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I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio
In quella stessa notte il principe tenne una lunga conferenza col Voivoda di Venden e gli inviati svedesi. Il trattato concluso dischiudeva dinnanzi a lui un avvenire minaccioso. Egli si aspettava qualche opposizione, ma l'energia della protesta aveva sorpassato ogni sua previsione. Salvo qualche decina di nobili calvinisti ed un manipolo di ufficiali d'origine straniera, i quali, come forestieri, non avean voce in capitolo, tutti gli altri si erano dichiarati contrari al trattato da lui concluso con Carlo Gustavo, o piuttosto col generale Pontus della Gardie, suo cognato.
Il principe aveva dato ordine, è vero, di arrestare gli ufficiali ribelli; ma poteva egli impedire che gli squadroni si ribellassero a lor volta e liberassero i loro colonnelli?
Al principe rimanevano pochi aderenti, quasi tutti stranieri, mentre egli avrebbe avuto bisogno di ufficiali polacchi, i quali attirassero gli altri col prestigio del loro nome e della loro riputazione. Pan Kharlamp gli era rimasto fedele, ma questi era un vecchio soldato, buono pel servizio ma privo di ogni influenza.
Gli rimaneva anche Kmita, giovane intraprendente, ardito, cinto già da un'aureola di gloria, che comandava un poderoso squadrone, cui manteneva a sue spese. Ov'egli abbracciasse la causa di Radzivill, la difenderebbe con la fede e l'entusiasmo della gioventù, e quella fede saprebbe forse ispirarla ad altri giovani cavalieri baldi come lui.
Ma egli pure aveva evidentemente esitato. Non aveva lanciato, è vero, il proprio bastone ai piedi del principe, ma non era accorso al suo fianco quando lo aveva chiamato.
Non posso fare assegnamento su nessuno, — egli si disse alfine mestamente.
Le candele si erano consumate nel frattempo e la sala rimase ad un tratto avvolta nell'oscurità. Radzivill si riscosse dalle sue penose meditazioni e battè le mani. Harasimovich, che vegliava nella stanza attigua, apparve tosto e s'inchinò fino a terra.
— Lume! — disse il principe imperiosamente.
Harasimovich si allontanò in fretta e ritornò poco dopo con un candelabro in mano.
— Altezza! — disse in tono umile — è l'ora del riposo. I galli hanno già cantato due volte.
— Io non ho voglia di dormire. — rispose il principe. — Vi è nulla di nuovo?
— Nulla, Altezza.
— Le sentinelle sono debitamente appostate?
— Sì, Altezza.
— Sono stati spediti gli ordini agli squadroni?
— Sì, Altezza.
— Che cosa fa Kmita?
— Egli si batteva la testa contro il muro e si agitava come un pesce nella melma. Voleva correre dietro ai Billevich, ma le guardie glielo impedirono. Trasse la spada e dovettero legarlo. Ora è tranquillo.
— Il porta spada di Rossyeni è partito?
— Non eravi ordine di trattenerlo.
— Me ne sono dimenticato! — disse il principe. — Apri le finestre, perchè io soffoco. Dirai a Kharlamp che si rechi ad Upita, e conduca qui lo squadrone. Gli darai denaro perchè paghi agli uomini il primo quartale e li lasci divertire. Gli dirai pure che gli dono Dydkyemse, la tenuta che avevo dato a Volodyovski. Poi manderai Kmita da me.
Harasimovich uscì. Il principe si accostò ad un armadio e ne trasse una cassetta in cui stavano alcune pistole; le prese e se le pose dinanzi a portata della mano.
Dopo un quarto d'ora Kmita entrò, accompagnato da quattro soldati scozzesi. Il principe ordinò ai soldati di ritirarsi e rimase faccia a faccia col giovane.
Pareva non vi fosse più una goccia di sangue nel suo viso tanto era pallido, ma i suoi occhi rilucevano come quelli d'un febbricitante; del resto, era calmo, rassegnato sebbene in preda ad un'estrema disperazione.
Stettero alquanto in silenzio.
— Voi giuraste sul crocifisso di non abbandonarmi, disse alfine Radzivill.
— Sarò dannato se mantengo quel giuramento, e dannato se non lo mantengo, — replicò Kmita; — per me è lo stesso.
— Che cosa pensate che io avrei dovuto fare di fronte a due uomini cento volte più forti di me, a nemici, contro i quali non potevo difendere la patria?
— Morire! — rispose Kmita con fermezza.
— Morire! — ripetè il principe. — Per chiunque ha fissato la morte negli occhi e non la teme, non v'è nulla di più semplice al mondo. Ma nessuno pensa che, se io avessi voluto suscitare una guerra aspra e sanguinosa e poi fossi morto senza venir a trattative, di questo paese non sarebbe rimasta una pietra su l'altra. Dio non permetta ciò, perchè la mia anima non troverebbe riposo nemmeno in paradiso. Mi condannino pure gl'invidiosi, com'uomo guidato da superbia; dican pure che io ho tradito la patria per esaltare me stesso. Voi che mi abbandonate, trovate i mezzi di salvezza; additatemi voi la strada, voi che mi chiamate traditore; e questa notte stessa io lacererò quell'odioso documento, e scuoterò dal sonno tutti i nostri squadroni e li spingerò contro il nemico.
— Ebbene, tacete? — esclamò Radzivill a voce alta. — Io vi farò Capitano generale al mio posto e Voivoda di Vilna. Voi non dovete morire, perchè ciò non è prodezza; ma salvate voi il paese. Difendete le provincie occupate, vendicate le ceneri di Vilna; difendete Jmud contro l'invasione degli Svedesi, anzi, difendete l'intera Repubblica, ricacciate oltre i confini il nemico! Arrischiate tre contro mille! Non morite, perchè ciò non è lecito, ma salvate la patria.
— Io non sono Capitano generale e Voivoda di Vilna, — rispose Kmita, — ed è inutile parlarmi di ciò che non mi appartiene. Ma se si tratta di arrischiare tre contro mille, io andrò.
— Ebbene, giacchè la vostra testa non vi suggerisce alcun mezzo per salvare la patria, lasciate alla mia testa la cura di salvarla.
— Non posso! — disse Kmita a denti stretti.
— Io non ho contato sugli altri, ma contavo su voi e mi sono ingannato. Vi accolsi come mio figlio, vi rimisi ogni vostro peccato, e sapete perchè? Perchè ho creduto che in voi palpitasse un cuore ardito, pronto alle più grandi imprese, ed io avevo bisogno di tali uomini, e non di uomini ai quali non si può additare altro sentiero fuorchè quello ch'essi ed i loro padri hanno sempre calpestato. Ma appunto questo vecchio sentiero ci ha condotti al precipizio. Che cos'è oggi la Repubblica la quale una volta poteva minacciare il mondo? Io desidero di salvare la Repubblica; e per me tutt'i mezzi, tutt'i modi son buoni a tal uopo. Roma, ne' tempi nefasti, eleggeva dittatori; un tal potere, anzi un potere più grande e più durevole, occorre a me. Non è orgoglio che mi spinge; chiunque si credesse da tanto, si prenda in vece mia un tal potere. Ma se nessuno si offre io lo assumo, dovessero anche questi muri crollare sul mio capo.
Qui il principe protese ambe le mani come se infatti volesse sostenere la vòlta che stava per rovinare su di lui, e in quell'atto eravi qualche cosa di sì nobile e grande, che Kmita spalancò gli occhi, e lo guardò come se lo vedesse per la prima volta, chiedendo alfine con voce alterata:
— Che intendete fare, Altezza? Che cosa bramate?
— Una corona! — gridò Radzivill.
— Gesummaria!
Passarono alcuni istanti di profondo silenzio, quando dall'alto della torre si udì il lungo e sinistro ululato di un gufo.
— Ascoltate — disse il principe — è tempo che io dica tutto. La Repubblica perisce; deve perire. Non c'è via di scampo per essa. La questione è di salvar dalla rovina questa provincia (la Lituania) questa nostra madre-terra, e poi... poi fare in modo che l'intera Repubblica risorga dalle sue ceneri come l'araba fenice. Io ho in mente di far questo; e la corona, quella corona che io desidero, io voglio portarla come un peso sulla mia testa, e mi parrà con ciò di trarre da questa gran tomba una vita tutta nuova. Non temete! La terra non s'aprirà; ogni cosa rimarrà a suo posto, ma si approssimano tempi nuovi. Io do questa terra agli Svedesi soltanto per potere col mezzo delle loro armi arrestare un altro nemico e ricacciarlo oltre i confini, ed imporre poi un trattato a quel nemico nella sua stessa capitale con la spada alla mano. Nella Svezia montuosa e sterile non vi sono abbastanza uomini, non forze sufficienti per prender possesso dell'intera Repubblica. Essi possono vincere il nostro esercito una volta, due volte, ma non potranno mai ridurci all'obbedienza. Carlo Gustavo lo sa molto bene, e nè vuole nè può conquistare l'intera Repubblica. Egli occuperà la Prussia e la grande Polonia, e se ne contenterà. Lasciate adunque compiersi il volere di Dio. Gli Svedesi sono dalla mia parte, l'Elettore, nostro parente, ha promesso aiuto. Io libererò il paese dalla guerra: Il mio governo comincierà con la vittoria e coll'estensione dei confini; la pace e la prosperità regneranno sovrane; il fuoco non distruggerà le città ed i villaggi. E giuro per la luce del cielo, giuro per quelle tremolanti stelle che splendono lassù, che, se mi rimane vita e salute, riedificherò quest'edifizio cadente e lo farò più forte che mai.
Gli, occhi del principe fiammeggiavano, e tutta la sua persona pareva circondata da un'aureola luminosa.
— Altezza! — esclamò Kmita — io non posso afferrare un tal concetto; la mia testa non regge; i miei occhi non osano guardare tanta grandezza.
— Gli Svedesi non priveranno Giovanni Casimiro del regno e del governo, ma lo lasceranno in Mazovia e nella Piccola Polonia, — soggiunse il principe seguendo il corso dei suoi pensieri. — Dio non gli ha dato figli. Un'elezione avverrà presto o tardi. Chi chiameranno al trono, se desiderano unire un'altra volta al Regno la Lituania? Quando risorse il regno a nuova potenza ed abbattè i Cavalieri della Croce? Fu dopo che Vladislao Iagellone venne assunto al trono. Lo stesso avverrà questa volta. I Polacchi possono porre sul trono solamente colui che già vi si trova. Tu, grande Iddio, che governi il corso degli astri, concedimi di salvare questa disgraziata terra per la gloria tua e quella del Cristianesimo; dammi uomini capaci di comprendermi e pronti a darmi mano in questa grande opera di salvazione! Ecco il mio concetto! — Qui il principe sollevò le braccia e volse gli occhi al cielo, esclamando: — Tu mi vedi, tu mi giudichi!
— Altezza! — esclamò Kmita commosso suo malgrado, — i vostri intendimenti sono sublimi.
— Andate, gettate il bastone del comando ai miei piedi, violate il vostro giuramento; chiamatami traditore! Distruggete voi stessi la patria; trascinatela nel precipizio; annientate la mano che poteva salvarla; e poi presentatevi al giudizio di Dio! Egli deciderà fra voi e me!
Kmita cadde in ginocchio dinanzi a Radzivill, ed esclamò: — Possente principe, io sarò con voi fino alla morte!
Radzivill posò ambo le mani sulla testa del giovane, e così stettero entrambi per un istante in silenzio. Solamente il gufo urlava senza posa sulla torre.
— Voi riceverete tutto quello che avete domandato e desiderato — disse il principe in tono solenne. — Nulla vi mancherà, ed anzi, avrete più di quanto bramavano vostro padre e vostra madre. Alzatevi, futuro Capitano generale e Voivoda di Vilna!
Mentre Radzivill pronunciava queste parole spuntava in cielo l'alba del nuovo giorno.