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PARTE SECONDA CAPITOLO XLV. | «» |
I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio
In verità, quell'anima tenace e ardita non voleva uscire dal suo terrestre involucro, e non ne uscì. Un mese dopo il suo ritorno a Lyubich le ferite di Pan Andrea cominciarono a cicatrizzarsi; ma più presto ancora egli ricuperò le facoltà mentali, e al primo sguardo che volse attorno, riconobbe il luogo ove si trovava. Allora chiamò il fedele Soroka.
— Soroka — gli disse — la misericordia di Dio è meco. Sento che non morirò. Soroka! — disse di nuovo dopo qualche momento — chi c'è a Vodokty?
— La signora ed il porta-spada di Rossyeni.
— Sia lodato Iddio! È venuto qualcheduno a domandare di me?
— Essi hanno continuato a mandare messaggeri fino a quando dicemmo loro che voi cominciavate a star bene.
— Poi non mandarono più nessuno?
— No.
— Essi non sanno ancora nulla; ma lo sapranno da me — disse Kmita. — Non diceste a nessuno che io ho combattuto sotto il nome di Babinich?
— Non vi era nessun ordine — rispose il soldato.
— E gli uomini di Lauda con Volodyovski non sono ancora venuti?
— Non ancora, ma possono arrivare da un giorno all'altro.
Due settimane dopo Kmita erasi alzato e camminava sulle gruccie; la successiva settimana egli insistette per recarsi in chiesa. Soroka non fece opposizione, e ordinò che si attaccasse il carro. Pan Andrea vestì l'abito festivo e i due si posero in cammino.
Quando giunsero ad Upita eravi ancora poca gente in chiesa. Pan Andrea, appoggiandosi al braccio di Soroka, si recò dinanzi all'altar maggiore e s'inginocchiò.
Il suo viso era sparuto ed emaciato; inoltre gli scendeva una lunga barba sul petto, cresciuta durante la guerra e la malattia. Tutti lo presero per qualche nobile di passaggio, perocchè il paese formicolava di gente d'ogni grado, che tornavano dal campo alle proprie case.
Kmita, assorto nella preghiera, non vedeva nessuno. Egli fu distolto dalle sue meditazioni dal rumore prodotto da alcune persone che entravano in quel momento nello stesso scanno. Allora egli alzò la testa, guardò, e vide proprio lì vicino a lui il dolce e malinconico viso d'Olenka.
Anch'ella vide lui, riconoscendolo al momento; e tosto si ritrasse come sgomentata. Dapprima la sua faccia diventò di fuoco, poi si coperse di un pallore mortale, ma ella seppe dominare la sua emozione.
E Kmita e lei chinarono la testa e rimasero col viso nascosto fra le mani. Intanto i loro cuori battevano con tale violenza, che l'uno sentiva perfettamente i battiti dell'altro.
Il prete sale sul pulpito per la predica. Kmita lo ascolta, ma a dispetto dei suoi sforzi non riesce ad afferrare le parole.
— Olenka! Olenka è qui, vicino a me! — diceva fra sè stesso. — Ecco, Iddio ha voluto che c'incontrassimo per la prima volta in chiesa dopo la nostra lunga separazione.
Tutto ad un tratto si udì davanti alla chiesa uno strepito d'armi e lo scalpitare di cavalli. Alcuni, dalla soglia della chiesa, gridarono: «Gli uomini di Lauda che ritornano!» E immediatamente si sollevò nella chiesa un gran mormorìo; qualcuno gridò persino ad alta voce:
Tutte le teste si volsero verso la porta. Ed ecco apparire nella chiesa un drappello d'uomini, davanti al quale venivano Volodyovski e Zagloba. La folla si divide dinanzi ad essi; che si avanzano e s'inginocchiano davanti all'altare.
Gli uomini di Lauda si fermarono nel mezzo, senza salutare nessuno per rispetto del luogo.
Molte donne cercano invano fra quelli i loro mariti; molti vecchi cercano invano i loro figliuoli; quindi incominciano i pianti di dolore, frammisti ai pianti di gioia di coloro che, fortunatamente, rivedevano i loro cari; mentre essi, raggianti di giubilo, appoggiati sulle sciabole, trattengono a stento le lagrime, che scendono sui loro volti solcati da gloriose ferite.
Suona il campanello alla porta della sacristia, i pianti cessano e cessa il mormorìo. Tutti s'inginocchiano. Il prete s'incammina per terminare la Messa, e dietro a lui vanno Volodyovski e Zagloba.
Ma il prete era così commosso, che quando si volse al popolo per dire «Dominus vobiscum» la sua voce tremava. E quando, al Vangelo, tutte le sciabole furono sguainate in segno che Lauda era sempre pronta a difendere la fede, il prete ebbe appena la forza di terminare.
Si cantò l'ultima preghiera in mezzo alla generale emozione e la Messa finì. Ma il prete, chiuso il tabernacolo, si rivolse al popolo in segno che aveva qualche cosa da dire.
Perciò si fece il più profondo silenzio.
Allora il sacerdote salutò dapprima con parole cordiali i soldati, poi annunziò che avrebbe letto una lettera del Re, portata dal colonnello dello squadrone di Lauda.
Il silenzio si fece più profondo ancora, e un istante dopo la voce che veniva dall'altare si udì per tutta la chiesa.
«Noi, Giovanni Casimiro, re di Polonia, e Gran Duca di Lituania, Mazovia, Prussia, ecc., ecc. Nel nome del Padre, del Figliuolo e dello Spirito Santo. Amen.
«Se i cattivi devono ricevere la punizione in questa vita temporale pei loro misfatti contro il Re e la patria prima di comparire davanti al tribunale di Dio, è ugualmente giusto che la virtù abbia una ricompensa.
» Rendiamo quindi noto a tutto l'ordine della nobiltà, cioè agli uomini d'arme e civili esercitanti un ufficio, a tutti gli abitanti del Granducato di Lituania e della provincia d'Jmud, che tutte le accuse a carico di Pan Andrea Kmita, porta stendardo d'Orsha, da noi grandemente amato, debbono svanire dalla memoria degli uomini, in vista dei suoi grandi servigi e meriti, nè devono in alcun modo arrecar danno al suo onore ed alla sua gloria.»
Qui il prete sospese la lettura, e guardò verso il banco dove sedeva Pan Andrea. Kmita si alzò per un momento, e, tornato a sedere, posò la fiera testa sulla balaustrata e serrò le palpebre come se perdesse i sensi.
Ma tutti gli sguardi si volsero a lui, e tutte le labbra bisbigliarono:
— Pan Kmita! Kmita! Il vicino ai Billevich.
Il prete fece un cenno colla testa; tutti tacquero di nuovo, ed egli continuò a leggere la lettera del Re, nella quale erano enumerati tutti gl'importanti servigi resi da Kmita alla causa della Repubblica ed alla sua persona, nonchè le eroiche gesta da lui compiute combattendo per la patria sotto il nome di Babinich.
Appena risuonò quel nome nella chiesa sorse un gran rumore fra il popolo:
— Dunque è Babinich! Dunque è egli il distruttore degli Svedesi, il salvatore di Valmontovichi, il vincitore di tante battaglie... E quegli è Kmita?
Il mormorìo cresceva sempre più; la gente si accalcava verso la balaustra per vederlo davvicino.
— Dio lo benedica! Dio lo benedica! — gridarono centinaia di voci.
Il prete si voltò verso quel banco e benedisse Pan Andrea, il quale, sempre appoggiato alla balaustra, sembrava più morto che vivo, rapito in estasi dalla felicità.
«E prima che noi lo ricompensiamo concedendogli il grado di Starosta d'Upita, domandiamo istantemente agli abitanti a noi diletti della provincia d'Jmud, che ritengano bene in cuore e nella mente tutti i suoi meriti, che la stessa giustizia, fondamento degli Stati, ci comanda di imprimere nella loro memoria.»
Così terminava la lettera di Giovanni Casimiro.
Pan Andrea sentì ad un tratto che una morbida mano prendeva la sua. Guardò... era Olenka. E prima ch'egli avesse avuto tempo di raccogliersi, di ritirare la propria mano, ella già l'aveva alzata e portata alle sue labbra in presenza di tutti, dinanzi all'altare ed al popolo.
— Olenka! — esclamò attonito Kmita.
Ma ella erasi alzata, e coprendosi il volto col velo, disse al vecchio Billevich:
E uscirono per la porta della sacristia.
Pan Andrea volle alzarsi per seguirla, ma nol potè. Gli mancavano le forze.
Ma un quarto d'ora dopo egli si trovava davanti alla chiesa, sostenuto da Pan Volodyovski e da Zagloba.
La folla si accalcò intorno a loro por vedere Kmita, una volta così terribile ed ora salvatore di Lauda e futuro Starosta d'Upita. Alla fine la moltitudine crebbe a tal punto, che gli uomini di Lauda furono costretti a circondarlo per impedire che lo schiacciassero.
— Pan Andrea! — disse Zagloba — vedete qual dono vi abbiamo portato? Voi non ve lo aspettavate di certo. Ed ora a Vodokty per celebrare le nozze!
Le ultime parole di Zagloba si perdettero fra le grida degli uomini di Lauda, comandati da Yuzva Butrym.
— Lunga vita! — ripetè la folla. — Lunga vita al nostro Starosta d'Upita! Lunga vita!
— Tutti a Vodokty! — tuonò Zagloba di nuovo.
— A Vodokty! A Vodokty! — gridarono migliaia di voci.
Kmita montò sul suo carro insieme a Volodyovski e Zagloba. Cammin facendo, abbracciava ora l'uno ora l'altro. Egli non era ancora capace di parlare, sì grande era la sua commozione.
Ad un tratto Pan Michele si chinò all'orecchio di Kmita. — Yendrek! — gli disse. — Non sapete dov'è quell'altra?
— A Vodokty.
Anusia non era andata in chiesa, perchè aveva dovuto rimanere al capezzale di Panna Kulvyets, che era ammalata, e che le due fanciulle vegliavano alternativamente un giorno ciascheduna.
Era stata così occupata tutta la mattina, che era già tardi quand'ella potè ritirarsi nella sua stanza per recitare le sue preghiere. Aveva appena finito, quando udì un frastuono dinanzi alla porta, e Olenka si precipitò nella stanza dell'amica.
— Gesù! Maria! Che cosa succede? — gridò Anusia guardandola.
— Anusia, non sapete chi è Pan Babinich? È Pan Kmita.
— Chi ve lo ha detto? — gridò la fanciulla.
— Il parroco ha letto la lettera del Re... L'ha portata Pan Volodyovski... Gli uomini di Lauda...
— È ritornato Pan Volodyovski? — chiese Anusia, ed improvvisamente si gettò nelle braccia d'Olenka.
Olenka interpretò quello slancio per una prova d'affezione per lei. Strinse teneramente la sua amica, o poi cominciò a raccontare senz'ordine e con voce rotta tutto quello che aveva udito in chiesa.
La sua narrazione ed i rimproveri che rivolgeva a sè stessa per aver prestato fede alla calunnia di Bogoslavio, vennero interrotti da Pan Tomaso, che entrando come una bomba nella stanza, gridò:
— In nome di Dio! tutta Upita è da noi! Sono già nel villaggio e certamente Babinich è con loro!
Infatti, un gran frastuono di voci, in distanza annunziava l'appressarsi di una grande moltitudine. Il porta spada, prese per mano Olenka, e la condusse sotto il portico. Anusia li seguì.
In quel momento apparve da lontano l'oscura massa della gente che si avanzava.
Finalmente si vide il drappello degli uomini di Lauda, poi il carro, in cui sedevano tre uomini: Kmita, Volodyovski e Zagloba.
Il carro si fermò a breve distanza, perchè la folla s'era accalcata all'ingresso della casa. Zagloba e Volodyovski balzarono a terra, e aiutato Kmita a discendere, lo presero tosto per le braccia.
— Fate largo! — gridò Zagloba.
— Fate largo! — ripeterono gli uomini di Lauda.
La gente si ritrasse tosto, in modo che frammezzo ad essa si aperse una strada, per la quale i due cavalieri condussero Kmita al portico. Egli era pallido ma camminava a testa alta, confuso e felice ad un tempo.
Olenka si appoggiò allo stipite della porta e rimase come paralizzata; ma quand'egli le fu vicino, fissò il suo viso emaciato, che dopo sì lungo tempo di separazione le appariva come quello di Lazzaro risuscitato da morte, e si mise a singhiozzare. Egli, piangendo a sua volta, tra per la contentezza e tra per la confusione, non seppe nemmeno che cosa dire.
Ma Olenka gli si inginocchiò dinanzi, gridando:
— Yendrek! Io non son degna di baciare le tue ferite!
In quel momento ritornarono le forze al cavaliere. Egli la prese, l'alzò da terra, e se la strinse al petto con trasporto.
Qui un immenso grido partì dalla moltitudine. Gli uomini di Lauda spararono le loro pistole: i berretti volarono in aria; non si videro all'intorno che visi raggianti di gioia, occhi scintillanti, e bocche aperte che gridavano:
— Viva Kmita! Viva Panna Billevich! — Evviva gli sposi!
— Vi sono due coppie di sposi, — gridò Zagloba: ma la sua voce si perdette in mezzo al frastuono generale.
Vodokty pareva trasformato in un campo di battaglia. Si uccisero buoi e pecore per ordine del porta spada, e si dissotterrarono barili di idromele e di birra. Alla sera tutti sedettero a banchetto; gli uomini più vecchi e più notevoli nelle stanze, i giovani nelle cucine.
Alla tavola principale girarono i calici in onore delle due coppie felici, ma quando l'allegria raggiunse il suo apogeo, Zagloba fece il seguente brindisi:
— A te mi rivolgo, valoroso Pan Andrea; e a te, mio vecchio amico Pan Michele! Non bastava esporre i vostri petti, versare il sangue, uccidere il nemico! Il vostro compito non è finito; perchè essendo caduta una moltitudine di gente in questa terribile guerra, è necessario dare ora nuovi abitanti al paese, nuovi difensori alla Repubblica. Per questo io credo che non vi mancherà il buon volere. Valorosi signori! Bevo alla gloria delle future generazioni! Che Dio le benedica, e permetta loro di serbare questo legato che loro lasciamo, dopo di averlo riconquistato col nostro sangue. Se mai ritornassero tempi disastrosi, si ricordino di noi e non disperino, considerando che non vi sono disgrazie, dalle quali non si possa risorgere coll'unione e coll'aiuto di Dio.
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Pan Andrea, non molto tempo dopo il suo matrimonio, servì in una nuova guerra scoppiata nella parte orientale della Repubblica, ma la strepitosa vittoria di Charnyetski e Sapyeha sopra Dolgoruki e quella dei Capitani generali del Regno su Sheremetyeff, determinarono la fine di quella guerra. E Kmita ritornò coperto di nuova gloria a casa sua, e allora si stabilì permanentemente a Vodokty.
Dopo di lui, suo cugino Yakub divenne porta-stendardo d'Orsha, il quale appartenne di poi alla sfortunata confederazione dell'armata.
Ma Pan Andrea, rimasto corpo ed anima fedele al Re, premiato col grado di Starosta d'Upita, visse lungo tempo in esemplare armonia ed amore con gli abitanti di Lauda, circondato dal rispetto universale.
I suoi detrattori... (e chi non ne ha?) dicevano, è vero, ch'egli ascoltava troppo sua moglie in ogni cosa. Egli, per altro, non se ne vergognava; anzi confessava egli stesso, che in tutti gli affari importanti gli conveniva ricorrere al consiglio di lei.
Fine.
NB. — «Pan Michele Volodyovshi,» dello stesso autore, è il seguito del «Diluvio.»
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