Henryk Sienkiewicz
Il diluvio

PARTE PRIMA

CAPITOLO XIV.

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CAPITOLO XIV.

Il principe non si mostrò ai nobili in quel giorno fino alla sera, avendo pranzato cogli inviati e parecchi dignitari, coi quali aveva tenuto consiglio. Ma fu ordinato ai colonnelli che tenessero pronti i reggimenti della guardia di Radzivill, e specialmente la fanteria comandata da ufficiali stranieri. Il castello, quantunque non fortificato, era circondato dalle truppe come se fosse imminente un assedio.

I servi del principe erano tutti intenti a caricare sui carri le armi, gli oggetti di valore e il tesoro del principe.

Harasimovich disse ai nobili che i carri dovevano andare a Tykotsin non potendosi lasciare il tesoro nel castello di Kyedani.

Kmita giunse in sulla sera, quando le sale erano già illuminate e gli ospiti cominciavano a radunarsi. Anzitutto si recò in caserma per cambiar l'uniforme: quivi trovò Volodyovski, e fece anche la conoscenza del resto della compagnia.

— Sono ben felice di trovarvi qui insieme ai vostri valorosi amici, — diss'egli stringendo la mano al piccolo cavaliere. Voi mi avete ferito gravemente ma mi avete strappato al male e messo sulla buona via, cosa che non dimenticherò mai fino alla morte.

— Non parlatene più, ve ne prego, — replicò Pan Michele.

— Io vi seguirei nel fuoco per dimostrarvi la mia riconoscenza, fossi pur certo di perireproseguì Kmita. — Chiunque non mi crede venga innanzi!

Così dicendo Pan Andrea volse uno sguardo di sfida sugli ufficiali. Ma nessuno lo contraddisse, perchè tutti amavano e stimavano Pan Michele come lo meritava.

Egli intanto pensava fra : — Non mi seguiresti tanto volontieri se sapeste chi troverete qui. — E stava già per aprire la bocca per dire a Kmita che il porta spada di Rossyeni era giunto con Olenka; ma non ebbe il coraggio di dargli quella notizia tanto lieta per lui, ed invece gli chiese: — Dov'è il vostro squadrone?

— Qui, — rispose Pan Andrea. — Harasimovich venne da me coll'ordine da parte del principe di far salire in sella i miei uomini alla mezzanotte. Io gli chiesi se ci ponevamo tutti in marcia ed egli rispose di no. Non capisco proprio che cosa ciò significhi. Altri ufficiali hanno avuto lo stesso ordine, altri no. Lo ricevette però tutta la fanteria straniera.

Mentre così diceva, Harasimovich entrò precipitosamente. — Grande e potente d'Orsha! — disse inchinandosi fino a terra.

— Eccomi, disse Kmita. — Che c'è? Arde forse la casa?

— Il principe vi desidera immediatamente.

— Vengo subito. Datemi soltanto il tempo di cambiarmi.

La toeletta di Pan Kmita non richiese molto tempo e dopo pochi minuti si presentava nell'anticamera del principe.

Quando Kmita venne introdotto, il principe sembrava in procinto di lasciare la stanza. Si fermò, e fissando Pan Andrea, gli disse:

— Come! siete già pronto?

— Ai comandi di Vostra Altezza.

— E lo squadrone?

Pronto ai vostri ordini.

— Gli uomini son tali da potersene fidare?

Andrebbero per voi anche all'inferno.

Va bene! È di tali uomini che ho bisogno, e di uomini come voi.

Altezza, i miei servigi non potranno uguagliare quelli dei vecchi soldati; ma se si tratta di marciare contro i nemici della patria, Dio sa che se non sarò fra i primi non sarò neppure fra gli ultimi.

— Io non disprezzo i servigi dei vecchi, — disse Radzivill, — quantunque possano giungere tali pericoli, tali contrarietà, che anche i più fedeli potrebbero tremare.

— Possa perire come un cane chiunque abbandona la persona di Vostra Altezza nell'ora del pericolo.

Il principe gettò una rapida occhiata su Kmita. — E voi non mi volgerete le spalle? — gli chiese in modo strano.

Il giovine cavaliere si scosse. — Che cosa intendete dire, Altezza? — chiese a sua volta con sorpresa. — Vi ho confessato tutti i miei torti, e non potrò mai ringraziare abbastanza la vostra paterna indulgenza e magnanimità. Fra tutti quei torti uno solo non si trova, l'ingratitudine.

— E nemmeno la slealtà. Voi vi confessaste a me come ad un padre, ed io vi amo come quel figlio che Iddio non mi ha dato. Siatemi almeno amico sincero, — soggiunse Radzivill dopo un istante, porgendogli la mano, che il giovine cavaliere afferrò e si portò alle labbra senza esitare.

Stettero per breve tratto in silenzio. Il principe fissò i suoi occhi in quelli di Kmita, e gli disse improvvisamente:

Panna Billevich è qui!

Kmita si fece pallido, e mormorò alcune parole inintelligibili.

— Io l'ho mandata a prendere, per far sì che ogni malinteso fra voi possa aver fine. Voi la vedrete tosto, giacchè il lutto per suo nonno è terminato. Benchè io abbia tante cure e tanti gravi pensieri ho parlato oggi col porta-spada di Rossyeni.

Kmità si prese la testa fra le mani. — Come posso io ringraziare Vostra Altezza? come contraccambiarvi? esclamò con enfasi.

— Io gli ho detto decisamente che bramo di vedervi uniti, ed egli non si è mostrato contrario. Voi siete un valoroso soldato, ma avete bisogno di assodare il vostro carattere, al che vi gioverà certo, e non poco, di ammogliarvi. Prendete dunque in isposa la fanciulla che voi amate, e ricordatevi di chi ve l'ha data.

Altezza, mi sembra d'impazzire dalla gioia! La mia vita, tutto il mio sangue appartengono a voi. Che devo fare per dimostrarvi la mia gratitudine?

Rendere bene per bene. Abbiate fiducia in me: abbiate confidenza, e credete, che tutto quello che io fo, lo fo pel pubblico bene. Non abbandonatemi, quando per avventura vedeste il tradimento e la diserzione degli altri, quando la malizia della gente si sollevasse contro di me; quando... — Il principe tacque improvvisamente.

— Lo giuro, — disse Kmita con ardore, — e la mia parola d'onore di rimanere fedele a Vostra Altezza, mio duce, mio padre, mio benefattore, fino all'ultimo mio respiro.

Ad un tratto Kmita si fece ad osservare ansiosamente il principe, allarmato dal subito cangiamento avvenuto in lui. Infatti, si era fatto rosso come una fiamma di fuoco; gocce di sudore gli imperlavano la fronte, ed i suoi occhi avevano dei bagliori strani.

— Che avete, Altezza? — domandò il cavaliere con inquetudine.

— Nulla, nulla!

Radzivill si alzò, mosse a passi affrettati verso un inginocchiatoio, e, toltone un crocifisso, disse con voce poderosa quantunque soffocata:

Giurate su questa croce, che non mi lascerete fino alla morte.

Malgrado l'abituale sua prontezza ed il suo ardore, Kmita fissò per un momento il principe con sguardo attonito.

Giurate su questo simbolo della passione di Cristo, — insistette Radzivill.

— Su questo simbolo della passione di Cristo, lo giuro! — ripetè Kmita posando il dito sul crocifisso.

Amen! — disse il principe in tono solenne.

E, preso il giovane colonnello pel braccio lo trasse con verso la porta. Attraversarono parecchie stanze, e prima di entrare nella gran sala, giunse al loro orecchio il suono dell'orchestra, diretta da un Francese fatto venire appositamente dal principe Bogoslavio.

Suonavano un minuetto, ballo allora in voga alla Corte di Francia. Il principe Radzivill si fermò ad ascoltare.

Voglia Iddio, — diss'egli dopo alcun tempo, — che tutti quegli ospiti, che oggi ho accolti sotto il mio tetto, non passino domani dalla parte dei miei nemici.

Altezza, — disse Kmita, — io spero che fra essi non vi siano aderenti degli Svedesi.

— Che intendete dire? — gli chiese Radzivill con voce tremante.

— Nulla, Altezza, nulla. Mi sembra che questi valorosi soldati pensino soltanto a divertirsi.

Andiamo a raggiungerli, — disse il principe muovendo innanzi con passo risoluto.

Giunsero alla porta della sala, presso la quale stavano una ventina di paggi, leggiadri giovanetti vestiti di splendidi costumi. Quando comparve il Capitano generale si disposero in fila ai lati della porta. I battenti vennero spalancati da uno di essi, e un'onda di luci avvolse la gigantesca persona del principe, che, seguito da Kmita e dai paggi, mosse verso il podio sul quale erano state collocate parecchie poltrone per gli ospiti più ragguardevoli.

Nella sala si manifestò un grande movimento. Tutti gli sguardi si fissarono sul principe, ed un grido unanime eruppe da centinaia di petti: — Evviva Radzivill!

Kmita, celato dietro il baldacchino, guardava la moltitudine degli invitati. I suoi occhi passavano di viso in viso, cercandovi le amate sembianze di colei che in quel momento occupava tutta l'anima sua.

— Ella è qui! Fra un istante la vedrò e le parlerò, — si diceva mentalmente. E sospirava, sospirava sempre più ardentemente e con crescente agitazione.

Alla fine, in fondo alla sala, vicino alla cortina di una finestra, vede muoversi qualche cosa di bianco. Gli occhi del cavaliere si offuscano.... Quella è proprio Olenka, la sua cara, la sua diletta Olenka!

L'orchestra incomincia a suonare. La folla si muove. Le dame passano da un crocchio all'altro fra gli eleganti e splendidi cavalieri. Ma egli, come se fosse cieco e sordo, non vede, non sente nulla. Tutta l'anima sua si concentra nello sguardo ardente col quale fissa la fanciulla adorata. Ella gli appare la medesima Olenka di Vodokty; ma gli sembra anche un'altra per lui affatto nuova.

Panna Alessandra è poco lungi da lui, ma ella non si è avveduta della sua presenza, ed in mezzo a quella folla gli sembra un'estranea.

Il cuore di Pan Andrea fu colto da un impeto d'ira, ma nello stesso tempo anche da un immenso dolore.

L'orchestra smise di suonare, e Pan Andrea udì vicino a la voce del principe, che gli diceva:

— Venite con me.

Kmita si riscosse come da un sogno.

Il principe era disceso dal podio per aggirarsi in mezzo ai suoi ospiti. Si fermò a parlare con le dame e con i nobili più rispettabili e ragguardevoli, avendo per ciascheduno una parola cortese ed accattivandosi in un attimo il cuor di tutti con i suoi modi affabilissimi.

Finalmente si trovò dinanzi al porta spada di Rossyeni, Pan Billevich, e disse:

— Vi ringrazio, mio vecchio amico, di essere venuto, sebbene io abbia motivo di essere in collera con voi. Billevich non è lontano cento miglia da Kyedani, ma voi siete veramente una rara avis in casa mia.

Altezza, chi occupa il vostro tempo danneggia il paeserisponde Billevich.

— Ebbene, io avevo pensato di vendicarmi, facendo una gita a Billevich, nella speranza che avreste ricevuto con cortese ospitalità il vostro vecchio camerata.

Pan Billevich, udendo ciò, arrossì per la contentezza. Il principe continuò:

— Intanto vi presento Pan Kmita, porta bandiera di Orsha. Voi avrete udito il suo nome per bocca di Eraclito, il quale amava il vecchio Kmita come un fratello.

— I miei ossequi! i miei ossequi! — ripeteva il vecchio Billevich, compreso quasi da un senso di soggezione.

— M'inchino al porta spada di Rossyeni, e gli offro i miei servigi, — disse Pan Andrea arditamente, e non senza un certo orgoglio. — Pan Eraclito fu per me un padre ed un benefattore, ed io non ho mai cessato d'amare tutti i Billevich come se il mio proprio sangue scorresse nelle loro vene.

— E specialmente — interruppe il principe posando confidenzialmente una mano sulla spalla del giovane — e specialmente dacchè ha appreso ad amare una certa Panna Billevich, cosa che ci ha confessato da molto tempo.

— E lo ripeterò dinanzi a chiunque — soggiunse audacemente Pan Kmita.

Calma, calma! — disse il principe sorridendo. — Questo giovane cavaliere ha fatto parlare un poco di , ma siccome appunto è giovane, l'ho preso sotto la mia speciale protezione, e spero che, unendo le nostre preghiere, otterremo la revoca di una certa sentenza che ha pronunciato su di lui un leggiadro tribunale.

— Vostra Altezza farà quello che le piace, — rispose Pan Billevich. — La fanciulla dovrà ripetere le parole dette dalla sacerdotessa dei pagani ad Alessandro il Grande: «Chi può opporsi a te?»

— E noi, come quel Macedone, ci fermeremo a questa profezia. Ma conducetemi dalla vostra parente, perchè io sarò ben lieto di vederla.

Pronto a servirvi, Altezza. Ecco la fanciulla; ella è sotto la protezione di Pani Voynillovich, nostra parente. Chiedo scusa a Vostra Altezza se ella è un poco confusa, perchè non ebbi tempo di prevenirla.

La previsione di Panna Billevich era giusta. Fortunatamente non era quello il primo momento in cui Olenka vedeva Pan Andrea a lato del Capitano generale; le riescì perciò di serbare un certo contegno, ma per un istante perdette la sua presenza di spirito, e rimase attonita a guardare il giovine cavaliere, come se le fosse apparso dinanzi uno spirito dell'altro mondo. Ella, infatti, erasi immaginata, che quello sciagurato giovine fosse ancora errante chi sa dove nelle foreste, senza tetto, abbandonato da tutti, ricercato dalla giustizia che voleva fargli pagare il fio dei suoi misfatti. Dio solo aveva contato le lagrime che ella aveva pianto in segreto per quell'uomo perduto. Ed ora lo trovava invece a Kyedani, libero, al fianco del principe, superbo, brillante, con i distintivi di colonnello, col capo fieramente eretto, imponente, eroico. Strani e contradditori sentimenti si alternavano perciò nel cuore della fanciulla; dapprima provò un grande sollievo come se le avessero tolto dal petto un peso; poi il dispetto di aver sentito tanta pietà e tanto dolore per nulla; e infine una gioia, ed insieme una sensazione di debolezza e di ammirazione confinante col terrore, al cospetto di quel giovane eroe, che vogava impavido sulla superficie dell'immensa gora che doveva inghiottirlo.

Intanto il principe, il porta spada e Kmita avevano finito di conversare e si avvicinarono. La fanciulla abbassò le palpebre, e rialzò le spalle, come un uccello che voglia nasconder la testa fra le ali. Ella comprendeva che i cavalieri muovevano verso di lei. Senza guardarli, ella li vedeva; sentì che le si accostavano sempre più, e che finalmente le stavano dinanzi. E ne fu tanto sicura, che, senza alzare le palpebre, tosto si levò e fece un profondo inchino al principe.

Questi esclamò:

— Per la passione di Cristo! Ora non mi meraviglio più che questo giovane abbia perduto la testa poichè mai vidi un fiore più meraviglioso. Vi saluto, bella donzella con tutto il cuore e l'anima mia. Mi conoscete?

Conosco Vostra Altezza, — rispose Olenka.

— Io non vi avrei certo riconosciuta. Eravate una bambina quando vi vidi l'ultima volta. Ma alzate le vostre pupille! Fortunato il palombaro che coglie siffatta perla; sciagurato chi l'aveva e l'ha perduta! Eccolo qui, questo sciagurato. Lo conoscete?

— Sì, Altezza, — balbettò Olenka senza alzare gli occhi.

— Egli è un gran colpevole, ed io ve l'ho condotto perchè si confessi. Imponetegli la punizione che vi piace, ma non rifiutategli l'assoluzione, perchè la disperazione potrebbe fargli commettere peccati gravi.

Il principe si volse al porta spada ed a Pani Voynillovich. — Lasciamo soli questi giovanidiss'egli — perchè non è conveniente star presenti ad una confessione, e d'altra parte a me lo vieta la mia fede.

Dopo un istante Pan Andrea ed Olenka erano soli. Il cuore batteva forte nel petto della donzella, ed egli pure era evidentemente commosso. Ambedue stettero lungo tempo in silenzio. Finalmente Kmita mormorò a voce bassa e soffocata:

— Non vi aspettavate di vedermi, Olenka?

— No, — mormorò la fanciulla.

— In verità! voi sareste meno allarmata se si trovasse dinanzi a voi un Tartaro. Non dovete temere alcun male da me. Ed anche se fossimo soli non dovreste aver paura, perchè io ho fatto giuramento a me stesso di rispettarvi. Abbiate fiducia in me.

— Come posso aver fiducia in voi? — ella rispose sollevando momentaneamente gli occhi.

— È vero, io ho mancato, ma in passato; in avvenire non mancherò mai più. Mentre ero a letto e vicino a morte, dopo quel duello con Volodyovski, io dicevo a me stesso: — Il cuore di Olenka non è di pietra e la sua collera passerà: ella vedrà il tuo pentimento, la tua sincera trasformazione, e ti perdonerà. Sull'orlo della tomba giurai di emendarmi e manterrò il mio giuramento. Io non sarò mai più un bandito, acquisterò gloria servendo la patria, e riparerò tutti i mali che ho fatto. Che cosa mi rispondete, Olenka? Non mi direte una buona parola?

Egli la guardò teneramente e giunse le mani in atto di preghiera.

— Posso credervi? — diss'ella esitando.

— Sì, per quanto Dio mi è caro, è vostro dovere di credermi. Mi credette il principe, l'uomo più nobile del mondo. Perchè voi sola non dovreste aver fiducia in me?

Perchè ho veduto gli effetti delle vostre azioni; le lagrime della, gente ed i tumuli non ancora coperti dall'erba.

— L'erba coprirà i tumuli ed io li bagnerò colle mie lagrime.

Fate prima questo.

Datemi solo la speranza, che quando avrò inondato di lagrime quelle fosse avrò conquistato il vostro perdono e voi stessa. In nome di Dio, vi supplico, Olenka, d'assicurarmi, che non porgerete la mano ad un altro prima che io sia addivenuto ad una pacificazioni coi nobili.

— Voi sapete, che in forza del testamento di mio nonno io non sono libera di sposarne un altro. Potrò soltanto rinchiudermi in un monastero.

Guai a me, se voi vi appigliaste ad un tale partito! — esclamò Kmita. — Mi è noto che rifiutaste Volodyovski, perchè me lo disse egli stesso, incoraggiandomi a riconquistare il vostro cuore con le mie azioni. Ma a che mi gioverebbe se voi prendeste il velo? Ora noi andiamo in guerra ed io non vi chiedo di sposarmi domani; ma se Dio mi concede di udire una buona parola da voi, vivrò più tranquillo. Uditemi, anima mia! Io non ho desiderio di morire; ma in battaglia la morte può colpire chiunque, quindi è vostro obbligo di perdonarmi come ad un uomo che sta per esalare l'ultimo sospiro.

Voglia Iddio preservarvi da ogni malerispose la donzella con dolce accento, dal quale Pan Andrea rilevò tosto che le sue parole avevano prodotto l'effetto desiderato.

Come la neve si scioglie ai primi tepori della primavera, così ogni diffidenza si dissipò fra i due giovani. I loro cuori battevano più liberamente, e i loro occhi si rischiararono. Ma finora ella non aveva nulla promesso, ed egli ebbe abbastanza tatto da non chiedere di più.

Frattanto il maggiordomo venne ad annunciare che era servita la cena, e subito si fece un gran movimento nella sala. Il conte Löwenhanpt porse il braccio alla principessa precedendo tutti gli altri. Veniva poi il Vescovo Parchevski col padre Byalozor, ambedue turbati e tristi.

Kmita aveva offerto il braccio ad Olenka, e procedeva altero e col volto raggiante di felicità.

Al suono dell'orchestra che aveva intuonato una specie di marcia, tutti entrarono nella sala del banchetto, che per sola era grande come un intero edificio. La tavola in forma di ferro di cavallo e capace di trecento persone, si piegava sotto il peso del vasellame d'argento e d'oro.

Il principe Giovanni, nelle cui vene scorreva sangue reale, prese il primo posto accanto alla principessa; e tutti coloro che passavano loro dinanzi inchinavansi e andavano ad occupare il loro posto secondo il loro rango.

A tutti sembrava che il Capitano generale avesse un aspetto alquanto preoccupato. Egli atteggiava la bocca al sorriso, ma il suo sguardo era lo sguardo di un uomo in preda ad un'agitazione febbrile. Di tratto in tratto appariva sulla sua fronte come un'oscura nube, ed invano egli si sforzava di apparire ilare e sorridente.

Ai due lati dell'immenso tavolo si discorreva animatamente, ma al centro regnava un silenzio strano; si bisbigliava solo qualche rara parola, o si scambiavano occhiate, incerte e paurose.

— Il Capitano generale si mostra sempre così taciturno e concentrato prima di intraprendere una guerra, — osservò il vecchio colonnello Stankyevich rivolgendosi a Zagloba che gli sedeva accanto.

— Anche il leone ruggisce malinconicamente prima del cimento, — replicò Zagloba, — come per eccitarsi maggiormente all'odio contro il nemico.

Signori, guardate: il Vescovo Parchevski è pallido come un morto, — disse Stanislao Skshetuski.

— Sarà perchè è seduto alla tavola d'un calvinista, e temerà d'ingoiare del veleno insieme col cibo, — replicò Zagloba sottovoce. — Non è per dimostrare diffidenza o disprezzo contro il principe che io dico così, — soggiunse: — ma ad ogni modo vi consiglio, signori, di lasciar da parte le vivande, perchè Iddio protegge la gente cauta.

— Che cosa andate dicendo? Chi si raccomanda a Dio, è salvo prima di mangiare; da noi, nella Grande Polonia, vi sono molti Luterani e Calvinisti, ma io non ho mai udito dire ch'essi avvelenano le vivande.

Il crescente frastuono pose un termine alla conversazione. I commensali erano già alquanto eccitati dalle frequenti libazioni.

I colonnelli discutevano intorno alla imminente guerra. Pan Zagloba prese a narrare l'assedio di Zbaraj, e l'ardore ed il coraggio degli uditori si accese, sentendo parlare delle gesta eroiche compiute da tanti prodi guerrieri in quell'epoca. Pareva che lo spirito dell'immortale «Principe Geremia» aleggiasse in quella sala ed infondesse nelle anime di quei soldati i più eroici propositi.

Il caldo incominciava a divenir insopportabile, e il sangue ribolliva nelle vene dei guerrieri; gli occhi lanciavano fiamme, le fronti grondavan di sudore.

Appunto in quel momento il grande orologio della sala suonò la mezzanotte. Nel medesimo istante tremarono le pareti, tintinnarono i vetri delle finestre e rimbombò lugubremente un colpo di cannone.

Si fece un silenzio sepolcrale. Ad un tratto in capo alla tavola qualcuno gridò: — «Oh Dio! il vescovo è svenuto! Acqua, acqua

La confusione era generale. Alcuni balzarono dalle sedie per veder meglio che cosa succedeva. Il vescovo non era svenuto, ma si sentiva così male, che il maggiordomo lo sosteneva fra le sue braccia, mentre la moglie del Voivoda di Venden gli spruzzava il viso con acqua.

Si udì un secondo colpo di cannone, poi un terzo e poi un quarto.

Evviva la Repubblica! Periscano tutti i suoi nemici! — gridò Zagloba.

Ma altri colpi troncarono il suo discorso.

Silenzio! Il principe vuol parlare! — gridarono improvvisamente alcuni convitati da diversi punti della tavola.

Si fece un silenzio profondo, e tutti gli occhi si rivolsero su Radzivill, il quale stava ritto, con un calice colmo in mano. Il suo volto era in quel momento veramente spaventevole. Non era pallido, ma livido, ed i suoi lineamenti erano contratti da un sorriso convulso.

— Che ha il principe? Che succede? — andavan sussurrando i convitati, ed un sinistro presentimento invase tutti i cuori. Alla fine il principe incominciò a parlare con voce rotta dall'affanno.

Signori! Questo mio brindisi farà stupire molti fra voi, od almeno li empirà di terrore; ma chiunque ha fede in me, chiunque desidera sinceramente il bene della patria, chiunque è fedele amico della mia casa, ripeterà dopo di me: «Evviva Carlo Gustavo che da oggi ci governa

Evviva! — ripeterono i due inviati Löwenhanpt e Shitte, e poscia qualche decina di comandanti forestieri.

Ma nessun altro ripetè il grido. I colonnelli ed i nobili si guardarono l'un l'altro attoniti, e come chiedendosi se il principe non avesse per avventura perduto la testa. Finalmente molte voci sorsero a domandare: «Abbiamo noi bene udito?» e si fece di nuovo silenzio.

Tutti i volti esprimevano un immenso stupore e tutti gli occhi si fissarono di nuovo sopra Radzivill, che, respirando più liberamente come se si fosse tolto un gran peso dal petto, soggiunse rivolgendosi a Pan Komorovski:

— È tempo di render pubblico il trattato che noi firmammo quest'oggi, affinchè tutti i presenti sappiano come da ora innanzi dovranno regolarsi. Leggete!

Komorovski s'alzò, spiegò una pergamena, e cominciò a leggere il terribile trattato che principiava con queste parole

«Vista impossibile ogni altra via di salvezza nella condizione disperata in cui ci troviamo, e perduta ogni speranza d'aiuto da parte del nostro serenissimo Re, noi, signori e magnati del Grande Principato di Lituania, stretti da forza maggiore, ci sottomettiamo alla protezione del serenissimo Re di Svezia, alle seguenti condizioni:

I. Di allearci in guerra contro i comuni nemici, eccettuato il Re ed il Regno di Polonia;

II. Che il Gran Principato di Lituania non verrà incorporato alla Svezia, ma vi sarà unito federalmente, come lo fu finora col Regno di Polonia: cioè: uguaglianza tra popolo e popolo, tra senato e senato, tra cavalierato e cavalierato, in tutto e per tutto;

III. Sarà conservata la libertà di parola nelle Diete;

IV. Resterà inviolata la libertà del culto.

E così via, Pan Komorovski continuò a leggere in mezzo al silenzio ed al generale terrore, finchè giunse all'ultimo paragrafo: «Noi confermiamo il presente atto colla nostra firma per noi e pei nostri discendenti; promettiamo e stipuliamo...»

A questo punto si levò nella sala un mormorìo simile al primo soffio della bufera. Ma prima che la tempesta scoppiasse, Pan Stankievich, pallido come un morto, si alzò in piedi, e disse con accento supplichevole:

Altezza, noi non possiamo credere alle nostre orecchie! Per le piaghe di Cristo, è possibile, è onorevole di abbandonare i fratelli, di abbandonare la patria e di unirsi al nemico? Ricordatevi il nome che portate, i servigi che avete resi in passato al paese, la fama della vostra casa finora immacolata. Stracciate e calpestate codesto vergognoso documento! Io so di parlare non in mio nome soltanto, ma nel nome di tutti i soldati e nobili qui presenti. Spetta anche a noi il diritto di decidere dei nostri destini.

Stracciate quel trattato! Abbiate pietà della Repubblica! — ripeterono centinaia di voci.

Tutti i colonnelli balzarono in piedi e si avvicinarono al principe gridando: «Altezza, stracciate quel trattato infame

Radzivill alzò la sua testa imponente, e con gli occhi lampeggianti, esclamò:

Conviene a voi, signori, di dare pei primi esempio d'insubordinazione? Volete voi sostituirvi alla mia coscienza? Volete insegnare a me quello che devo fare in pro' della patria? Qui non siamo ad una Dieta, e voi non siete invitati a dare il vostro voto; ma son io che mi assumo ogni responsabilità dinanzi a Dio!

Nel dire così si battè il petto col pugno, e guardando con occhio sfavillante gli ufficiali, soggiunse dopo un istante:

— Chi non è con me è contro di me! Io sapevo che vi sareste ribellati, ma sappiate, signori, che la spada pende sul vostro capo!

Serenissimo principe! — continuò ad implorare il vecchio Stankyevich, — risparmiate voi stesso, risparmiate noi!

— Due alti dignitari della Repubblica hanno venduto la patria! — gridò Giovanni Skstetuski. — Cada su loro, con la vergogna, la collera di Dio!

Nell'udire queste parole, Zagloba si scosse dallo sbalordimento, e gridò:

Domandategli quanto pesava il gruzzolo che ricevette dagli Svedesi... e quanto essi gli hanno promesso per l'avvenire? O signori, quegli è Giuda Iscariota in persona. Ch'egli possa morire disperato! Che il demonio si trascini seco l'anima sua! Traditore! Traditore! Traditore! tre volte traditore!

Nel medesimo istante si spalancarono quattro porte, dalle quali entrarono dei plotoni di fanteria scozzese, terribili, silenziosi, armati di moschetti.

Alt! — gridò il principe. Quindi rivolto ai colonnelli: — Chi è con me passi al lato destro della sala!

— Io sono soldato, io servo il mio Capitano. Che Dio mi giudichi! — disse Kharlamp passando a destra.

— Io pure! — disse Myeleshko, — la colpa non ricadrà su me.

— Io ho protestato come cittadino: come soldato devo obbedire, — disse Nyevyarovski, il quale, sebbene avesse gettato il bastone del comando, ora tremava.

Dietro a costoro passarono parecchi altri, e un grosso numero di nobili: ma Mirski, Stankyevich, Hoshchyts, Volodyovski e Oskyerko rimasero dov'erano, e con essi stettero pure i due Skshetuski, Zagloba, e la maggioranza degli ufficiali e dei nobili. La fanteria scozzese li circondò come una muraglia.

Kmita, al momento in cui il principe proponeva di brindare a Carlo Gustavo, era balzato in piedi con tutti i convitati, e rimaneva come impietrito, ripetendo colle labbra tremanti:

— Oh Dio! Oh Dio! Oh Dio! Che cosa ho mai fatto!

Nel medesimo tempo, una voce, che egli ben conosceva, sussurrò sottovoce:

Pan Andrea, che avete?

— Io sono, maledetto! — esclamò il giovane strappandosi i capelli.

Il volto d'Olenka si coprì di una vampa di rossore; i suoi occhi sfolgoranti come due stelle si fissavano su Kmita.

Onta e infamia a tutti coloro che si schierano dalla parte del principe, — diss'ella. — Che fate, Pan Andrea?... Scegliete!

— Oh Gesù! Gesù! — esclamò Kmita.

Intanto la sala echeggiava di grida. Gli altri avevano gettato il bastone del comando ai piedi del principe, ma Kmita non li imitò: egli rimaneva immobile, col volto livido, collo sguardo smarrito.

Ad un tratto si rivolse a Panna Billevich, e stendendo le braccia verso lei:

Olenka! Olenka! — ripeteva in tono lamentevole, simile a quello di un fanciullo che chiede aiuto.

Ma ella si ritrasse con evidente ribrezzo, e gli disse con fermezza:

Scostati, o traditore!

In quel momento Ganhoff comandò: — Avanti! — ed i soldati scozzesi circondarono i prigionieri, e mossero con loro verso la porta.

Kmita li seguì macchinalmente come uomo fuor di senno, senza sapere dove andava perchè.

              


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