Henryk Sienkiewicz
Il diluvio

PARTE PRIMA

CAPITOLO XII.

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CAPITOLO XII.

Nel distretto di Lukovo, sul confine di Podlyasye, sorgeva il villaggio di Bujets, proprietà dei Skshetuski. In un giardino che si estendeva fra la casa ed uno stagno, stava seduto su di una panca un vegliardo, ai cui piedi trastullavansi due bambini, l'uno di cinque anni, l'altro di quattro, abbronzati dal sole, rubicondi e sani. Il vecchio appariva tuttora robusto; l'età non gli aveva incurvate le spalle e nell'unico suo occhio, giacchè l'altro era coperto dalla cateratta, brillavano la salute ed il buon umore. Aveva bianca la barba, rossa la faccia ed una profonda cicatrice sulla fronte che lasciava scoperto l'osso.

I bambini lo tiravano continuamente per la manica, ma il suo sguardo rimaneva fisso verso la parte opposta, cioè verso lo stagno, che spendeva sotto raggi del sole, nel quale i pesci guizzavano allegramente.

Volse alfine la testa verso i bambini, e disse loro:

Lasciatemi in pace, altrimenti vi prendo per un orecchio e ve lo porto via. Siete un vero tormento! Or ora prendo uno di voi e lo getto nello stagno.

Si vedeva che i bambini non avevano molta soggezione del vecchio temevano molto le sue minaccie, perchè il maggiore dei due, Yaremka, non smise di tormentarlo.

Va via, birichino; lasciami tranquillo — egli riprese aggrottando le ciglia. Ma Yaremka faceva orecchie da mercante e continuava il suo giuoco. — Ah! queste canaglie, mi vogliono morto. Sono un vero castigo di Dio! — esclamò il vecchio perdendo la pazienza.

Nel dire così si alzò in piedi, afferrò il piccolo Longinek e mosse con lui verso lo stagno.

Ma Longinek aveva un valente difensore in suo fratello Yaremka, il quale, in tali occasioni, non si chiamava Yaremka, ma prendeva il home di Pan Michele Volodyovski, capitano dei dragoni. Yaremka Pan Michele, accorse alle sue grida armato di un bastone, si diede ad inseguire il vecchio e raggiuntolo, finse di volerlo bastonare. Longinek continuava a gridare, benchè sapesse che non era il caso di aver paura. Yaremka pure gridava e picchiava apparentemente il vecchio, finchè questi, fingendosi vinto, lasciò andare la sua vittima, e raggiunta di nuovo la panca, vi si lasciò cadere respirando affannosamente.

In quel momento si aprì la porta della casa che sul giardino, e sulla soglia apparve una donna bella come il sole, alta, robusta, con capelli neri, col volto dalla carnagione piuttosto bruna, animato da un vivo incarnato, con gli occhi vellutati. Un altro bambino di circa tre anni si aggrappava alla sua gonna. Quella donna era Pani Elena Skshetuski, della casa principesca di Bulyga Kurtsevich.

Nello scorgere Pan Zagloba, (poichè era lui in persona) seduto sulla panca con Yaremka e Longinek, si accostò e disse: — Venite qua bambini. Scommetto che tormentate il nonno.

— Tutt'altro. Sono stati sempre buonissimi, — si affrettò a rispondere il vegliardo. I bambini, rassicurati da queste parole, corsero verso la loro madre: ma ella chiamò Zagloba, e gli domandò:

— Che cosa volete bere oggi, babbo? idromele o vino?

Oggi si è mangiato del maiale, dunque sarà meglio l'idromele.

— Ve lo mando subito, babbodisse la dama.

Pani Skshetuski diceva «babbo» a Zagloba, e questi chiamava lei figlia, quantunque non fossero neppure parenti. La famiglia della dama abitava al di del Dnieper negli antichi domini di Vishnyeveski, ed in quanto a lui, Dio solo sapeva dove era nato, poichè egli stesso aveva narrato diverse storie in merito alla sua origine. Ma Zagloba aveva reso segnalati servigi a Pani Skshetuski quand'ella era ancora fanciulla, e l'aveva salvata da grandi pericoli; e perciò suo marito e lei lo trattavano come un padre. Egli era inoltre sommamente onorato, in tutta la regione, tanto per il suo talento inventivo, quanto pel non comune coraggio di cui aveva dato molteplici prove in tutte le guerre, e specialmente in quella contro i Cosacchi. Il suo nome era noto in tutta la Repubblica. Il Re medesimo era innamorato delle sue storie meravigliose e del suo spirito.

Poco dopo che Pani Skshetuski fu rientrata in casa, comparve un ragazzo con un boccale ed un bicchiere. Zagloba si versò un bicchier d'idromele, poi chiuse gli occhi assaporando la bevanda con evidente piacere.

Era la una dopo il mezzodì e nessun rumore turbava il silenzio del meriggio; tutto era quieto, calmo ed avvolto nell'abbagliante e dorata luce del sole.

Il vecchio teneva gli occhi sollevati verso il cielo, seguendo con lo sguardo gli stormi degli uccelli, che andavano scomparendo nell'etere azzurro. Man mano che l'idromele andava calando nel boccale, le palpebre gli si facevano pesanti.

— Sì, sì! Iddio ci ha proprio favoriti con questo bel tempo, — mormorò ad un tratto. — Il fieno è stato mietuto appuntino; ed il raccolto sarà ben presto nei granai. Così dicendo gli occhi gli si chiusero. Il vecchio li riaprì per un istante brontolando qualche cosa fra i denti; poi si addormentò completamente. Dormì piuttosto a lungo. Tutt'a un tratto fu svegliato dalla voce di due uomini che gli si avvicinavano rapidamente.

Uno dei due era Giovanni Skshetuski, l'eroe di Zbaraj, che circa un mese prima era ritornato dall'Ucrania per curarsi di una febbre ostinata. Pan Zagloba, mezzo sonnolento, non riconobbe l'altr'uomo, sebbene per la statura e per le fattezze rassomigliasse moltissimo a Pan Giovanni.

Babbodisse questi, — vi presento mio cugino Pan Stanislao Skshetuski, il capitano di Kalish.

— Voi rassomigliate molto a Giovanni, — rispose Zagloba, ammiccando. — In qualunque luogo vi avessi incontrato, avrei subito detto: Ecco un Skshetuski!

Godo moltissimo di fare la conoscenza di Vostra Grazia, — replicò Stanislao, — tanto più che il vostro nome mi è noto, avendolo sentito ripetere in tutta la Repubblica, da tutti i cavalieri col più alto rispetto.

— Senza lodarmi da me stesso, ho fatto quanto ho potuto finchè le forze me lo permisero. Anche oggidì, non mi sarebbe discaro, se... Ma perchè, signori, siete così accigliati, e perchè il volto di Giovanni è così pallido?

Stanislao ha recato terribili notizie, — rispose Giovanni. — Gli Svedesi sono entrati nella Grande Polonia e l'hanno occupata interamente.

Zagloba scattò dalla panca come se ad un tratto fosse ringiovanito di quarant'anni. Spalancò gli occhi, e si portò la mano al fianco, quasi vi cercasse la sciabola.

— Come mai? — disse — come mai? L'hanno essi occupata tutta quanta?

— Sì, perchè il Voivoda di Posnania ed altri a Uistsie l'hanno data in mano al nemico, — rispose Stanislao.

— Oh! per amor di Dio, che cosa sento? Si sono arresi?

— Non solamente si sono arresi, ma hanno sottoscritto un patto col quale si distaccano dal Re e dalla Repubblica. Da quel momento noi non siamo più Polacchi ma Svedesi.

— Per la misericordia di Dio e per le piaghe del Crocefisso, che dite mai? Ieri Giovanni ed io parlavamo appunto di questo pericolo da parte degli Svedesi, ma speravamo che tutto sarebbe finito con la rinunzia del nostro Re Giovanni Casimiro al titolo di Re di Svezia.

— Invece la faccenda ha cominciato colla perdita di una provincia, e Dio sa con che cosa andrà a finire.

— Questo è vero tradimento, un tradimento senza esempio nella storia! — esclamò Zagloba fremendo di rabbia.

Dite benissimoosservò Pan Stanislao. — L'esercito non era numeroso, e voi, soldato di grande esperienza, saprete se la milizia generale possa tenere il posto di truppe regolari, in ispecie quella della Grande Polonia. Tuttavia, se si fosse trovato un condottiero, si avrebbe potuto opporre una sufficiente resistenza e per lo meno trattenere il nemico finchè la Repubblica avesse ottenuto un rinforzo.

— Ma nessuno resistette? nessuno protestò? Nessuno ha gridato al tradimento sotto gli occhi di quei miserabili? Tutti accettarono di tradire la patria e il Re?

— La virtù perisce, e colla virtù perisce la Repubblica, poichè quasi tutti approvarono. Io, i due Skorashevski, Pan Tsisvitsk e Pan Klodzinski abbiamo fatto quanto abbiam potuto per infiammare nei nobili lo spirito di resistenza ma tutti i nostri sforzi riuscirono vani. La maggioranza preferì recarsi al banchetto promesso da Wittemberg piuttosto che alla battaglia. Vedendo ciò molti ritornarono alle proprie case; altri a Varsavia, ed io, che non ho moglie figli, venni qui da mio cugino.

— Voi dunque venite direttamente da Uistsie?

Direttamente. Gli Svedesi devono essere ora in Posnania, e di passeranno ad invadere tutta la Repubblica.

A queste parole seguì un penoso silenzio.

— Che cosa penseresti di fare, Giovanni? — domandò quindi Stanislao.

— Certo non me ne starò qui inoperoso, quantunque mi senta ancora molestato dalla febbre. Ma prima di partire devo porre in salvo da qualche parte mia moglie ed i miei figliuoli. Domani li condurrò a Byalovyei da mio cugino Pan Stabrovski. In quel paese non giungerà il nemico.

— Tale precauzione non tornerà inutile, — disse Stanislao; — perchè, sebbene siamo qui molto lontani dalla Grande Polonia, chi sa se la fiamma divoratrice non raggiungerà anche questo paese?

— Bisogna avvertire tutti questi nobili, disse Giovanni, — convocarli per pensare alla difesa, giacchè qui nessuno sa ancora nulla. E voi, babbo, volete venire con noi? — soggiunse rivolgendosi a Zagloba.

— Io? — domandò a sua volta Zagloba. — Se i miei piedi avessero messo radici nella terra, non potrei venire: ma anche in tal caso, chiederei che qualcuno mi sradicasse. Che il diavolo si porti all'inferno tutti quelli che hanno firmato ad Uistsie il patto infame, e che le mie maledizioni possano raggiungerli. La vedremo se Zagloba è invecchiato. Giovanni, pensiamo immediatamente a ciò che dobbiamo fare.

— Prima di tutto dobbiamo sapere dove andare. Raggiungere i Capitani generali nell'Ucrania è cosa difficile, perchè il nemico li ha separati dalla Repubblica. A mio avviso sarebbe necessario di andare a Varsavia per difendere il nostro amato sovrano.

Purchè siamo in tempo, — osservò Stanislao. — Il Re dovrà raccogliere soldati e marciare contro il nemico prima che possiamo giunger noi; e forse è già in marcia.

— Può darsi.

Andiamo dunque a Varsavia, se possiamo andarvi senza ritardo, — disse Zagloba. Ma pensate, chi difende la patria ed il Re non è colui che si aggrappa al lembo della sua veste, ma chi batte il nemico: e meglio batterà il nemico quegli che serve sotto un grande guerriero. Perchè andare a Varsavia mentre il Re può essere a Cracovia? Io sarei d'avviso che noi ci ponessimo senz'altro sotto le bandiere del Capitano generale della Lituania il principe Giovanni Radzivill. Egli è un uomo onesto ed un vero soldato. Lo dicono orgoglioso e perciò non si arrenderà certo agli Svedesi. ci sarà da combattere seriamente, perchè egli è chiuso fra due fuochi: ma in compenso noi vedremo Pan Michele Volodyovski, che serve nel contingente della Lituania, ed avremo la soddisfazione di trovarci un'altra volta uniti come in tempi passati.

— Sì, questo è il miglior partito, — rispose Pan Giovanni con animazione. — Noi ci troveremo insieme a Michele. Stanislao, conoscerai il primo soldato della Repubblica, il mio miglior amico, il fratello mio. Ora andremo da Elena a comunicarle la nostra risoluzione onde si appronti pel viaggio.

Sa ella della guerra? — domandò Zagloba.

— Lo sa, lo sa, poichè Stanislao parlò dapprima in sua presenza. Ella piange, povera donna! Ma se io le dico che è necessario, ella dirà senz'altro: — Ebbene, va!

— Io vorrei partire di mattina, — disse Zagloba.

Partiremo avanti l'albarispose Pan Giovanni. — Tu devi essere molto stanco del viaggio, Stanislao, ma avrai tempo di riposarti sino a domattina. Questa sera manderò dei cavalli a Bjala, per trovarvi il ricambio. Oggi partiranno pure dei carri con vettovaglie. In quanto a mia moglie ed ai miei figli, sono tranquillo, perchè a Byalovyej saranno più sicuri che in una fortezza. Ora rientriamo in casa, signori: è tempo che io faccia i miei preparativi.

La sera stessa, come aveva detto Pan Giovanni, partirono i cavalli e i carri, e all'alba del mattino seguente partì la carrozza nella quale sedeva Pani Elena con i bambini ed una vecchia fantesca. Pan Stanislao e Pan Giovanni con cinque servi la scortavano a cavallo, e viaggiando giorno e notte senza interruzione, giunsero a Byelsk nel quinto giorno, e nel sesto penetrarono nel deserto dal lato di Hainovskyna.

Dei sentieri appena tracciati, conducevano a qualche misero villaggio, abitato da povera gente che estraeva il catrame, e da cacciatori, che in tutto il tempo della loro vita non erano mai usciti da quelle selvaggie regioni. Anche a Byalovyej si giungeva per una di tali strade, che si prolungava sino a Suha, dove i Re di Polonia si recavano a cacciare. Pan Stabrovski, capo caccia del Re, era un vecchio scapolo che viveva sempre in quel deserto, dove giungevano ben raramente le notizie di ciò che accadeva nel mondo. Egli rimase perciò assai turbato quando Pan Giovanni gli parlò della guerra imminente.

— Questo soggiorno sarà triste, molto triste per voi, — disse Stabrovski a Pani Elena, ma è il più sicuro, perchè nessun nemico potrà penetrare in questi luoghi selvaggi. Sarebbe più facile conquistare tutta la RepubblicaDio ce ne scampi! — che non internarsi in questi boschi. Io vivo qui da venti anni, ed ancora non li conosco tutti, perchè vi sono punti in cui soltanto le bestie selvaggie possono penetrare. Del resto voi starete qui come in paradiso, se non vi opprimerà la noia.

Pan Giovanni era contentissimo in cuor suo perchè avea trovato cosiffatto rifugio per sua moglie: ma Pan Stabrovski tentò invano di trattenerlo un poco, onde conversare con lui sugli eventi che si preparavano. I cavalieri si fermarono una notte: all'alba ripresero il loro cammino attraverso i labirinti della foresta, condotti da esperte guide che il capo caccia aveva mandato con loro affinchè non si smarrissero.

              


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