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Per Pan Michele Volodyovski era ormai venuto un tempo di lavoro indefesso. La settimana susseguente alle scene narrate nel capitolo precedente, il colonnello trasferì il suo quartiere generale ad Upita, dove diede mano alla leva. Tale era la riputazione ch'egli godeva in tutta la regione, che i nobili accorsero in gran numero e specialmente gli uomini di Lauda. Quando credette giunto il momento opportuno si recò da Pan Kmita, il quale era in via di guarigione. Kmita riconobbe tosto il visitatore, e impallidì leggermente alla sua vista; ma vedendo un sorriso sulle sue labbra sporse la mano, e disse:
— Vi ringrazio della vostra visita. La vostra cortesia è degna di un compìto cavaliere.
— Sono venuto per chiedervi se mi serbaste rancore, — disse Pan Michele.
— Io non serbo rancore, poichè colui che mi ha sopraffatto non è un uomo comune ma uno schermidore di prima forza.
— E come state ora?
— Sono quasi guarito — replicò Kmita. — Vi farà meraviglia che io non sia morto ed io stesso non so persuadermi della mia guarigione. Quando sarò in grado di lasciare il letto potremo ricominciare se così vi piace.
— Oibò! non sono venuto con tale intenzione.
— O voi siete il diavolo in persona, — riprese a dire Kmita, — o siete un ammaliatore. Dio sa che non ho voglia di vantarmi in questo momento, giacchè vengo dall'altro mondo: ma prima credevo di essere molto forte nella scherma e mi ritenevo insuperabile. Dove e da chi imparaste a maneggiare così bene la sciabola?
— Mio padre fu il mio maestro sino dall'infanzia, replicò Volodyovski, — e mi perfezionai maggiormente servendo sotto il Voivoda di Rus. Ben pochi erano quelli che osavano misurarsi con me.
— Aspettate un momento, — soggiunse Kmita. — Se non erro ho sentito parlare di voi al castello di Radzivill, Voivoda di Vilna. Voi vi chiamate Michele?
— Precisamente.
— Dunque voi siete quello stesso Volodyovski che si dice abbia quasi fatto in due Bogun con una sciabolata?
— Sono io.
— Ebbene, non è vergogna di essere vinti da un uomo come voi. Volesse Iddio che noi fossimo amici! Voi mi chiamaste traditore, ma eravate in inganno.
— Confesso il mio errore, — rispose Volodyovski. — Appresi dai vostri uomini come stavano le cose. Sappiate, che, senza di ciò, non sarei venuto qui.
— Le male lingue mi hanno calunniato e continuano a calunniarmi, — disse Kmita con amarezza. — Confesso che mi sono meritato molti rimproveri, ma gli uomini mi hanno ricevuto così male in questo paese.
— Voi vi pregiudicaste sommamente coll'incendio di Volmontovichi e col ratto di Panna Billevich.
— Ora essi sono tutti intenti ad accusarmi e a denunciarmi, — proseguì Kmita. — Arsi Volmontovichi ed uccisi molta gente, è vero, ma Dio sa se lo feci per capriccio. In quella stessa notte, prima dell'incendio, avevo fatto voto di vivere in pace con tutti questi nobili e di dare soddisfazione alla gente d'Upita, che trattai da vero tiranno. Ritornai a casa mia, e che cosa vi trovai? Trovai tutti i miei camerati barbaramente trucidati. Appena udii che erano stati i Butrym, mi assalì un'indomabile sete di vendetta ed io mi vendicai in modo terribile. E sapete perchè li uccisero? Perchè volevano ballare colle donne dei nobili in un luogo pubblico!
— Mio rispettabile signore, — rispose Volodyovski, — è vero ch'essi agirono crudelmente coi vostri camerati; ma furono i nobili che li uccisero? No; fu la loro cattiva riputazione, poichè, se fossero stati uomini dabbene ed avessero desiderato ballare la cosa non sarebbe andata così.
— Poveri diavoli! — disse Kmita, seguendo il corso dei suoi pensieri. — Quando giacevo qui in preda al delirio della febbre, li vedevo attorniare il mio letto, con i volti deturpati dalle ferite, e li udivo gemere e supplicare; — Yendres! fai dire una messa in suffragio delle nostre anime: noi stiamo fra i tormenti! — Vi assicuro che sentivo rizzarmisi in capo i capelli; mi pareva di soffocare dall'odor di zolfo di cui empivano la stanza.
A queste parole seguì un breve silenzio.
— In quanto al ratto, — continuò Kmita, dovete sapere che ella mi aveva salvata la vita mentre i nobili mi davano la caccia: ma poi mi ordinò di partire e di non comparire più dinanzi ai suoi occhi. Quale altro mezzo mi rimaneva?
— Ad ogni modo fu un agire da Tartaro.
— Voi non sapete che cos'è amore, ed a quale punto di disperazione può arrivare un uomo, quando egli perde ciò che ha di più caro al mondo.
— Io non so che cos'è l'amore? — gridò Volodyovski eccitato. — Fin da quando incominciai a portare una sciabola fui sempre innamorato. Confesso che l'oggetto del mio amore cambiava, perchè non ero mai corrisposto. Se non fosse stato così non si sarebbe trovato un Troilo più fedele di me in tutto il mondo.
— Che amore può esser quello che cambia così facilmente? — disse Kmita.
— Non essendo corrisposto dovevo cambiare per forza. Ma voi, comportandovi come faceste, avete favorito i vostri nemici e siete stato in procinto di perdere la vita, senza contare che pochi giorni fa potevate anche perdere per sempre la donna che amate.
— Che intendete dire? — chiese Kmita vivacemente ponendosi a sedere sul letto. — Che cosa le è accaduto?
— Nulla: se non che un altro uomo ha chiesto la sua mano e voleva ad ogni costo sposarla.
Kmita impallidì orribilmente; i suoi occhi infossati schizzarono fiamme. In un impeto di rabbia fece uno sforzo per alzarsi, indi gridò: — Chi è questo figlio di Satana? Per Dio! ditemelo.
— Io. — rispose Pan Volodyovski.
— Voi? voi? — chiese Kmita attonito. — È possibile?
— È vero.
— Traditore! Questa non è azione da pari vostro, — soggiunse Kmita fremente di sdegno. — Ed ella ha accolto la vostra domanda?
— Ella ha rifiutato recisamente senza indugiare un minuto.
Dopo questa dichiarazione tacquero entrambi. Kmita respirava affannosamente e fissava gli occhi su Volodyovski, il quale disse:
— Voi mi chiamate traditore? Sono io forse vostro fratello o il vostro migliore amico? Ho forse mancato al mio giuramento?
— In ogni caso uno di noi sarebbe di troppo al mondo, — ribattè Kmita a denti stretti. — Se non colla sciabola vi avrei ucciso con la pistola.
— Voi non mi avreste ucciso perchè non avrei acconsentito a battermi una seconda volta con voi, — replicò Pan Michele. — Sapete perchè mi rifiutò?
— Perchè? — chiese Kmita con ansietà.
Era più di quanto potessero sopportare lo forze esauste dell'infermo. La sua testa ricadde sui cuscini, il sudore gli imperlò la fronte, ed egli rimase silenzioso ed immoto.
— Quanto sono debole! — disse dopo breve tratto riavendosi — Ma come potete dire ch'ella mi ama?
— Posso dirlo perchè ho due occhi, e vedo, perchè ho un cervello, e osservo. Appena ricevuta la ripulsa, la luce si fece nella mia mente. Quando, dopo il duello, mi recai a dirle che era libera, perchè vi avevo ferito, invece di mostrarmi gratitudine mi volse le spalle e non si curò affatto di me, mostrandosi, al contrario, assai premurosa per voi; e, finalmente, il modo col quale mi ricevette allorchè mi recai a visitarla, fu per me una vera rivelazione.
— Se tutto ciò è vero, — disse Kmita con debol voce, — non si potrebbe versare miglior balsamo delle vostre parole sulle mie ferite.
— Ma è un traditore, che porge questo balsamo.
— Oh! perdonatemi! Voi mi rendete l'uomo più felice della terra. Dopo ciò che è accaduto non speravo che ella nutrisse ancora desiderio di me.
— Io dissi ch'ella vi ama, non che vi desidera, il che è affatto diverso.
— Se non mi desidera, io mi spezzerò la testa battendola contro il muro.
— Se vi preme sinceramente di farvi perdonare, vi si offre ora un'occasione assai propizia. Fra breve vi sarà la guerra. Voi potete rendere importanti servigi al nostro caro Paese; potete acquistare gloria col vostro valore, e far dimenticare in tal guisa le vostre cattive azioni. Del resto, chi è senza colpe? Ogni uomo ne ha, ma a ciascuno è aperta la via del pentimento e della riparazione. Voi peccaste commettendo delle violenze; offendeste la patria suscitando disordini in tempo di guerra; commetteste ingiustizie contro gli uomini. Ora vi asterrete da tutto ciò e vi conterrete come si conviene ad un cavaliere nobile e leale. Questo è il mezzo migliore e più sicuro, che vi rimane per raggiungere la meta dei vostri desiderii senza che occorra spaccarsi la testa.
Kmita ascoltava attentamente Volodyovski. Finalmente gli disse:
— Voi parlate come il mio migliore amico.
— Io non sono vostro amico, ma neppure vostro nemico, — replicò il piccolo cavaliere. — Se procuro di porvi sul retto cammino, lo faccio essenzialmente per rendere un servigio alla patria, imperocchè so che voi siete un ottimo e valoroso soldato.
— Ma mi sarà concesso di seguire i vostri consigli? osservò Kmita — Non sapete quanti processi mi attendono?.. E ciascuno finirà con una condanna, non ne dubito.
— Ecco qui il rimedio, — disse Volodyovski togliendosi di tasca la lettera diretta a Pan Kmita.
— Una lettera per me! — esclamò l'infermo; — chi la manda?
— Il Capitano generale. Voi non avete bisogno di comparire dinanzi a veruna Corte, perchè siete sotto la sua giurisdizione. Udite ciò che vi scrive il principe Voivoda.
Volodyovski lesse a Kmita la lettera di Radzivill, poi disse:
— Come vedete, stava in mia facoltà di rimettervi o non rimettervi questo scritto e l'ordine che contiene. Ebbene, eccovi la lettera.
Kmita non disse nulla al momento; lasciò ricadere la testa sui guanciali e rimase immobile, con gli sguardi fissi dinanzi a sè. Ad un tratto gli si inumidirono gli occhi, e, fenomeno affatto nuovo, due lagrime tremolarono sulle palpebre di Pan Kmita.
— Voi siete l'uomo più nobile e generoso che esista sulla terra, — egli esclamò alfine con voce profondamente commossa. — Un altr'uomo, al vostro posto, si sarebbe vendicato aspramente su di me pel rifiuto ricevuto da Olenka; voi invece mi porgete la mano, e mi fate quasi resuscitare dalla tomba.
— Agisco così perchè non voglio sacrificare al mio interesse personale la patria, alla quale voi potete rendere grandi servigi.
— Ognuno dovrebbe prendere esempio da voi, — soggiunse Kmita. — Porgetemi la mano. Mi conceda Iddio di potervi contraccambiare come lo meritate, giacchè oramai io sono legato a voi per la vita e per la morte.
— Bene bene, di questo ne parleremo in seguito, — replicò Pan Michele. — Non pensate ormai ad altro che a cancellare il passato ed a conquistare la gloria; io conosco una certa signora, che ricompenserà largamente il vostro valore.
— Voglio alzarmi subito, — esclamò Kmita. — Potrei forse poltrire qui in letto mentre il nemico sta calpestando la mia patria? Ehi! c'è qualcuno di là? Presto, datemi i miei abiti. Mi colpisca il fulmine se io rimango ancora qui in ozio!
Volodyovski sorrise con soddisfazione, e disse:
— Il vostro spirito è più forte del vostro corpo, perchè questo non è ancora in grado di reggersi. Ma pazienza! Il vigore ritornerà, fra poco.
Dette queste ultime parole, il colonnello si accinse a prendere commiato. Era già calata ta sera, quando il piccolo cavaliere lasciò Lyubich per dirigersi verso Vodokty.
— Ella mi riceverà un poco meglio quest'oggi di quando mi recai da lei per offrirle la mia mano, — pensava fra sè Pan Michele cammin facendo. E sospirando mormorò — Chi mai potrebbe dirmi, se in questo mondo esiste una donna predestinata a consolare la mia tribolata esistenza?
Sempre assorto in tali meditazioni, raggiunse alfine Vodokty. L'uomo d'Jmud, dalla chioma irsuta, venne correndo alla porta, ma non si affrettò ad aprire.
— La padrona non è in casa, — diss'egli.
— Non lo so.
— Quando ritornerà?
— Chi lo sa? Forse non ritornerà più, perchè è partita con tutta la sua roba.
Pan Michele, rimase muto ed estatico per alcuni istanti. Poi mormorò: — Certo è partita per sfuggirmi.