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Quando furono vicini al villaggio, gli uomini di Lauda si slanciarono innanzi a tutta corsa, e videro una strada abbastanza larga tutta illuminata dalle fiamme. Da ambo i lati della strada bruciavano le casette, alle quali si appiccava il fuoco per la furia del vento, che portava le fiamme dall'una all'altra. Nella strada si vedevano molti contadini spaventati, che correvano come pazzi in tutte le direzioni. Le grida degli uomini si frammischiavano al suono delle campane, ai muggiti del bestiame, all'abbaiare dei cani e alle frequenti scariche dei fucili. Lo squadrone s'avvicinò ancor più, e allora i soldati di Volodyovski poterono distinguere i soldati svedesi. Alcuni di questi soldati lottavano con gruppi di contadini armati di zappe, vanghe ed altri utensili campestri, facendo fuoco su di essi con le pistole ed i moschetti. Altri, armati di stocchi, trascinavano buoi, mucche e pecore in mezzo alla strada, ed alcuni soldati tenevano due o tre cavalli per la briglia, appartenenti agli ufficiali, che certamente erano occupati a saccheggiare le case.
La strada discendeva verso il villaggio in mezzo ad una selva di betulle, di modo che gli uomini di Lauda, senza essere veduti, scorgevano il nemico, rischiarato dalle fiamme dell'incendio, ed i contadini e le donne trascinate via dai soldati, mentre gli uomini si difendevano disperatamente.
Volodyovski condusse i suoi soldati all'entrata del villaggio, e ordinò loro di andare innanzi a passo di corsa. Egli avrebbe potuto sterminare gl'invasori, che non si aspettavano di essere assaliti; ma il piccolo cavaliere voleva affrontare il nemico in campo aperto, perciò aveva disposto le cose in modo che lo vedessero venire innanzi.
Alcuni uomini a cavallo che stazionavano presso l'entrata del villaggio, furono i primi ad avvedersi dello squadrone che si avvicinava. Uno di essi corse precipitosamente ad avvertire un ufficiale, e gli additò Volodyovski che si avanzava con i suoi uomini. L'ufficiale fece un cenno con la mano, e ad un tratto si udì l'aspro suono di una tromba frammisto a varie grida di uomini e di animali.
In un attimo tutti i soldati svedesi si radunarono abbandonando il bottino. Un ufficiale si avanzò con un trombettiere, coll'apparente intenzione di chiedere agli uomini che si avvicinavano se erano amici o nemici. Supponevano, evidentemente, che fosse qualche squadrone di Radzivill.
L'ufficiale agitò il suo cappello come per far comprendere che desideravano parlamentare.
— Fate fuoco su di lui, — disse il piccolo cavaliere, — onde comprenda quel che deve spettarsi da parte nostra.
Si udirono alcuni spari, ma la distanza era troppo grande ed i proiettili non colpirono nessuno. L'ufficiale credette, senza dubbio, che si trattasse d'un malinteso, poichè continuò ad avanzarsi agitando il cappello.
— Sparate ancora, — comandò Pan Michele.
Dopo questa seconda scarica l'ufficiale si voltò e cavalcò, senza molta fretta, verso i suoi, che nello stesso tempo gli si accostarono al trotto.
In quel momento lo squadrone, composto dagli uomini di Lauda entrava nel villaggio. Gli ufficiali svedesi, comprendendo che avevano a che fare con nemici, disposero i loro soldati in modo da far fronte all'attacco.
Tutti i soldati tolsero nel medesimo istante le pistole dalle rispettive custodie, e le posarono sul pomo della sella con la canna rivolta verso il nemico.
Volodyovski gettò un'occhiata sui suoi uomini per vedere se erano pronti all'assalto, e gridò:
— Avanti!
Gli uomini di Lauda si chinarono sul collo dei cavalli a si slanciarono innanzi con la rapidità del fulmine.
Gli Svedesi li lasciarono avvicinare e scaricarono poi simultaneamente sul nemico le loro pistole. Ma questa scarica non produsse gran danno agli uomini di Lauda, riparati com'erano dietro le teste dei cavalli; alcuni soltanto, abbandonate le redini, caddero all'indietro; gli altri si precipitarono innanzi, affrontando, corpo a corpo il nemico.
Il primo assalto impetuoso non ruppe le file degli Svedesi, ma li indusse a retrocedere lentamente. Alfine gli uomini di Lauda riuscirono a spingerli fuori del villaggio.
Volodyovski, che aveva ceduto il comando ai vecchi colonnelli ed a Pan Giovanni durante l'assalto, si pose in prima fila, facendo roteare terribilmente la sua sciabola che mieteva numerose vittime fra i nemici.
Come una donna che strappa canapa, sparisce in essa e vi rimane completamente nascosta; e come al successivo cadere dei gambi facilmente si scorge la traccia del suo cammino, così Volodyovski svaniva ad ogni tratto all'occhio fra la massa dei combattenti, lasciando sempre un vuoto dietro di sè.
Alla fine gli Svedesi, sempre indietreggiando, giunsero sul prato che si stendeva davanti alla chiesa. Qui si udì il comando degli ufficiali, i quali, evidentemente, miravano a condurre i loro uomini tutti insieme all'azione, ed a tal uopo si erano fermati.
Ma Pan Giovanni, che comandava lo squadrone, non li imitò; egli si slanciò in avanti con una colonna compatta, la quale, affrontando la debole linea del nemico, la ruppe come un conio spacca una massa qualunque. Girò poi velocemente a destra, circondando con tale movimento una parte degli Svedesi, mentre dal lato opposto Mirski e Stankyevich li attorniavano con la riserva, formata in parte dagli uomini di Lauda e dai dragoni di Kovalski.
Così incominciarono due battaglie; ma non durarono a lungo. L'ala sinistra, sulla quale s'era avventato Pan Giovanni, non potè resistere e si sparpagliò per la prima; la destra resistette più a lungo, ma alla fine seguì l'esempio dell'ala sinistra.
Gli svedesi principiarono ad arrendersi ai nobili, i quali erano specialmente abili nei combattimenti corpo a corpo. Molti, prendendo i loro stocchi per la punta, ne porgevano le impugnature ai Polacchi; altri gettavano le proprie armi ai loro piedi, e la parola: «Grazia!» risuonava sempre più spesso sul campo. Ma non si faceva attenzione a quella parola, perchè Pan Michele aveva comandato di non risparmiare che pochissimi.
Gli Svedesi, ciò vedendo, ritornarono all'attacco, e cadevano dopo disperata resistenza, redimendo ad usura col sangue dei nemici la loro morte.
I contadini accorrevano a frotte dal villaggio per fermare i cavalli, uccidere i feriti e spogliare i morti.
Così finì il primo scontro dei Lituani con gli Svedesi.
Intanto Zagloba, fermo ad una certa distanza nel bosco di betulle, presso la carrozza nella quale giaceva Pan Kovalski, era costretto ad ascoltare le amare rimostranze del giovane, il quale gli rimproverava di aver trattato così male un suo parente.
— Zio, voi mi avete crudelmente tradito, — egli diceva. — A Kyedani non mi attende soltanto una palla nella testa, ma l'eterna infamia coprirà il mio nome.
— Dunque voi credevate, mio caro, che io mi sarei lasciato condurre tranquillamente a Birji con altri uomini di alto rango, e gettare nelle affamate fauci degli Svedesi? — gli chiese Zagloba.
— Io non vi conducevo a Birji di mia spontanea volontà.
— Ma voi eseguivate un ordine di un traditore, e questa per un nobile è un'infamia, della quale dovrete purificarvi.
— Io servivo il Capitano generale.
— Il quale serve il diavolo. Ed ecco che cosa ci avete guadagnato!
Lo strepito della battaglia interruppe la conversazione.
Le grida dei combattenti giungevano sino all'orecchio di Zagloba e del suo... nipote.
— Ah! Pan Michele lavora, — disse Zagloba. — Io vorrei esser là, e non qui; e per cagion vostra mi tocca ascoltare da lontano.
Pan Zagloba tacque per alcuni istanti tendendo l'orecchio.
Poi chiese a Pan Kovalski fissandolo negli occhi:
— A chi desiderate la vittoria?
— Ai nostri, s'intende.
— Si sveglia finalmente la coscienza in voi? Ma come mai potevate consegnare il vostro sangue agli Svedesi?
— Il vostro superiore adesso è Pan Volodyovski. Voi dovete fare quello che egli vi comanda.
— Certamente.
— Ebbene vi comanda di rinunziare a Radzivill, di non servir lui ma il vostro paese.
Pan Kovalski sbarrò gli occhi in volto a Zagloba, rimase incerto per un istante, indi disse:
— Obbedisco!
— Così va bene! Alla prima occasione voi spianerete le costole agli Svedesi.
— Se questo è l'ordine, lo eseguirò volentieri — rispose Kovalski; e respirò a pieni polmoni come se gli fosse caduto dal petto un gran peso.