogoslavio, sul cavallo nero di Kmita, va come il vento, chiamando invano le poche decine d'uomini che rimanevano. Ognuno di essi fugge per proprio conto, contento di non aver dinanzi nessun nemico. Ma ad un tratto odono vicino a loro le grida dei Tartari. Era Kmita che ritornava dal guado per tagliare la ritirata ai fuggiaschi.
Kmita cercava Bogoslavio. Alla fine lo riconobbe dal cavallo nero che montava e dal cappello piumato. Il principe, vedendo un grosso drappello che veniva da una parte e Kmita dall'altra, spronò il cavallo e fuggì come un cervo inseguito dai cacciatori.
Kmita, alla testa di cinquanta uomini, si diede ad inseguirlo.
Ma la distanza, invece di scemare, aumentava.
— Ohimè! — pensò Kmita — nessun cavallo della terra può raggiungere quel demonio che io stesso gli ho dato.
Finalmente, disperato, si rizzò sulla sella e gridò con quanta voce aveva in corpo:
— Fuggi, traditore! Fuggi, vile, dinanzi a Kmita! Ma ti ritroverò, se non oggi, domani!
Avevano appena risuonato queste parole nell'aria, quando all'improvviso il principe, che le aveva udite, si guardò d'intorno, e visto che il solo Kmita gli era vicino, volse il cavallo, e con lo stocco in mano gli corse incontro.
Pan Andrea mandò un grido di suprema gioia, e senza rallentare la corsa, alzò la spada.
I due avversari si strinsero tanto da vicino che i loro cavalli parvero formarne uno solo. Si udì un terribile suono di acciari, l'occhio non poteva cogliere il fulmineo movimento dello stocco e della sciabola, nè distinguere il principe da Kmita.
Bogoslavio, dopo pochi colpi, cessò di sprezzare l'avversario. Il sudore gli colava copiosamente dalla faccia insieme alla tintura rossa e bianca. Ben presto sentì irrigidirsi il braccio, perciò volle finirla, e si diede a colpire con tal furia che gli cadde il cappello dalla testa.
Kmita parava con tal forza, che lo stocco di Bogoslavio si piegò, e prima che potesse difendersi, Kmita gli lasciò cadere un fendente sul capo.
— Cristo! — gridò il principe rotolando sul terreno.
Pan Andrea rimase sbalordito al primo momento, ma si rimise immediatamente, balzò di sella e si avvicinò al principe.
Egli era terribile. Pallido come un morto per l'emozione, aveva dipinto in volto l'odio inesorabile.
Bogoslavio, cogli occhi spalancati, lo guardava attentamente.
— Non uccidetemi! Mi riscatterò! — gridò ad un tratto.
Kmita, invece di rispondere, pose un piede sul petto di Bogoslavio, e lo premette con tutta la sua forza; poi gli puntò la spada alla gola. Ma non voleva ucciderlo subito. Voleva saziarsi di quella vista, e rendere la morte del suo nemico più dolorosa.
Il principe, dalla cui fronte colava il sangue sempre più copioso, parlò ancora, ma con voce soffocata perchè Pan Andrea gli schiacciava il petto.
— La fanciulla... ascoltate... — diss'egli.
Udite appena queste parole, Kmita ritirò il piede e la spada.
Bogoslavio respirò profondamente, alla fine disse:
— La fanciulla morirà se voi mi uccidete. Gli ordini son dati.
— Che cosa ne avete fatto? domandò Kmita.
— Risparmiatemi, e ve la darò. Lo giuro sul Vangelo.
— Io non vi credo, traditore! — replicò Pan Andrea.
— Sul Vangelo, lo giuro, — ripetè il principe. — Vi darò un salvacondotto, ed un ordine scritto.
— Sia pure, io vi lascierò la vita. Voi mi darete la lettera, ma frattanto vi consegnerò ai Tartari, coi quali rimarrete in ischiavitù.
— Sta bene, — rispose Bogoslavio con debol voce, e dopo un istante mormorò:
— Io svengo. Pan Kmita, vi dev'essere acqua vicino! Datemi da bere, e lavatemi la ferita.
— Muori parricida! — rispose Kmita.
Ma il principe, che non aveva perduto la forza morale, disse:
— Siete pazzo, Pan Kmita. Se io muoio, anch'ella.... — Qui le sue labbra impallidirono, e gli mancò la voce.
Kmita corse a vedere se vi fosse qualche fosso, od almeno qualche stagno. Il principe svenne, ma per poco: egli rinvenne tosto, fortunatamente per lui. Infatti, in quel momento giungeva il primo Tartaro, il quale, visto il nemico che giaceva a terra, determinò di finirlo con la sua lancia. Il principe ebbe la forza di emettere un grido che richiamò indietro Pan Andrea.
— Ferma! figlio d'un cane! — gridò questi al Tartaro.
Il Tartaro, al suono della nota voce, si fermò. Kmita gli comandò di andare a prendere acqua, e rimase col principe, perchè in distanza si vedevano venire i Kyemlich, Soroka e tutto il distaccamento.
— Akbah Ulan — disse Kmita — ecco il condottiero dell'armata che abbiamo vinto questa mattina, il principe Bogoslavio Radzivill. Lo consegno a voi, prendetene cura, voi mi rispondete della sua vita. Ponetegli un laccio al collo.
Dopo ciò risalì a cavallo e con una parte dei Tartari si diresse verso il campo. Egli vide in distanza i porta-stendardi colle insegne; ma pochi squadroni erano presenti, perchè gli altri inseguivano il nemico.
Kmita affrettò il passo e venne accolto dallo stesso Vice-Capitano col grido di:
— Evviva Babinich! — gridarono tutti. — Evviva! Evviva!
— Chi vi ha insegnato la guerra, o prode soldato, — gridò Pan Gozyevski entusiasmato — che in un momento sapete quello che bisogna fare?
Kmita non rispose, tanto era stanco, e non fece che salutare da ogni parte.
Gli squadroni ritornarono uno dopo l'altro e man mano che giungevano univano agli altri le loro grida in onore di Babinich.
— Questa è una delle più grandi vittorie della guerra! — esclamò Pan Gozyevski. — Israel e Waldek sono prigionieri, i colonnelli sono caduti, l'armata è distrutta. — E rivoltosi a Babinich: — Voi eravate da quella parte e dovete aver incontrato Bogoslavio. Che n'è avvenuto di lui?
— Dio l'ha punito per mano mia, — rispose Kmita.
E stese la destra. Ma in quel momento il piccolo cavaliere si gettò nelle sue braccia.
— Yendrek — gridò. — Che Dio vi benedica!
Ma ad un tratto Pan Michele Radzivill chiese con voce grave:
— Non morto — rispose Pan Andrea — perchè io gli ho donata la vita: ma è ferito e prigioniero, ed i miei Tartari lo stanno conducendo qui.
A queste parole lo stupore si dipinse sulla faccia di Volodyovski, e intanto il cavaliere guardava la pianura, dove si scorgeva un drappello d'alcune decine di Tartari che si avanzava lentamente.
Pan Gozyevski e gli ufficiali videro che coloro conducevano un prigioniero e riconobbero Bogoslavio. Egli camminava con un laccio al collo, di fianco a un cavaliere tartaro, senza cappello, colla testa bendata ed insanguinata.
Il principe Michele si coprì gli occhi; perchè infine era un Radzivill che si traeva con tanta umiliazione. Gli salirono le fiamme al viso, e gridò:
— Signori! questi è mio cugino, è mio sangue. È mio nemico chiunque alza la mano contro quel disgraziato.
Il principe Michele era smisuratamente amato per il suo coraggio, per la liberalità e l'amore che portava alla patria. Perciò la sua voce trovò subito un'eco e alcuni ufficiali, clienti dei Radzivill, gridarono:
— Toglietelo dalle mani dei Tartari! Lasciamo che lo giudichi la Repubblica, e non permettiamo che il sangue onorato sia insultato dai pagani.
— Togliamolo ai Tartari! — ripetè il principe. — Lo metteremo al sicuro, ed egli penserà a riscattarsi.
— Io stesso mi offro in garanzia ai Tartari, — disse Pan Gnoinski.
— Con permesso di Vostra Altezza — gridò Kmita. — Il principe è mio prigioniero! Io gli ho donato la vita, ma sotto condizioni, per le quali egli ha giurato sul suo eretico Vangelo, ed egli non uscirà dalle mani in cui lo ho messo, prima ch'egli abbia mantenuto i patti giurati.
Detto questo, sferzò il cavallo, e bloccò la strada. La sua selvaggia natura stava per prendere il sopravvento.
— Silenzio, signori! — gridò Pan Gozyevski. — In virtù della mia autorità di Capitano, dichiaro che Pan Babinich ha diritto al suo prigioniero.
Il principe Michele padroneggiò la sua collera, e disse, rivolto a Pan Andrea:
— Che cosa chiedete pel riscatto?
— Che egli osservi le condizioni prima che torni in libertà.
— Ma egli le adempirà quando sarà libero.
— Impossibile! Io non gli credo.
— Allora io giuro per lui, per la Santissima Vergine, che riconosco, e sulla mia parola da cavaliere, che tutto sarà adempiuto.
— Questo mi basta — disse Kmita. — Io mi affido alla vostra parola.
— Vi ringrazio, cavaliere! — rispose il principe Michele. — Del resto non intendo lasciarlo libero. Lo darò in mano al Vice-Capitano, e rimarrà prigioniero finchè il Re non abbia pronunciato la sentenza.
Hassan Bey oppose una viva resistenza, e solamente la promessa di undici mila talleri pel riscatto, lo rese arrendevole.
In sulla sera Bogoslavio si trovava nella tenda di Gozyevski. Fu curato con premura. Due medici non lo lasciavano un sol momento. Ambedue garantirono la sua vita, perchè la ferita non era troppo grave.
Volodyovski non poteva perdonare a Kmita di aver lasciato vivere il principe, e per la collera lo evitò tutto il giorno. Ma alla sera Pan Andrea stesso andò da lui.
— Per le piaghe di Cristo! — gridò il piccolo cavaliere al primo vederlo. — Mi sarei aspettato questo da chiunque altro ma non da voi!
— Ascoltatemi prima di giudicarmi, — disse Kmita tristamente. — Al momento di trapassargli la gola mi disse che era stato impartito l'ordine di uccidere Olenka s'egli rimaneva ucciso. Che cosa dovevo fare? Comprai la vita di lei con quella del traditore.
Volodyovski riflettè un istante, poi disse:
— Vi comprendo; ma mi duole che abbiate lasciato libero un traditore, che può fare Dio sa quant'altro male alla Repubblica.
— Farò penitenza, — replicò Pan Andrea mentre si toglieva dal petto una carta. — Vedete, Michele, che cosa ho ottenuto. È un ordine per Sakovich, per tutti gli ufficiali di Radzivill ed i comandanti svedesi. Lo abbiamo forzato a scriverlo, quantunque non potesse tenere la penna in mano. Io non sono un Catone come Pan Giovanni, io non voglio sacrificare una fanciulla innocente.
— Ed ora dove contate di andare? — gli chiese Pan Michele che in cuor suo non poteva dargli torto,
— Andrò tosto avanti, — replicò Kmita. — La Prussia è aperta. Avrò da fare soltanto con piccole guarnigioni qua e là.
Pan Michele sospirò. — Oh! sarebbe un paradiso per me, se potessi venire con voi! Ma bisogna che attenda al mio squadrone. Fortunato voi, che conducete volontari! Yendrek! ascoltatemi. Se le trovate ambedue, prendete cura dell'altra, che non le sopravvenga disgrazia. Dio sa! fors'ella mi è predestinata.
Detto questo, il piccolo cavaliere si gettò nelle braccia di Pan Andrea.