Henryk Sienkiewicz
Il diluvio

PARTE PRIMA

CAPITOLO V.

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CAPITOLO V.

Erano passati parecchi giorni e Kmita non ritornava. Ma tre uomini di Lauda vennero a Vodokty e si presentarono a Panna Alessandra. Il primo era Pakosh Gashtovt da Patsuneli, quel medesimo che ospitava nella sua casa Pan Volodyovski. Egli era il patriarca del villaggio, rinomato per la sua ricchezza e per le sue sei figliuole, tre delle quali si erano maritate ricevendo ciascuna una dote di cento talleri in contanti, nonchè il corredo e numeroso bestiame. Il secondo era Cassiano Butrym, il quale aveva conosciuto il celebre Bathory. E con lui veniva il genero di Pakosh, di nome Yuzva Butrym. L'ultimo, benchè ancora nel fiore dell'età, non era andato a Rossyeni alla rassegna generale della milizia, pel motivo che nella guerra contro i Cosacchi una palla di cannone gli aveva asportato un piede. Costui era un uomo terribile, forte come un orso, dotato di intelligenza non comune, ma aspro, burbero, e severo giudice degli uomini. Perciò egli era assai temuto alla capitale, poichè non perdonava a se stesso, agli altri. Quando davasi ai liquori diventava pericoloso, ma questo avveniva, fortunatamente, assai di rado.

La donzella li ricevette graziosamente, sebbene avesse tosto indovinato che venivano a lei per muover lagnanze, e per indurla a parlare di Pan Kmita.

— Noi bramavamo porgere i nostri omaggi a Pan Kmita, ma forse egli non è ancora ritornato da Upita, — disse Pakosh — noi dobbiamo chiedervi, cara nostra figliuola, quando ci sarà possibile vederlo.

Pan Kmita non è ancora ritornato — ella rispose. — Ad ogni modo sarà sinceramente lieto di vedervi, miei rispettabili tutori, avendo inteso dire tanto bene di voi in altri tempi dal mio avo, e recentemente da me.

Purchè egli non ci riceva come accolse i Domashevich quand'essi si recarono da lui a comunicargli la notizia della morte del colonnello Uvormord Yuzva.

Alessandra ascoltò sino alla fine, e tosto rispose con vivacità:

— Non siate ingiusto a questo proposito. Forse Pan Kmita non li ricevette abbastanza gentilmente, ma egli ha confessato schiettamente il suo torto a me. Bisogna inoltre considerare che ritornava da una guerra, nella quale aveva sopportato molte fatiche e privazioni.

Pakosh Gashtovt, che bramava rimanere sempre in buon accordo con tutti, agitando una mano, disse: — Noi non ci siamo meravigliati. Una bestia si allarma alla vista d'un'altra se la vede all'improvviso: perchè non può fare altrettanto un uomo? Noi andremo a Lyubich a salutare Pan Kmita, lo inviteremo a far vita comune con noi, a venire con noi alla guerra, come faceva il defunto ciambellano.

— Ebbene, cara figlioccia, diteci francamente, vi piace egli o non vi piace? — domandò Cassiano Butrym. — È obbligo nostro di chiedervelo.

— Che Iddio vi ricompensi della vostra affettuosa premura, Pan Kmita è un onorevole cavaliere; e quand'anche io trovassi alcun che a ridire contro di lui, non sarebbe opportuno parlarne.

— Per altro, non vi siete voi accorta di nulla, anima nostra diletta?

— Io? di nulla. Del resto, nessuno ha il diritto di giudicarlo qui, e Dio ci guardi dal mostrare diffidenza. Ringraziamolo piuttosto.

— E di che ringraziarlo tanto presto? Quando vi sarà motivo di ringraziarlo, ringraziamolo pure, sinchè non ve n'è, non ringraziamorispose il ruvido Yuzva, il quale era assai cauto e previdente.

— Avete parlato dello sposalizio? — chiese Cassiano.

Olenka abbassò gli occhi.

Pan Kmita desidera che si faccia il più presto possibile.

— Non è da meravigliarsene! E come non lo desidererebbe? Tuttavia non v'è fretta. È meglio vedere prima che specie d'uomo egli è! Cassiano! dite un po' quello che avete sulla lingua: non sonnecchiate come una lepre a mezzogiorno.

— Io non dormo. Sto pensando a quello che devo direrispose il vecchio. — Nostro Signore Gesù ha detto: Come Giacobbe è per Iddio, tale sarà Iddio per Giacobbe. Noi non vorremo male a Pan Kmita, se egli non vorrà male a noi.

— E se sarà del nostro parereaggiunse Yuzva.

Panna Alessandra aggrottò le ciglia, e disse con alterigia:

Ricordatevi che noi non riceviamo un servo. Egli deve essere padrone e la sua volontà deve avere forza, non la nostra. Ricordatevi che deve succedervi nella mia tutela.

Intendete forse dire che noi non dobbiamo intrometterci? — domandò Yuzva.

— No. Ciò significa soltanto che voi dovete essere amici con lui com'egli desidera esserlo con voi. Inoltre egli ha da sorvegliare da la sua proprietà, come ogni uomo ha diritto di farlo. Non è vero, Pan Pakosh?

— La pura veritàrispose il vecchio.

Yuzva si rivolse di nuovo al vecchio Butrym, e gli disse: — Non dormire, babbo Cassiano!

— Io non dormo. Guardo quello che vedo nella mia testa.

Dimmi dunque che cosa ci vedi!

— Ciò che ci vedo? Ecco quel che ci vedo. Pan Kmita è un uomo di cospicua famiglia, di nobilissimo sangue, mentre noi siamo gente di umile stirpe. Inoltre è soldato di gran fama; egli solo tenne fronte al nemico quando tutti avevano deposto le armi. Ma ha per compagni ed amici soltanto uomini d'indegna condotta e di riputazione infame. Pan Pakosh, mio vicino, che cosa avete voi udito sul loro conto dai Demashevich? Che sono uomini disonorati, contro i quali fu pronunciata la proscrizione, che furono infamati e condannati, che sulla loro testa pende una taglia, e che, in fine, sono veri figli del boia. Essi ispirarono orrore al nemico, ma più ancora alla loro gente. Ammazzarono, saccheggiarono, incendiarono e vissero assolutamente alla maniera dei Tartari. Da lungo tempo sarebbero marciti in prigione, se non godessero la protezione di Pan Kmita, che è un potentissimo signore. Egli li protegge e favorisce, ed essi si aggrappano a lui come i tafani ad un cavallo nell'estate. Ora sono venuti qui, ed ognuno sa quel che fecero. Il primo giorno a Lyubich tirarono colpi di pistola ai ritratti dai defunti Billevich, il che Pan Kmita non doveva permettere, perchè i Billevich sono i suoi benefattori.

Olenka si coperse gli occhi con ambe le mani, ed esclamò:

— Non può essere, non può essere!

— E, ne siamo certi. Pan Kmita li ha lasciati sparare contro i suoi benefattori, coi quali è in procinto d'imparentarsi. Poscia essi trascinarono nella sala le fanciulle della casa e commisero ogni sorta di dissolutezze. Ciò non è mai accaduto in mezzo a noi — soggiunse il vecchio Cassiano, così fremente di sdegno, che giunse sino al punto di battere violentemente il suo bastone sul pavimento. La faccia di Olenka divenne di porpora, e Yuzva soggiunse:

— E gli uomini di Pan Kmita ad Upita sono forse migliori? Quali gli ufficiali, tali i soldati. Venne rubato il bestiame a Pan Solluhub, e si dice che furono gli uomini di Pan Kmita. Dei poveri contadini di Miragòl, che cavavano catrame, vennero barbaramente percossi, e da chi? Dai soldati di Pan Kmita. Ed ora stanno commettendo nuove violenze in Upita. Tutto ciò grida vendetta al cospetto di Dio. Quel paese fu sempre tranquillo e quieto, ed ora non si può più uscire di notte se non con un fucile e stando bene in guardia. E perchè ciò? Perchè Pan Kmita ed i suoi uomini vi hanno preso stanza.

— O Pan Yuzva, non parlate in tal modo! — disse Olenka.

— Come mai volete ch'io parli? Se Pan Kmita non è colpevole, perchè tiene presso di tali uomini, perchè vive in loro compagnia? O grande e potente signora, ditegli che li congedi o li consegni al carnefice, altrimenti non vi sarà più pace. Non è forse cosa inaudita il tirare contro i ritratti di famiglia e il commettereaperte dissolutezze? Credetemi, tutto il paese non parla d'altro oggidì.

— Che posso io fare? — chiese Olenka. — Saranno gente malvagia, ma egli ha combattuto con loro. Li congederà egli a mia richiesta?

— Se non se ne sbarazzabrontolò Yuzva sommessamente — si deve dire che è simile a loro.

A tali detti la fanciulla sentì ribollirsi il sangue per lo sdegno contro quegli uomini sanguinari e scellerati.

— Comunque sia, egli deve licenziarli. Egli sceglierà tra loro e me. Se è vero ciò che voi dite, ed oggi lo saprò, non dimenticherò nulla; la caccia ai ritratti, l'insulto alle fanciulle. Io sono una povera orfana, sola e debole, essi sono una schiera d'armati, ma non li temo.

— Noi vi presteremo man fortedisse Yuzva.

— In nome di Dio, — continuò Olenka, sempre più eccitata. — Facciano quello che vogliono, ma non qui a Lyubich, e non trascinino Pan Kmita al mal fare. Vergogna e sventura! Li credevo rozzi soldati, ma ora m'accorgo che sono piuttosto vili traditori. Purtroppo! La malvagità schizzava loro dagli occhi, ma io, insensata donna, non me ne avvidi. Ebbene, vi ringrazio di avermi aperto gli occhi. Ora so quello che mi conviene fare.

— Così va benesoggiunse il vecchio Cassiano. — La virtù parla per bocca vostra, o signora, e noi vi aiuteremo.

— Non biasimate Pan Kmita; poichè s'egli agì in modo contrario al buon costume, sono dessi che lo trascinano al male, che ve lo incitano col loro esempio, e che fanno disonore al suo nome. Se Dio mi vita, ciò non durerà a lungo!

L'ira accendeva sempre più lo spirito di Olenka; e la sua indignazione contro i camerati di Pan Kmita s'incrudeliva come il dolore in una recente ferita, poichè aspramente feriti erano in lei l'amore e quella fede, con cui ella aveva donato a Pan Kmita tutta l'anima sua. I nobili si rallegrarono, vedendo la nipote del loro colonnello così fiera, e risoluta a non cedere di fronte ai perturbatori venuti da Orsha.

— Sì, — ella soggiunse. — Quegli uomini sono colpevoli, e dovranno lasciare, non soltanto Lyubich, ma tutto il paese. — E mentre così parlava, i suoi occhi schizzavano fiamme.

Cuore del nostro cuore, noi non biasimiamo Pan Kmita, — disse il vecchio Cassiano. — Sappiamo ch'egli è tentato da loro: e non è per astio contro di lui che siamo qui venuti, ma per il rammarico di vederlo circondato da tal sorta di amici. È evidente che trattasi di giovanile sventatezza. Lo stesso Pan Hlebovich lo starosta, da giovane era come un pazzo, ma ora ci tiene tutti a dovere.

Olenka volle dire qualche cosa, ma ne fu impedita da un improvviso scoppio di pianto.

— Non piangetedisse Yuzva Butrym.

— Non piangete, non piangete, — ripeterono i due vecchi.

Essi tentarono di confortarla ma non vi riescirono. Quando se ne furono andati, la donzella, rimasta sola, in preda allo sgomentò, all'ansietà, e ad un certo senso come d'orgoglio offeso, diede libero sfogo al suo dolore.

Era trascorsa quasi un'ora dacchè i suoi tutori l'avevano lasciata, e le lagrime scorrevano ancora sulle gote d'Olenka, la cui anima nobile e sensibile soffriva immensamente, pensando che l'uomo destinato a lei dal suo defunto avolo come sposo, e che aveva già conquistato il suo cuore, viveva in compagnia di malfattori.

Ella doveva assolutamente indurlo ad allontanarli da , ed a togliere loro la sua protezione, della quale erano indegni.

Mentre questi pensieri le attraversavano la mente, si udì ad un tratto un gran rumore davanti alla casa.

La donzella si riscosse dalla sua meditazione, e credendo che quel chiasso le annunciasse il ritorno di Pan Kmita, si asciugò in fretta gli occhi e mosse il passo verso l'anticamera.

Nel momento in cui stava per varcare la soglia della sala, l'anticamera veniva invasa dal lato opposto dagli amici di Pan Kmita, i quali, stanchi di attenderlo a Lyubich, avevano deciso di recarsi a Vodokty, sperando di trovarvelo o di avere almeno sue nuove.

Scorgendo quegli uomini, che osavano penetrare nella sua dimora con aria spavalda, e rammentando ciò che poco prima aveva udito delle loro gesta, Panna Billevich si sentì ardere di sdegno e d'indignazione.

Prima ancora che uno di essi avesse avuto il tempo di rivolgerle la parola, ella avanzò di un passo, ed additando loro la porta, disse con voce ferma e risoluta: — Uscite!

Quelli diventarono pallidi come cadaveri, e niuno di essi potè trovare una parola per rispondere. Ma cominciarono a digrignare i denti, e ad accarezzare con mano tremante le else delle loro spade, mentre gli occhi lanciavano lampi. Se non che ad un tratto si calmarono e divennero circospetti, riflettendo, che quella casa era sotto la protezione di Kmita, di cui quella insolente donzella era la fidanzata. Dovettero infatti divorarsi in silenzio la loro rabbia, mentre ella rimaneva imperiosa, col braccio teso verso la porta, e guardando quei miserabili con occhio fiammeggiante.

Finalmente Kokosinski, con voce rotta dall'ira, disse:

Giacchè noi siamo ricevuti qui con tanta cortesia, non ci resta che salutare la gentilissima dama, ed andarcene lasciandole i dovuti ringraziamenti.

Ciò detto fece un profondo inchino sino a toccare il pavimento col berretto; così fecero man mano tutti gli altri uscendo in bell'ordine. Chiusasi la porta dietro l'ultimo, Olenka si lasciò cadere spossata sopra una seggiola, respirando affannosamente; infatti, ella aveva dovuto ostentare una forza morale ed un ardire che in realtà non possedeva.

Gli amici di Kmita si radunarono a consiglio davanti all'entrata, vicino ai loro cavalli; ma nessuno osava parlare pel primo. Finalmente Kokosinski disse:

— Ebbene, cari miei, che ne dite?

— Oh! se non fosse per Kmitaesclamò Ranitskisaprei ben aggiustare i conti con questa signorina.

Va contro Kmita se l'osi, — disse Rekuts con una specie di ruggito.

La faccia di Ranitski si coprì di un vivo rossore:

Andrò contro Kmita, ed anche contro voi tutti in qualunque momento vi piaccia.

Benissimo! — esclamò Rekuts.

Ambedue trassero le loro spade dal fodero, ma il gigantesco Kulvyets-Hippocentaurus si slanciò frammezzo.

Vedete questo pugno? — diss'egli. — Con questo spaccherò la testa al primo che sfodera la sciabola. — E così dicendo guardava ora l'uno ora l'altro dei due contendenti, come per chiedere loro tacitamente chi sarebbe il primo: ma essi pensarono bene di acquietarsi subito.

Kulvyets ha ragionesoggiunse Kokosinski. — Miei cari agnellini, ci occorre ora più che mai di essere tosto da Kmita, acciocchè ella non lo veda pel primo; se volesse aizzarlo contro di noi, è meglio che lo aizziamo noi prima di lei. Per Satanasso! S'egli ci togliesse la sua protezione gli abitanti di questo paese ci darebbero la caccia come a tanti lupi.

Baie! — disse Ranitski. — Essi si guarderanno bene dal toccarci. Vi è forse poca gente sparsa e vagante per il mondo senza pane e senza tetto? Reclutiamo buon numero di questa gente, cari camerati, e poi lasciamo che tutti i tribunali della terra ci diano la caccia. Dammi la mano, Rekuts, io ti perdono.

— Io ho le calzature foderate di lana, ma i piedi sono gelati, — disse Kulvyets. — Perchè rimaniamo come tanti menestrelli di fronte a questa casa? Aspettiamo forse che vengano a servirci la birra calda? Non perdiamo tempo qui, montiamo a cavallo e andiamocene.

— A Upita?

— Sì, dal nostro valoroso amico!

— Gli faremo le nostre lagnanze!

Purchè lo troviamo.

— A cavallo, camerati; a cavallo!

Salirono sulle loro cavalcature e si allontanarono masticando la propria rabbia.

Oltrepassata la foresta apparve Volmontovichi, ed i cavalieri misero i loro cavalli al trotto, perchè il freddo era intenso.

Upita era ancora molto lontana, tuttavia furono costretti a rallentare la loro corsa nel villaggio. La strada era ingombra di gente, come sempre in giorno di festa.

I Butrym, uomini e donne, ritornavano, parte a piedi, parte in slitta da Mitruny, dopo di aver ricevuto le indulgenze. I nobili osservavano gli ignoti e strani cavalieri, buccinando chi mai potevano essere. Le giovani, che avevano avuto sentore delle licenze commesse da costoro in Lyubich, si fecero a guardarli con curiosità. Ma essi procedettero alteramente, con incesso soldatesco, onde la gente dicesse che erano soldati di professione.

Discorrendo fra loro, attraversarono il villaggio in quell'atteggiamento fiero, rimettendo al trotto le loro cavalcature. Dopo mezz'ora giunsero dinanzi ad un albergo chiamato «Dola» a mezza strada fra Volmontovichi e Mitruny. I Butrym, uomini e donne, si soffermavano ordinariamente in quell'albergo per riposare e riscaldarsi, tanto nell'andare in chiesa quanto nel ritornarne, sicchè i cavalieri trovarono dinanzi alla porta una quantità di slitte ed altrettanti cavalli da sella.

Entriamo un po' qui a ristorarci con qualche sorso di gorailka, — disse Kokosinski. — Fa tanto freddo!

— Non ci farà malerisposero in coro gli altri.

Smontarono, legarono i cavalli alle sbarre di un cancello, ed entrarono in un grande ambiente piuttosto buio, dove trovarono una quantità di persone.

Nobili seduti sulle panche, o riuniti in gruppi dinanzi al banco, bevevano birra, o una sorta di punch, fatto con idromele, burro, vudka5 e spezie.

Erano i Butrym, forti, coraggiosi e seri, tanto parchi di parole, che udivasi appena qua e qualche rara e sommessa conversazione. Tutti indossavano dei soprabiti grigi di grosso panno casalingo tessuto a Rossyeni, e foderati di pelli di pecora; portavano cinture di cuoio dalle quali pendevano le sciabole in foderi di ferro. Per questa uniformità di vestito si potevano prendere per soldati, ma per lo più erano o vecchi di sessant'anni o giovani al disotto dei venti, rimasti nel paese per la trebbiatura, mentre tutti gli altri uomini nel fior dell'età erano partiti per Rossyeni.

Appena essi videro i famosi cavalieri di Orsha, si ritrassero e cominciarono ad esaminarli. Piacque loro il bell'aspetto militare di quella gente; e dopo un momento uno di essi prese la parola chiedendo:

— Vengono da Lyubich?

— Sì, sono uomini di Pan Kmita!

I cavalieri sedettero tutti intorno al tavolo e Kokosinski ordinò del punch. Appena fu recata la fumante bevanda, incominciarono a bere, guardando intorno per la sala, osservando gli uomini, ma strizzando gli occhi per poter vedere, perchè la sala era molto oscura.

Quando il punch incominciò a infondere nelle vene dei cavalieri un grato senso di calore, l'allegria, scomparsa dopo il ricevimento di Vodokty, principiò a ridestarsi.

Tutto a un tratto Zend si dette a gracchiare come un corvo, imitando così bene il grido dell'uccellaccio che tutti si rivolsero verso di lui.

Ridevano i cavalieri, e i nobili, incoraggiati da quell'allegria, a poco a poco si avvicinarono, specialmente i giovani.

Zend chiudeva gli occhi e continuava a gracchiare. Ad un tratto si udì il grido dell'ultima agonia che si ripeteva sempre più debole e lamentoso, e terminò in un supremo grido disperato, a cui successe un lungo silenzio, il silenzio della morte.

I Butrym ascoltavano attoniti. Quantunque Zend avesse finito il suo giuoco, quelli aspettavano di udir altro, ma essi sentirono soltanto la voce stridente di Rekuts, il quale esclamò ad un tratto:

— Ma sono donne quelle sedute vicino al camino?

— Già, è vero, — disse Kokosinski facendosi schermo con le mani agli occhi.

Vivaddio, sì! — aggiunse Uhlik — ma è tanto oscuro qua dentro che non le avevo neppure vedute.

— Io sono curioso. Che cosa stanno facendo?

— Forse sono venute per ballare?

— Voglio domandare, — disse Kokosinski. — E alzando la voce, egli disse: — Ehi! mie belle donnine! che cosa state facendo costi?

— Ci scaldiamo i piedi.

I cavalieri si alzarono e si accostarono al focolare.

Sopra una lunga panca stavano sedute una diecina di donne tra vecchie e giovani, e posavano i piedi nudi su un legno giacente attraverso al camino, poco discosto dal fuoco. Da un'altra parte asciugavano le loro calzature.

— Dunque voi vi scaldate i piedi? — domandò Kokosinski.

— Sì.

Bei piedini? — mormorò Rekuts chinandosi.

— Ma statevene un po' lontanidisse una donna.

— Io preferisco stare vicino a voi. Conosco un metodo sicuro per riscaldare i piedi freddi, migliore del vostro: ballare.

Balliamo dunque, — soggiunse Uhlik. — Non ci occorrono violini, contrabbassi. Suonerò io il mio flagioletto.

Così dicendo, prese da una borsa di cuoio pendente vicino alla sua sciabola il suo istrumento e cominciò a suonare.

I cavalieri procurarono di indurre le donne a lasciare la panca. Le ragazze parvero voler schermirsi, ma più con la voce che con le mani, poichè in realtà non erano troppo contrarie. Fors'anco gli uomini avrebbero acconsentito, e nessuno di essi avrebbe protestato molto vivamente contro il ballo di domenica dopo la messa e in tempo di carnevale. Ma la voce della cattiva riputazione dei compagni di Pan Kmita era già giunta sino a Valmontovichi, quindi si alzò per il primo il gigantesco Yuzva Butrym, quello che era monco di un piede, ed avvicinatosi a Kulvyets Hippocentaurus lo afferrò per il petto, e gli disse con aspro accento:

— Se Vostra Grazia, vuol ballare, balli con me. Hulvyets Hippocentaurus strizzò gli occhi, e cominciò a tormentarsi convulsivamente i baffi.

Preferisco ballare con una ragazzadiss'egli; — con voi ballerò dopo, se vi piace.

Nello stesso tempo Ranitski accorse subodorando il principio di una contesa.

— Chi siete voi rozzo mascalzone? — domandò stringendo l'elsa della spada.

Uhlik smise di suonare, mentre Kokosinski gridò:

— Qua, camerati! Avanti tutti!

Se non che i Butrym in un attimo furono appresso a Yuzva; i robusti vecchi e i gagliardi giovani incominciarono ad assembrarsi, ringhiando come mastini.

— Che cosa volete voi altri? Avete forse bisogno di qualche ammaccatura? — chiese con un gesto minaccioso.

— Non fiatate! Fuori di qui! — disse Yuzva imprudentemente.

Ranitski, il quale era impaziente di cominciare la battaglia, colpì Yuzva nel petto coll'elsa della sua sciabola, e gridò:

Addosso a costoro! Addosso!

Le lame sguainate scintillarono, le donne si misero a strillare ed il tumulto si fece generale. Il gigantesco Yuzva afferrò una panca, e alzandola come se fosse stata un fuscello si diede ad urlare con voce stentorea:

— Fuori! fuori di qui!

La polvere, che si sollevava dal pavimento, avvolgeva e nascondeva i combattenti, ma nel trambusto, risuonarono ben presto dei lamenti.

              





5  Acquavite.



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