Henryk Sienkiewicz
Il diluvio

PARTE PRIMA

CAPITOLO VIII.

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CAPITOLO VIII.

Pan Volodyovski, un celebre ed esperto soldato, benchè ancor giovane, dimorava, come dicemmo, a Patsuneli, col patriarca del luogo, Pakosh Gashtovt, che godeva fama di essere il più ricco fra la nobiltà di Lauda. Infatti, egli aveva riccamente dotate le sue tre figliuole, maritate con i Butrym, e dato alle medesime un corredo così bello, che nessuna donna del paese ne possedeva uno eguale. Le altre tre figlie erano tuttora zitelle: e queste curavano Volodyovski, il cui braccio era bensì guarito, ma gli doleva quando cambiava il tempo. Tutta Lauda s'interessava sommamente per quel braccio perchè quegli uomini lo avevan veduto combattere a Shklov ed a Sepyel, e sapevano, che era difficile trovarne uno migliore in tutta la Lituania. Il giovane colonnello era quindi assai stimato da tutti, ed oggetto di molta attenzione da parte di tutti i nobili dei dintorni.

Pan Volodyovski trovavasi tanto bene, che quantunque avesse potuto avere migliore assistenza a Kyedani, rimaneva a Patsuneli. Il vecchio Gashtovt chiamavasi felice di ospitarlo, poichè l'avere sotto il suo tetto un guerriero così rinomato, accresceva la sua importanza in Lauda sino al punto da renderla quasi eguale a quella di Radzivill.

Dopo la disfatta ed il bando di Kmita, la nobiltà, che nutriva la più viva simpatia per Volodyovski, formò il progetto di dargli in moglie Panna Alessandra.

Giacche quel traditore si è reso indegno di lei, è necessario che la signora lo cancelli dal suo cuore; perchè tali sono le disposizioni indicate nel testamento da una clausula speciale. Dunque sposi Pan Volodyovski. Noi, nella nostra qualità di tutori, abbiamo l'obbligo di vegliare su di lei; e così ella avrà per marito un cavaliere onorato, e noi avremo un fratello e un duce.

La proposta fu adottata all'unanimità, e tosto i vecchi si recarono da Volodyovski, il quale, senza pensarci molto, aderì ad ogni cosa. Poscia andarono dalla «signora», che senza la minima esitanza, rispose loro:

Soltanto il mio avo aveva il diritto di disporre di Lyubich, e la proprietà non può essere sottratta a Pan Kmita, finchè i Tribunali non lo abbiano punito con la pena di morte. In quanto al mio matrimonio, non se ne parli neppure. Ho cancellato dal mio cuore quell', ma non conducetemi qui Pan Volodyovski, poichè, per quanti meriti egli abbia, io non lo riceverò.

Il rifiuto era tanto categorico e risoluto, che i nobili ritornarono alle loro case profondamente contrariati. Meno lo fu Pan Volodyovski, ed ancora meno di lui lo furono le figlie di Gashtovt, Terka, Maryska e Zonia. Erano desse tre giovani zitelle, dalle forme bene sviluppate, rubiconde, bionde e con occhi color del cielo. Inoltre il vecchio Gashtovt non aveva risparmiato nulla per l'educazione delle sue figliuole. L'organista di Mitruny aveva insegnato loro a leggere, ed a scrivere, ed a cantare gli inni sacri; la più attempata aveva anche appreso a suonare il liuto. Siccome erano di cuor buono e gentile, assistettero Volodyovski, procurando continuamente di sorpassarsi l'un l'altra in assiduità e diligenza. La gente andava dicendo che Maryska era innamorata del giovane cavaliere: ma, a dire il vero, tutte le tre sorelle n'erano disperatamente invaghite.

Egli pure le amava, e specialmente Maryska e Zonia. Nelle lunghe serate d'inverno, accadeva sovente che il vecchio Gashtovt, dopo di avere sorbito il suo bicchiere di punch, si coricava, e le tre donzelle si trattenevano con Pan Michele intorno al camino; la vaga Terka filava, la dolce Mariska ricamava, e Zonia annaspava il refe. Ma appena Volodyovski incominciava a parlare di guerra, o delle strane vicende cui aveva assistito nelle grandi case dei magnati, esse interrompevano il lavoro e rimanevano tutte intente ad ascoltarlo.

Man mano che Volodyovski andava ristabilendosi e si accorgeva di poter maneggiare la spada con maggior sicurezza, diveniva sempre più allegro, e raccontava con maggior piacere le sue avventure. Una sera, mentre stavano seduti come al solito dinanzi al focolare, Volodyovski pregò Terka di cantare qualche cosa accompagnandosi col suo liuto.

Cantate voi, — ella rispose, respingendo l'istrumento che egli le porgeva, — io devo lavorare. Voi certo saprete molte belle canzoni, assai più belle di quelle che ho appreso io.

Volodyovski prese il liuto, e cominciò a cantare un'allegra canzone soldatesca.

Quando ebbe finito porse di nuovo il liuto a Terka, la quale questa volta non lo respinse, e cedendo alle preghiere del giovane cavaliere, principiò a cantare con bella voce una melodia infiorata da molti trilli.

Pan Volodyovski l'applaudì con entusiasmo, ed affermò che neppure a Varsavia aveva sentito cantare così divinamente.

— Voi dovreste vestirvi da uomo, ed allora potreste cantare nella cattedrale di San Giovanni, dove il Re e la Regina hanno il loro coretto particolare.

Perchè dovrebbe vestirsi da uomo? chiese Zonia, la più giovane delle tre sorelle, la cui curiosità si era destata udendo parlare di Varsavia, del Re e della Regina.

Perchè in Varsavia le donne non cantano in chiesa ma solamente gli uomini ed i fanciulli.

— E il Re l'avete veduto molte volte? — domandò Zonia.

— Gli ho parlato come parlo con voi. Dopo la battaglia di Berestechko mi strinse la mano.

— Noi lo amiamo senz'averlo visto. Porta sempre la corona in testa?

Bisognerebbe che la sua testa fosse di ferro. Sua Maestà il Re, porta in capo un berretto nero tempestato di diamanti, il cui splendore illumina tutto il castello.

— Si dice che il castello del Re è ancora più grande di quello di Kyedani.

— Quello di Kyedani è una capanna in confronto. Il castello del Re è un immenso fabbricato costruito in pietra, sicchè vi cerchereste invano un fuscello di legno. Vi sono molte camere e sale, una più splendida dell'altra. Sulle pareti di talune si ammirano dei dipinti a fresco che rappresentano guerre e vittorie, per esempio, le battaglie di Sigismondo III e di Vladislao. Chiunque ha la fortuna di vedere quei meravigliosi dipinti, non può saziarsi dall'ammirarli; ogni cosa gli sembra assolutamente reale, può persuadersi che quegli uomini non si muovano, che quei combattenti non gridino. Il Re e la Regina dimorano in belle camere ornate d'oro, di gemme, di broccati ricchissimi. Alla sera, hanno un teatro per loro particolare divertimento.

— Che cos'è il teatro?

— Il teatro è un luogo dove si rappresentano commedie e balli con una maestria straordinaria. Esso consiste in una specie di salone tanto grande, che supera in ampiezza qualsiasi chiesa, ed è tutto circondato da bellissime colonne. Da una parte siedono gli spettatori, dall'altra stanno gli artisti. Vi sono grandi teloni che si alzano e si abbassano, oppure si ravvolgono mediante ingegnosi ordegni. Ora si produce l'oscurità e si fanno apparire le nubi; ora si fa splendere una luce simile a quella del sole.

— Il nostro Re dev'essere un uomo felice, — osservò Terka sospirando.

— Egli sarebbe felice, se non fosse per le malaugurato guerre che affliggono la Repubblica in punizione delle nostre discordie e dei nostri peccati. Tutto ciò pesa sulle spalle del Re, ed oltre a ciò, gli si attribuiscono e gli si rimproverano i nostri errori durante le Diete. Infausti tempi sono questi; infausti quali non lo furono mai. Il nostro più spregevole nemico oggidì ci disprezza, noi, che abbiamo recentemente sostenuto una vittoriosa guerra contro l'Imperatore della Turchia. Così punisce Iddio la superbia. Piaccia a Lui che il mio braccio possa muoversi liberamente, poichè è ormai tempo che io mi ricordi della patria e m'incammini al campo.

— Non parlate di andarvene.

— È difficile far altrimenti. Il soggiorno fra voi mi piace, ma un soldato anela al campo. Finchè c'è vita si combatte, e, dopo la morte, Iddio, che vede nei cuori, premierà coloro che servirono per puro amore della patria, non per ambizione personale.

Gli occhi di Maria s'inumidirono; e tosto le lagrime scesero sulle sue rubiconde gote.

— Voi ci abbandonerete e ci dimenticherete, e noi passeremo qui i giorni ad affliggerci, — diss'ella; — chi ci difenderà in questi luoghi da possibili attacchi del nemico?

— Io vado perchè lo devo, ma sarà eterna la mia gratitudine.— replicò Pan Michele. — È difficile trovare gente buona e cortese come qui. Avete ancora paura di Pan Kmita?

— Oh sì! Le madri intimoriscono i loro fanciulli col nome di lui.

— Ma egli non ritornerà; e se anche ritornasse, non avrà più seco quei malandrini che erano peggiori di lui. È veramente un peccato, che un sì buon soldato abbia macchiata la sua riputazione e perduto la sua proprietà.

— Si dice che Panna Billevich piange giorno e notte.

Piange per Kmita? — disse Volodyovski.

— Chi lo sa? — replicò Maria.

— Tanto peggio per lei, perchè egli non ritornerà. Il Capitano generale ha licenziato una parte degli uomini di Lauda, ed ora quelle forze si trovano qui. Pan Kmita, si guarderà bene di farsi vedere in questi luoghi.

Probabilmente i nostri uomini dovranno mettersi di nuovo in marcia, — disse Terka, — giacchè hanno avuto congedo per breve tempo:

— Il Capitano generale li ha congedati perchè non vi sono denari nel Tesoro! Quando più gli uomini occorrono, il denaro manca. Ma, buona notte! È tempo di coricarsi. Non sognate di Pan Kmita e del suo brando terribile.

Così dicendo, Volodyovski si alzò dalla panca, e si dispose a lasciar la sala: ma aveva appena mosso un passo verso la sua camera, quando d'improvviso si udì un gran rumore all'entrata, ed una voce squillante gridare fuori dalla porta:

— In nome di Dio, aprite, aprite subito!

Le fanciulle si spaventarono orribilmente. Volodyovski si precipitò nella sua stanza per prendere la sua sciabola; ma non era ancora riuscito ad impugnarla, quando Terka aprì la porta, ed uno sconosciuto si precipitò nella stanza e si gettò ai piedi del cavaliere, gridando:

Colonnello? Hanno rapito la signora.

— Che signora?

— La signora di Vodokty.

Kmita! — esclamò Volodyovski.

Kmita! — gridarono lo fanciulle.

Kmita! — ripetè il messaggero.

— Chi sei tu? — domandò Volodyovski.

— Il maggiordomo di Vodokty.

— Noi lo conosciamo. — disse Terka, — egli portava erbe per voi.

Intanto comparve il vecchio Gashtovt ancora mezzo addormentato, e nello stesso tempo apparvero due servi di Pan Volodyovski attratti dal chiasso.

Sellate i cavalli! — gridò Volodyovski. — Uno di voi corra dai Butrym, l'altro dia un cavallo a me!

Dopo un istante salì a cavallo e partì insieme ai suoi servi Ogarek e Sygruts. Passando per i villaggi, bussavano alle porte ed alle finestre, gridando ad alta voce: — All'armi! all'armi! Hanno rapito la signora di Vodokty.

All'udire quelle grida la gente si precipitava fuori dalle case, e sentendo di che si trattava, tutti si ponevano a gridare: — Kmita è qui! la signora è stata rapita!

Finalmente giunsero i nobili, quali a cavallo, quali a piedi. Sopra le teste della folla rilucevano nell'oscurità della notte, sciabole, lancie, e persino forche di ferro.

Volodyovski divise la compagnia; ne mandò tosto una parte in varie direzioni, e mosse innanzi col rimanente verso Valmontovichi per unirsi ai Butrym. Erano le dieci della sera; la notte era chiara, sebbene la luna non fosse ancora comparsa sul firmamento. I nobili facevano un grande strepito colle armi, ed imprecavano contro quel brigante di Kmita che li aveva strappati dal loro placido sonno. In tal maniera giunsero a Valmontovichi, al cui confine s'imbatterono con un'altra schiera d'armati che veniva incontro a loro.

— Chi va ! — gridarono alcune voci. — I Gashtovt!

— E noi siamo i Butrym. I Domashevich sono già arrivati.

— Avete nuove della «signora»?

Kmita l'ha portata a Lyubich.

— A Lyubich? — chiese Volodyovski meravigliato, — Può egli difendersi colà? Lyubich non mi pare una fortezza.

Kmita correva, infatti, un serio pericolo nella sua audace impresa. Egli non sapeva che una considerevole parte delle forze dei nobili era appena ritornata, e credeva che i villaggi fossero ancora spopolati come quando egli era apparso la prima volta a Lyubich.

Mentre Pan Volodyovski avanzava, altri nobili lo raggiungevano ed accrescevano il numero degli armati. E finalmente giunsero i Gostyevich. Il colonnello comprese di primo acchito, che quegli uomini erano veri soldati, non gente avventizia e indisciplinata. Volodyovski si rallegrò in cuor suo, pensando che presto li avrebbe condotti in luoghi ben più lontani.

A spron battuto mossero tutti quanti alla volta di Lyubich. Era ormai passata la mezzanotte. La luna finalmente sorse in cielo ed illuminò con i suoi argentei raggi il bosco, la strada e le schiere dei guerrieri. I nobili parlavano intanto fra loro sommessamente dello strano evento, che li aveva sì bruscamente strappati al riposo ed al sonno.

— Da qualche tempo si vedevano gironzare da queste parti individui sconosciuti e stranidisse uno dei Domashevich; — noi pensammo fossero disertori, ma certamente erano spie.

— Senza dubbio. Ogni giorno strani menestrelli apparivano a Vodokty fingendo chiedere l'elemosina, — aggiunse un altro.

— E che soldati ha questo Kmita?

— Si dice che siano Cosacchi.

— Come ha potuto condurre i Cosacchi così lontano?

— Lo sa Dio.

Pan Kmita si difenderà accanitamente, — osservò uno dei Gostsyevichperchè è un uomo coraggioso e risoluto: ma il nostro colonnello fa il paio con lui.

In quel momento Volodyovski, che cavalcava alla testa, si volse e disse:

Silenzio, signori!

I nobili tacquero, poichè Luybich era in vista. Tutte le finestre erano illuminate, e la luce si spandeva nel cortile, che era pieno di armati e di cavalli. Non una sentinella; nessuna precauzione. Era evidente che Kmita riponeva troppa fiducia nella propria forza. Fattosi più vicino, Pan Volodyovski tosto riconobbe i Cosacchi, contro i quali aveva tanto guerreggiato quando era vivente il grande Geremia, e più tardi sotto Radzivill.

— Se quelli sono Cosacchi, il malandrino ha passato ogni limite, — diss'egli. Quindi si volse e diede l'ordine di fermarsi. Nel cortile regnava un gran trambusto; alcuni Cosacchi reggevano delle torcie; altri correvano in tutte le direzioni, entrando ed uscendo dalla casa, trasportando masserizie e oggetti d'ogni fatta, che caricavano sui carri: altri conducevano i cavalli dalle stalle. Era un vociare, uno schiammazzare, un succedersi di comandi, che s'incrociavano in ogni senso.

Cristoforo, il più vecchio dei Domaschevich, si accostò a Volodyovski, e disse: — Vogliono portar via tutta Lyubich, a quanto pare.

— Non porteranno via Lyubich e neppure la loro pellerispose Volodyovski. — In verità non riconosco più Kmita, che è un soldato esperto. Non vi è una sentinella. È questa l'unica via che conduce alla casa?

Unica e sola, perchè dal lato opposto vi sono soltanto stagni e pantani.

— Tanto meglio, smontate!

I nobili obbedirono. La retroguardia si dispose in una lunga fila e cominciò a circondare la casa. Volodyovski si avanzò direttamente verso la porta.

Attenti! — diss'egli sottovoce; — aspettate l'ordine e non fate fuoco prima.

I nobili erano poco lontani dalla porta, quando finalmente furono veduti da quelli che si trovavano nel cortile. Alcuni uomini si slanciarono fuori e gridarono in tono di minaccia: — Ehi! Chi va ?

Nel medesimo istante Volodyovski gridò: — Fuoco!

Lo sparo di tutti i fucili risuonò in un sol colpo. Ma non si era ancora dileguato il fumo, quando la voce. di Volodyovski gridò di nuovo: — All'assalto!

A tale comando gli uomini di Lauda si precipitarono innanzi come un torrente impetuoso.

I Cosacchi risposero, ma non ebbero tempo di ricaricare. I nobili si spinsero tutti uniti contro il cancello, che ben presto cedette e cadde. Una terribile lotta s'impegnò nel cortile. I Butrym, i più fieri nei conflitti a corpo a corpo ed i più irritati contro Kmita, si avanzarono su una sola linea. S'avventarono sul nemico, calpestandolo e trucidandolo senza misericordia. Dopo i Butrym venivano i Domoshevich ed i Gostsyevich.

I Cosacchi di Kmita si difendevano valorosamente. Incominciarono anch'essi a far fuoco da tutte le finestre della casa e dal tetto, ma di rado, perchè le lampade si spegnevano ed era difficile distinguere i loro dai nemici. Dopo qualche tempo si cominciarono ad udire delle voci che chiedevano pietà. I nobili avevano trionfato.

Abbattete le porte! — gridò Volodyovski.

Ma ciò non era tanto facile, perchè erano fatte di legno di quercia massiccia ribadite con grossi chiodi, contro i quali le scuri si rompevano senza nulla rompere. I più forti si provarono a più riprese a scuoterle con formidabili colpi di spalla, ma invano. Quelle porte erano assicurate all'interno con spranghe di ferro e puntelli fortissimi.

Dopo un'ora di vani sforzi, gli uomini che maneggiavano le ascie dovettero essere rilevati. Erano bensì cadute delle scheggie e si era formata qualche apertura, ma in quelle apparvero altrettante bocche di fucili e di tromboni. Echeggiarono alcuni spari. Due dei Butrym caddero col petto squarciato. Tuttavia gli assalitori continuavano a colpire le porte con maggior furia. Ad un tratto si udì lo strepito di nuova gente che sopraggiungeva dalla strada. Erano gli Stakyan, che venivano in soccorso dei loro fratelli, seguiti dai contadini di Vodokty, armati sino ai denti. La venuta di questi rinforzi sgomentò evidentemente gli assediati, poichè subito si udì dall'interno una voce, che gridava:

Fermatevi! Ascoltate, per mille diavoli! Discorriamo.

Volodyovski diede ordine di sospendere l'assalto, poi domandò: — Chi parla?

— Il porta bandiera di Orsha, Kmita. E con chi parlo?

— Col colonnello Michele Volodyovski.

— M'inchino a voi.

— Non è il momento di fare complimenti. Che cosa volete?

— Mi pare che stia a me di domandare che cosa volete voi. Io non vi conosco, voi conoscete me. Perchè venite ad assalirmi?

Traditore! — gridò Volodyovski. Son qui con me gli uomini di Lauda, ritornati testè dalla guerra, e vi chiedono conto delle rapine da voi commesse a loro danno, del sangue versato e della donzella che avete rapito. Sapete voi quel che vuol dire un raptus puellae? Ma ora pagherete ogni cosa con la vostra vita.

Seguì un breve silenzio.

Se non ci fosse questa porta di mezzo, non mi chiamereste traditore una seconda volta, — disse Kmita.

— Potete ben aprirla la porta. Perchè non l'aprite? Chi ve lo impedisce?

— Prima che io apra più di un uomo di Lauda morderà la polvere. Voi non mi avrete vivo.

— Allora vi trascineremo fuori morto. Per noi fa lo stesso.

Ascoltami bene. Se voi non ci lasciate andare, farò saltare la casa, e con essa tutti quelli che vi si trovano. Avanti dunque, venite a prendermi, se l'osate.

Questa volta il silenzio durò più a lungo. Invano Volodyovski cercava una risposta. I nobili si guardavano in preda ad un evidente sgomento. Le parole di Kmita risuonavano con sì fiera energia, che la terribile minaccia non venne messa in dubbio da nessuno. Insistendo nel fiero assalto essi avrebbero cagionato l'irreparabile perdita di Panna Billevich.

— Per mille trombe! — esclamò uno dei Butrym, — colui è un forsennato. Egli è capacissimo di fare ciò che ha detto.

— V'è un altro mezzo, — gridò ad un tratto Volodyovski. — Battetevi con me, traditore! Se voi mi vincerete potrete andarvene libero ed in pace.

Altro silenzio prolungato. I cuori degli uomini di Lauda battevano con trepidanza.

Datemi la vostra parola di cavaliere, che io potrò andarmene liberamente ed io mi batterò con voi, — replicò alfine Kmita.

— È impossibile! — gridarono in coro i Butrym.

Tacete per mille diavoli! — urlò Volodyovski — volete dunque ch'egli ci faccia saltare in aria tutti quanti?

I Butrym tacquero. Dopo un momento uno di loro disse: — Ebbene! fate come volete.

— Dunque che cosa decidiamo? — domandò Kmita in tono beffardo. — Acconsentite o no?

— Sì, — rispose Volodyovski, — vi la mia parola, e questi nobili lo giureranno sulle loro spade. Ed alzando la voce, soggiunse in mezzo ad un silenzio sepolcrale:

— Vi chiamo tutti in testimonio che ho sfidato Pan Kmita, il porta-bandiera di Orsha, a singolar tenzone, ed ho giurato che, se egli mi vince, potrà andarsene da qui liberamente, senza ostacolo da parte vostra. Giuratelo anche voi sulle vostre spade e nel nome di Dio o della Santa Croce.

Intendiamoci, — grido Kmita. — Uscirò liberamente con tutti i miei uomini e conducendo meco la signora.

— La signora rimarrà qui, — rispose Volodyovski — e gli uomini resteranno prigionieri dei nobili.

— Ciò non può essere.

— Allora fate pure saltare la casa.

Seguì di nuovo un lungo silenzio.

— Ebbene, sia! — disse alfine Kmita. — Se non la prendo oggi la prenderò fra un mese. Voi non potrete nasconderla sotto terra! Giurate!

Giurate! — ripetè Volodyovski rivolgendosi ai nobili.

— Lo giuriamo! — essi gridarono all'unissono.

Le sbarre di ferro, che sostenevano internamente la porta vennero tolte. Volodyovski indietreggiò, e altrettanto fecero i nobili. Bentosto la porta si aprì. Pan Andrea s'avanzò col suo incesso imponente, alto e diritto come un pioppo.

L'alba era presso ad apparire, e il primo pallido raggio del giorno rischiarò quel nobile e fiero volto giovanile. Egli si fermò sulla soglia, e fissando arditamente lo sguardo sulla schiera dei nobili, disse:

— Io ho posto fidanza in voi. Se ho fatto bene, lo sa solo Iddio: ma non parliamo di questo. Chi fra voi è Pan Volodyovski?

Il piccolo colonnello mosse innanzi qualche passo e disse:

— Sono io!

— Per mille diavoli! non siete un gigante, — esclamò Kmita in tono ironico. — Mi aspettavo di vedere una figura più imponente, benchè debbo confessare che mi sembrate un soldato molto esperto.

— Non posso dire altrettanto di voi, perchè avete trascurato di mettere le sentinelle. Se voi valete altrettanto alla sciabola quanto nel comandare, avrò ben poco da fare per vincervi.

Dove ci batteremo? — domandò Kmita.

— Qui. Il cortile è piano come una tavola.

Accetto! preparatevi a morire.

— Ne siete tanto sicuro?

— Si vede bene che non siete mai stato a Orsha! Non solamente ne sono sicuro, ma me ne dispiace, poichè ho sentito dire che siete un valorosissimo soldato. Quindi per l'ultima volta vi dico: Lasciatemi andare! Noi non ci conosciamo: perchè dobbiamo batterci? Perchè voi mi assalite?

Bando alle ciarle inutili. Mettetevi in guardia, se non volete che io supponga di avere dinanzi a me un codardo.

Codardo sarete voi, — ribattè Kmita, mettendosi in guardia.

I nobili, intanto, formarono silenziosi un cerchio intorno ai due cavalieri. Dietro di loro, si disposero gli altri, curiosi e trepidanti: nel centro gli avversari si misuravano a vicenda cogli occhi. Si fece un profondo silenzio.

Incominciate! — disse Kmita.

Il primo assalto risuonò come un'eco nel cuore di ciascuno degli astanti. Volodyovski, posata la sinistra sull'anca, mantenevasi nella maggior calma, facendo con la massima noncuranza leggerissimi movimenti; pareva che volesse semplicemente difendersi, e nello stesso tempo risparmiare il suo avversario. Talvolta ritraevasi d'un passo, poi si avanzava; sembrava volesse farsi un concetto della valentia di Kmita. Kmita si accalorava: Volodyovski, al contrario, come un maestro in atto di mettere a prova il suo allievo, appariva sempre più freddo e calmo.

Ma ad un tratto descrisse un semicerchio con la sua sciabola, ed in men che non si dice, la sciabola di Kmita volò sopra la testa di Volodyovski e andò a cadere dietro le sue spalle.

— Questo chiamasi «far saltare una spada».

Kmita si fece pallido come un morto, e rimase non meno attonito dei nobili di Lauda.

Il piccolo colonnello si trasse in disparte, e gli disse quasi sorridendo:

Riprendete la vostra sciabola!

Al primo momento parve che Kmita volesse avventarsi su di lui; ma mentre stava per slanciarsi, Volodyovski appoggiò l'elsa della sciabola sul suo petto presentandogli la punta. Kmitaprecipitò innanzi, raccolse la sua sciabola e piombò sul suo avversario.

Un forte mormorio partì dal cerchio degli spettatori, che si strinsero più strettamente intorno ai combattenti. I Cosacchi appoggiavano le loro teste sulle spalle dei nobili come se avessero sempre vissuto nella migliore intelligenza con essi. Tutti ammiravano e riconoscevano nel piccolo colonnello uno spadaccino insuperabile.

Volodyovski continuava a divertirsi crudelmente, come il gatto col topo, e pareva combattere con crescente noncuranza. Kmita mandava schiuma dalla bocca ed ansava pesantemente; alfine disse con voce rauca, che a stento gli usciva dalla strozza:

Finitela! Risparmiatemi almeno la vergogna.

— Sia — rispose Volodyovski.

Nel medesimo istante si udì una specie di fischio, poi un grido soffocato. Kmita aprì le braccia, lasciò cadere la sciabola e precipitò a terra.

Sorse un grido unanime di meraviglia, fra mezzo al quale alcune voci tuonarono: — Finite il traditore! finitelo! Non è morto?

Molti dei Butrym accorsero con le sciabole sguainate. Ma d'improvviso avvenne una cosa stupefacente, per cui si sarebbe detto che in quel momento il piccolo Volodyovski ingigantiva dinanzi agli occhi degli astanti. La sciabola di colui fra i Butrym che stava più vicino al colonnello gli venne fatta saltare di mano, e Volodyovski gridò con occhi fiammeggianti:

Indietro! indietro! Oramai egli è mio, non vostro! Indietro!

Tutti tacquero, temendo la collera di quell'uomo. Ed egli disse:

— Io non voglio carneficine. Voi siete nobili, dovreste conoscere le regole cavalleresche, che inibiscono di malmenare un ferito. Questo non lo fanno neppure i nemici: e dovrà un uomo uccidere l'avversario che gli cade prostrato dinanzi?

— Egli è un traditore! — mormorò uno dei Butrym. — Uccidere un tal uomo non è un delitto!

— Se è un traditore, sarà consegnato al Capitano generale e subirà la sua giusta punizione. Ma vi ripeto ch'egli è ormai cosa mia, non vostra. Ch'egli guarisca, e voi sarete in diritto di esporre le vostre ragioni davanti ad una Corte di giustizia, vi sarà difficile ottenere soddisfazione da un uomo vivo, mentre non potreste ottenerla da un morto. V'è qui qualcheduno che sappia curare i feriti?

Cristiano Domashevich. Egli li ha curati per molti anni in Lauda.

— Ebbene, che medichi tosto quest'uomo; lo ponga a letto, ed io andrò intanto a confortare la sventurata Panna Billevich.

Così dicendo, Volodyovski rimise la spada nel fodero. I nobili si impadronirono e legarono gli uomini di Kmita, i quali in seguito sarebbero stati adibiti ai lavori campestri. Costoro si arresero senza opporsi, ad eccezione di pochi, già fuggiti per le finestre posteriori della casa. Nello stesso tempo una parte dei nobili piombò sui carri nei quali trovarono ricco bottino. Taluni avrebbero voluto porre a sacco la casa, ma ebbero timore di Pan Volodyovski, e forse la stessa presenza di Panna Billevich li trattenne. In quanto ai loro morti, fra cui tre Butrym e due Domashevich, i nobili ebbero cura di adagiarli nei carri per poi seppellirli secondo i riti cristiani. Ordinarono poscia ai contadini che scavassero fosse dietro il giardino pei morti di Kmita.

Per trovare Panna Alessandra, Volodyovski dovette attraversare tutta la casa, e finalmente la trovò nella camera detta «del tesoro» alla quale si accedeva passando un'angusta porta aperta in un angolo della camera da letto. Era una piccola camera con finestre solidamente sbarrate. Vedendo i muri massicci, Volodyovski comprese tosto, che, quand'anche fosse stata minata la casa, quella cameretta non avrebbe sofferto alcun danno. Questa circostanza fece sì che il colonnello si formò un migliore concetto di Kmita.

La «signora» stava seduta sopra una cassa in atteggiamento accasciato. Ella non sollevò il capo udendo venire il cavaliere. Senza dubbio credeva che fosse Kmita o alcuno della sua gente. Pan Volodyovski si soffermò sulla soglia, tossì una volta, poi una seconda, e alla fine disse:

Signora, voi siete libera.

Allora ella si mosse, e due occhi cerulei si fissarono sul cavaliere, splendenti in un bel volto, pallido e smarrito. Volodyovski si aspettava uno slancio di riconoscenza da parte della fanciulla: ma ella rimase immota, come inconscia, continuando a guardarlo. Il cavaliere ripetè:

Signora! Iddio ha protetto l'innocenza. Voi siete libera, voi potete ritornare a Vodokty.

Questa volta un lampo d'intelligenza apparve negli occhi di Panna Billevich. Ella, si alzò e domandò: — Chi siete?

— Sono Michele Volodyovski, colonnello dei dragoni, aggregato al Voivoda di Vilna.

— Quello che ho udito è forse il frastuono di una lotta?

— Sì, signora. Noi siamo accorsi per salvarvi.

Ella risensò completamente.

— Vi ringrazio, — disse sottovoce. — Ma di lui che

avvenne?

Parlate di Kmita? Non temete, signora! Egli giace inanimato giù nel cortile, e, senza vanto, per opera mia.

Volodyovski pronunciò queste parole con un certo accento alquanto orgoglioso, ma se si aspettava qualche lode s'ingannava. La donzella non disse verbo; anzi, barcollò, e cercò con le mani un appoggio. Finalmente si lasciò cadere sulla cassa dove prima stava seduta.

Il cavaliere corse tosto a lei.

— Che avete, signora?

— Nulla, nulla! — ella rispose con voce rauca. E soggiunse: — Pan Kmita è dunque morto?

— Che m'importa di Pan Kmita? — esclamò Volodyovski. — Ora si tratta di voi.

A tali detti Panna Alessandra ricuperò le forze; si rialzò, e guardando fisso negli occhi il cavaliere, si diede a gridare con collera, impazienza e disperazione:

Rispondetemi, in nome di Dio! È egli morto?

Pan Kmita è feritorispose Volodyovski attonito.

Vive?

Vive.

— Vi ringrazio.

E con passo incerto mosse verso la porta. Volodyovski stette a guardarla stupefatto crollando il capo, e mormorò fra :

— Mi ringrazia perchè Kmita è ferito, o perchè è vivo?

Seguì Olenka, e la raggiunse nell'attigua stanza da letto, dove stava ferma, come pietrificata.

Quattro nobili vi giungevano in quel momento, portando sopra una barella il ferito. Entrarono nella carnera, e deposero sul letto Pan Andrea che pareva morto.

Immediatamente Panna Alessandra si fece innanzi, pallida come lo stesso Kmita, e si chinò premurosamente sul ferito.

— Voi siete Panna Billevich? — le chiese Cristiano Domashevich.

— Sì. Ve lo raccomando! — ella rispose con un filo di voce.

Volodyovski guardava ed ascoltava, invaso da un certo senso di collera.

Intanto Cristiano Domashevich cominciò a lavare la ferita; poi vi applicò un cerotto che portava sempre con , e disse:

Ora lasciatelo in perfetta quiete.

Poi, rivolgendosi a Olenka, che lo aveva aiutato a medicare la ferita: — Voi avete buon cuore, — le disse, poichè non avete ribrezzo del sangue di quest'uomo.

Ella non rispose, impallidì, ed i suoi occhi mutarono espressione.

— Non c'è nulla a fare per voi qui, o signora, — le disse Volodyovski. — Voi avete compiuto un atto di carità cristiana verso un nemico: ora lasciate questa camera. E nel dire così le offrì il braccio.

Ma ella, senza guardarlo, si volse a Cristiano Domashevich, dicendogli:

Pan Kryshtot, accompagnatemi.

Uscirono insieme, e Volodyovski li seguì. I nobili nel cortile, al vederla si fecero ad acclamarla, gridando: — Evviva! — Ma ella passò oltre, pallida, barcollante, con le labbra strette e gli occhi accesi.

Lunga vita alla nostra signora! Lunga vita al nostro colonnello! — gridarono alcune voci stentoree.

Un'ora dopo Volodyovski, alla testa de' suoi uomini, faceva ritorno al villaggio. Era una mattinata deliziosa, foriera di una splendida giornata; una vera mattinata primaverile. Gli uomini di Lauda marciavano in disordine lungo la strada maestra, discutendo gli eventi della notte, e portando alle stelle Volodyovski; ma egli cavalcava concentrato e silenzioso. Quegli occhi cerulei che lo avevano fissato per alcuni istanti non poteva dimenticarli.

— Quella fanciulla è una vera meraviglia di bellezza che non si può contemplare senza rimanere incantati, — pensava fra . — Io le ho salvato l'onore, e certo anche la vita; poichè, quand'anche la polvere non avesse fatto saltare in aria la stanza' del tesoro, ella sarebbe morta dallo spavento. Dovrebbe pur essermene grata! Andate a comprendere i misteri di un cuore di donna! Mi guardava invece come se fossi un misero servo. Era alterigia? Era perplessità?

              


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