Henryk Sienkiewicz
Il diluvio

PARTE PRIMA

CAPITOLO XVIII.

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CAPITOLO XVIII.

Kmita non partì in quello stesso giorno, il giorno successivo, perchè incominciarono ad arrivare a Kyedani notizie allarmanti da ogni parte. Verso sera giunse un corriere annunciante che gli squadroni di Mirski e di Stankyevich erano in marcia verso la residenza del Capitano generale, per chiedere, armata mano, la liberazione dei loro colonnelli.

La notizia del tradimento del principe si era sparsa rapidamente, e gli ufficiali avevano mandato dei messi a Podlyasye ed a Zubladovo invitando tutti a radunarsi in difesa della patria.

Ciò mutò tutti i calcoli ed i piani del principe. Egli decise di porsi in persona alla testa dei suoi fedeli reggimenti scozzesi, dell'artiglieria e della cavalleria, e di muovere contro i ribelli, soffocando l'incendio appena divampato. Sapeva che i soldati senza colonnelli non erano che una massa disorganizzata, ed inoltre stabilì di non risparmiare sangue, e di terrorizzare con esempi tutto l'esercito, tutti i nobili, anzi, tutta la Lituania. Tutto ciò ch'egli aveva determinato doveva compiersi, e compiersi colle sue proprie forze.

Fu perciò stabilito di affrettare il trasferimento dei prigionieri a Birji, dove sarebbero stati più al sicuro che non a Kyedani. Il principe sperava con ragione, che col trasportare i colonnelli in una fortezza remota dove, secondo il trattato, doveva trovarsi già una guarnigione svedese, distruggerebbe nella mente dei soldati ribelli qualunque speranza di poterli liberare, e destituirebbe d'ogni sua base la ribellione stessa.

Era già sera, quando un ufficiale con una lanterna in mano entrò nella cella dei prigionieri, e disse loro:

Signori, preparatevi a seguirmi.

Dove? — domandò Zagloba con voce alquanto incerta.

— Questo lo vedrete. Presto seguitemi!

— Eccoci.

Appena furono nel corridoio, e vennero circondati da un drappello di soldati scozzesi, Zagloba si turbò sempre più.

Basta che non ci conducano a morte senza un prete, senza confessione, — bisbigliò nell'orecchio di Volodyovski. Poi, voltò all'ufficiale:

— Qual'è il vostro nome? — gli chiese.

— Che importa a voi il mio nome? — replicò l'ufficiale.

— Io ho molti parenti in Lituania, ed è una soddisfazione il sapere con chi si ha a che fare.

— Io sono Roh Kovalski, se bramate saperlo.

— È una stirpe onorata. Mia nonna era una Kovalski. Discendete voi dai Kovalski di Vyerusk o da quelli di Korab?

— Volete esaminarmi come testimonio.

— Oh, io vi domando queste cose perchè siete per certo mio parente, — replicò Zagloba. — Infatti, abbiamo lo stesso tipo.

Bene, bene, discorreremo di ciò cammin facendo. Ne avremo tutto il tempo.

Cammin facendo? — disse Zagloba, ed un gran peso gli cadde dal cuore.

Pan Michelebisbigliò — lo dissi io che non ci avrebbero tagliata la testa?

Intanto erano arrivati nel cortile. Erasi fatto notte. Qua e ardevano delle torcie e delle lanterne, che proiettavano una luce incerta sui gruppi di soldati e di cavalli delle diverse armi. Tutto il cortile era popolato di truppe, evidentemente pronte per mettersi in marcia.

Kovalski arrestò la scorta ed i prigionieri dinanzi ad un immenso carrozzone tirato da quattro cavalli.

Salite, signoridiss'egli.

— Ma chi è seduto qui? — domandò Zagloba, vedendo qualcuno nell'interno del carrozzone.

Mirski, Stankyevich, Oskyerkorisposero tre voci.

Volodyovski, Giovanni e Stanislao Skshetuski, e Zaglobarisposero i nostri cavalieri.

Viaggiamo in onorevole compagnia. E dove ci conducono? lo sapete voi, signori?

Andiamo a Birjidisse Kovalski.

Una scorta di cinquanta dragoni circondò il carrozzone che si mise subito in moto. I prigionieri cominciarono a discorrere sottovoce.

— Ci conducono a Birji per consegnarci agli Svedesidisse Mirski. — Io me lo aspettavo.

Preferisco starmene fra nemici, che fra traditori, — disse Stankyevich.

— Ed io vorrei piuttosto ricevere una palla in fronte, — soggiunse Volodyovski, — che starmene colle mani alla cintola in una sì sfortunata guerra.

— Non bestemmiare, Micheledisse Zagloba; — da una carrozza si può spiccare un salto, ed anche da Birji si può fuggire, ma con una palla in fronte è difficile scappare. Io prevedo che quel traditore non ardirà piantar palle nella nostra testa.

— Vi è forse qualche cosa che Radzivill non osi fare? — domandò Mirski.

Tacquero per alcuni istanti. Nel frattempo il carrozzone aveva raggiunto la piazza di Kyedani. La città era immersa nel sonno; non si vedeva nessun lume anima viva nelle strade.

Signori, — riprese a dire Zagloba, — voi non v'immaginate in quali terribili situazioni mi sono trovato ed ho sempre trovato il mezzo di uscirne. Ditemi, che razza di uomo è l'ufficiale che comanda la scorta? Non sarebbe possibile di indurlo ad abbandonare il traditore e di unirsi a noi?

— Costui è Roh Kovalski, — rispose Oskyerko. — Lo conosco e vi accerto che potreste persuadere più facilmente il suo cavallo di lui; ritengo che non vi sia uomo più stupido al mondo.

Perchè lo hanno fatto ufficiale se è così stupido?

Perchè al principe piace la sua forza straordinaria. Egli rompe le unghie dei cavalli, lotta con gli orsi e non è stato ancor trovato un uomo cui egli non abbia potuto atterrare. Inoltre, se il suo superiore gli ordinasse di abbattere un muro con la testa, egli lo farebbe senza esitare. Ha ricevuto l'ordine di condurci a Birji, e ci condurrà in quella città anche se la terra si sprofondasse.

— Sull'onor mio — disse Zagloba che ascoltava la conversazione col massimo interesse — egli è un uomo risoluto.

— Sì, ma la sua risolutezza consiste unicamente nella stupidità. È un uomo, in certo qual modo, meraviglioso. Una volta egli dormì quarantotto ore in caserma e si svegliò quando lo destarono, affermando di non aver dormito abbastanza.

— Mi piace assai quest'ufficialedisse Zagloba. — Del resto, è sempre bene sapere con chi si ha a che fare. — poi si rivolse a Kovalski: — Venite un po' da questa parte in grazia! — gli disse con un certo tono di protezione.

— Che cosa volete? — domandò Kovalski.

— Avete dell'acquavite?

— Sì.

Datemene.

Darvene? Perchè?

Riceveste forse l'ordine di non darcene? No. Dunque non potete negarci un sorso di gorailka.

— Ah! — esclamò Kovalski, colpito da questo ragionamento. — Ma voi me la chiedete per forza.

— Per forza o non per forza, è un dovere assistere un parente, un vecchio parente, il quale, se avesse sposato vostra madre, avrebbe potuto essere vostro padre.

— Che parente siete voi per me?

— Certo voi non ignorate che vi sono due ceppi di Kovalski, quelli di Vyerush che hanno nello stemma una capra, e quelli sul cui scudo si vede la nave sulla quale i loro antenati salparono dall'Inghilterra e vennero in Polonia per mare. Questi ultimi sono appunto miei parenti, per parte di mia nonna, perciò anch'io ho una nave sul mio stemma.

— Per Dio! voi siete davvero mio parente.

— Sì, siamo dello stesso sangue! — esclamò Zagloba. — Che fortuna che ci siamo trovati! Io venni da queste parti appunto per vedere i Kovalski; e, sebbene io mi trovo qui come prigioniero, sarebbe per me una vera consolazione di potervi abbracciare.

— Mi dispiace, ma non posso accontentarvi. Mi hanno comandato di condurvi a Birji, ed io vi condurrò. Sangue è sangue, servizio è servizio.

Chiamatemi ziodisse Zagloba.

— Eccovi l'acquavite, ziodisse Kovalski. — Posso darvene fin che ne volete.

Zagloba prese la fiaschetta e bevve a piacere. Tosto un dolce tepore si trasfuse in tutte le sue membra.

Scendete da cavallodisse a Kovalski — e sedete qui in carrozza accanto a me. Discorriamo un pochino. Mi piacerebbe sapere da voi qualcosa intorno alla nostra famiglia. Io rispetto il servizio, ma questo mi sembra permesso.

Kovalski stette un po' in forse, poi disse:

— No, questo non è proibito.

E tosto sedette al fianco di Zagloba. Questi l'abbracciò cordialmente.

— Come sta il tuo vecchio padre? Che Dio m'aiuti... ho dimenticato il suo nome.

— Si chiama Roh anch'egli.

— È vero, è vero! Roh generò Roh! Questo è conforme alla legge. Tu devi imporre lo stesso nome a tuo figlio. Sei ammogliato?

— Senza dubbio! Io sono Kovalski, ed ecco qui Pani Kovalski. Non ne voglio nessun'altra!

Così dicendo, il giovane ufficiale mostrò a Zagloba l'elsa d'una pesante sciabola, e ripetè:

— Non ne voglio nessun'altra!

Benone! — disse Zagloba. — Roh, figlio di Roh, tu mi piaci assai. Sarebbe peccato se la tua stirpe dovesse estinguersi con te. Ma ascoltami, caro Roh, dove andavano le truppe quando noi siamo partiti da Kyedani?

— Contro gl'insorti!

Sa Dio chi sono gli insorti! voi o gli altri?

— Io un insorto? No davvero! Io faccio tutto ciò che mi comanda il Capitano generale.

— Ma il Capitano generale non fa quello che comanda il Re, perchè certamente il Re non ha comandato a lui di unirsi agli Svedesi. Non vorresti tu uccidere gli Svedesi piuttosto che dare me tuo parente, nelle loro mani?

— Sì, ma quando si è comandati si deve ubbidire.

Caro mio, a dirla qui fra noi, è il Capitano generale che si è ribellato contro il Re e contro la patria. Non ripetere le mie parole a nessuno, ma è così; e coloro che servono lui sono tutti ribelli come lui.

— Non mi conviene di ascoltare simili discorsidisse Kovalski. — Il capitano generale è il mio superiore e Dio mi punirebbe se io mi opponessi ai suoi ordini.

— Tu parli da uomo onesto; ma se tu cadessi, per caso, nelle mani di quelli che tu chiami insorti, io sarei libero, e non sarebbe colpa tua, perchè nec Hercules contra plures! Io non so dove sono gli squadroni insorti, ma tu devi saperlo, e noi potremmo volgere da quella parte.

— Che cosa intendete dire?

— Ecco, se passassimo per caso dove si trovano, non sarebbe colpa tua se essi ci liberassero. Tu non avresti certo nessun peccato sulla coscienza, mentre l'avere sulla coscienza la vita di un parente è un peso terribile.

Zio, che dite mai? Voglio risalire subito sul mio cavallo per non udirvi più. Non sono io che avrò mio zio sulla coscienza, ma il Capitano generale. Finchè io vivo, non avverrà mai nulla di ciò che voi dite.

Calma, calma, caro mio! — disse Zagloba. — Preferisco sentirti parlare sinceramente, sebbene io fossi tuo zio prima che Radzivill fosse il tuo duce. Sai tu, Roh, che cosa è uno zio?

— Uno zio è uno zio.

Giustissimo. Ma quando un uomo non ha padre, le Sacre Scritture dicono ch'egli deve obbedire a suo zio. Il potere di uno zio è quanto quello di un padre, a cui è peccato resistere. Un uomo ha il diritto di ribellarsi al padre, alla madre, al nonno o alla nonna? Rispondimi, Roh. Ne ha egli il diritto?

— Che cosa dite? — domandò Kovalski mezzo addormentato.

Dico che un uomo non deve ribellarsi all'autorità dei genitoridisse Zagloba. — Non è vero?

A questa domanda Zagloba attese invano una risposta.

Roh, Roh! — gridò più forte, ma Kovalski dormiva come un ghiro.

Dormemormorò Zagloba. — Aspetta un po'... voglio liberarti la testa da questo elmo che ti pesa. Ed anche questo mantello è troppo stretto al collo, potrebbe cagionarti un accesso d'apoplessia. Che sorta di parente sarei se non ti salvassi da una morte simile?

Mentre così diceva le mani di Zagloba gli tolsero delicatamente intorno alla testa ed al collo di Kovalski. Nel carrozzone tutti dormivano profondamente. I soldati pure barcollavano sulle selle; qualcuno di quelli che cavalcava alla testa, canticchiava, mentre osservava la strada colla massima attenzione.

Dopo qualche tempo, il soldato, che conduceva il cavallo di Kovalski, vide apparire nell'oscurità il mantello e l'elmetto lucente del suo ufficiale. Kovalski gli fece cenno di avvicinarsi ed in un batter d'occhio salì in sella.

Signor Comandante, dove ci fermeremo per il pascolo? — domandò il sergente avvicinandoglisi.

Pan Roh non rispose; si slanciò innanzi di gran carriera e scomparve nell'oscurità.

— Il comandante se n'è andato al galoppo — si dicevano i dragoni. — Sicuramente vuol vedere se vi è qualche osteria nei dintorni. È tempo di far pascolare i cavalli.

Passò mezz'ora, un'ora, due ore e Pan Kovalski non ricomparve. I cavalli erano molto stanchi, specialmente quelli che tiravano il carrozzone. Il sergente comandò ad un soldato di andare avanti in cerca di Pan Kovalski.

— Se incontrate il comandante, ditegli che i cavalli si rifiutano di proseguire, — diss'egli.

Il soldato partì, ma dopo un'ora ritornò solo, dicendo:

— Non v'è traccia del comandante da nessuna parte. Credevo di trovarlo in un albergo non molto distante da qui, ma non vi era e nessuno ha udito il calpestìo di un cavallo. Il diavolo sa dov'è andato!

— Ci fermeremo in tutti i modi in qualche luogo. Bisogna bene far riposare i cavalli, — soggiunse il sergente.

Infatti, si fermarono davanti all'albergo. I soldati smontarono. Alcuni andarono a battere alla porta; altri slegarono i fasci di fieno che pendevano dalle selle, e diedero da mangiare ai cavalli.

I prigionieri si svegliarono quando si fermò il carrozzone.

— Ma dove andiamo? — chiese il vecchio Stankyevich.

— Chi lo sa? — rispose Volodyovski. — So soltanto che non andiamo ad Upita.

— Ma per andare da Kyedani a Birji non bisogna passare da Upita? — domandò Pan Giovanni.

— Sì, ma siccome ad Upita c'è il mio squadrone, il principe, temendo che questo si ribelli, ha ordinato a Kovalski di prendere un'altra strada.

Guardate Pan Zagloba, — disse Stankyevich; — invece di pensare allo strattagemma, come aveva promesso, dorme saporitamente.

Lasciamolo dormire. Certo dev'essersi stancato nel parlare con quello stupido comandante a proposito della loro parentela. Forse tentò di convertirlo alla nostra causa, ma non vi è riescito.

— Sono davvero parenti? — domandò Oskyerko.

— Sono tanto parenti quanto voi e me — rispose Volodyovski.

— Dov'è andato Pan Kovalski? Non lo vedo più, — disse Mirski sporgendo il capo dal carrozzone.

— Sarà entrato nell'albergo, — rispose Oskyerko.

Soldato, dov'è il comandantedomandò Volodyovski a un dragone che gli stava vicino.

— Non lo sappiamo, Pan colonnellorispose il soldato. — Da quando è uscito dalla carrozza ed è risalito a cavallo allontanandosi di gran carriera, non è più ritornato.

Volodyovski trovò strano che Kovalski si fosse allontanato, ma non fece nessuna osservazione. Nell'interno del carrozzone regnò di nuovo il silenzio. I cavalli masticavano tranquillamente il loro fieno, ed i soldati sonnecchiavano in parte, mentre altri brontolavano ed imprecavano, perchè non avevano trovato nulla da rifocillarsi nell'albergo.

Il cielo cominciava a rischiararsi, le stelle impallidivano e scomparivano a poco a poco. Volodyovski aprì gli occhi e gettò uno sguardo su Zagloba che continuava a dormire.

Tutto ad un tratto esclamò:

— Per mille diavoli! Aprite gli occhi, signori, e guardate!

— Che è successo? — chiesero i colonnelli, destandosi di soprassalto.

Guardate, guardate! — gridò Volodyovski additando il dormiente.     ..

I prigionieri volsero lo sguardo nella direzione indicata, e lo stupore si dipinse sui loro visi. Al posto di Pan Zagloba, avvolto nel mantello del vecchio nobile, dormiva del sonno del giusto Pan Roh Kovalski, mentre Zagloba era scomparso.

— Per mille diavoli, è fuggito! — esclamò Mirski, guardando attorno da ogni parte come se non credesse ai suoi occhi.

— Ha preso l'elmo ed il mantello di quello stupido ed è scappato sul suo cavallo!

Ora non lo vedremo più.

Signori, — osservò Volodyovski, — voi non conoscete quell'uomo. Io sono sicuro che libererà anche noi; non so con quali mezzi, ma vi giuro che lo farà.

Le grida e le esclamazioni che si udivano nell'interno del carrozzone attrassero l'attenzione dei soldati, che rimasero stupefatti vedendo il loro comandante saporitamente addormentato, con un berretto di pelle di lince in testa ed avvolto in un mantello che non era il suo.

Il sergente cominciò a scuoterlo senza cerimonie, gridandogli nelle orecchie

Comandante, è fuggito un prigioniero!

Kovalski si riscosse ed aprì gli occhi.

— Che c'è? Che cosa dite? — balbettò sgomento.

— È fuggito un prigioniero, quel vecchio nobile che parlava con voi.

Impossibile! — esclamò l'ufficiale esterrefatto. — In che modo è scappato?

— Col vostro mantello e col vostro elmetto. I soldati non lo hanno riconosciuto. La notte era molto oscura.

— Dov'è il mio cavallo

— Su esso è appunto fuggito il prigioniero.

Kovalski si strinse il capo nelle mani. Dopo un istante gridò:

— A me, a me, quell'imbecille, quel figlio d'un cane che gli ha dato il cavallo!

Pan Comandante, il soldato non ne ha colpa. Le tenebre erano così profonde ed egli aveva il vostro mantello e l'elmetto. Se Vostra Grazia non si fosse seduto nella carrozza tutto ciò non sarebbe avvenuto.

Uccidetemi, uccidetemi! — gridava il disgraziato ufficiale.

— Che faremo ora?

Inseguitelo, raggiungetelo, ammazzatelo!

— Questo è impossibile. Egli è sul vostro cavallo ed i nostri sono estenuati.

Kovalski, in un accesso di rabbia impotente, si volse ai prigionieri:

— Voi l'avete aiutato a fuggire! — gridò fuori di . E così dicendo agitava il suo poderoso pugno. Mirski lo affrontò, e gli disse minacciosamente:

— Non schiamazzare e ricordati che parli con i tuoi superiori.

Kovalski s'irrigidì istintivamente, poichè infatti il suo grado era molto inferiore a quello dei prigionieri. Stankyevich aggiunse:

— Se vi hanno comandato di scortarci fate il vostro dovere ma non alzate la voce, perchè domani potreste trovarvi sotto il comando d'uno di noi.

Kovalski lo guardò e tacque per alcuni istanti. Ma ad un tratto si cacciò le mani fra i capelli e si diede a gridare con voce lamentevole:

Dio mio! la lettera del principe al comandante di Birji! Era nella tasca del mio mantello. Che farò adesso?... Sono irremissibilmente perduto. Che Dio mi mandi una palla nella testa!

— State tranquillo, che ciò non vi mancherà, — disse Mirski seriamente. — Ma come potete condurci a Birji non possedendo più la lettera del Capitano generale? Credete che il comandante svedese ci deterrà sulla semplice domanda del capitano Kovalski? Egli crederà piuttosto a noi, superiori di alto rango, e seppellirà voi in un sotterraneo.

— Sono perduto, sono perduto! — gemette Kovalski.

— Che cosa dobbiamo fare, Comandante? — chiese il sergente.

Andate tutti al diavolo! — gridò Kovalski. Passandosi poi una mano sulla fronte, soggiunse: — Torniamo a Kyedani.

— Come potete ardire di presentarvi al Capitano generale? — gli disse Oskyerko. — Vi aspetta l'infamia ed una palla in fronte.

— Non merito altro, — gridò lo sciagurato ufficiale.

— Noi soli possiamo salvarvisoggiunse Oskyerko. — Voi sapete che eravamo dispostissimi a seguire il Capitano generale in capo al mondo ed a dare la nostra vita per lui. Ma egli tradì la patria. Egli ha venduto questa terra ai nemici, si unì ad essi contro il nostro Re, al quale aveva giurato fedeltà. Credete voi, che a noi soldati sia stato facile di rifiutare obbedienza ad un superiore? Ma chiunque oggi sta col principe è contro il Re; è un traditore del Re e nella Repubblica. Chi sono quelli che rimasero fedeli al capitano generale. I ribelli. Perchè non seguite voi gli uomini migliori? i più savi e più vecchi di voi? Volete coprirvi d'infamia, ed essere proclamato traditore? Domandate alla vostra coscienza che cosa dovete fare. Rimanere con Radzivill che è un traditore, oppure unirvi a noi che vogliamo dare l'ultima goccia di sangue per la patria?

Questo discorso produsse una grande impressione sull'animo di Kovalski. Egli spalancò gli occhi, spalancò la bocca, e dopo un istante disse:

— Che volete da me, signori?

— Vogliamo che veniate con noi dal Voivoda di Vityebsk il quale combatte per la patria e per il Re.

— Ma io ho l'ordine di condurvi a Birji, e voi potete dire tutto ciò che vi piace, signori, io sono soldato e devo ubbidire. Se il Capitano generale è un traditore, risponderà delle sue azioni; è mio sacro dovere di ubbidirgli e non voglio saper altro.

Fate quel che vi piace! — disse Mirski.

Veramente trasgredisco all'ordine ricevuto perchè ho comandato di ritornare a Kyedani, mentre dovevo condurvi a Birji, — soggiunse Pan Kovalski; — ma per causa di quel nobile, il quale affermò di essere mio parente, io perdo la testa. Che razza di parente è mai colui? Signori miei, io vi conduco a Birji; sarà quel che sarà.

Perdete il tempo inutilmente con costui, Pan Oskyerkodisse. Volodyovmki.

Fronte indietro! — comandò Kovalski ai dragoni. — Andiamo a Birji.

Pan Kovalskj montò sul cavallo di un soldato e cavalcò al fianco dei prigionieri, mormorando più volte sottovoce: — Un parente non doveva giocarmi questo tiro!

I prigionieri, per quanto incerti del loro destino e seriamente turbati, non poterono tenersi dal ridere. Finalmente Volodyovski gli disse:

Consolatevi, Pan Kovalski, che quell'uomo l'ha fatta ad altri meno sciocchi di voi. Egli ha sorpassato Hmelnitski stesso in astuzia, e per inventare strattagemmi non vi è chi possa stargli a paro.

Kovalski non rispose, ma si scostò alquanto dal carrozzone per isfuggire al ridicolo; era tanto accasciato che moveva a pietà.

Andarono innanzi lentamente, e soltanto verso sera videro la collina ai cui piedi giace Shavli. Sulla strada notarono un insolito movimento. Senza dubbio era giunta nei villaggi circostanti la notizia del tradimento di Radzivill e si era propagata in tutto l'Jmud. Qua e la gente chiedeva ai soldati, se era vero che il paese doveva essere occupato dagli Svedesi, e si vedevano di tratto in tratto gruppi di contadini, in atto di lasciare i villaggi con le loro donne, i fanciulli, il bestiame e le masserizie, per internarsi nelle foreste, dalle quali tutta la regione era protetta. Nei villaggi che erano abitati da nobili, veniva loro chiesto direttamente chi erano e dove andavano; e quando Kovalski, invece di rispondere, comandava loro di lasciar libero il passo, uscivano in grida e minaccie.

La strada che, passando da Kovno e Shavli conduceva a Mitava, era occupata da carrozzoni, e carri, e carrozze, nei quali stavano le donne ed i fanciulli dei nobili, desiderosi di rifugiarsi nella Curlandia. A Shavli i colonnelli trovarono il primo distaccamento svedese, composto di venticinque cavalieri venuti da Birji in ricognizione. Una folla di cittadini e di Ebrei stavano a guardare gli stranieri. I colonnelli pure li osservarono curiosamente, e in ispecial modo Volodyovski, che non aveva mai veduto degli Svedesi.

Pan Kovalski si avvicinò agli ufficiali, e disse loro chi era, dove andava, chi scortava, e li pregò di unire i loro uomini alla scorta dei dragoni. Ma gli ufficiali risposero che avevano ordine di spingersi innanzi il più possibile nel paese, sicchè non potevano ritornare a Birji; ma assicurarono Kovalski che la strada era sicura, poichè dei piccoli distaccamenti erano stati mandati da Birji in tutte le direzioni.

— Se Zagloba venisse a liberarcidisse Volodyovski sul fare del giorno — non dovrebbe tardare molto.

— Chi sa che non sia rimpiattato in questi dintorni? — osservò Pan Stanislao.

— Io ho sperato che ci libererebbe prima di vedere gli Svedesi, — disse Pan Stankyevich, — ma ora ritengo che non vi sia più scampo per noi.

Zagloba aveva in mente di evitarli o di gabbarli, ed egli è tale da farlo.

Ma egli non conosce il paese.

— La gente di Lauda lo conosce perchè molti portano a Riga canape, legnami d'opera e catrame; il mio squadrone è composto in gran parte di questi uomini.

Alt! — gridò improvvisamente Kovalski, che cavalcava alla testa della scorta, interrompendo la conversazione dei prigionieri.

— Che una palla possa romperti il muso! — mormorò una voce vicino alla carrozza.

— Chi viene? — si domandarono l'un l'altro i soldati.

Alt! — comandò Kovalski una seconda volta.

I soldati si fermarono. La giornata era serena. Il sole sorgeva in cielo, ed al chiarore dei suoi raggi si distingueva da lungi sulla strada un nembo di polvere, che diventava sempre più visibile. Certamente erano truppe che si avanzavano al galoppo alla volta dei prigionieri.

— Sono truppe che ci vengono incontro, — disse il piccolo cavaliere.

— Sarà un distaccamento svedese, — replicò Pan Giovanni.

Attenti! — comandò Pan Roh con voce tuonante.

I dragoni circondarono in un attimo la carrozza. Pan Volodyovski, col volto raggiante di speranza, teneva gli sguardi fissi sui soldati che si avvicinavano di gran carriera.

— Sono i miei uomini di Lauda con Pan Zagloba. Non può essere altrimenti, — egli esclamò giubilante.

La distanza fra i sopravvegnenti e la scorta scemava ad ogni momento. In un attimo furono a tiro di fucile. In prima fila cavalcava un ufficiale attempato con un bastone in mano. Appena posti gli occhi addosso a quell'uomo, Volodyovski gridò:

Pan Zagloba! Quant'è vero Dio, è lui!

Un sorriso di gioia irradiò il volto di Pan Giovanni.

— È lui, proprio lui! — esclamò anch'egli. — Quel vecchio è un uomo impagabile.

— Che Dio lo benedica! — disse Oskyerko.

Pan Zagloba si pose le mani alla bocca a foggia di portavoce, e si diede a gridare:

Ehi! caro Kovalski! il tuo parente viene a farti visita!

Ma Pan Kovalski non udì quelle parole essendo occupato a disporre i suoi dragoni. Ed è pure giustizia dichiarare, che, quantunque non avesse che un insignificante manipolo d'uomini, mentre dalla parte opposta si avanzava contro lui un intero squadrone, egli non si mostrava punto confuso scoraggiato. Ma il nemico desiderava evidentemente di parlamentare, poichè spiegò una bandiera e molte voci gridarono:

Fermatevi! Arrendetevi!

Fuoco! — comandò Kovalski per tutta risposta, ma neppure un dragone sparò il suo fucile.

Pan Kovalski rimase muto per un istante, poi si slanciò come un selvaggio contro i dragoni.

Fuoco! figli di cani! — urlò con voce terribile, calando un pugno sul soldato che gli stava più vicino.

Gli altri cominciarono ad indietreggiare, ma nessuno obbedì al comando, e ad un tratto si sparpagliarono in tutte le direzioni come uno stormo di pernici spaventate.

Pan Kovalski, vedendosi abbandonato dai suoi soldati, non retrocedette, ma si slanciò invece contro il nemico con la rapidità del fulmine. Però, prima ch'egli avesse oltrepassato la metà della distanza, un colpo partì dalle file dello squadrone guidato da Zagloba. Il cavallo di Pan Roh s'impennò e cadde traendo seco il cavaliere. Contemporaneamente un soldato dello squadrone di Volodyovski s'avanzò come una saetta, e afferrò alle spalle l'ufficiale che si rialzava da terra.

— È Yuzva Butrym! — gridò Volodyovski vedendo quell'uomo.

Pan Roh alla sua volta afferrò Yuzva per la giubba; poi i due avversari si azzuffarono e lottarono disperatamente, avendo entrambi una forza gigantesca, finchè rotolarono in terra formando una massa sola.

Altri soldati accorsero. Una ventina di mani afferrarono Kovalski, il quale si dibatteva come un orso caduto in una rete, ed atterrava gli uomini come un cinghiale atterra i cani. Alfine le forze gli mancarono e svenne.

Intanto Zagloba s'era avvicinato alla carrozza, o piuttosto vi era entrato, ed aveva stretto in un appassionato amplesso Pan Giovanni, il piccolo cavaliere, Mirski, Stankievich e Oskyerko, esclamando con voce semi soffocata dall'emozione

Ora a noi, Radzivill! Siamo gentiluomini e liberi. Andremo immediatamente a razziare nelle sue proprietà. Voi non sapete ancora, sul conto di Radzivill, tutto ciò che so io.

Zagloba non potè proseguire perchè venne interrotto dagli uomini di Lauda, che si erano avvicinati ed acclamavano il loro colonnello. I Butrym, i Gotsyevich, i Domashevich, gli Stakgan, i Gashtovt facevano ressa intorno al carrozzone, gridando a squarciagola:

Evviva! evviva!

Amatissimi camerati, — disse il piccolo cavaliere appena il generale entusiasmo si fu alquanto calmato, — io vi ringrazio dell'affetto che mi serbate. È una cosa terribile rifiutare l'ubbidienza al Capitano generale e sollevarci contro di lui; ma il suo tradimento è palese, e quindi non possiamo fare altrimenti. Noi non vogliamo tradire la patria ed il nostro Sovrano. Evviva Re Giovanni Casimiro!

Evviva Re Giovanni Casimiro! — ripeterono trecento voci.

Assaliamo le proprietà di Radzivill! — gridò Zagloba.

Procurateci dei cavalli! — gridò a sua volta il piccolo cavaliere.

Pan Michele, — soggiunse Zagloba, — ora che sei liberò, rassegno il comando del tuo squadrone nelle tue mani.

Volodyovski prese il bastone del comando, raccolse lo squadrone e si pose alla testa del medesimo con i suoi camerati.

Dove andiamo? — chiese Zagloba.

— A dire il vero non lo so nemmeno io perchè non vi ho pensatoreplicò Pan Michele.

— È cosa importante di deliberare sul da fare prima di muoversi, — disse Mirski. — Ma mi sia permesso anzitutto di fare i dovuti ringraziamenti a Pan Zagloba nel nome di tutti noi, perchè ci ha così meravigliosamente liberati.

— Senza di me, — osservò il vecchio con un certo orgoglio — sareste a quest'ora a Birji. E dovete riconoscere, signori miei, che ciò che nessun uomo può pensare, Zagloba lo pensa. Michele, noi ci siamo trovati in istrette peggiori di queste, nevvero? Ti ricordi come ti salvai mentre fuggivamo con Elena dinanzi ai Tartari che ci inseguivano?

Pan Michele avrebbe potuto rispondere, che in quella circostanza non era stato Zagloba a salvar lui, ma egli aveva salvato Zagloba. Tuttavia preferì tacere, ed il vecchio nobile continuò:

— Non sono necessari i ringraziamenti, perchè certamente quello che ho fatto oggi per voi, voi lo fareste all'occorrenza domani per me. Io sono felice di vedervi liberi, come se avessi guadagnato la più gran battaglia. Si direbbe, che, la mia mano, la mia testa non sono invecchiati.

— Dunque tu andasti direttamente ad Upita? — gli chiese Volodyovski.

Dove avrei dovuto andare? Forse a Kyedani, in bocca al lupo? A mezzodì partimmo da Upita per Birji, sicuri che vi avremmo incontrati su questa strada.

— E come mai i miei uomini ti credettero subito? Perchè, ad eccezione di due o tre che ti videro con me, tutti gli altri non ti conoscevano.

— Non fecero nessuna difficoltà, perchè avevo il tuo anello, e gli uomini erano già informati del tuo arresto e del tradimento di Radzivill. Io m'imbattei in una deputazione, che recavasi da loro da parte dello squadrone di Mirski e di quello di Pan Stankyevich, per invitarli ad unirsi tutti contro il Capitano generale. Quando io li informai che vi traducevano a Birji, fu come se avessi gettato una miccia accesa in un barile di polvere. I loro cavalli si trovavano al pascolo, furono tosto mandati i servi per ricondurli, e a mezzogiorno partimmo. Io presi il comando, giacchè momentaneamente, mi spettava.

Ora dobbiamo tener consiglio e decidere che cosa ci convien fare — disse Zagloba dopo una breve pausa. — Se vi piace di ascoltarmi vi dirò quello che ho pensato strada facendo. Anzitutto vi sconsiglio dal cominciare tosto le ostilità contro Radzivill, e ciò per due ragioni: primo, perchè egli è un luccio e noi siamo pesci persici. È meglio che questi non rivolgano mai la testa contro quello, perchè potrebbe facilmente inghiottirli, ma gli rivolgano la coda, perchè così le scaglie li proteggeranno.

— Ed in secondo luogo? — chiese Mirski.

— In secondo luogo, — rispose Zagloba, — perchè, se mai, per mala ventura, noi dovessimo ricadere nelle sui mani, egli ci darebbe una scorticatura tale, che tutte le gazze di Lituania avrebbero da strillare per un pezzo. Vedete che cosa scriveva nella lettera che Kovalski doveva recare al comandante svedese di Birji, conoscerete il Voivoda di Vilna, se, per caso, non l'aveste ancora conosciuto!

Così dicendo egli trasse dal petto la lettera e la porse a Mirski.

— È in tedesco o in svedese? — disse il vecchio colonnello. — Chi può leggere questa lettera?

Pan Stanislao conosceva un poco il tedesco, essendo stato più volte a Thorn, ma non sapeva leggerlo.

— Vi dirò io la sostanza di questo scritto, — soggiunse Zagloba. — Mentre i soldati di Upita mandavano i servi ai pascoli per ricondurre i cavalli, io mandai a prendere un Ebreo molto versato nelle lingue, e, puntandogli una sciabola alla gola, lo indussi a leggere la lettera ed a spiegarmene il contenuto. Figuratevi, che il Capitano generale ingiungeva al comandante di Birji di fucilarci tutti quanti, ma di farlo in modo che anima viva non ne sapesse nulla.

Tutti i colonnelli si fecero a battere le mani, eccetto Mirski, che, crollando la testa, disse:

— Per me, che conosco l'uomo, vi confesso che la cosa ha dello strano, e non posso raccapezzarmi come mai il principe ha potuto lasciarci uscire da Kyedani. Vi dev'essere una ragione per la quale non ci ha messi a morte egli stesso...

— Certamente per lui era questione di non urtare l'opinione pubblica.

— Fa spavento il pensare quanto è vendicativodisse il piccolo cavaliere. — Non per vantarmi, ma Ganhoff ed io gli abbiamo salvato la vita.

— Ed io ho servito sotto suo padre, ed anche sotto di lui per ben trentacinque anni, — soggiunse Stankievich.

— È un uomo terribile, — aggiunse Pan Stanislao.

— È meglio non capitare nelle mani d'un tal uomoosservò Zagloba.

— Che il diavolo se lo porti! Noi eviteremo di combattere contro di lui, ma spoglieremo completamente le sue proprietà. Rechiamoci dal Voivoda di Vityebsk e chiediamogli aiuto.

— Egli ci riceverà a braccia apertedisse Oskyerko — e sarà bene di recarci da lui senza indugio. Per ora è il meglio che ci resta a fare.

— Siamo tutti di tale avviso? — domandò Stankievich.

— Sì, — disse Pan Mirski.

— Dunque avanti dal Voivoda di Vityebsk. Forse sarà il duce che noi chiediamo a Dio.

Amen! — dissero gli altri.

Per qualche tempo andarono innanzi in silenzio, finchè, ad un certo punto, Pan Michele parve sentirsi a disagio in sella.

— Ma non potremmo alle volte incontrare gli Svedesi? — diss'egli al fine, volgendo lo sguardo sui suoi camerati.

— Se si desse questa combinazione (molto probabile de resto), ecco il mio parere, — replicò Stankyevich. — Indubbiamente Radzivill ha assicurato gli Svedesi ch'egli ha tutta quanta la Lituania nelle sue mani, e che tutti abbandonano di buona voglia il Re Casimiro; ebbene, mostriamo loro che tutto ciò non è vero.

— Se incontreremo qualche distaccamento lungo la strada lo assaliremo, — soggiunse Mirski. — Non attaccheremo il principe perchè è troppo potente, ma, evitando conflitti ci aggireremo nei pressi di Kyedani per un paio di giorni, e molti uomini dei nostri squadroni, se nel frattempo fossero già stati disfatti, ci raggiungeranno alla spicciolata Condurremo quindi fresche forze a Pan Sapyeha, colle quali egli potrà facilmente sconfiggere il nemico.

Infatti, questo calcolo era più che assennato; ed i dragoni della scorta provavano che era giusto. Kovalski aveva resistito, ma tutti i suoi uomini si posero, senza esitanza, sotto il comando di Pan Michele.

Pan Michele determinò quindi di muovere in quella stessa notte verso Ponyevyej, di radunare i nobili di Lauda nelle vicinanze di Upita, e quindi di internarsi nelle foreste di Rogovk, dove egli supponeva che si fossero rifugiati i superstiti degli squadroni sconfitti. Intanto si fermò presso le rive del fiume Lavecha per far riposare gli uomini ed i cavalli. Ivi si trattennero sino a notte, spiando sempre fra i folti rami degli alberi la strada maestra, sulla quale transitavano continuamente comitive di contadini, che fuggivano nei boschi per la paura dell'aspettata invasione.

I soldati, mandati in ricognizione sulla strada, arrestavano ogni tanto qualche contadino per avere informazioni sugli Svedesi; ma non potevano cavar loro nulla di bocca. I contadini erano spaventati, e ciascun di essi ripeteva la stessa cosa, cioè, che non potevano dare informazioni precise.

Calata la notte, Pan Volodyovski comandò agli uomini del suo squadrone di risalire in sella, ma prima che si mettessero in moto, si udì ad un tratto un suono abbastanza distinto di campane.

— Che è ciò? — chiese Zagloba. — È troppo tardi per l'Ave Maria.

Volodyovski ascoltò attentamente per un poco, e disse finalmente:

Suonano a stormo! Sa qualcuno di voi qual città o villaggio vi sia nelle vicinanze? — chiese ai soldati.

Klavany, Colonnellorispose uno dei Gotsyevich; — noi andiamo da quelle parti a vendere potassa.

Sentite le campane?

— Sì. E una cosa insolita!

Volodyovski fece cenno al trombettiere, che diede il segnale della partenza. Lo squadrone mosse innanzi lentamente. Tutti gli occhi erano rivolti nella direzione donde giungeva sempre più forte lo scampanìo; un grande chiarore illuminava da quel lato l'orizzonte e si faceva ad ogni momento più vivo.

— Un incendio! — mormorarono i soldati fra loro.

Pan Michele si appressò a Skshetuski, e gli disse sottovoce:

— Gli Svedesi devono trovarsi in quel paese.

— Mi fa meraviglia che essi abbiano appiccato il fuocoreplicò il vecchio colonnello.

— I nobili avranno resistito, oppure i contadini si saranno sollevati, perchè gli Svedesi avranno attaccato la chiesa, — soggiunse Pan Giovanni.

— Ebbene, vedremo! — soggiunse Pan Michele con evidente soddisfazione.

Pan Michele, vedo che l'odor degli Svedesi ti stuzzica l'olfatto, — disse Zagloba battendogli famigliarmente sulla spalla. — Presto ci batteremo.

— Sì, quant'è vero Dio! — rispose il piccolo cavaliere.

— Ma chi sorveglierà il prigioniero?

— Che prigioniero?

Kovalski. È importantissimo che non ci scappi, onde Radzivill non sia informato da lui di ciò ch'è avvenuto. È necessario affidarlo ad alcuni uomini robusti e fidati, perchè nel momento della pugna egli potrebbe facilmente fuggirci.

— Hai ragione, — replicò Volodyovski. — Vuoi tu rimanergli vicino insieme ad alcuni soldati per averlo sott'occhio?

Mah! Mi spiace di starmene fuori della battaglia! Se fosse di giorno, certo non mi persuaderesti, ma di notte non ci vedo. Basta, giacchè il bene pubblico lo richiede, mi sacrifico.

Benissimo, ti lascerò cinque uomini di scorta, e s'egli fa un moto per fuggire, fuoco alla testa.

— Lo schiaccio come una pallottola di cera! Ma l'incendio si estende sempre più. Dove mi fermerò con Kovalski?

Dovunque ti piacerà. Ora non ho tempo da perdere, — rispose Pan Michele. E se ne andò.

Le fiamme si propagarono rapidamente. Il vento soffiava sul fuoco e contro lo squadrone, e col suono delle campane portava anche lo strepito delle fucilate.

— Al trotto! — comandò Volodyovski.

              


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