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Le forze di Sakovich furono distrutte a tal segno, che egli riuscì con grande stento a salvarsi nella foresta con quattro uomini. E da quel giorno, per tutto un mese, andò errando pei boschi senza mai osare di mostrarsi in piena luce.
Ma Babinich si slanciò su Ponyevyei, distrusse la fanteria di guarnigione, e si accinse ad inseguire Hamilton.
Il disgraziato Inglese fuggiva come un corvo inseguito dai cacciatori, e Babinich lo inseguiva come un lupo. Quindi egli non fece ritorno a Valmontovichi, e nè tampoco domandò chi fosse colui che aveva salvato.
Kmita raggiunse Hamilton ad Andronishki. Ivi principiò la battaglia e vicino a Troüpi cadde l'ultimo Svedese.
Hamilton morì da eroe, difendendosi contro un gruppo di Tartari, i quali dapprima volevano prenderlo vivo, ma poi, inviperiti per la sua resistenza, lo fecero a pezzi colle sciabole.
Ma gli squadroni di Babinich erano anch'essi così stanchi, che non avevano più la forza nè la volontà di raggiungere la vicina Troüpi.
Kmita, cui premevano anche i cavalli, non si oppose al riposo. Ma alla mattina si alzò di buon'ora per computare le sue perdite e dividere con giustizia il bottino.
Venne a lui Akbah Ulah e, inginocchiatosi, gli consegnò un foglio insanguinato.
— Effendi, è stato trovato questo foglio addosso al condottiero svedese, ed io ve lo consegno, secondo gli ordini.
Infatti, Kmita aveva rigorosamente comandato, che tutte le carte trovate sui cadaveri fossero portate a lui subito dopo la battaglia, perchè spesso si poteva da esse conoscere i piani dei nemici e regolarsi in conseguenza.
Questa volta non ve n'era tanta necessità: quindi Kmita, fatto un cenno col capo, ripiegò il foglio e se lo mise in tasca. Fatta la spartizione del bottino, ordinò che le truppe si ponessero in marcia verso Troüpi dove avrebbero potuto riposarsi più a lungo.
Gli squadroni passarono sotto i suoi occhi l'un dopo l'altro, con i Tartari alla testa.
Finita la sfilata egli si diede a pensare dove si recherebbe da Troüpi. In qual altro luogo sterminerebbe gli Svedesi?
In quel momento rammentò il foglio rimessogli da Akbah Ulan e se lo tolse di tasca. Appena vide la soprascritta rimase attonito, scorgendo il carattere di una donna. — A Sua Grazia Pan Babinich, colonnello dei Tartari e volontari.
— Per me! — diss'egli stupefatto. Spiegò in fretta il foglio e lesse. Ma non aveva ancora finito che cominciò a tremare, ed esclamò:
— Sia lode al nome di Dio! O Dio misericordioso! il premio mi giunge dalla tua mano!
La lettera era quella d'Anusia. Gli Svedesi l'avevano rinvenuta addosso a Yurek Billevich, ed ora perveniva nelle mani di Kmita dal cadavere d'un altr'uomo.
Dunque Olenka non si trovava nelle foreste ma nella banda di Billevich, ed egli era arrivato in buon punto per salvarla; e con essa aveva salvato quel villaggio di Valmontovichi, ch'egli aveva incendiato per vendicare i suoi vecchi camerati. Evidentemente la mano di Dio aveva diretto i suoi passi, per modo che d'un sol colpo egli potesse riparare i suoi torti verso Olenka e verso Lauda.
Sì; egli era ormai un altr'uomo ed aveva diritto di presentarsi alla fanciulla, dicendole:
— Io sono Kmita, vostro salvatore.
Egli aveva diritto di gridare a tutta Jmud:
— Io sono Kmita, il tuo salvatore.
Del resto, Valmontovichi non era lontano, Kmita aveva inseguito Hamilton per una settimana; ma Kmita sarebbe ai piedi d'Olenka in meno d'una settimana.
— Presto il mio cavallo! presto! presto! — gridò ad un tratto ai suoi servi.
Il cavallo gli venne condotto dopo pochi istanti. Mentre un servo gli teneva la staffa, gli disse:
— Vostra Grazia, alcuni stranieri vengono da Troüpi con Soroka.
— Che m'importa di loro! — rispose Pan Andrea.
Ma già gli uomini erano distanti soltanto pochi passi. Uno di questi accorse con Soroka al galoppo; quindi, toltosi il berretto, disse:
— Vedo che mi trovo dinanzi a Pan Babinich. Sono lieto d'avervi trovato.
— Con chi ho l'onore di parlare? — domandò Kmita.
— Io sono Vyershul, ex capitano dello squadrone tartaro sotto il comando del principe Geremia Vishnyevetski. Vengo dal mio luogo nativo per fare leve per una nuova guerra; e nello stesso tempo vi porto una lettera da parte del Capitano generale Sapyeha.
— Per una nuova guerra? — domandò Kmita aggrottando le ciglia. — Che cosa dite?
— Questa lettera ve lo dirà meglio di me — riprese Vyershul porgendogli lo scritto.
Kmita l'aprì con ansia febbrile e lesse:
«Un nuovo diluvio sovrasta la patria. È stata conclusa una nuova lega tra la Svezia e Rakotzy, ed una parte della Repubblica vi aderisce. Ottantamila Ungheresi, Transilvani, Valacchi e Cosacchi, possono varcare da un momento all'altro i confini meridionali del paese. E siccome in questi ultimi estremi è necessario esercitare tutte le nostre forze per lasciare un nome glorioso alle età future, mando a Vostra Grazia quest'ordine, secondo il quale voi dovete ritornare immediatamente e venire da noi a marcie forzate. Ci troverete a Brest, da dove vi manderemo più lontano senza indugio. Il principe Bogoslavio è libero, ma Pan Gozyevski terrà d'occhio la Prussia ed Jmud. Raccomandandovi di nuovo la massima sollecitudine, speriamo che l'amore della patria pericolante vi sarà sprone».
Terminato di leggere, Kmita lasciò cadere a terra la lettera e volse uno sguardo smarrito su Vyershul domandandogli con voce debole e soffocata:
— Perchè Pan Gozyevski deve rimanere in Jmud ed io devo andare al sud?
Vyershul alzò le spalle, e rispose:
— Io non lo so. Chiedetelo al Capitano generale.
Un'improvvisa collera si accese in Pan Andrea, ed egli disse con voce stridula: — Io non partirò da qui! Capite?
— Davvero? riprese Vyershul. — Il mio incarico era di trasmettervi l'ordine. Il resto vi riguarda.
Pan Andrea rimase immobile nel posto ove si trovava. Nel suo interno si combatteva una terribile lotta fra l'amore ed il dovere.
Ed il dovere riportò alfine la vittoria
Nel libro del Cielo, nel quale sono iscritte le buone e le cattive azioni degli uomini, furono in quel momento cancellati tutti i peccati di Pan Kmita.