Henryk Sienkiewicz
Il diluvio

PARTE PRIMA

CAPITOLO XI.

«»

Link alle concordanze:  Normali In evidenza

I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio

CAPITOLO XI.

Quando, sul finire dell'inverno, i caldi raggi del sole incominciano ad attraversare il denso strato delle nuvole e le prime gemme sbocciano sugli alberi; quando le verdi erbette e le olezzanti mammole spuntano sui prati umidi e brulli e tutta la Natura sembra risorgere a nuova vita; anche il cuore dell'uomo si dischiude a nuove e rosee speranze. Ma la primavera dell'anno 1635 non si presentava cinta di rose, e lieta e sorridente ai tribolati sudditi della Repubblica.

Un'inquietudine strana, inesplicabile, opprimeva tutti i cuori. Voci di guerra imminente, correvano di bocca in bocca nelle città o nei villaggi, e si diceva, che le fosche nubi guerresche si addensavano dal lato della Svezia.

Apparentemente nulla confermava quelle voci allarmanti, poichè la tregua con la Svezia doveva durare altri sei anni; eppure si parlava del pericolo di una prossima guerra anche alla Dieta, convocata dal Re Giovanni Casimiro pel 19 Maggio a Varsavia.

Le menti continuarono ad ondeggiare fra il timore e la speranza, finchè ad un tratto venne posto fine alla penosa incertezza da un proclama di Bogoslavio Leshenchynski, comandante della Grande Polonia, col quale la milizia generale delle provincie della Posnania e di Kalisk, era chiamata sotto le armi, alla difesa dei confini contro l'imminente invasione degli Svedesi.

Il grido «Guerrarimbombò come un formidabile tuono in tutte le provincie della Repubblica.

Ed era una vera guerra di sterminio che minacciava la Polonia. Hmelnitski, ritornato da Buturlin, si avanzava devastando il paese dal Sud all'Est. Honovanski e Trubetskoi facevano altrettanto sui confini settentrionali ed orientali, e la Svezia inoltrava minacciosa dall'Ovest. Il cerchio di fuoco era diventato un cerchio di ferro.

Tutto il paese sembrava un campo assediato, e nel campo stesso germogliava il male. Un traditore, Radzeyovski, era disertato passando nel campo nemico, ed indicava a questo i punti più deboli dei confine. Inoltre non mancava il malvolere e l'invidia, mancavano i magnati in urto tra loro, o indispettiti contro il Re, perchè questi aveva rifiutato loro delle cariche. Costoro erano tutti pronti a sacrificare la causa del Paese ai propri interessi.

Tutta la Grande Polonia, paese prospero e ricco, e fin allora non flagellato dalla guerra, non risparmiò per provvedere alla propria difesa. Città e villaggi di nobili fornirono tanti uomini quanti ne erano loro stati richiesti.

Pan Stanislao Dembinski comandava le truppe della Posnania. Pan Vlostovski quelli di Kostsian, e Pan Golts, famoso soldato ed ingegnere, quelli di Vallets. I contadini di Kalisk erano comandati da Pan Stanislao Skshetuski, discendente da un ceppo di valorosi guerrieri, e cugino del celebre Giovanni, da Zbaraj, pan Gaspare Jghlinski condusse i mugnai di Konin. Da Pyzabri venne Stanislao Yarachevski, che aveva passato tutta la sua vita combattendo in guerre straniere. Fra tutti questi guerrieri, nessuno superava Pan Vladislao Skorashevski per esperienza nell'arte strategica, e perciò il comandante della Grande Polonia nonchè i Voivoda ascoltavano la sua voce.

In tre puntiPila, Uistsie e Vyelunie — i capitani, si accamparono aspettando l'arrivo dei nobili appartenenti alla milizia generale. La fanteria attendeva da mane a sera ad elevare trincee, ed aspettava con ansietà che sopraggiungesse la cavalleria.

Primo fra i dignitari, giunse Pan Andrea Grudzinski, Voivoda di Kalisk. Egli prese alloggio nella casa del podestà con un numeroso seguito di servi.

I nobili continuavano intanto ad accorrere al campo. Arrivò Pan Grundzinski, poscia Pan Cristoforo Opalinski, il potente Voivoda della Posnania, con un gran seguito di uomini armati, di clienti e di servi. Tutta questa gente precedeva e circondava la carrozza, nella quale sedeva il potente principe insieme al suo buffone Staha Ostrojha, il cui ufficio era di tener allegro lungo la via il suo cupo padrone.

L'arrivo di sì alto dignitario, ispirò coraggio a tutti; contemplando la sua maestosa presenza, il suo volto nobile, nel quale, sotto la spaziosa fronte, scintillavano due occhi indagatori e severi, ed in fine la dignità del suo portamento, nasceva, nella mente di tutti quegli uomini la convinzione, che persino il destino dovesse inclinarsi al volere di sì grande potenza.

Coloro che erano avvezzi ad onorare le cariche e le persone, ritenevano che gli stessi Svedesi non oserebbero giammai sollevare una mano sacrilega contro sì potente signore.

Egli venne accolto con fragorosi applausi, e con entusiastiche grida di gioia.

Si era appena dileguata l'eco delle festose accoglienze fatte a Pan Cristoforo Opalinski, quand'ecco giungere corrieri coll'annunzio dell'arrivo del cugino di lui, il Voivoda di Podlyasye, Pietro Opalinski, accompagnato dal cognato Gerolamo Rozdrajewski, Voivoda di Inovratslav. Ciascuno di costoro conduceva centocinquanta uomini armati, oltre buon numero di nobili coi rispettivi servi.

In seguito poi non passò giorno senza che arrivasse qualche altro dignitario. La città era gremita di gente talchè non eranvi più alloggi pei numerosi nobili. I prati circostanti presentavano allo sguardo un vivace e svariato spettacolo di oggetti o di colori, sopratutto dove erano piantate le variopinte tende della milizia generale.

Finalmente si radunò il Consiglio di guerra, presieduto dal Voivoda di Posnania; strano consiglio, al quale presero parte quei dignitari che meno di tutti s'intendevano di cose guerresche; giacchè i magnati della Grande Polonia non seguivano potevano seguire l'esempio di quelli della Lituania o dell'Ucrania che vivevano quasi sempre in mezzo al fuoco come le salamandre.

Ma ora la dura scuola degli Svedesi stava per richiamare alla loro memoria tutto ciò che avevano dimenticato.

I dignitari convocati a consiglio si guardavano l'un l'altro con occhio dubbioso, aspettando che parlasse il Voivoda della Posnania. Se non che, anche lui non sapeva che cosa dire, e cominciò il suo discorso, lamentando l'ingratitudine e l'inerzia del Re, non che la leggerezza con cui la Grande Polonia e tutti loro, erano stati strappati alla domestica quiete e cacciati, senza una seria necessità, a soffrire e morire su quei campi. Quando poi si trattò della questione capitale, egli non si trovò in grado di dare il consiglio che gli veniva richiesto. Perciò mandarono a chiamare Pan Vladislao Pkorashevski, che era un vecchio soldato di grande esperienza e molta pratica nelle cose della guerra.

Pan Pkorashevski propose di stabilire tre campi, a Pila a Vyelunie ed a Uistsie, vicini l'uno all'altro per modo che, al momento dell'attacco, potevano prestarsi mutualmente aiuto.

— Appena noi sapremo, — disse Pkorashevski, — dove il nemico voglia tentare il passaggio, noi ci riuniremo e gli opporremo accanita resistenza.

Il consiglio fu accolto favorevolmente da tutti e nel campo principiò a regnare una straordinaria animazione. I nobili si trovarono alfine tutti riuniti, formando un corpo d'armata di ben quindicimila uomini. La fanteria scavò trincee per un'estensione di sei miglia. Uistsie, posizione principale, fu occupata dal Voivoda di Posnania con i suoi uomini. Una parte dei cavalieri restò a Vyelunie, un'altra a Pila, e Vladislao Skorashevski andò a Chaplinko per osservare le mosse del nemico. Giunse il mese di luglio. Le giornate erano calde e serene, il sole dardeggiava con tale forza i suoi raggi sulla terra, che i nobili dovettero riparare nei boschi fra' gli alberi, alla cui ombra alcuni di essi fecero rizzare la loro tenda.

Se Wittemberg fosse venuto nei primi giorni di luglio, è probabile che avrebbe incontrato più fiera resistenza, la quale, grazie al numero degli uomini ardenti di battersi, avrebbe raggiunto il grado di un invincibile furore, del quale si potevano citare parecchi esempi. Ma Wittemberg, esperto condottiero, e conoscitore degli uomini, non aveva fretta, e forse aveva le sue buone ragioni per indugiare.

La prima e la seconda settimana trascorsero abbastanza bene, ma alla terza, la prolungata inattività cominciò a riuscire tediosa alla milizia generale. Il caldo cresceva ogni giorno. I nobili si rifiutavano di prender parte alle esercitazioni, adducendo per iscusa, che i loro cavalli, tormentati dalle mosche, non volevano stare in linea. Del resto il cattivo esempio veniva dall'alto. Pan Skorashevski aveva mandato da Chaplinko la notizia che gli Svedesi erano poco distanti, e benchè si fosse evidentemente alla vigilia di un assedio o d'una battaglia, Zigmunt Grudzinski chiese ed ottenne dal Consiglio di guerra il permesso di rimpatriare. Al mattino del 16 luglio lasciò con alcuni servi il campo. Questo fatto suscitò tali malumori e disordini, che il Voivoda di Posnania dovette accorrere con parecchi capitani per rappacificare gli animi, ed affermare che Grudzinski aveva ottenuto una breve licenza per urgenti affari particolari. Ma il mal esempio, produsse naturalmente i più cattivi effetti. Nello stesso giorno in cui partiva Zigmunt Grudzinski, parecchie centinaia di nobili, non volendo essere da meno di lui, se ne andarono alla chetichella. Anche parte della fanteria, seguendo l'esempio de' suoi ufficiali, cominciò a disertare. Fu convocato un altro Consiglio di guerra al quale moltissimi nobili si rifiutarono di prender parte.

Seguì una notte veramente tempestosa, piena di clamori e di contese. I nobili si sospettavano a vicenda di aver intenzione di disertare, e le grida di: — O tutti, o nessuno! — correvano continuamente di bocca in bocca. Ad ogni istante circolava la voce che l'uno o l'altro Voivoda era partito, ed essi dovevano mostrarsi per calmare l'eccitazione dei nobili infuriati. Le cose giunsero a tal punto, che il Voivoda di Posnania si diede dei pugni alla testa per la disperazione, in pieno Consiglio di guerra, e gridò:

Dia consiglio chi può. Io, per parte mia, me ne lavo la mani; poichè è impossibile sostenere una difesa con tali soldati.

La mattina successiva non fu apportatrice di calma. Il disordine era anzi giunto al colmo. Qualcuno riferì, che i dissidenti, specialmente i Calvinisti, erano favorevoli agli Svedesi, e pronti alla prima occasione a schierarsi dalla parte del nemico. A questa notizia, alcune migliaia di sciabole uscirono dal fodero ed una vera tempesta si scatenò nel campo.

Puniamo quei traditori, quei serpenti, capaci di lacerare il seno delle loro madri! — gridava una parte dei nobili.

Facciamoli a pezzi, se non volete che periamo tutti vittime della loro mala fede! — urlavano gli altri.

I Voivoda ed i capitani avevano un bel da fare per pacificare tutti quei forsennati. Del resto, anch'essi erano in parte convinti che Pan Rei, il quale si era messo alla testa dei dissidenti, avrebbe tradito il Paese.

Egli aveva servito per molti anni in Germania, combattendo nell'esercito dei Luterani, ed ormai era diventato quasi estraneo alla sua patria. Fu perciò deciso di espellerlo senz'altro dal campo; il che contribuì ad acquetare i nobili esasperati.

Rientrata la calma, un turbamento strano si produsse nelle loro menti. Taluni caddero in uno stato di assoluta prostrazione. Altri non facevano che passeggiare lungo le trincee, lungo i baluardi, guardando con occhio triste verso la pianura dalla quale doveva avanzarsi il nemico. Alcuni erano in preda ad una specie di pazza gioia, come se fossero contenti di morire, e stavano continuamente bevendo e cantando per passare allegramente gli ultimi giorni della loro vita; infine ve ne erano di quelli che pensavano alla salvezza dell'anima, e consacravano le intere notti alla preghiera. Ma fra tutta quella gente nessuno parlava più di vittoria, come se questa fosse la cosa meno sperabile e meno concepibile.

Ma, mentre nel campo polacco trincavano, cantavano, gemevano e pregavano, e mentre la milizia generale apriva Diete come in tempo di elezioni del Re, lungo le vaste e verdi praterie dell'Oder si avanzavano le legioni svedesi.

Alla testa marciava una brigata della guardia reale, comandata da Benedetto Horn, terribile soldato, il cui nome veniva pronunziato in Germania con un senso di terrore.

Carlo Scheddinz, un tedesco, comandava la brigata di West Gothland formata da due reggimenti di fanteria ed uno di cavalleria pesante.

Le due brigate di Smaland erano condotte da Irwin, soprannominato «senza mano» avendo egli perduta la mano destra mentre difendeva la propria bandiera.

La brigata di Westrmanland marciava sotto gli ordini Drakenborg; e quella di Helsingor, composta di tiraglieri celebri in tutto il mondo, sotto Gustavo Oxenstiern, parente del rinomato cancelliere. Fersen comandava la brigata di Gothland; le brigate di Nerik e Werland erano guidate dallo stesso Wittemberg, il quale era in pari tempo il comandante in capo di tutto l'esercito.

I soldati sommavano a diciassette mila, ed erano così agguerriti, specialmente la fanteria, che la guardia reale francese si poteva appena confrontare con loro. I reggimenti marciavano allineati e pronti ad ogni istante per l'attacco, e sopra le loro teste sventolavano le bandiere turchine con la croce bianca.

Finalmente il 27 luglio, nei boschi presso il villaggio di Hinrichsdorf, le legioni Svedesi si trovarono dinanzi ai confini della Polonia. In quel momento tutto l'esercito scoppiò in formidabili gridi; le trombe e i tamburi suonarono e tutte le bandiere vennero sollevate.

Wittemberg cavalcava alla testa, circondato da un brillante Stato Maggiore, e tutti i reggimenti, passandogli dinanzi, gli presentavano l'arme.

La strada polverosa, irradiata dai raggi del sole, uscendo dalla foresta di Heinrichsdorf, si perdeva in lontananza, confondendosi con l'orizzonte. Allorchè le truppe ebbero attraversato il bosco, apparve ai loro sguardi un paesaggio fertile e sorridente. I campi erano coperti da bionde messi, e sui verdi prati pascolavano gli armenti.

A tal vista si sprigionarono nuove grida dal petto di tutti i soldati, specialmente degli Svedesi, abituati all'arido e selvaggio aspetto della loro terra nativa. I cuori di quella gente ardevano già dal desiderio di impossessarsi di quelle ricchezze che apparivano dinanzi ai loro occhi. Ma i soldati che avevano combattuto durante la «Guerra dei Trent'anni» pensavano che la conquista di quelle ricchezze non sarebbe cosa molto facile, sapendo che quelle campagne erano abitate da gente forte e cavalleresca che ben sapeva difendersi.

La memoria dell'epica lotta, sostenuta da Gustavo Adolfo, era ancora molto viva in quei guerrieri che avevano pugnato sotto i suoi ordini, talchè nel cuore di una parte degli Svedesi la gioia era alquanto repressa da un certo senso di timore, del quale lo stesso Wittemberg non era totalmente esente. Egli guardava i reggimenti che sfilavano dinanzi a lui come il pastore guarda il suo gregge. Ad un tratto si volse verso un uomo, che aveva in capo un cappello piumato e portava una parrucca bionda che gli scendeva sulle spalle.

Crede, Vostra Graziadiss'egli — che con queste forze sia possibile aprirsi il varco fra le truppe che occupano Uistsie?

L'uomo dalla parrucca bionda sorrise, e rispose:

— Vostra Grazia può fidarsi delle mie parole. Se ad Uistsie vi fossero truppe regolari sarei il primo a consigliarvi di aspettare che giunga Sua Altezza Reale coll'intero esercito, ma per andare contro la milizia generale e contro quei gentiluomini della Grande Polonia, le nostre forze sono più che sufficienti.

— Ma non hanno essi ricevuto dei rinforzi?

— No, perchè in primo luogo tutte le truppe regolari, che non sono numerose, sono occupate in Lituania e nell'Ucrania; ed in secondo luogo perchè a Varsavia il re Giovanni Casimiro, il cancelliere, il Senato, credono che Sua Maestà Carlo Gustavo abbia realmente intrapreso la guerra a dispetto della tregua; e nonostante l'ultima ambasciata e la sua adesione al compromesso. Essi confidano che all'ultima ora si farà la pace. Ah! ah!

Qui l'uomo dalla parrucca, si tolse il cappello, si terse il sudore dalla fronte, e soggiunse: — Trubeskoi e Dolgoruk in Lituania, Hmelnitski in Ucrania, e noi alle porte della Grande Polonia. Ecco a che ci ha ridotti il Governo di Giovanni Casimiro.

Wittemberg fissò sul suo interlocutore uno sguardo attonito, e disse:

Pare che Vostra Grazia ne gioisca?

— Sì, ne godo, perchè il torto da me patito e la mia innocenza, saranno vendicati; ed inoltre so che la sciabola di Vostra Grazia ed i miei consigli, porranno sulla testa di Carlo Gustavo questa nuova corona che è la più bella del mondo.

Wittemberg spinse lo sguardo in distanza, sui prati e sui campi ricchi di messi, e, dopo un istante esclamò:

— È davvero un paese fertile e delizioso. Vostra Grazia può star sicura, che dopo la guerra il Re non darà a nessun altro il vice-cancellierato.

L'uomo dalla parrucca si tolse una seconda volta il cappello.

— Ed io, da parte mia, giuro di non voler avere altro Signore ed altro Re, — disse alzando gli occhi al cielo.

L'uomo che pronunciava quel sacrilego giuramento, e che seguiva Wittemberg in qualità di consigliere, era Geromino Radzeyovski, l'ultimo vice-cancelliere della Corona, vendutosi agli Svedesi.

Durante questo colloquio le truppe stavano varcando il confine.

Oxenstiern non si vede, — riprese a dire Wittemberg. — Io temo che gli sia accaduta qualche disgrazia. Abbiamo forse commesso un'imprudenza inviandolo come trombettiere con delle lettere ad Uistsie.

— Fu invece una risoluzione molto saggia, — replicò Radzeyovski. — Egli osserverà il campo, vedrà i capitani, saprà quello che pensano; nessuno meglio di lui avrebbe potuto compiere una tale missione.

— E se lo riconoscono?

Soltanto Rei lo conosce, ed egli è dei nostri. D'altronde, anche se lo riconoscessero, non gli faranno alcun male. Io conosco i Polacchi, e so ch'essi sono pronti a tutto, pur di apparire cortesi agli occhi degli stranieri. Ogni nostro sforzo è vòlto a guadagnare la stima degli stranieri. Vostra Grazia può star tranquillo riguardo a Oxenstiern. Se egli non è ritornato si è perchè è troppo presto.

— E credete voi che le nostre lettere otterranno l'effetto voluto?

Radzeyovski rise. — Col permesso di Vostra Grazia, vi predirò in qual modo ci verrà risposto. Il Voivoda di Posnania è un uomo distinto e colto, quindi ci risponderà con la massima cortesia, ma la sua risposta avrà un carattere eroico. Dirà, in principio, ch'egli darebbe piuttosto l'ultima goccia del proprio sangue anzichè cedere; che la morte è da preferirsi al disonore, e che l'amore del proprio paese gl'impone di morire per la sua patria. — E qui Radzeyovski scoppiò in un'altra più clamorosa risata.

— Non crede, Vostra Grazia, ch'egli farà ciò che dice? — chiese Wittemberg.

— Io credo che egli ama il suo paese ma a modo suo, — rispose Radzeyovski. — Sono certo che, dopo di aver dettato una risposta eroica, ci farà, nella medesima lettera, i più sinceri auguri di felicità e di successo, ci offrirà i suoi servigi, e finalmente ci chiederà speciali riguardi per le sue proprietà e per quelle dei suoi parenti, pei quali riguardi prometterà di mostrarsi riconoscente.

— Ma quale sarà, in sostanza, il risultato delle nostre lettere?

— Ecco: il coraggio di quella gente andrà scemando fino all'ultimo grado, e i senatori apriranno negoziati: noi occuperemo la Grande Polonia dopo due o tre colpi sparati in aria.

Dio voglia che Vostra Grazia sia profeta.

— Io sono certo di ciò che dico, perchè conosco a fondo questo genere.

— Voi rendete al Re un segnalatissimo servigio, — soggiunse Wittemberg, — che non resterà senza un'adeguata ricompensa. Dunque io posso ormai considerare questo paese come cosa nostra?

— Sì, lo potete, lo potete, — rispose Radzeyovski animatamente.

— Orbene, io occupo questa terra nel nome di Sua Maestà Reale Carlo Gustavo. — disse Wittemberg con accento solenne.

Mentre l'esercito svedese, oltrepassava Heinrichsdorf e cominciava a calcare il suolo della Grande Polonia, giunse al campo polacco un trombettiere svedese, con lettere di Radzeyovski e di Wittemberg pel Voivoda. Vladislao Skoraskevski in persona condusse il trombettiere dinanzi al Voivoda di Posnania.

Il Voivoda prese le lettere, che furono lette immediatamente al Consiglio, convocato senza indugio. Il messo venne raccomandato dal Voivoda ai suoi servi perchè fosse trattato come si usava fra i soldati. Ma i nobili, senza pensare a dissimulare la loro curiosità s'impadronirono di lui e gli offrirono da bere.

Pan Skorashevski osservava lo Svedese con occhio scrutatore: e nascendogli il sospetto ch'egli potesse essere un ufficiale travestito, si recò in sulla sera dal Voivoda, per comunicargli tale idea. Ma il Voivoda gli rispose che tale sospetto era assurdo, e non permise che il trombettiere fosse arrestato.

Il trombettiere conversava intanto alla meglio con i nobili in lingua tedesca, che essi comprendevano avendo delle relazioni nelle città della Prussia. Raccontava loro le vittorie conseguite da Wittemberg in diversi paesi: ed enumerava le forze che si trovavano in marcia per Uistsie. I nobili furono turbati dai suoi discorsi, e tosto cominciarono a circolare pel campo una quantità di dicerie, una più esagerata dell'altra.

In quella notte quasi nessuno potè chiuder occhio. Verso mezzanotte rientrarono in Uistsie quegli uomini che sino allora erano rimasti negli altri campi, cioè a Pila ed a Vyelunie.

I dignitari continuarono fino all'alba a discutere intorno alla risposta da consegnare al trombettiere. I nobili passarono il tempo a raccontare storie intorno alla potenza degli Svedesi.

Allo spuntar del giorno Stanislao Skshetuski venne ad annunziare al campo, che gli Svedesi erano arrivati a Valch, a una giornata di distanza. La notizia fece nascere un panico terribile. Quasi tutti i cavalli si trovavano al pascolo nei prati sotto la sorveglianza dei servi. Furono mandati a chiamare in gran fretta. Gli ultimi momenti prima della battaglia erano i più terribili per quei soldati indisciplinati; ci volle perciò molto tempo, prima che i capitani potessero riuscire a sedare in parte il tumulto e ad introdurre nel campo un principio d'ordine e di quiete.

A poco a poco furono stabiliti i ranghi. L'innata capacità guerresca dei nobili supplì alla mancanza d'esperienza; e a mezzogiorno il campo presentava al fine un insieme abbastanza imponente.

Intanto il Voivoda di Posnania licenziò il trombettiere con una risposta concepita press'a poco nel modo predetto da Radzeyovski; quindi stabilì di spedire un drappello sulla riva settentrionale del fiume Notets, per assumere informazioni sulle mosse del nemico.

Pietro Opalinski, Voivoda di Poldyasye, cugino del Voivoda di Posnania, era stato destinato a formare il drappello con i suoi dragoni, ed a lui dovevano unirsi i capitani Skorashevski e Skshetutski, nonchè dei volontari scelti fra i nobili della milizia generale.

I due capitani schierarono i cavalieri, e il drappello si pose in marcia.

Il Voivoda di Podlyasye li raggiunse mentre erano già fuori del campo. Si videro distintamente attraversare il fiume, ma poco dopo si perdettero affatto di vista.

Dopo mezz'ora il Voivoda di Posnania fece rientrare le truppe nelle loro tende, essendo impossibile di trattenerle nei ranghi, mentre il nemico trovavasi ancora ad una giornata di distanza.

Eran finite le ansie dell'aspettativa e dell'incertezza; le dispute, i litigi, cessarono, poichè la vicinanza del nemico rianimava il loro coraggio, come Pan Skshetuski aveva preannunziato.

Ma già era notte fatta quando giunse un trombettiere di Wittemberg con una lettera che imponeva ai Polacchi di arrendersi. Udendo ciò, i nobili volevano fare a pezzi il messaggero, ma i Voivoda presero in considerazione il messaggio, per quanto, nella sostanza, fosse insolente.

Il generale svedese annunziava, che Carlo Gustavo mandava le sue truppe al suo parente Giovanni Casimiro come rinforzo contro i Cosacchi, e che perciò la Grande Polonia doveva arrendersi, cedere, senza opporre resistenza. Pan Grudzinski non potè contenere la propria indignazione alla lettura di quella lettera, e si sfogò con qualche pugno sul tavolo; ma il Voivoda di Posnania lo calmò tosto con alcune domande:

— Avete voi fede nella vittoria? Vi prendete la responsabilità di tanto nobile sangue che forse domani si spargerà inutilmente?

Dopo un lungo dibattito fu deliberato di non rispondere e di aspettare gli eventi. Ma non aspettarono a lungo. Il 24 luglio, gli avamposti annunziarono che l'intero esercito svedese era in pista dinanzi a Pila.

I nobili montarono sui loro cavalli, e si spinsero sino oltre il fiume incontro al nemico, il quale sempre più si avvicinava, segnando una linea nera sull'orizzonte.

Essi si aspettavano ad ogni momento di veder comparire i tiraglieri svedesi, ma la distanza era troppo grande per distinguerli. Si vedevano soltanto sulle basse colline, alcuni gruppi formati d'uomini e cavalli, che incominciavano a girare in vari sensi la posizione. Ciò vedendo, Skoraschevski comandò:

— A sinistra! Indietro!

Ma non aveva ancora finito di risuonare la voce del comandante quando si vide innalzarsi una bianca nube di fumo. Un grande scoppio tuonò nell'aria, e nello stesso momento si udirono molte grida lamentevoli.

Alt! — gridò Skoraschevski.

Le palle volarono sul campo una seconda volta, poi una terza, e di nuovo risuonarono i lamenti dei feriti. I nobili non attesero i comandi del loro capo, ma mossero precipitosamente in ritirata. L'intera divisione si sparpagliò, e in un batter d'occhio si precipitarono di gran carriera verso il campo.

Dopo avere con tanta facilità disperso i Polacchi, Wittemberg si spinse innanzi finchè si trovò di fronte ad Uistsie, e precisamente dinanzi alle trincee difese dai nobili di Kalihs. I Polacchi cominciarono a sparare, ma al loro fuoco il nemico non rispose. Il fumo si dileguò lentamente ed essi videro i reggimenti della cavalleria e fanteria svedese, spiegarsi con la massima calma e precisione, con quella calma che deriva dalla certezza della vittoria.

Sulle colline appostarono i cannoni e scavarono le trincee; in una parola, il nemico procedeva col massimo ordine, senza fare la menoma attenzione alle palle dei fucili polacchi, le quali non producevano alcun danno e facevano soltanto cadere un po' di terra addosso agli uomini che lavoravano nelle trincee.

Pan Skorashevski si avanzò con altri due squadroni degli uomini di Kalish, sperando, con un ardito assalto, di sbaragliare gli Svedesi. Ma i nobili lo seguirono di malavoglia e tosto subentrò un generale disordine nelle loro file. Mentre i più arditi spingevano i cavalli contro il nemico, i più vili si davano a precipitosa fuga. Due reggimenti di cavalleria mandati da Wittemberg si avanzarono a passo di carica, e dopo un breve conflitto obbligarono i nobili a retrocedere. Finalmente scesero le tenebre a porre una fine alla incruenta scaramuccia.

Il cannone continuò a tuonare fine alla mezzanotte; poi tacque. Ma allora si sollevò nel campo polacco un forte tumulto, che si udiva sino alla riva opposta del fiume.

Alcune centinaia d'uomini della milizia generale, avevano tentato di svignarsela approfittando dell'oscurità. Gli altri si fecero a minacciare i fuggitivi e a trattenerli. Si sguainarono le sciabole e le grida «O tutti o nessuno» corsero di bocca in bocca. Pareva che tutti volessero disertare il campo, e si manifestò un generale malcontento contro i condottieri. Tutta la milizia gridava: «Ci han mandati qui a petti ignudi per farci sterminare dal cannone!» Ad intervalli si udivano taluni gridare: «Salvatevi, fratelli!» Ed altri urlavano persino: «Tradimento, tradimento!».

In tale confusione e in tanto accasciamento, i Voivoda perdevano la testa, e non si attentavano più a dare ordini.

Wittemberg, in quella notte. avrebbe potuto prendere d'assalto il campo senza incontrare la menoma resistenza.

Sorse l'alba triste di un giorno tetro e nuvoloso, e rischiarò un vero caos di gente scoraggiata e gemente, in parte ubriaca, ed in parte più degna di vergogna che di gloria. Gli Svedesi intanto avevano passato il Notets a Dzyembovo, e già attorniavano il campo dei Polacchi.

I condottieri ed i nobili non pensavano ormai ad altro che a venire a patti per arrendersi. Si mandarono uomini per parlamentare. Ed in risposta giunse dal campo svedese un brillante drappello, alla cui testa cavalcavano Radzeyovski ed il generale Wirtz, ambedue, con rami verdi in mano.

I cavalieri si diressero senz'altro alla casa dov'era alloggiato il Voivoda di Posnania. Ma Radzeyovski si trattenne fra i crocchi dei nobili, li salutò coi rami verdi e col cappello, sorrise, e disse con voce stridula:

Signori e fratelli carissimi, non temete! Noi non veniamo come nemici. Dipende interamente da voi, che non si sparga più una sola goccia di sangue. Se invece d'un tiranno che conculca le vostre libertà, che v'impone il giogo di un potere assoluto, che condanna il vostro paese all'ultima distruzione, voi bramate un buon sovrano, la cui gloria è tale che il solo nome di lui mette in fuga tutti i nemici della Repubblica, ponetevi sotto la protezione di Sua Maestà Carlo Gustavo. Signori e fratelli carissimi, io garantisco il mantenimento di tutte le vostre libertà, di tutti i vostri diritti, della vostra religione. Da voi soltanto dipende la vostra salvezza. Signori gentilissimi, Sua Maestà, il Re di Svezia, vuole soggiogare i ribelli Cosacchi e porre fine alla guerra in Lituania, e lui solo può far questo. Abbiate pietà del vostro sventurato paese, se non avete pietà di voi stessi.

A questo punto la voce del traditore si fece tremante, e parve come soffocata dai singulti. I nobili ascoltavano attoniti. Qua e si gridava: «Viva Radzeyovski, il nostro Vice cancelliere

Egli spinse innanzi il cavallo, s'inchinò a tutti, e finalmente entrò con Wirtz e col loro seguito nella casa abitata dal Voivoda di Posnania.

La folla dei nobili andava sempre più ingrossandosi dinanzi a quella casa, giacchè ognuno presentiva che dentro si stava decidendo, non soltanto la loro sorte, ma quella di tutto il paese. I servi dei Voivoda uscirono per invitare al Consiglio i capi più importanti. Costoro entrarono immediatamente, e dietro a loro alcuni altri di minor conto. Le ore passavano, passavano, e il Consiglio non finiva.

D'improvviso la porta si aprì con grande fracasso e ne uscì Pan Skorashevski. Tutti i nobili si ritrassero attoniti. Quell'uomo, di solito così calmo e dolce, aveva in quel momento una faccia terribile. I suoi occhi erano rossi, lo sguardo stravolto, l'abito stracciato ed aperto sul petto; si tirava i capelli con ambo le mani come un pazzo, ed infine si diede a gridare con voce stentorea:

Tradimento! assassinio! Infamia senza nome. Ora noi non siamo più Polacchi ma Svedesi.

Un terribile presentimento invase tutti i cuori a tali parole. Shorashevski si precipitò in mezzo ai nobili, e gridò con accento disperato:

Armatevi! armatevi! chiunque crede in Dio, si armi.

Tra la folla si udì un sordo mormorio, un bisbigliare confuso, interrotto, simile ai primi sibili del vento che precede la bufera. I cuori esitavano; esitavano le menti; ed in quella generale titubanza, la voce disperata di Skorashevski non cessava di gridare:

Armatevi! Armatevi! Non sentite? Si sta vendendo la patria come Giuda vendette Cristo, e coprendola di vergogna. Sapete che noi non apparteniamo più alla Polonia d'ora innanzi? Non bastava loro di dare nelle mani del nemico voi, il campo, le armi ed i cannoni; essi hanno affermato con lo loro firme, nel nome di tutti noi, che noi abiuriamo i nostri legami colla patria; che abiuriamo il nostro Re; che tutte le nostre città, e torri, e fortezze, e noi tutti, apparterremo d'ora innanzi alla Svezia.

Tradimento! — gridarono centinaia di voci. — Tradimento! Facciamo a pezzi i traditori!

Uniamoci! gridò Skshetuski.

— Contro gli Svedesi sino alla morte! — aggiunse Klodzinski.

Entrambi si slanciarono verso il campo, gridando: — Uniamoci! Uniamoci! — ed alcune centinaia di nobili li seguirono con le sciabole sguainate.

Ma una immensa maggioranza rimaneva immobile, e parte di quelli che avevano seguito Skshetuski e Klodzinski, vedendo che trovavansi in piccolo numero, cominciarono a guardarsi attorno ed a fermarsi.

Finalmente si aprì la porta della casa nella quale si era tenuto il Consiglio, e ne uscì il Voivoda di Posnania, Pan Opalinski, col generale Wirtz alla destra, e alla sinistra Radzeyovski. Poi vennero: Andrea Grudzinski, Voivoda di Kalish, Myaskovski, castellano di Kryvinsk; Gembitski, castellano di Myenzyrechka, e per ultimo Andrea Slupski.

Pan Opalinski aveva in mano una pergamena, alla quale erano apposti dei suggelli: teneva la testa alta, ma la sua faccia era pallida e lo sguardo incerto, per quanto si sforzasse di parere tranquillo e lieto. Abbracciò coll'occhio la moltitudine, e in mezzo ad un silenzio di morte, prese la parola con voce penetrante ma alquanto rauca ed incerta.

Signori! Oggi noi ci siam posti sotto la protezione di Sua Maestà il Re di Svezia. Viva Re Carlo Gustavo!

Queste parole furono accolte da un generale silenzio: a un tratto una voce gridò: — Veto!

Il Voivoda rivolse lo sguardo dalla parte donde veniva la voce, e disse: — Questa non è un'assemblea provinciale; quindi il veto è fuor di luogo. E chiunque insiste, vada ad affrontare i cannoni svedesi puntati contro di noi.

Dopo una breve pausa, l'oratore riprese con maggior enfasi:

— Tutte le libertà dei nobili e del clero saranno rispettate: non ci aumenteranno le tasse, e quelle in corso saranno esatte col solito sistema; nessuno soffrirà danni rapine. Gli eserciti di Sua Maestà non avranno diritto a quartiere nella proprietà dei nobili, ad esazioni di sorta, se non per quanto lo esiga il mantenimento degli squadroni polacchi.

Nessuno rispose; ma si udì un mormorio ansioso, come se i nobili bramassero intender meglio il significato di quelle parole. Il Voivoda fece un cenno colla mano, e seguitò:

— Oltre a tutto questo, noi abbiamo la parola del generale Wirtz, data nel nome di Sua Reale Maestà, che se tutta la Nazione seguirà il nostro salutare esempio, le armi svedesi muoveranno tosto verso la Lituania e l'Ucrania, cesseranno dalla guerra, finchè tutte le terre e fortezze della Repubblica non siansi sottomesse. Evviva Carlo Gustavo Re!

Evviva Carlo Gustavo Re! — gridarono alcune centinaia di voci, e questo grido echeggiò poi in tutto il campo.

E sotto gli occhi di tutti, il Voivoda di Posnania, rivoltosi a Radzeyovski, lo abbracciò cordialmente; poi abbracciò Wirtz; quindi tutti incominciarono ad abbracciarsi.

I nobili seguirono l'esempio dei dignitari, e fu una gioia universale! Erano sì clamorosi gli evviva, che ne echeggiò l'intera regione. Ma il Voivoda di Posnania pregò ancora gli «amatissimi fratelli» d'un istante di calma, e,disse in tono cordiale:

Signori! Il Generale Wittemberg c'invita oggi ad una festa nel suo campo, acciocchè sia cementata fra le tazze e gli evviva la nostra fratellanza col valoroso popolo svedese. E poi, signori carissimi, — soggiunse il Voivoda, — torneremo alle nostre case tutti quanti, e coll'assistenza di Dio, principieremo la mietitura, pensando che noi in questo giorno abbiamo salvato la nostra patria!

— E che i posteri ci renderanno. giustizia, — disse Radzeyovski.

Amen! — replicò il Voivoda di Posnania.

In quel momento si avvide che gli occhi di molti nobili stavano fissi in qualche cosa che stava sopra la sua testa. Si volse, e vide il suo buffone, che aggrappato con una mano all'architrave della porta, scriveva con un pezzo d' carbone sul muro, le parole: «Mane, Thekel, Phares

Il cielo si era coperto nel frattempo di fosche nubi; la bufera stava per scoppiare.

              


«»

Best viewed with any browser at 800x600 or 768x1024 on Tablet PC
IntraText® (VA2) - Some rights reserved by EuloTech SRL - 1996-2010. Content in this page is licensed under a Creative Commons License