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Era scoppiata in Lituania la guerra civile, che aggiunta alla invasione della Repubblica da due parti, ed alla accanita guerra che si combatteva nell'Ucrania, colmava la misura del flagello. L'esercito della Lituania, che non avrebbe potuto da solo resistere a nessun esercito nemico, era diviso in due campi. Alcuni reggimenti, composti specialmente di stranieri, restavano fedeli a Radzivill; altri costituenti il maggior numero, proclamavano traditore il Capitano generale, e protestavano contro l'annessione al Regno di Svezia, ma questi erano senza un capo, senza un piano prestabilito: Sapyeha avrebbe potuto esserne il duce, ma era troppo occupato nella difesa di Byhovo e nella disperata lotta che ferveva nell'interno del paese, per poter prendere subito il suo posto alla testa del movimento contro Radzivill.
Frattanto gl'invasori, considerando la regione come cosa propria, cominciarono a scambiarsi dei minacciosi messaggi col principe. Da questo malinteso avrebbe potuto nascere prima o poi la salvezza della Repubblica; ma prima che dalle minaccie passassero ai fatti, regnava in tutta la Lituania la più terribile confusione. Radzivill, ormai deluso sul conto dei suoi soldati, determinò di ridurli all'obbedienza con la forza.
Volodyovski aveva appena raggiunto Ponyevyej col suo squadrone, dopo la battaglia di Klovany, quando gli giunse la notizia della distruzione, da parte di Radzivill, dello squadrone di Mirski e di quello di Stankyevich. Parte degli uomini erano stati incorporati per forza fra le truppe di Radzivill: altri, o erano stati fucilati o si erano sbandati, ed i rimanenti erravano in piccoli gruppi per i villaggi e nelle foreste, in cerca d'un luogo ove potessero vivere al sicuro e salvare le proprie teste dalla vendetta di Radzivill.
Ogni giorno arrivavano allo squadrone di Pan Michele molti di quei fuggitivi, e, mentre apportavano sempre nuove e diverse informazioni, lo accrescevano e lo rafforzavano sempre più.
Le più importanti fra tali notizie, furono quelle riguardanti l'ammutinamento delle truppe lituane stazionate in Podlyasye, vicino a Byalystok e Tykotsin. Dopo che le truppe di Mosca ebbero occupato Vilna, gli squadroni di quella regione dovevano impedire al nemico di invadere il territorio del Regno. Ma saputo il tradimento del Capitano generale, formarono una confederazione, alla cui testa eranvi due colonnelli, Horotkyevich e Yakub Kmita, cugino di Andrea, il più fedele partigiano di Radzivill.
Il nome di quest'ultimo era ripetuto con orrore dai soldati. Egli era stato la causa principale della dispersione degli squadroni di Stankyewich e Mirski; egli aveva fucilato senza misericordia gli ufficiali catturati. Il Capitano generale fidava ciecamente in lui e lo aveva mandato contro lo squadrone di Nyevyarovski, che malgrado l'esempio del proprio colonnello aveva rifiutato l'obbedienza al principe.
Volodyovski ascoltò con grande attenzione tutti questi ragguagli; poi, rivoltosi agli ufficiali radunati a consiglio, chiese loro:
— Che ne dite, signori. Dobbiamo noi, invece di recarci dal Voivoda di Vityebsk, raggiungere gli squadroni uniti in confederazione a Podlyasye?
— Tu mi hai tolto la parola di bocca! — disse Zagloba.
— I fuggitivi hanno pur riferito — aggiunse Pan Giovanni, — che il Re ha ordinato che alcuni squadroni ritornino dall'Ucraina per opporsi agli Svedesi sulla Vistola. Se ciò fosse accertato, noi potremmo trovarci fra vecchi camerati invece di correre dall'uno all'altro.
— Ma chi assumerà il comando di quegli squadroni?
— Dicono che lo assumerà Charnyetski, — rispose Volodyovski — ma non si sa nulla di positivo, perchè ancora non si è addivenuti ad un accordo.
— Comunque sia — disse Zagloba — io direi di portarci a Podlyasye. Noi potremo attirare dalla nostra parte quegli squadroni che si sono sollevati contro Radzivill e condurli al Re.
— Facciamo così — dissero Oskyerko e Stankyevich.
— Non è facile accostarsi a Podlyasye, — osservò il piccolo cavaliere, — perchè dovremo passare quasi sotto gli occhi di Radzivill. Se nel frattempo la fortuna ci concedesse di poter incontrare in qualche luogo Pan Kmita, io vorrei sussurrargli due parole all'orecchio da farlo diventare verde per la rabbia.
— Dunque andiamo a Podlyasye? — chiese Oskyerko.
— A Podlyasye! a Podlyasye! — gridarono tutti ad una voce.
Per altro era un affare difficile, come aveva detto Volodyovsky, perchè per andare a Podlyasye bisognava necessariamente passare vicino a Kyedani, vale a dire presso l'antro del leone.
Le strade, le città ed i villaggi, erano nelle mani di Radzivill, e poco più in là da Kyedani stazionava Kmita con cavalleria, fanteria e cannoni. Il Capitano generale era già stato informato dell'evasione dei colonnelli, della sollevazione dello squadrone di Volodyovski e della battaglia di Klavany: quest'ultimo avvenimento, gli mise addosso tanta rabbia, che si temette perfino per la sua vita, avendo egli avuto un accesso d'asma per il quale stette parecchio tempo senza quasi poter respirare.
Ed egli aveva tanto più ragione di essere in tale stato, in quanto che quella battaglia aveva scatenato sul suo capo una vera tempesta da parte degli Svedesi. I cittadini intanto, dopo tal fatto, cominciarono a far a pezzi quanti drappelli di Svedesi capitavano sotto le loro mani. E gli Svedesi ne facevano carico a Radzivill, specialmente dacchè gli ufficiali e gli uomini mandati liberi da Volodyovski a Birji, dichiararono dinanzi al comandante, che uno degli squadroni di Radzivill, per comando di lui, li aveva assaliti.
Dopo una settimana giunse al Capitano generale una lettera del comandante di Birji, e dopo altri dieci giorni un'altra lettera di Pontus de la Gardie, comandante in capo delle forze svedesi.
«O Vostr'Altezza non ha potere nè credito, — scriveva quest'ultimo — e in tal caso, come potete voi concludere un trattato in nome dell'intera Repubblica? oppure è intenzione vostra di trascinare alla rovina l'esercito del Re. In questo caso, perderete il favore del mio signore, e la punizione vostra sarà prossima e terribile, ammenochè voi vi mostriate ubbidiente, e cancelliate i vostri torti con fedeli servigi.»
Radzivill mandò tosto corrieri con una spiegazione circostanziata di quanto era avvenuto; ma il dardo era penetrato nella sua anima orgogliosa, e la ferita cominciò ad inasprirsi sempre più. L'uomo, la cui parola faceva tremare tutto il paese, i cui possedimenti sarebbero bastati per comperare tutta la Svezia e che osava tener testa al proprio Re; colui che aveva acquistato sì alta fama in tutto il mondo per le sue vittorie, e che trionfava nel suo orgoglio come il sole nel suo splendore, era costretto di subire le minaccie d'un generale svedese, e di lasciarsi imporre fedeltà ed obbedienza! È vero che quel generale era il cognato del Re; ma lo stesso Re, chi era? Un usurpatore del trono, appartenente per diritto d'eredità a Giovanni Casimiro.
La rabbia del principe era poi maggiormente accesa contro coloro che erano la causa di cotali umiliazioni, ed egli giurava a se stesso di schiacciare Volodyovski, e quei colonnelli che erano con lui, e l'intero squadrone di Lauda. Con tale ferma risoluzione Radzivill si pose in marcia per rintracciare le sue vittime, e si diede a cacciarle ostinatamente, e senza tregua.
Frattanto Volodyovski scorreva il paese inseguito furiosamente dal principe.
Zagloba era grandemente preoccupato e chiedeva di continuo a Volodyovski: — Michele, per l'amor di Dio! passeremo, o non passeremo?
— Farò quel che potrò per cavarmela, — rispondeva il piccolo cavaliere, — ma se si tratta di venire alle mani, ti dichiaro nettamente ch'egli ci batterà.
— Poi ci farà scorticare e gettare in pasto ai cani. Ma in questo caso, perchè non andiamo da Pan Sapyeha?
— Ora è troppo tardi, perchè le truppe di Radzivill e gli Svedesi hanno intercettato le strade.
— Il diavolo si faceva giuoco di me quando io persuasi Pan Giovanni e suo cugino di andare da Radzivill, — disse Zagloba disperato.
Ma Pan Michele non perdette la speranza, specialmente perchè i nobili ed i contadini, gli recavano informazioni intorno alle mosse ed operazioni strategiche del Capitano generale, essendochè Radzivill sì era alienato tutti i cuori. Pan Michele si regolò prudentemente, cosa facile per lui, chè sino dalla fanciullezza si era abituato alla guerra, combattendo contro i Tartari ed i Cosacchi.
Ed ora, chiuso fra Upita e Rogova da una parte, e Myevyaja dall'altra, egli girò astutamente nello spazio di poche miglia, evitando continuamente le battaglie e molestando gli squadroni di Radzivill.
Ma quando venne la cavalleria di Kmita, il Capitano generale chiuse tutti passi, anche i più angusti. Questo avveniva a Nyevyaja.
I reggimenti di Myeleshko e Ganhoff, con due squadroni di cavalleria sotto il comando del principe, formavano come un arco, la cui corda era il fiume. Volodyovski col suo squadrone si trovava nel centro dell'arco. Aveva di fronte un guado, ma proprio dal lato opposto eranvi due reggimenti scozzesi e dugento Cosacchi di Radzivill con sei pezzi d'artiglieria da campagna, collocati in maniera che nemmeno un uomo avrebbe potuto raggiungere l'altra riva senza passare sotto il loro fuoco.
Fortunatamente per Volodyovski, sorse di nottetempo un temporale con gragnuola ed una pioggia torrenziale che arrestò l'avanzata del nemico. Allo squadrone, stretto come in un cerchio di ferro, non rimaneva più che lo spazio di un mezzo miglio di prato, coperto da salici. Quando l'alba del nuovo giorno principiò a sorgere in cielo, i reggimenti del principe mossero innanzi verso il fiume, e quivi rimasero come impietriti per lo stupore. Volodyovski e il suo squadrone erano spariti come se li avesse inghiottiti la terra. La collera del Capitano generale piombò terribile sugli ufficiali comandati alla sorveglianza del guado. Due ufficiali, ritenuti negligenti dovevano essere fucilati; ma Ganhoff persuase il principe, a raccogliere prima informazioni e indizi più positivi circa il modo con cui la bestia era sfuggita al laccio.
Si scoprì infatti che Volodyovski, approfittando dell'oscurità e dell'orribile frastuono del temporale, aveva passato il guado con tutto il suo squadrone. Alcuni cavalli, sprofondati nella melma sino al ventre, indicavano il punto dov'egli aveva preso terra. Da altri nuovi indizi si arguì ch'egli aveva preso a tutta corsa la direzione di Kyedani. Il principe indovinò tosto, che Pan Michele intendeva recarsi a Podlyasye onde congiungersi con Horotkyevich e Yakab Kmita.
Ma passando presso Kyedani non poteva forse incendiare la città e tentare di saccheggiare il castello?
Il cuore del principe fu invaso da una terribile apprensione. Lasciò la fanteria, e partì colla cavalleria. Quando giunse a Kyedani non vi trovò Kmita, ma trovò tutto tranquillo; e l'opinione ch'egli aveva dell'abilità del giovane colonnello crebbe in lui non poco, al vedere le trincee finite, coi rispettivi cannoni collocati benissimo.
— Egli ha fatto tutto ciò di sua testa, senza mio ordine, e così bene, che Kyedani potrebbe difendersi a lungo, anche contro l'artiglieria. Se quest'uomo non si rompe il collo troppo presto, può salire molto in alto, — osservò Radzivill mentre visitava con Ganghoff le trincee. Eravi un altr'uomo pel quale il principe provava suo malgrado una certa ammirazione, frammista ad una sorda collera, e quell'uomo era Pan Michele.
— Io potrei por fine all'ammutinamento se avessi ai miei ordini due uomini come questi. Kmita diverrà sempre più accorto, ma non ha ancora l'esperienza; l'altro è cresciuto alla scuola del principe Geremia, al di là del Dnieper.
Radzivill rimase per alcuni istanti come immerso nei suoi pensieri, indi soggiunse:
— Qui è tutto tranquillo; noi dobbiamo partire immediatamente per Podlyasye, e là batterli, sconfiggerli tutti insieme.
— Altezza! — disse Ganhoff — non appena noi ci allontaneremo da qui tutti prenderanno le armi contro gli Svedesi.
— Chi, tutti?
— I nobili ed i contadini. E non solo si ribelleranno agli Svedesi ma anche contro i dissidenti, perchè gettarono tutta la colpa di questa guerra sui nostri correligionari, dicendo che noi abbiamo introdotto il nemico nel paese.
Il principe si diede a passeggiare per la stanza, e ad un tratto disse: — Se io potessi in qualche modo impadronirmi di Horotkyovich e Yakub Kmita. Essi devasteranno le mie proprietà e le saccheggeranno; non lascieranno pietra su pietra.
— Bisognerebbe rivolgersi al generale de la Gardie onde' mandasse qui il maggior numero possibile di truppe, mentre noi saremo a Podlyasye.
— Rivolgersi a Pontus!... Mai! — rispose Radzivill che arrossì pel dispetto.
— Io non voglio ricorrere ai servi quando posso trattare col padrone. Se il Re comandasse a Pontus di mettere due mila uomini di cavalleria a mia disposizione, sarebbe un caso diverso. Da Pontus non voglio dipendere. È necessario mandare qualcheduno dal Re; è ormai tempo di negoziare direttamente con lui.
La faccia macilente di Ganhoff arrossì leggermente, e i suoi occhi si accesero pel desiderio. — Se Vostra Altezza lo comandasse... — diss'egli.
— Voi andreste, lo so, ma non so se potreste arrivare. Siete tedesco, ed è pericoloso per uno straniero entrare in un paese in sommossa. Chi può sapere dov'è il Re in questo momento, e dove sarà da qui a un mese? È necessario che io mandi qualcuno dei miei connazionali, un uomo di alta nascita, il quale possa convincere il Re, che non tutti i nobili mi hanno lasciato.
— Un uomo senza esperienza potrebbe fare molto danno — osservò timidamente Ganhoff.
Il principe ricominciò a passeggiare in su ed in giù con passo agitato, e sulla sua fronte appariva chiara l'ostinata lotta dei pensieri. A dire il vero non aveva goduto un momento di pace, dal momento in cui aveva firmato il trattato cogli Svedesi. L'orgoglio lo divorava: la coscienza lo rimordeva, e rodevalo l'inaspettata resistenza del paese e dell'esercito; l'incertezza del futuro e la minaccia della sua rovina, gl'incutevano terrore.
Ganhoff lo seguiva coll'occhio: ebbe perfino un raggio di speranza che il principe, riflettendo, gli concederebbe l'incarico desiderato.
Ma Radzivill d'improvviso si fermò, e, battendosi la fronte esclamò:
— Fate salire tosto a cavallo due squadroni. Li condurrò io stesso.
Ganhoff lo fissò meravigliato.
— Una spedizione? — domandò involontariamente.
— Movetevi! — disse il principe. — Dio voglia che non sia troppo tardi!