Henryk Sienkiewicz
Il diluvio

PARTE SECONDA

CAPITOLO XLIV.

«»

Link alle concordanze:  Normali In evidenza

I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio

CAPITOLO XLIV.

In nessun libro del mondo è scritto quante battaglie combatterono contro il nemico, le armate, i nobili e le popolazioni della Repubblica polacca. Essi combatterono nelle foreste, nei campi, nei villaggi, nei casolari, nelle città, combatterono in Prussia, in Mazovia, nella Grande Polonia e nella Piccola, in Russia, in Lituania, in Jmud.

In ogni angolo del paese scorse il sangue. I nomi dei cavalieri, le loro gesta gloriose, la grande loro devozione alla patria, si cancellarono dalla memoria; il cronista non li registrò, furono celebrati dai poeti. Ciò nonostante la Repubblica risorse e divenne sempre più terribile, pronta ad affrontare il mondo intero.

A nulla valsero le nuove leghe e le nuove legioni ungheresi, transilvane, valacche e cosacche. La nuova tempesta passò, fra Brest, Varsavia e Cracovia, ma s'infranse contro i petti polacchi.

Il Re di Svezia, il primo a disperare della propria causa, ritornò al suo paese chiamatovi dalla guerra contro la Danimarca; l'Elettore, umile dinanzi alla forza, insolente dinanzi all'impotenza, chinò la testa e marciò contro gli Svedesi; le legioni di Rakotzy fuggirono in Transilvania, che Pan Lyubomirski mise a ferro e fuoco.

Ma fu loro più facile irrompere nella Repubblica che non uscirne senza punizione: e quando furono assaliti al passaggio, i conti di Transilvania chiesero misericordia, inginocchiati nella polvere, dinanzi a Pototski, Lyubomirski e Charnyetski.

A poco a poco la pace ritornò nelle pianure della Polonia. Il Re continuò a conquistare le fortezze prussiane:

Charnyetski si accingeva a portare le armi polacche in Danimarca, perchè la Repubblica non voleva limitarsi a spazzar via il nemico.

I villaggi e le città risorsero sulle arse rovine: le popolazioni ritornavano dalle foreste; gli aratri riapparvero nelle campagne.

Nell'autunno del 1657, subito dopo la guerra ungarica, regnò la quiete nella più gran parte delle provincie e dei distretti, e specialmente in Jmud.

Quegli fra gli uomini di Lauda, che a suo tempo erano andati con Volodyovski, stavano ancora qua e in campo; ma il loro ritorno era atteso fra breve.

Olenka aveva vissuto per qualche tempo a Vodokty con Anusia e il porta-spada. Pan Tomaso non s'era affrettato a ritornare a Billevich, primo, perchè la casa era bruciata, e secondo, perchè si trovava colle ragazze che solo. Frattanto, coll'aiuto di Olenka, egli amministrava Vodokty.

Questa tenuta insieme a Mitruny doveva essere la sua dote per entrare in monastero, vale a dire che doveva diventare proprietà delle monache Benedettine, dove, col primo giorno del nuovo anno, la povera Olenka intendeva di cominciare il suo noviziato.

Infatti, considerando tutto quello che era occorso, ell'era venuta nella convinzione che così, e non altrimenti, avrebbe fatto la volontà di Dio.

Intanto cominciò a spargersi la voce che quel famoso Babinich non era altri che Pan Kmita. Qualcuno contraddiceva, ma altri lo sostenevano ostinatamente.

Olenka non credeva. Tutte le male gesta di Kmita erano troppo vivamente impresse nella sua memoria per lasciarle menomamente supporre, ch'egli potesse essere colui che aveva punito Bogoslavio, ed un tale ardente campione del Re e della patria. Ma intanto la sua pace ne era turbata, e le piaghe del suo cuore s'inasprirono più che mai.

Regnava nella contrada una miseria generale, e chi voleva rifugiarsi nelle mura di un convento, non solo doveva provvedersi pane per , ma anche mantenere tutto il monastero.

Olenka era appunto disposta ad entrare nel chiostro dando pane a tutte le monache.

Il porta-spada, visto che il proprio lavoro doveva riuscire alla gloria di Dio, lavorava indefessamente.

Egli girava i campi ed i fabbricati, disimpegnando le faccende autunnali, onde la nuova primavera producesse i suoi frutti. Alle volte era accompagnata da Anusia, la quale, incapace di sopportare l'affronto fattole da Babinich, minacciava pure di farsi monaca, aspettando soltanto che Volodyovski riconducesse gli uomini di Lauda, per prendere l'ultimo commiato dal suo vecchio amico. Ma più frequentemente il porta-spada si conduceva seco Olenka, perchè ad Anusia non piaceva troppo di aggirarsi poi campi.

Un giorno cavalcavano ambedue verso Mitruny, dove stavano ricostruendo alcuni granai ed alcune stalle.

Sulla strada visitarono la chiesa, essendo l'anniversario della battaglia di Valmontovichi, in cui erano stati salvati negli ultimi estremi per l'improvviso intervento di Babinich. Poi passarono tutto il resto della giornata in diverse occupazioni; sicchè, quando poterono ripartire era quasi notte. Mentre nel venire erano passati per la strada che conduceva alla chiesa, nel ritorno invece dovevano passare per Lyubich e Valmontovichi. Panna Alessandra, al vedere Lyubich, ne distolse tosto lo sguardo e si fece a ripetere preghiere per iscacciare i suoi penosi pensieri; il porta-spada cavalcava in silenzio e guardava qua e . Alla fine, quand'ebbero oltrepassato la casa, disse:

Lyubich vale due Mitruny ed è nostro per diritto. Quell'uomo sfortunato dev'essere perito da lungo tempo, giacchè non si è mai più fatto vivo, e se è morto il diritto è nostro. — E rivolgendosi ad Olenka, soggiunse: — Che ne dici?

— Quello è un luogo maledetto! — rispose Olenka.

La conversazione dei due viaggiatori fu interrotta dallo scricchiolare d'un carro, che prima non avevano potuto vedere, perchè la strada faceva molte curve; ma tosto videro due cavalli che tiravano un carro circondato da un drappello d'uomini a cavallo.

— Che gente possono essere costoro? — domandò il porta-spada trattenendo il cavallo. Olenkafermò al suo fianco.

— Chi conducete in quel carro? — chiese Pan Tomaso.

Uno degli uomini si volse e rispose:

Conduciamo Pan Kmita, che fu colpito da una palla dagli Ungheresi a Magyerovo.

— Il verbo si è fatto carne! — disse Billevich.

Tutto il mondo girò tosto intorno agli occhi d'Olenka; il cuore non le batteva più, le mancò il respiro. «Gesù Maria! È lui!» si disse; poi smarrì i sensi, non seppe più dov'era quello che avveniva intorno a lei. Quando rinvenne, i suoi occhi si posarono sul corpo inerte dell'uomo giacente nel carro. La sua testa era avvolta nelle bende, ma alla luce della luna era perfettamente visibile la faccia pallida come quella di un morto.

Era proprio lui... Pan Andrea Kmita, il porta-stendardo d'Orsha. I suoi occhi erano profondamente infossati e chiusi: sembrava un cadavere.

— È vivo o morto? — chiese Olenka ad uno degli uomini con voce tremante.

— È vivo, ma la morte è vicina.

Il porta-spada, guardando la faccia di Kmita, disse.

— Non arriverà a Lyubich.

— Egli ha dato ordine di trasportarlo a Lyubich, perchè vi vuole morire.

— Ebbene, proseguite con Dio! — disse il porta-spada togliendosi il berretto.

Il carro si rimise in moto, e Olenka e Billevich galopparono nella direzione opposta colla massima rapidità. Attraversarono Valmontovichi e giunsero a Vodokty senza proferir parola: solamente nello smontare, Olenka con voce ansante, disse a suo zio:

— Bisogna mandargli un prete. Mandate subito qualcheduno.

Il porta-spada si affrettò a compiere il desiderio della nipote. Questa si precipitò nella sua stanza, e cadde ginocchioni dinanzi all'immagine della Madonna.

Due ore dopo, a notte tarda, si udì risuonare un campanello nel silenzio notturno. Era il prete che passava vicino a Vodokty col Santo Viatico.

Panna Alessandra passò tutta la notte pregando.

— È morto? — domandò al prete la mattina successiva.

— È vivorispose il prete.

Durante tutto il giorno, accorsero messaggeri da Vodokty a Lyubich, e tutti ritornarono colla risposta che Kmita viveva ancora. Finalmente uno disse che aveva udito il barbiere (flebotomo) venuto con lui da Kyedani, che non solo Pan Kmita era ancora vivo ma che sarebbe guarito.

Panna Alessandra mandò abbondanti offerte ad Upita per una Messa di ringraziamento; ma da quel giorno i messaggeri cessarono di affluire a Lyubich, e avvenne una cosa meravigliosa nel cuore della fanciulla. Insieme colla pace cominciò a risorgere il primitivo sentimento di pietà per Kmita. Tutto ciò che poteva essere argomento di difesa per lui, ella se lo ripeteva incessantemente. Ella aveva tanto sofferto in quei giorni, che cominciò a perdere la salute. Ciò affliggeva grandemente Pan Tomaso; perciò una sera, mentre erano soli, le disse:

Olenka, dimmi sinceramente, che ne pensi del portastendardo di Orsha?

Dio sa che io non voglio più pensare a lui.

— Tu deperisci ogni giorno... Non vorrei che tu pure... Io non insisto, ma sarei contento di sapere che cosa passa per la tua testa. Non ti sembra che il volere di tuo nonno abbia a compiersi?

— Giammai! — rispose Olenka. — Mio nonno mi lasciò una porta aperta, e col primo dell'anno batterò a quella porta. Così si compierà la volontà del mio avo.

— Io non credo per null'affatto, — rispose Billevich, — quello che si vocifera, che Babinich e Kmita sono la stessa persona. Pure a Nagyerovo egli era colla Repubblica, combattè contro il nemico e sparse il proprio sangue. La conversione è tarda, ma pure è conversione.

— Anche il principe Bogoslavio serve ora il Re e la patriarispose la fanciulla. — Ma vi si decise soltanto quando il suo vantaggio personale lo indusse a tenere dalla parte del vincitore. Ora non vi sono traditori perchè non v'è profitto pei traditori! Magyerovo non basta a cancellare la colpa del tradimento.

— È vero io non lo nego, — rispose Billevich, — è una verità amara, ma è la verità.

— Sul porta-stendardo d'Orshacontinuò la fanciullapesano più gravi biasimi che non sul principe Bogoslavio, perchè Pan Kmita si offerse di levare la mano contro il Re, cosa a cui il principe stesso inorridiva. No, no! Sia fatta la volontà di Dio. Ciò ch'è spezzato è spezzato. Io sono felice che il porta stendardo sia vivo, lo confesso; perchè è evidente che Iddio non gli ha tolto affatto il Suo favore. Ma questo non basta per me. Io sarò felice quando udrò ch'egli ha cancellato i suoi misfatti. Ma io non voglio altro, anche se l'anima mia ne dovesse soffrire a morte. Che Dio lo assista!

Olenka tacque e scoppiò in pianto dirotto. Ma era l'ultimo. Ella aveva detto tutto quello che le pesava sul cuore, e da quel momento una pace assoluta regnò in lei.


«»

Best viewed with any browser at 800x600 or 768x1024 on Tablet PC
IntraText® (VA2) - Some rights reserved by EuloTech SRL - 1996-2010. Content in this page is licensed under a Creative Commons License