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Pan Andrea continuò per molti giorni di seguito a recarsi a Vodokty, e vi ritornava ogni volta più innamorato. Egli non si saziava di ammirare la sua Olenka e di portarla ai sette cieli dinanzi ai suoi compagni d'arme: finchè un bel giorno disse loro:
— Mie care pecorelle, oggi andrete a combattere senz'armi; fra me e la mia fidanzata fu convenuto che ci recheremo a Mitruny, facendo una gita attraverso la foresta. Comportatevi in modo decente, perchè io farò a pezzi chiunque avrà osato offendere in qualche modo la mia promessa sposa.
I cavalieri si affrettarono ad allestire ogni cosa per la gita, ed in breve quattro slitte furono pronte. Kmita sedette nella prima, tirata da due focosi cavalli catturati passando per Kalmuk e adorni di una bardatura screziata, e di nastri, e di penne di pavone alla moda di Smolenko. Un giovane, dall'aspetto un po' selvaggio, guidava i cavalli. Pan Andrea vestiva una giubba di velluto verde allacciata mediante cordoni d'oro e guarnita di zibellino, e portava in capo un berretto pure di zibellino sormontato da piume d'airone. Egli era, come al solito, tutto giocondo, e discorreva con Kokosinski, che gli sedeva a lato.
— Ascoltami, Kokosinski — gli diceva. — Io credo che noi abbiamo scherzato oltre misura in queste sere, e specialmente la prima sera. Il diavolo ci mette sempre fra i piedi quello Zend, ed ora su chi piomberà il castigo? Su me. Io temo che la gente parli, nel qual caso la mia reputazione sarebbe in pericolo.
— Lasciami in pace con la tua riputazione, essa ormai non serve a nulla.
— E di chi è la colpa se non vostra? Ricordati Kokoshko che per causa vostra mi dicono lo spirito turbatore di Orsha, e che le cattive lingue ne hanno inventate di ogni sorta sul conto mio.
— Ma chi ha trascinato Pan Tumgrat, sul ghiaccio? E chi fece a pezzi quell'ufficiale che domandò se in Orsha gli uomini camminavano su due piedi o su quattro? Chi uccise i Vyrinski padre e figlio? Chi sbaragliò l'ultima Dieta provinciale?
— Fui io che disciolsi la Dieta in Orsha ma in nessun altro luogo: qui si trattava di affare nostro, affare di famiglia. Pan Tumgrat mi perdonò morendo; e in quanto agli altri, non torna conto di parlarne, poichè al più pacifico degli uomini può accadere di doversi battere in duello.
— Non ho ancor detto tutto: non ho parlato, cioè, dei processi.
— I processi non riguardano me, ma voi. Io sono soltanto da biasimare per avervi lasciato derubare tanta povera gente! Ma basta su questo argomento! Acqua in bocca, Kokoshko. Non dir nulla ad Olenka dei duelli, nulla dei colpi tirati sui ritratti, nulla di quella caccia alle fanciulle. Se qualcuno ne parlasse, io ne farei cadere il biasimo su di voi. Ho avvertito la servitù e le fanciulle che se qualcheduno si lascierà sfuggire una parola di tutto ciò, io darò ordine che l'indiscreto sia scorticato.
— Oh! quanti scrupoli per una fanciulla! Eri tutt'altro uomo ad Orsha.
— Tu sei pazzo, Kokosko! Ad ogni modo, riguardo ad Olenka state in guardia, lo ripeto, poichè non è facile trovare un'altra donna più bella e più perspicace di lei. Apprezzerà in un attimo tutto ciò che è buono e biasimerà immediatamente ciò che è cattivo. Ella giudica le cose dal punto di vista della virtù, ed è dotata di uno squisito senso di rettitudine. Il defunto ciambellano l'ha educata molto bene. Nel caso che voi voleste menar vanto al suo cospetto di bravura soldatesca, e dire che voi calpestate i principï della giustizia, ella vi ridurrà subito al silenzio, o vi risponderà in tal modo, che vi sembrerà di essere stati schiaffeggiati da qualcuno. Noi abbiamo suscitato orribili disordini, ed ora ci conviene star bene all'erta al cospetto della virtù e dell'innocenza.
— Ho udito dire che nei villaggi dei dintorni, vi sono delle fanciulle bellissime appartenenti alla nobiltà, e che non sono punto schizzinose.
— Chi tel disse? — domandò tosto Kmita.
— Chi, se non Zend? Ieri, mentre provava un cavallo, si diresse verso Volmontovichi, e vide una torma di ragazze che ritornavano dai vespri, tutte graziose e leggiadre, che lo guardavano sorridendo e mostrandogli i loro dentini bianchissimi.
— Andiamo anche noi a vedere queste belle fanciulle — disse Kmita.
— Che dici mai? E la tua riputazione?
— Per Satanasso! non ci pensavo. Io non devo espormi a certi rischi, se voglio vivere in pace con quei nobili, i quali sono stati nominati tutori di Olenka dal defunto ciambellano.
— Tu mi parlasti di questa tutela, ma io non ci credo. Come ha egli potuto vivere in tanta intimità con quella gente alla buona?
— Egli andò con essi alla guerra, e quando fu in Orsha disse in mia presenza, che nelle vene di quegli uomini di Lauda scorreva un sangue nobile. Ma per dire il vero Kokoshko, la sua idea mi destò non poca meraviglia, sembrandomi che con tale disposizione avesse istituiti quegli uomini miei tutori.
— Bisognerà bene che tu ti sottometta e t'inchini dinanzi ad essi.
— Che mi venga prima la peste. Taci, le tue parole mi fanno ribollire il sangue nelle vene. Essi dovranno piuttosto inchinarsi dinanzi a me. Il loro contingente deve tenersi pronto a partire alla chiamata.
— Ma non sei tu che avrai il comando di questo contingente. Dice Zend che vi è un colonnello: ne ho dimenticato il nome.... mi pare Volodyovski, il quale ha già comandato a Shklov. Essi combatterono da eroi, a quanto pare, ma furono vinti e decimati.
— Ho udito parlare di un Volodyovski, un celebre guerriero. Ma eccoci in vista di Vodokty.
— Si vede che l'ordine regna in questa regione. Il vecchio ciambellano dev'essere stato un uomo che sapeva governare. Del resto, il nemico comparve raramente da queste parti.
— Io spero che ella non avrà avuto notizie del baccano indiavolato da noi fatto a Lyubich, — disse Kmita come parlando a sè stesso. Rivolgendosi poi al suo compagno, soggiunse:
— Kokoshko, io ti dico e tu lo ripeterai agli altri, che voi dovete contenervi decentemente in quella casa, e se qualcuno si permettesse qualche indiscrezione, per quanto mi è caro Iddio, io lo farò a pezzi.
— Bada di non mettere gli occhi addosso alla mia Kasia, od io farò a pezzi te, — disse Kokosinski con tutta calma.
— Frusta, frusta i cavalli — comandò Kmita al cocchiere.
Questi fece schioccare allegramente la frusta, ed i cocchieri delle altre slitte lo imitarono.
Tutti si slanciarono innanzi di gran carriera, come se corressero ad una festa carnevalesca.
Finalmente arrivarono a Vodokty. Scesero dalle slitte ed entrarono dapprima in un'anticamera grandissima, le cui pareti non erano intonacate. Da lì Kmita condusse i suoi compagni nella sala da pranzo, adorna di crani e di corna di cervi come quella di Lyubich. Qui la comitiva si fermò, fissando attentamente la porta dalla quale doveva entrare Panna Alessandra. Intanto sovvenendosi degli avvertimenti di Kmita, si posero a discorrere fra loro in tono sommesso, come se si trovassero in una chiesa.
— Tu sei buon parlatore — mormorò Uhlik all'orecchio di Kokosinski, — tu puoi salutare la donzella in nome di noi tutti.
— Stavo già componendo un discorso d'occasione cammin facendo — rispose Kokosinski, — ma Yendrus ha interrotto il corso delle mie idee.
— Ebbene, dille ciò che ti viene alla bocca.
— Silenzio! Eccola!
Panna Alessandra entrò e si fermò un momento presso la porta, come arrestata da un senso di meraviglia alla vista di così numerosa compagnia. Anche Kmita rimase per un istante perplesso e colpito d'ammirazione per la bellezza della fanciulla. Sino allora l'aveva veduta soltanto di sera, e di giorno la bellezza era ancor più sorprendente. Ella non abbassava gli occhi, ma guardava tutti con uno sguardo serio e dignitoso, quale si conviene ad una dama che riceve ospiti in casa sua. Quei guerrieri non avevano mai veduta una figura tanto imponente; essi erano abituati a vedere ed a trattare donne di tutt'altro stampo. Di modo che rimasero immobili, schierati come se fossero davanti ad un loro superiore, e poi s'inchinarono tutti ad un tempo; ma Kmita si spinse innanzi, e baciando a più riprese la mano di Panna Alessandra, le disse:
— Vedete, mia gioia, io vi ho condotto questi famosi guerrieri, coi quali ho combattuto durante l'ultima guerra.
— Non è lieve onore per me, — rispose Alessandra Billevich — il ricevere nella mia casa sì valorosi cavalieri, le cui virtù ed eccellenti qualità ho appresso per bocca del loro comandante Pan Kmita.
Detto ciò, prese la gonna colla punta delle dita, e alzandola leggermente, fece un cortese inchino con rara dignità. Kmita si morse le labbra, ma nello stesso tempo riprese coraggio, udendo parlare con tanta disinvoltura la sua fidanzata.
I valorosi cavalieri continuavano i loro inchini, dicendo sottovoce a Pan Kokosinski:
— Ebbene, incomincia!
Kokosinski si fece innanzi un passo, tossì e prese a dire: — Nobile e potentissima signora, figlia del ciambellano....
— Figlia del Capo-Caccia — corresse Kmita.
— ... Figlia del Capo-caccia — ripetè Kokosinski, e soggiunse: — Perdonate, mia nobile donzella se ho sbagliato il titolo del vostro genitore.
— Errore affatto innocuo — replicò Panna Alessandra — che non scema per nulla il merito di così eloquente cavaliere.
— Potentissima signora, figlia del Capo-caccia — proseguì Kokosinski, — io non so che cosa deve celebrare maggiormente in nome di tutta Orsha, se non la vostra straordinaria bellezza, la vostra virtù, o la inesprimibile fortuna del nostro capitano e commilitone Pan Kmita; poichè mentre io credevo avvicinarmi alle nubi,.... mentre mi credevo prossimo a raggiungere le nubi,.... dico le nubi....
— Oh, finiscila con queste nubi! — gridò Kmita.
I cavalieri scoppiarono in una sonora risata, ma ad un tratto, ricordandosi le raccomandazioni di Kmita, si fecero di nuovo seri.
Kokosinski rimase assai imbarazzato: si fece rosso come un papavero, e disse:
— Andate innanzi voi poichè mi avete confuso interrompendomi.
Panna Alessandra sollevò di nuovo leggermente la sua gonna, dicendo:
— Io non saprei emulare la vostra eloquenza, valorosi cavalieri, ma so che non merito gli omaggi che mi porgete in nome di tutta Orsha.
Nel dire così fece un altro inchino con ammirabile dignità, il che confuse maggiormente quei valorosi cavalieri, i quali, alla presenza di sì meravigliosa donzella, si trovavano fuori di posto. Si sforzavano a comportarsi da gentiluomini, ma non vi riuscivano. Quindi incominciarono a tirarsi i baffi, ad agitare le spade, a balbettare, finchè Kmita ebbe pietà di loro, e disse
— Noi siamo venuti a prendervi per fare insieme la gita a Mitruny, passando attraverso la foresta, giusta l'accordo stabilito ieri fra noi. La neve è gelata, la strada è solida e sicura; Dio ci ha favoriti con una bella gelata.
— Ho già mandato la zia Hulvyets a Mitruny perchè prepari il pranzo. Intanto, signori, abbiate la compiacenza di attendere un momento. Vado a prendere il mio mantello.
Così dicendo Alessandra uscì dalla sala.
— Ebbene, miei cari, — domandò Kmita ai suoi camerati, — non vi sembra una principessa? Ditemi, avete mai veduto una donna simile a lei?
— Confesso che non mi aspettavo di dovermi rivolgere ad una tal dama — replicò Kokosinski.
— Il defunto ciambellano — soggiunse Kmita — visse quasi sempre con lei a Kyedani alla Corte del principe Voivoda, salvo nel poco tempo che stettero presso i Hlebovich, fu là ch'ella apprese delle maniere così dignitose. Ma la sua bellezza abbaglia, nevvero?
— Noi abbiamo fatto una ben triste figura — disse Ranitski indispettito, — ma chi si distinse fu Kokosinski.
— Traditori! perchè mi avete interrotto? Dovevate farvi innanzi voi con la vostra eloquenza.
— Zitti, miei cari agnelli, zitti! — disse Kmita. — Vi è permesso di ammirare, ma non di questionare.
— Io mi butterei nel fuoco per lei! — disse Rekuts. — Fammi in pezzi, Yendrus, ma non posso ritrattare le mie parole.
Kmita non si adontò affatto; anzi, aveva un aspetto soddisfatto, si arricciava i baffi ed ammiccava ai suoi camerati in aria trionfante.
Frattanto Panna Alessandra entrò con un berretto di martora in capo, sotto il quale il suo bel viso appariva ancor più raggiante.
Tutti uscirono e s'inoltrarono sotto il portico davanti al quale attendevano le slitte.
Kmita fece salire Panna Alessandra nella più bella, e l'avvolse in una splendida coperta di panno bianco foderata di pelle di volpe; quindi sedette accanto a lei e gridò al cocchiere:
— Avanti! — ed i cavalli si slanciarono innanzi di gran carriera.
Il vento rigido sferzava i volti dei fidanzati, mentre la slitta volava sulla neve con la rapidità di un turbine. Alfine Pan Andrea si chinò verso Olenka e le chiese: — Vi piace?
— Mi piace — ella rispose, portandosi alla bocca un fazzoletto per ripararsi dall'aria pungente.
La giornata era limpida e serena, la neve gelata scricchiolava sotto le zampe ferrate dei cavalli. I tetti delle capanne erano ricoperti da un alto strato di neve, e dai comignoli salivano dense colonne di fumo dileguantesi nell'etere azzurro.
Stormi di corvi, annidati fra i nudi rami degli alberi, spiccavano il volo gracidando spaventati dal rumore delle slitte.
Alla distanza di trenta miglia da Vodokty, giunsero su di una larga strada che attraversava un bosco di pini, tutto bianco, triste, silenzioso, come se fosse immerso nel sonno.
Le slitte procedevano sempre più rapidamente come se i cavalli avessero le ali. Quella corsa vertiginosa immerge il viaggiatore in una specie d'estasi, ed a questa sensazione non potè sottrarsi neppure Panna Alessandra. Essa sì rovesciò all'indietro, chiuse gli occhi e cedette completamente a quella specie d'incanto. Si sentì invadere da un dolce languore, e s'immaginò che quel prode guerriero di Orsha l'avesse rapita violentemente.
Diventava sempre più debole; avrebbe voluto gridare, ma non ne aveva la forza. Ed intanto la slitta fuggiva con crescente rapidità. Olenka, sentì cingersi da due braccia robuste e stringersi fortemente, mentre due labbra ardenti si posavano sulle sue. Vorrebbe difendersi ma non può neppure aprire gli occhi; le sembra di sognare, e intanto fuggono, fuggono sempre.
Tutto ad un tratto una voce le sussurrò all'orecchio: — Mi amate?
Ella aprì gli occhi e rispose: — Quanto l'anima mia! Vi amo e vi amerò sempre per tutto il tempo della mia vita.
A queste dolci parole il giovane Kmita si chinò su di lei e la baciò di nuovo con trasporto appassionato.
Attraversarono altre foreste di pini senza che i cavalli rallentassero la loro corsa sfrenata.
Il freddo si faceva sempre più pungente: i cavalli ansimavano, mentre il giovane e la fanciulla non vedevano e non sentivano nulla: erano beati.
— Io vorrei correre così in capo al mondo! — esclamò Kmita.
— Che stiamo noi facendo? Questo è un peccato! — bisbigliò Olenka.
— Un peccato? Ebbene, dacchè è così bello commettiamolo un'altra volta.
— Impossibile! Mitruny non è lontana.
— Lontano o vicino, è tutt'uno.
E Kmita, rizzandosi nella slitta, stese le braccia innanzi e cominciò a gridare, come in un accesso di follia: Ehi-hop! Ehi-hop!
— Ehi-hop! hop! hoop! — rispondevano i suoi camerati dalle loro slitte.
— Perchè gridate così? — domandò la donzella.
— I vostri compagni rideranno!
La gioconda comitiva si abbandonò infatti ad un'ilarità rumorosa, non meno selvaggia della selvaggia corsa.
Kmita intuonò ad un tratto una canzone.
— Chi v'insegnò questi versi? — chiese Panna Alessandra quando egli tacque.
— La guerra, Olenka. Noi li cantiamo sempre nel bivacco per scacciare la noia.
Qui la conversazione fu all'improvviso interrotta da grida di:
Pan Andrea si volse contrariato, chiedendosi con meraviglia, perchè mai fosse saltato in testa ai suoi compagni di chiamarlo e di farlo fermare.
A qualche decina di passi di distanza vide un cavaliere che si avanzava a briglia sciolta.
— Vivaddio! è il mio sergente Soroka: che cosa può essere accaduto? — disse Pan Andrea.
Intanto il sopraggiunto arrestò il suo cavallo, e cominciò a dire con voce ansimante:
— Capitano!
— Upita è in fiamme; si battono!
— Gesummaria! — gridò Olenka.
— Non abbiate paura! — le disse Kmita. — Chi si batte? — chiese al sergente.
— I soldati contro i terrieri. L'incendio divampa sulla piazza! Il popolo è infuriato, si è mandato a chiedere dei rinforzi a Ponyevyej! Ma io sono venuto qui di galoppo per avvertire Vostra Grazia.
Durante questa conversazione tutte le slitte si fermarono. Kokosinski, Ranitski e Zend, balzando sulla neve, fecero cerchio intorno a Kmita ed al sergente.
— Infine, di che si tratta? — domandò Kmita.
— I terrieri si rifiutarono di dare cavalli ed uomini non avendo ordini in proposito, e i soldati incominciarono a prenderseli per forza. Noi assediammo il podestà e tutti quelli che si erano barricati sulla piazza. Si cominciò ad appiccare il fuoco e bruciammo due case. In questo momento ferve una violenta lotta e le campane suonano a stormo.
Gli occhi di Kmita mandavano lampi di collera.
— Bisogna andare in loro soccorso! — gridò Kokosinski.
— La plebe sta soperchiando l'esercito! — esclamò Ranitski, col volto infiammato dallo sdegno.
Zend, nel frattempo, rideva ed imitava il grido della civetta; i cavalli ne erano spaventati. E Rekuts, alzando gli occhi al cielo, gridava: — Su via! chiunque crede in Dio dia addosso ai malandrini!
— Silenzio! — urlò Kmita, per modo che ne echeggiò la foresta. — Non v'è nessun bisogno di voi! Sedetevi tutti in due slitte, e lasciate a me la terza. Ritornate a Lyubich ed ivi attendete che io mandi a chiedere soccorso.
— Che vuol dir ciò? — domandò Ranitski opponendosi. Ma Pan Andrea gli pose una mano alla gola, e roteando terribilmente gli occhi
— Taci! — gli disse in tono minaccioso.
Si fece silenzio. Evidentemente Kmita era temuto, malgrado tutta la famigliarità con cui lo trattavano.
— Olenka, ritornate a Vodokty — disse Kmita — oppure andata a Mitruny dalla zia Kulvyets. La nostra gita non era destinata a compiersi. Pazienza! Ma ritornerà tosto la quiete: rimanete in buona salute e riposatevi; io sarò presto di ritorno.
Dopo queste parole baciò la mano alla fanciulla, la avvolse nella coperta foderata di pelle di volpe, e finalmente prese posto in un'altra slitta gridando al cocchiere: — Ad Upita!