Henryk Sienkiewicz
Il diluvio

PARTE PRIMA

CAPITOLO III.

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CAPITOLO III.

Quando Pan Andrea giunse al castello di Lyubich, le finestre erano già splendidamente illuminate, e nella prima corte si udiva un chiasso indiavolato. I servi, non appena udirono la campana, si slanciarono fuori del portone per dare il benvenuto al loro padrone, essendo stati informati del suo arrivo. Essi lo salutarono ossequiosamente, baciandogli le mani e toccandogli i piedi. Il vecchio maggiordomo Znikis lo attendeva all'entrata del castello, portando il pane ed il sale tradizionale e rendendogli il dovuto omaggio coi replicati colpi di fronte, come voleva l'uso. Kmita gettò a terra una borsa piena di talleri e si informò tosto dei suoi camerati, meravigliandosi che nessuno fosse uscito a salutarlo.

Ma essi banchettavano già da tre ore e probabilmente non avevano nemmeno udito la campana della slitta. Senonchè al suo apparire un solo grido uscì da tutti quei petti: — L'erede, l'erede è venuto! — E tutti balzando in piedi dalle loro seggiole gli corsero incontro con le coppe in mano. Ma egli si pose le mani sui fianchi, e rise di cuore per la disinvoltura con cui s'erano tratti d'impaccio senza di lui, e continuava a ridere vedendoli sfilare dinanzi a con fare grave e solenne.

Primo veniva il gigantesco Pan Jaromiro Kokosinki, famoso soldato e fanfarone, con una terribile cicatrice attraverso la fronte, l'occhio e la guancia con un baffo corto ed uno lungo, il luogotenente ed amico di Kmita, il «bravo camerata» condannato a Smolensko alla perdita dell'onore e della stima come assassino, rapitore di fanciulle ed incendiario. Allora lo salvarono la guerra e la protezione di Kmita, che era della stessa sua età. Egli avanzò tenendo in ambo le mani un boccale ad ansa ripieno di dembniak3.

Indi venne Ranitski di nobile famiglia. Egli era nativo della provincia di Mstislawsk, dalla quale era bandito per aver ucciso due possidenti nobili. La guerra lo salvò pure dalle mani del carnefice. Egli era un incomparabile spadaccino.

Il terzo della serie era Rekuts-Leliva. Egli non si era macchiato di altro sangue che di quello dei nemici in tempo di guerra, ma aveva dilapidato tutta la sua sostanza col gioco e col vino, e negli ultimi tre anni si era attaccato alle di Kmita.

Con lui veniva il quarto, Pan Uhlik, pure di Smolensko, sul quale pesava una condanna di morte e d'infamia, per parecchie uccisioni consumate; Kmita lo proteggeva perchè suonava bene sul flagioletto.

Oltre questi eravi Pan Kulvyets Hippocentaurus, di statura eguale a quella di Kokosinski ma per forza fisica superiore a lui, e Zend, un allevatore di cavalli, che sapeva imitare alla perfezione le voci di tutte le bestie feroci e di ogni sorta d'uccelli.

Tutti costoro adunque circondarono il ridente Pan Andrea. Kokosinski, sollevando il boccale, intuonò una canzone. Gli altri ne ripeteron in coro il ritornello, indi Kokosinski porse a Kmita il boccale. Egli lo sollevò a sua volta, esclamando: — Alla salute della mia fidanzata!

Evviva! Evviva! — ripeterono tutti con voce così stentorea che tutte le impannate ne tremarono. — Evviva! Il tempo passerà e le nozze si faranno.

Quindi principiarono a tempestarlo di domande. — È bella? È come ce l'hai descritta? Ve ne sono di fanciulle simili a d Orsha?

— Ad Orsha? — gridò Kmita — Le ragazze d'Orsha sono tanti mostri in confronto suo. Centomila diavoli! In tutto il mondo non ve ne è una simile!

Evviva Yendrus! 4 esclamarono tutti insieme.

Signori potentissimi! — gridò Rekuts-Leliva con voce sottile, — quando si celebreranno le nozze ci ubbriacheremo come tanti matti.

— Miei cari agnellinidisse Kmitascusatemi, o, per parlare più correttamente, che vi piglino mille diavoli! Lasciatemi dare almeno un'occhiata alla mia casa.

Sciocchezze! — osservò Uhlik — a domani l'ispezione; oggi tutti a tavola!

— L'ispezione la facemmo già noi — disse Ranitski. — Questo Lyubich è un angolo di paradiso.

— Vi è una buona scuderia! — esclamò Zend — ci sono due puledri, due splendidi cavalli usseri, una pariglia di cavalli d'Jmud, ed un'altra di Calmucchi: tutti a due a due, come gli occhi della testa.

Indi Zend si mise a nitrire imitando perfettamente il cavallo, provocando con ciò uno scoppio generale di risa.

— E poi la cantina, — uscì a dire Rekuts; — otri e botti, e botticelle, e bottiglie allineati come tanti squadroni.

Ringraziamone il Cielo! A tavola, a tavola!

Non appena si furono seduti ed ebbero empite le coppe, Ranitski sorse in piedi brindando alla salute del ciambellano Billevich.

Imbecille! — esclamò Kmita — che ti salta in mente? Bere alla salute d'un morto!

Imbecille! — ripeterono gli altri — dobbiamo bere alla salute dell'attuale padrone!

— Alla tua salute, Pan Kmita!

— Che tu possa esser felice in questi luoghi!

Kmita girò involontariamente lo sguardo intorno alla sala da pranzo, e vide sulle pareti di larice annerite dal tempo, molti occhi che sembravano fissarlo. Quegli occhi appartenevano agli antichi ritratti dei Billevich, appesi a due braccia di altezza dal pavimento perchè le pareti erano basse. Al disopra dei ritratti si protraeva una ininterrotta fila di teste di cervi, alci e simili animali, alcune annerite dal tempo, altre di un bianco lucido. Tutte le quattro pareti erano ornate.

— Qui la caccia deve essere magnificadisse Kmitapoichè vedo un'abbondanza straordinaria di teschi di animali selvaggi.

— Vi andremo domani o dopodomanirispose KokosinskiBeato te, Yendrus, che hai un tetto sotto il quale puoi avere ricovero.

— Non come noi — sospirò Ranitski.

Triste destino il nostro — disse Rekuts con la sua voce sottile — l'unica nostra speranza è che tu non ci metta alla porta, poveri orfani che siamo!

Lasciatemi in pacedisse Kmita — ciò che è mio è vostro!

A queste parole tutti si alzarono in piedi e si raccolsero intorno a lui. Lagrime di riconoscenza rigavano quelle facce di leoni, dai lineamenti duri e severi.

— Non rinnegarcidiceva Ranitski — non rinnegarci, Andrea, o siamo tutti perduti. — E posandosi l'indice sulla fronte come in atto di acuire il proprio intelletto, soggiunse:

— Almeno finchè la nostra sorte non sia cambiata. — E che non ci tocchi qualche fortuna. — O qualche posto eminente.

— Alla vostra saluteesclamò Pan Andrea.

Gli evviva si succedevano gli uni agli altri. Oramai ciascuno udiva soltanto se stesso.

Ranitski, un grande schermidore, si batteva contro un invisibile avversario con la mano disarmata.

Il gigantesco Kulvyets Hippocentaurus, stette ad osservarlo alcuni istanti, indi proruppe

— Sei matto? Puoi essere bravo quanto vuoi ma non riuscirai giammai a vincere Kmita.

Perchè nessuno lo può, ma provaci tu!

— Tu non mi batteresti alla pistolareplicò Ranitski. — Un ducato per ogni colpo.

— Un ducato, sta bene, ma dove e su cosa si tira? Ranitski volse in giro gli occhi, indi, soffermandoli sulle teste dei cervi ed accennandone una, egli gridò

Scommetto un ducato che colpirò quella testa fra le corna.

— D'accordoesclamò Kmita. — E sieno due o tre ducati invece. Zend, va a prendere le pistole.

Le grida si facevano sempre più assordanti. Frattanto Zend, recatosi nell'anticamera, ritornava poco dopo con alcune pistole, un sacchetto di palle ed un corno ripieno di polvere. Ranitski si slanciò su di una pistola.

— È carica? — egli chiese.

— Lo è.

Scommetto tre, quattro, cinque ducatigridava Kmita già ebbro.

Adagio. Sbaglierete, sbaglierete.

Colpirò quella testa fra le corna. Uno, due!

Tutti gli occhi erano rivolti sulla testa dell'animale presa di mira da Ranitski. Egli stese il braccio e strinse il calcio della pistola nel palmo della mano.

— Tre! — gridò Kmita.

Il colpo risuonò e la sala si empì di fumo.

— Ha sbagliato, ha sbagliato! — esclamò Kmita.

Guardate dov'è il buco. — E mostrava un punto della parete annerita, donde il proiettile aveva strappato una scheggia.

— A me, a me! — gridò Kulvyets.

Rimbombò un altro colpo e la servitù irruppe spaventata nella sala.

Via, via! — esclamò Kmita. — Lasciatemi tirare. Uno! Due! Tre!

Si udì un'altra detonazione. Questa volta cadde un pezzo della testa del cervo.

— Ma date anche a noi delle pistolegridarono tutti gli altri in coro.

E balzando in piedi si fecero addosso ai servitori, sollecitandoli a fornirli delle armi necessarie. In breve ora nella sala fu un pandemonio. Le dense nuvole di fumo oscuravano la luce delle candele, ed i tiratori si distinguevano appena: nel tumulto furono colpiti anche i ritratti dei Billevich.

Ranitski, invaso da un subitaneo furore, li prese finalmente a sciabolate. I servi erano atterriti, i cani giù in cortile abbaiavano furiosamente. La gente, attratta da quel chiasso indiavolato, faceva ressa davanti al castello. Le ragazze che vi dimoravano, si erano avvicinate alle finestre della gran sala terrena che prospettavano sul cortile, per vedere che cosa accadeva.

Zend le vide ed esclamò ad un tratto:

— Qui ci sono delle ragazze! Balliamo!

Balliamo, balliamo! — gridarono delle voci rauche.

Gli ubbriachi lasciarono la sala e si diressero verso l'atrio. Le fanciulle, strillando, scappavano in tutte le direzioni, ma essi diedero loro la caccia attraverso il cortile, le raggiunsero e le trascinarono nella sala. Dopo alcuni istanti principiarono a ballare come tanti matti intorno alla tavola sulla quale scorreva a rivi il vino rovesciato dalle bottiglie.

Così Pan Kmita festeggiò insieme ai suoi capestrati compagni la sua presa di possesso di Lyubich.

              





3  Specie di idromele.



4  Vezzeggiativo di Andrea.



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