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Tormentato da tali pensieri, Volodyovski non potè chiudere occhio tutta la notte. Per molti giorni ancora egli pensò a Panna Alessandra, e si accorse ch'ella aveva prodotto su di lui una profonda impressione. D'altra parte i nobili di Lauda non avevano abbandonato il progetto di matrimonio. La donzella, è vero, aveva rifiutato il colonnello, ma allora non si conoscevano. Ora la cosa era alquanto differente. Egli l'aveva cavallerescamente strappata dalle mani di un uomo violento, e l'aveva, per così dire, conquistata, come si conquista una fortezza. Dunque a chi appartiene ella se non a lui? Non potrebbe darsi che un principio di affezione si fosse insinuato in quel cuore per la via aperta dalla gratitudine?
Qui la memoria del colonnello rivide una lunga schiera di donne per le quali aveva sospirato. Fra quelle ve n'erano state di bellissime e nobilissime, ma non ne ricordava una sola, che per grazie e distinzione potesse stare al pari di Panna Billevich.
— Perchè indugiare? — soggiunse mentalmente. — Che cosa potrò trovare di meglio? Andiamo! Tenterò.
Mah! ma anche la guerra, era vicina! Il braccio era perfettamente guarito. Era una vergogna per un cavaliere il pensar a siffatte cose mentre la patria era in pericolo.
La questione presentava, inoltre, un altro lato scabroso. Che impressione avrebbe egli fatto sull'animo della nobile donzella presentandosele così subito dopo i recenti avvenimenti, come un creditore importuno che vuol essere pagato ad usura e con la massima sollecitudine?
Dopo tanto fantasticare, Volodyovski si trovò dunque nel medesimo stato di perplessità ed incapace a prendere una risoluzione. Macchinalmente prese il suo berretto, se lo pose in capo e uscì per godere il calore del sole primaverile. Giunto sulla soglia s'imbattè in uno degli uomini di Kmita fatti prigionieri, che nella divisione del bottino erano toccati al vecchio Pakosh. Il Cosacco stava riscaldandosi al sole e suonava un istrumento chiamato «bandura.»
— Che fai qui? — gli domandò Volodyovski, soddisfatto di trovare un diversivo alle sue preoccupazioni.
— Suono, — rispose il Cosacco arditamente.
— Di dove sei?
— Di Vialha.
— Perchè non fuggi come gli altri tuoi camerati?
— Preferisco morir qui come un cane.
— Ci stai tanto volentieri qui?
— Fui ferito alla gamba, e la figlia del vecchio cavaliere mi curò, e mi disse parole tanto gentili. Non ho mai veduto una ragazza così bella. Perchè dovrei andar via?
— Qual'è che ti piacque tanto?
— Mariska.
— Dunque tu vuoi rimanere qui?
— Se muoio mi porteranno via; ma fin che vivo vi rimango.
— Speri di ottenere in isposa la figlia di Pakosh?
— Non saprei.
— Egli ti ucciderebbe piuttosto che darti sua figlia.
— Io ho dell'oro sepolto nei boschi, — disse il Cosacco — due borse.
— Quand'anche tu possedessi un sacco d'oro, sarai sempre un contadino, e Pakosh è un nobile.
— Io sono un boiardo.
— Se tu sei tale sei un traditore. Come hai potuto indurti a servire il nemico?
— Io non ho servito il nemico.
— E dove Pan Kmita ha trovato te e i tuoi fratelli?
— Sulla strada. Io servivo sotto gli ordini del vice Capitano generale, ma lo squadrone fu fatto a pezzi. Non avevo nessun motivo di rimpatriare, perchè la mia casa è stata bruciata. Gli altri si diedero alla strada ed al furto, ed io seguii il loro esempio.
Volodyovski rimase oltremodo meravigliato.
— Sicchè Pan Kmita non ti prese da Trubetskoi?
— La più parte degli altri avevano servito prima con Trubetskoi e Hovanski, ma erano disertati e si eran dati alla strada.
— Perchè avete seguito Pan Kmita?
— Perchè egli è un gran capitano, e perchè ci dissero che i talleri piovevano dalle sue mani.
Volodyovski ricominciò a pensare, e si disse che Pan Kmita era stato ingiustamente diffamato. Poi, fissando il Cosacco, riprese a dire:
— Dunque tu sei innamorato di Maryska.
— Oh! molto.
Volodyovski passò oltre; e cammin facendo pensava: — Colui è un uomo risoluto. Egli non si tortura il cervello a forza di dubbi. È innamorato e non si cura d'altro. D'altronde, se è davvero un boiardo, è del medesimo rango di questi nobili. Il vecchio Pakosh gli darà forse Maryska. E perchè? perchè non tentenna come faccio io. Ebbene, seguirò il suo esempio.
Così pensando, Volodyovski continuò a camminare sotto la sferza del sole, ripetendo fra sè:
Finalmente si decise e ritornò sui suoi passi. Giunto presso alle stalle, s'imbattè nei suoi due servi che stavano giocando ai dadi.
— Sellate il mio cavallo e vestitevi decentemente, — comandò loro Volodyovski.
Poi entrò frettolosamente in casa, onde indossare anch'egli abiti più convenienti. Infilò degli stivaloni gialli con speroni dorati, e rivestì un'uniforme rossa nuova fiammante. In capo si pose un berretto fatto di pelo di lince sormontato da una piuma d'airone. Non appena ebbe terminato d'abbigliarsi, lasciò la sua camera ed uscì per salire a cavallo. Sotto il portico trovò il vecchio Pakosh che gli chiese dove andava.
— Dove vado! Bisogna ben che vada a domandare alla signora di Vodokty come sta, altrimenti mi crederebbe uno screanzato.
— Vostra Grazia splende come un sole. A meno che la «signora» non abbia occhi, s'innamorerà subito di voi.
Quando giunse a Vodokty, Panna Alessandra non lo riconobbe subito, ed egli dovette ripeterle il suo nome. Ella lo salutò cordialmente, ma con un certo ritegno. Pan Michele aveva sempre vissuto nelle case dei grandi, e perciò si contenne in modo inappuntabile. S'inchinò rispettosamente dinanzi alla donzella, e, con una mano sul cuore, le disse:
— Sono venuto, o mia signora, per chieder nuove della vostra salute, e per domandarvi se non avete troppo sofferto in conseguenza dello spavento patito. Avrei dovuto venire prima, ma ho preferito non darvi disturbo.
— Siete ben gentile di esservi ricordato di me, — replicò Olenka. — Non dimenticherò mai che mi avete salvata da un grande pericolo. Siate il benvenuto, sedete.
— Signora, — rispose Volodyovski, — se io vi avessi dimenticata, non avrei meritato la grazia concessami da Dio, permettendomi di porgere aiuto a sì degna persona.
— Sono io che debbo ringraziare Dio, e poi voi.
— Ringraziamolo adunque insieme, poichè questo solo gli domando, che mi conceda sempre di difendervi ogni qualvolta occorra.
La fanciulla tacque e parve alquanto imbarazzata da quelle parole, che svelavano chiaramente i sentimenti del suo visitatore. Un lieve rossore tinse le sue gote ed ella abbassò i suoi begli occhi.
— Questa confusione è un buon segno, — pensò Volodyovski; e dopo aver tossito due o tre volte, soggiunse:
— Voi sapete, suppongo, che io ho comandato gli uomini di Lauda dopo vostro nonno?
— Lo so, — rispose Olenka. — Il mio avo non potè prender parte all'ultima campagna, ma egli fu assai contento allorchè seppe a chi il Voivoda di Vilna aveva affidato il comando, perchè vi conosceva, per fama, come un valoroso ed esperto soldato.
— Egli disse questo?
— Io stessa l'ho udito spesse volte lodarvi ed ammirarvi, ed ho udito cantare le vostre lodi da tutti gli uomini di Lauda dopo le ultime guerre.
— Io sono un semplice soldato, non degno di tali lodi. Ma mi è caro di non essere uno sconosciuto per voi piovuto qui quasi dalle nubi.
— Il vostro nome è troppo conosciuto, — replicò Olenka, — perchè una simile idea possa nascere nella mia mente a vostro riguardo. In Lituania vi sono diverse case che portano il vostro nome.
— Ma essi recano lo stemma degli Ossorya, mentre io sono un Korchak Volodyovski; noi deriviamo dall'Ungheria, da un cavaliere, chiamato Attila, il quale trovandosi inseguito dai nemici, fece voto alla Santa Vergine che si sarebbe convertito dal Paganesimo alla religione cristiana, se avesse potuto uscirne vivo. Egli adempì il suo voto, dopo aver felicemente attraversato tre fiumi, i quali vedonsi appunto sul nostro stemma.
— Dunque la vostra famiglia non è di queste parti?
— No, signora: io provengo dall'Ucrania, dai Volodyovski di Russia, e colà possedevo dei villaggi, che furono occupati dal nemico; ma io servo nell'esercito sino dall'adolescenza, pensando meno alle mie terre che ai danni inflitti al nostro paese dallo straniero. Ho servito sotto il comando del Voivoda di Rus e del nostro compianto Principe Geremia, col quale ho combattuto in tutte le sue guerre. Fui a Mahnovka e Constantinoff; soffersi la fame a Zharaj, e dopo Berestechko, il nostro grazioso Sovrano mi strinse la testa fra le sue mani. Dio mi è testimonio, che io non sono venuto qui per vantare le mie gesta; voglio soltanto che voi sappiate, o signora, che la mia vita è passata tutta in un'onorata attività, e che la mia coscienza non si è mai macchiata di alcuna indegna azione.
— Fossero tutti come voi, — disse Olenka sospirando.
— Certamente voi pensate in questo istante a quell'uomo che osò stendere le sue sacrileghe mani su di voi?
Panna Alessandra chinò gli occhi a terra e non rispose.
— Egli ha ricevuto il compenso dei suoi misfatti, — continuò Volodyovski. — Quantunque si dica ch'egli guarirà, pure non isfuggirà alla meritata pena. Tutta la gente onesta lo condanna, più di quanto si merita, a dire il vero, perchè dicono, ch'egli abbia ricorso al nemico per ottenere un rinforzo, il che è falso, giacchè quegli uomini coi quali vi rapì, non provenivano dal campo nemico, ma erano stati da lui incontrati sulla strada maestra.
— Come sapete voi ciò? — domandò la donzella, sollevando i suoi occhi azzurri su Volodyovski.
— Dagli stessi Cosacchi. È un uomo sorprendente quel Kmita; perchè, quando io lo accusai di tradimento prima del duello, egli non protestò, sebbene la mia accusa fosse ingiusta: ciò dimostra in lui un orgoglio immenso.
— E avete voi detto a tutti ch'egli non è un traditore?
— Ora che lo so, non mancherò di dirlo ovunque. Sarebbe una viltà il lasciar sussistere cotale calunnia anche contro il più acerrimo nemico.
Gli occhi di Panna Alessandra si fissarono di nuovo sul piccolo cavaliere con un'espressione di simpatia e gratitudine.
Il cuore di Volodyovski palpitò di gioia. — All'opera, mio caro Michele! — disse a sè stesso mentalmente. Poi, rivolgendosi alla donzella, soggiunse: — Io biasimo il metodo di Pan Kmita, ma non mi meraviglio ch'egli abbia tentato di rapirvi. Fu la disperazione che lo trascinò a quegli eccessi, e ve lo spingerebbe una seconda volta, ove se ne presentasse l'occasione. Voi non potete rimaner sola e senza protezione con la vostra bellezza. Vi sono altri uomini oltre Kmita nel mondo: voi susciterete altri ardori, e il vostro onore si troverà esposto a nuovi pericoli. Iddio mi ha degnato una volta del favore di potervi liberare, ma chi veglierà su di voi quando sarò lontano? Mia graziosa signora, si accusano i soldati d'incostanza ma ingiustamente. Il mio cuore non è di sasso, e non può rimanere indifferente dinanzi a sì impareggiabile bellezza.
Così dicendo, Volodyovski cadde ai piedi di Olenka, e proseguì con enfasi:
— Graziosa signora, io ho ereditato dal vostro avo il comando; permettete che io erediti anche la nipote. Concedetemi l'onore di essere il vostro protettore per tutta la vita, perchè, pur recandomi in guerra, il mio nome istesso vi difenderà.
La donzella balzò in piedi col massimo stupore dipinto in volto. Ma egli continuò:
— Io sono un povero soldato, ma sono nobile e uomo d'onore. Vi giuro che sul mio scudo e sulla mia coscienza non vi è macchia. Forse vi sembro troppo ardito in questo momento: ma vogliate considerare che la patria mi chiama e che presto dovrò forse partire. Non mi confortate voi? Non mi direte una buona parola?
— Voi chiedete una cosa impossibile, — rispose Olenka, con trepidanza.
— Ciò dipende unicamente dalla vostra volontà.
— Appunto per tale ragione vi ripeto che è impossibile, — ribattè la fanciulla. — Vi devo molto, non lo nego; ed io sono pronta a concedervi tutto, eccettuato la mia mano.
Pan Volodyovski si alzò in piedi.
— È questa la vostra ultima parola? — diss'egli.
— Ultima ed irrevocabile!
— Forse la troppa premura...? Datemi qualche speranza.. — soggiunse Pan Michele.
— Non posso, non posso!
Il piccolo cavaliere non insistette altrimenti; quel rifiuto così reciso lo aveva offeso profondamente.
— Voi mi disdegnate, — diss'egli, — ed io esco da questa casa come vi sono entrato, salvo che non vi riporrò mai più il piede! Siate felice, sia pure con Kmita, giacchè forse voi mi serbate rancore perchè io ho posto una spada fra voi e lui.
Olenka si strinse il capo nelle mani, e ripetè più volte:
Ma questo impeto di dolore non impressionò Volodyovski, il quale, com'ebbe salutata con un rapido inchino la donzella, si allontanò col volto accigliato, inforcò il suo cavallo, e se ne andò ripetendo ad alta voce:
— Non porrò mai più il piede in quella casa.
Strada facendo principiò di nuovo a fantasticare ed a brontolare fra sè, lagnandosi amaramente dell'ingiustizia umana e del suo proprio destino, quando il suo servo Syruts lo distolse finalmente dai suoi penosi pensieri: gli si avvicinò e disse:
— Vostra Grazia mi scusi, ma là sulla collina vedo Pan Kharlamp, che cavalca alla nostra volta con qualcun altro.
— Vedo bene due uomini a cavallo, ma Pan Kharlamp è rimasto col principe Voivoda di Vilna. Come lo riconosci tu così da lontano?
— Dal suo cavallo. Quel cavallo è conosciuto da tutto l'esercito.
Volodyovski spronò il suo destriero, gli altri fecero altrettanto, e ben presto il piccolo cavaliere si persuase che il sopravvegnente era proprio Pan Kharlamp.
Pan Kharlamp era luogotenente d'uno squadrone di cavalleria leggera nel distretto di Lituania ed un vecchio amico di Volodyovski. Una volta, lui e il piccolo cavaliere avevano avuto un'aspra contesa; ma poi, servendo uniti, divennero a poco a poco teneri amici. Volodyovski gli si slanciò incontro, ed aprendo le braccia, gridò:
— Come va mio caro? Donde vieni?
L'ufficiale si precipitò nelle braccia del colonnello, lo salutò festosamente, e gli disse poi:
— Vengo da te con un incarico e con denaro.
— Da parte di chi?
— Del principe Voivoda di Vilna. Egli t'incarica di dar subito principio ad una leva. Ho pure un incarico per Pan Kmita, il quale dev'essere appunto da queste parti.
— Anche per Pan Kmita? Come possiamo fare insieme due leve nello stesso distretto?
— Egli dovrà andare a Troki e tu resterai qui.
— In che modo sapesti dove potevi trovarmi?
— Io venni con informazioni sicure, — replicò Pan Kharlamp. — Il principe in persona ha fatto ricerca di te. Tu godi il suo favore, ed egli dice che dal Principe Geremia ha ereditato il più valoroso cavaliere dell'esercito.
— Possa egli ereditare i guerreschi successi di Geremia! — esclamò Pan Michele. — Mi accingerò immediatamente all'opera. Qui non v'è penuria d'uomini, purchè siavi tanto da poter fornire loro un approvvigionamento. Hai tu portato molto denaro?
— Dunque tu ci sei già stato?
— Ho qui una lettera privata del Voivoda per te — riprese a dire Pan Kharlamp, senza rispondere alla domanda del suo amico; e nel dire così trasse di tasca una lettera, col piccolo suggello dei Radzivill. Volodyovski l'aprì e lesse:
Valoroso colonnello Volodyovski.
«Conoscendo il vostro sincero desiderio di servire il Paese, vi trasmetto l'ordine di fare una leva, ma non di quelle che si fanno ordinariamente, bensì con la massima sollecitudine perchè «periculum est in mora». Occorre che il nuovo squadrone sia pronto per la campagna alla fine di luglio. Non sappiamo se vi riescirà di trovare costì buoni cavalli, specialmente con lo scarso denaro che vi mandiamo, non avendo potuto ottenere di più dal vice-tesoriere, il quale, dopo le ultime vertenze, ci è poco amico. Darete metà di questo denaro a Pan Kmita, per il quale Pan Kharlamp ha pure un incarico. Abbiamo sentito parlare delle violenze da lui commesse in Upita, perciò sarà meglio che voi riteniate la lettera a lui diretta, finchè abbiate potuto giudicare voi stesso, se sia conveniente o no di rimettergliela. Nel caso voi trovaste le accuse contro di lui troppo gravi ed infamanti, riterrete la lettera, perchè noi temiamo che i nemici nostri (fra i quali stanno in prima linea il vice-tesoriere ed il Voivoda di Vityebsk), possano suscitare proteste contro di noi, ed incolparci di commettere tale delicate funzioni a persona indegna. Ma nel caso contrario, consegnerete la lettera a Pan Kmita, lasciando ch'egli approfitti dell'occasione che gli si offre, per riparare alle sue mancanze con lo zelo e la fedeltà nel servizio, non dovendo egli più comparire dinanzi a nessuna Corte, perchè egli appartiene alla nostra giurisdizione, e noi soli abbiamo diritto di giudicarlo. Ponete ogni possibile diligenza nel disimpegno dell'incarico che vi affidiamo, giustificando la fiducia da noi riposta nella vostra saggezza e fedeltà.»
Principe di Birji e Dubinki, Voivoda di Vilna.
Quando il piccolo cavaliere ebbe finito di leggere, si volse a Pan Kharlamp, e disse:
— Saprò mostrarmi degno della fiducia che il principe Voivoda ripone in me. Mi porrò all'opera col massimo zelo perchè io stesso ho premura. Lasciami la lettera diretta a Kmita, io gliela comunicherò. Viene in buon punto.
La nuova della leva si sparse velocemente per tutto il villaggio ed in quelli vicini. Il movimento si estese dappertutto, quantunque molti fossero conturbati, pensando che avrebbero dovuto porsi in marcia alla fine di luglio, prima della mietitura. Molti Butrym, Stakyan e Domashevich si recarono a Patsuneli da Pan Michele. Cominciarono ad incitarsi, a mostrare grande entusiasmo, a minacciare il nemico, ed a ripromettersi una sicura vittoria. Soltanto i Butrym tacevano, ma quel loro silenzio non si prendeva da nessuno in mala parte, sapendo per esperienza, che tale era la loro abitudine, e che essi sarebbero accorsi come un sol uomo. Nessuno parlava di Pan Kmita e di Panna Alessandra, ma soltanto della futura campagna. Volodyovski pure dimenticò affatto Olenka ed il suo rifiuto, e si diede a meditare seriamente su ciò che dovrebbe fare riguardo alla lettera diretta dal Capitano generale a Kmita.