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Condotte a fine le trincee e ben assicurato il castello contro un improvviso assalto, Kmita non differì di un momento la sua partenza, tanto più che il comando del principe di condurre il porta spada ed Olenka a Kyedani, aveva carattere imperativo. Ma al momento in cui partiva alla testa di cinquanta dragoni, Pan Andrea fu compreso da un senso di titubanza e d'inquietudine, come se si accingesse ad una impresa senza speranza di riuscita. Presentiva, anzitutto, che non sarebbe stato ben ricevuto; poi tremava al pensiero che il vecchio tentasse di resistere a mano armata, nel qual caso sarebbe stato costretto di usare la forza. Ma cammin facendo egli determinò in cuor suo di cominciare con la persuasione e con lo preghiere.
Allo scopo di spogliare la sua visita da ogni apparenza di un atto violento, lasciò i dragoni in un albergo ad un quarto di miglio dal villaggio e a due dalla casa, ordinando che la carrozza lo seguisse a breve distanza; ed egli s'avviò da solo, salvo la compagnia d'un sergente e d'un servo. Uscendo dal villaggio, Kmita vide un grande edificio; era quella la dimora del vecchio Billevich.
Kmita rallentò il passo, e cominciò a parlare fra sè formulando svariate domande e risposte; e intanto guardava con occhio ansioso il fabbricato che gli sorgeva dinanzi. Non era una casa di aspetto molto signorile, ma si capiva a prima vista che apparteneva ad un nobile provvisto di beni di fortuna.
Egli entrò liberamente perchè il cancello era aperto. Due cani vaganti per il cortile abbaiarono, annunciando l'arrivo di un forestiere, e due ragazzi accorsero subito per prendere i cavalli. Nello stesso momento apparve sulla soglia della casa una figura di donna, nella quale Kmita riconobbe tosto Olenka. Il suo cuore battè con maggior violenza, e abbandonate le redini ai servi, il cavaliere s'incamminò verso il portico a testa scoperta, tenendo in una mano la spada, nell'altra il berretto.
Olenka sostò come una vaga visione, facendosi schermo agli occhi con la mano, per ripararsi dai raggi del sole volgente al tramonto. Ma dopo un istante scomparve con la rapidità del lampo, come atterrita dall'aspetto dell'ospite inatteso.
— Principiamo male, — pensò Pan Andrea. — Ella mi fugge.
Si sentì stringere il cuore, tanto più perchè la vista di quella casa, la dolce calma che regnava tutt'intorno, avevano aperto alla speranza l'anima sua. Si era immaginato che la fidanzata lo riceverebbe festosamente, con lampi di gioia negli occhi, ma quella cara illusione era già svanita. Appena aveva veduto la fanciulla che questa era già scomparsa, ed in vece sua comparve Pan Tomaso, che gli mosse incontro con un viso sul quale leggevasi la più viva inquietudine.
— Desideravo da molto tempo di esprimervi la mia devozione, ma i tempi tristi che corrono non me lo permisero sin qui.
— Vi sono molto grato e vi prego di entrare, — rispose il porta spada, lisciandosi il ciuffo sulla fronte come era solito fare nei momenti d'incertezza e d'imbarazzo.
Kmita non voleva entrare per il primo, e i due uomini s'inchinarono reciprocamente, rimanendo fermi sulla soglia. Ma Pan Andrea si decise alfine e passò innanzi al porta-spada; dopo un istante ambedue entrarono in sala.
Vi si trovavano due nobili: uno di questi, sul fiore degli anni, era Pan Dovgird di Plemborg, parente prossimo dei Billevich; l'altro, Pan Hudzynski, era un possidente di Eyragoly. Kmita s'accorse, che appena udirono il suo nome, le loro fisonomie si fecero serie, ed essi si atteggiarono quasi come cani alla vista del lupo; ei lanciò loro dapprima un'occhiata diffidente, poi finse di non vederli.
Alla presentazione seguì un penoso silenzio. Pan Andrea s'impazientì e si morse i baffi. Gli altri ospiti lo guardavano con fiero cipiglio, ed il porta spada si lisciava il ciuffo.
— Volete vuotare un bicchiere d'idromele con noi poveri nobili? — gli chiese finalmente il vecchio Billevich.
— Lo vuoterò volentieri con un gentiluomo! — rispose Kmita.
Dovgird e Hudzynski interpretarono la risposta come un'espressione di disprezzo a riguardo loro; ma non vollero promuovere una contesa in casa d'un amico, e tanto meno con uno smargiasso, che godeva d'una terribile riputazione in tutta Jmud.
Il porta spada battè le mani; comparve un servo, al quale il padrone ordinò di portare un altro bicchiere; lo riempì, e portandolo alle labbra, disse:
— Alla vostra salute! Sono ben lieto di vedervi in casa mia.
— Ne sarei sinceramente contento, se ciò fosse vero, — replicò Kmita.
— Un ospite è sempre un ospite, — disse il porta spada speciosamente.
E conscio dell'obbligo suo, come padrone di casa, d'avviare la conversazione, domandò:
— Che cosa si dice a Kyedani? E come sta il Capitano generale?
— Non troppo bene — rispose Kmita — e non può essere altrimenti in questi tempi di turbolenze e di fastidi.
— Lo credo! — disse Pan Hudzynski.
Kmita fissò per un momento il nobile che aveva parlato, poi si rivolse a Billevich, e continuò:
— Il principe, avendo avuto promessa d'assistenza da parte del Re di Svezia, sperava di muovere senz'indugio contro il nemico a Vilna, onde vendicare la distruzione di quel paese, le cui ceneri non si sono ancora raffreddate. Ma alcuni turbolenti, giudicando falsamente le migliori intuizioni d'un uomo onesto, lo proclamarono traditore, e gli resistettero a mano armata invece di prestargli man forte contro il nemico. Non è da meravigliarsi, adunque, se la salute del principe è vacillante. Egli, cui Dio predestinava a grandi cose, vede la malizia dell'uomo creargli sempre nuovi ostacoli, pei quali la sua nobilissima impresa approderà forse a nulla. I migliori amici del principe lo hanno abbandonato e tradito.
— Così è — disse il porta spada seriamente.
— È una cosa ben dolorosa, — continuò Kmita, — ed io stesso ho udito dire dal principe: «Mi è noto che uomini onorevoli concepirono dei sospetti e fecero dei cattivi giudizi sul conto mio; ma perchè non vengono a Kyedani a dirmi in faccia quel che hanno contro di me e ad ascoltare le mie ragioni?»
— A chi allude il principe? — chiese il porta spada.
Billevich incominciò di nuovo a lisciarsi nervosamente il suo ciuffo. Alla fine, accorgendosi che la conversazione prendeva una brutta piega, battè le mani.
— Non vedete che si fa notte? Portate i lumi! — gridò Pan Tomaso.
— Dio sa — soggiunse Kmita — che era mia intenzione di presentarmi a voi di mia propria iniziativa onde darvi prova della mia eccezionale devozione. Ma oggi dovetti venire per ordine espresso del principe, il quale sarebbe venuto in persona a Billevich, se le circostanze fossero state più favorevoli.
— Sarebbe stato troppo onore per me, — replicò il porta spada.
— Non dite così, giacchè vige l'uso di farsi visita fra vicini. Ma il principe non ha un minuto di tregua, sicchè ha detto a me: «Direte in mio nome a Billevich che io non posso fargli visita; ma che lo prego di recarsi egli stesso da me con sua nipote, e senza indugio, perchè domani o doman l'altro io non so dove potrò essere.» Venni adunque per trasmettervi la sua preghiera, e spero che ambedue vi troviate in buona salute, poichè, quando entrai vidi Panna Alessandra sulla porta, ma ella sparì tosto come una visione.
— È vero, — disse il porta spada, — l'avevo mandata io stesso a vedere quale ospite ci giungeva.
— Aspetto la vostra risposta — disse Kmita.
In quel momento entrò il servo con un candelabro, che collocò sulla tavola; lo splendore dei lumi mise in evidenza l'imbarazzo di Billevich.
— Questo non è lieve onore per me, — diss'egli, — ma... non posso recarmi subito dal principe. Fategli le mie scuse. Vedete che ho in casa mia degli ospiti graditi.
— Oh, questo non porterà nessun impedimento, perchè questi signori vorranno bene arrendersi al desiderio del principe.
— Noi abbiamo la nostra lingua in bocca, e possiamo rispondere da noi, — disse Pan Hudzynski.
— Senz'attendere che altri s'arroghi il diritto di disporre delle nostre persone, — soggiunse Dovgird.
— Appunto — continuò Kmita, fingendo di prendere in buona parte le scortesi parole dei nobili. — Ho subito compreso che questi signori erano gentili cavalieri. Ma per non offendere nessuno, li invito, nel nome del principe, a venire con me a Kyedani.
— Troppa grazia! — esclamarono i due nobili, — noi abbiamo altro da fare.
Kmita li guardò con strana espressione, poi disse freddamente:
— Quando il principe invita non è permesso rifiutare.
A queste parole essi si alzarono in piedi e chiesero:
— Si tratta di un invito da parte del principe o di un comando del Capitano generale? Avete forse l'ordine di arrestarci?
— Pan Billevich, — rispose Kmita in fretta, — questi signori verranno, vogliano o non vogliano, perchè così piace a me; ma non desidero usare la forza con voi, ed io vi prego istantemente che vogliate compiacere il principe. Mi trovo in servizio, ed è la mia consegna di condurvi da lui. Il principe desidera discorrere con voi, e brama che voi soggiorniate in Kyedani in questi tempi burrascosi, in cui gli stessi contadini si ammutinano e si riuniscono in massa per saccheggiare. Voi sarete trattato in Kyedani con tutti i debiti riguardi, come ospite e come amico: ve ne do la mia parola d'onore. Siete voi sicuro che qualcuno non venga oggi o domani a saccheggiare o ad incendiare la vostra proprietà e ad attaccare la vostra persona? È forse Billevich una fortezza? Potete voi difendervi qua dentro? Kyedani è l'unico luogo dove non sarete esposto a nessun pericolo. Un distaccamento di truppe del principe resterà qui per proteggere i vostri possedimenti.
Billevich si diede a passeggiare per la sala.
— Posso io credere alle vostre parole? — diss'egli.
Mentre il vecchio gli rivolgeva questa domanda entrò Panna Alessandra. Kmita le si avvicinò in fretta, ma la fredda e severa espressione del volto della fanciulla, lo indusse a fermarsi e ad inchinarsi dinanzi a lei in silenzio. Pan Billevich si accostò a sua nipote, e le disse:
— Noi dobbiamo andare a Kyedani.
— Per qual ragione? — gli chiese Olenka.
— Perchè il principe c'invita.
— Gentilmente, — aggiunse Kmita.
— Sì, gentilissimamente — disse Pan Billevich con intonazione ironica. — Ma se non vi andiamo di nostra volontà, questo cavaliere ha ordine di condurci per forza.
— Che Dio mi preservi da ciò! — esclamò Kmita.
— Non vi ho detto, zio, che noi dovevamo fuggire al più presto possibile, perchè non ci avrebbero lasciati tranquilli? Ora le mie previsioni si avverano.
— Che cosa dobbiamo fare? che cosa dobbiamo fare? Non c'è rimedio, contro la forza — gridò Billevich.
— Pur troppo, — disse Panna Alessandra: — ma non andremo mai di nostra libera volontà. Che ci prendano pure per forza. Non saremo noi soli a soffrire, non su noi solamente piomberà la vendetta dei traditori: ma sappiano essi che noi preferiamo la morte all'infamia.
Poi, rivolgendosi a Kmita, con un'espressione di supremo disprezzo, gli disse: — Legateci, conducetevi via come prigionieri, perchè in altro modo noi non andremo.
Il sangue affluì alla faccia di Kmita. Fremette di rabbia ma si contenne.
— Ah! graziosa signora — diss'egli con voce soffocata dalla collera, — voi mi considerate come un traditore, come un uomo violento. Giudicherà Iddio chi ha ragione, io, che servo il Capitano generale, o voi che m'insultate, come un cane. Dio vi diede un bel viso ma un cuore duro ed implacabile.
— Mia nipote dice bene — gridò Billevich, a cui ritornò subito il coraggio; — noi non andremo di nostra spontanea volontà.
Ma Kmita non fece attenzione alle parole del vecchio, tanto era commosso.
— Voi godete a far soffrire la gente — continuò rivolto ad Olenka — e proclamate me traditore senza permettermi di dire una parola in mia difesa. Sia pure! Ma voi verrete a Kyedani, o volontariamente o per forza. Colà voi riconoscerete se mi avete accusato giustamente o a torto; altro non bramo da voi, perchè ormai avete tirata la corda fino a spezzarla. Sotto la vostra bellezza si nasconde una vipera come sotto un fiore.
— Noi non andremo! — ripeteva intanto Pan Billevich con maggior fermezza.
— Per mille diavoli, non andremo! — gridarono Hudzynski e Dovgird.
Kmita si rivolse a loro, pallido come un morto, con gli occhi fiammeggianti d'ira, e disse a denti stretti:
— Non tentate di resistere! I miei dragoni si avanzano. Chi di voi oserà ancora ripetere che non andrà?
Udivasi infatti il calpestìo di molti cavalli. Tutti compresero che dovevano sottomettersi e cedere alla forza.
Pan Andrea, invaso da una collera selvaggia ed incapace di frenarsi più a lungo, gridò ad un tratto con voce stentorea:
— È ora di metterci in cammino. Andiamo!
In quel medesimo istante la porta di una camera attigua si aprì pian piano, ed una voce chiese:
— Dove?
Tutti rimasero sbalorditi dallo stupore, e si volsero istintivamente verso il lato donde veniva la voce. Nel vano della porta stava un uomo piccolo, armato di tutto punto, con la sciabola sguainata.
Kmita si ritrasse d'un passo come se avesse visto un fantasma.
— Pan Volodyovski! — esclamò.
— Ai vostri comandi — rispose il piccolo cavaliere inoltrando sino in mezzo alla sala. Mirski, Zagloba, Pan Giovanni, Pan Stanislao, Stankyevich, Oskyerko e Pan Kovalski entrarono dietro di lui.
— Chiunque voi siate, signori, — disse Pan Billevich, riavutosi dal suo stupore, — salvate un nobile, che si vuole arrestare a dispetto delle leggi e dei privilegi.
— Non temete — rispose Volodyovski. — I dragoni di questo cavaliere sono già prigionieri, ed ormai toccherà a lui la stessa sorte. Rivolgendosi poi a Kmita, soggiunse: — Signor cavaliere voi non avete fortuna con me. Non vi aspettavate certo di vedermi?
— No! Io vi credeva nelle mani del principe.
— Ne sono sfuggito or ora, e mi trovo sulla strada di Podlyasye. Ma non si tratta di me, bensì di voi. La prima volta che voi rapiste questa signora io vi sfidai, nevvero?
— Sì, — rispose Kmita portandosi involontariamente la mano alla testa.
— Adesso è un altro affare. Allora eravate ancora degno che un cavaliere si battesse con voi, ma oggi non meritate che un onest'uomo incroci la sua spada con la vostra.
— Che intendete dire? — chiese Kmita: e alzando orgogliosamente il capo, fissò Volodyovski negli occhi.
— Voi siete un traditore ed un rinnegato, — rispose Volodyovski, — perchè è per opera vostra che questa povera terra geme sotto un nuovo giogo. Preparatevi adunque a subire la sorte dei traditori. L'ultima vostra ora è suonata.
— Con quale diritto voi mi giudicate e mi punite? — chiese Kmita.
— Caro signore, — disse Zagloba interloquendo, — fareste meglio di recitare le vostre preghiere, invece di chiedere delle ragioni. Se per altro avete qualcosa a dire in vostra difesa, ditelo presto, perchè non troverete anima viva disposta a prendere le vostre parti. Una volta questa signora qui presente vi riscattò dalle mani di Volodyovski; ma dopo quello che avete fatto ora, ella non prenderà certo le vostre difese.
Tutti gli sguardi si posarono involontariamente su Panna Alessandra, che sembrava una statua scolpita nel marmo. Ella infatti rimaneva muta, con gli occhi bassi, fredda come un pezzo di ghiaccio.
La voce di Kmita ruppe il silenzio. — Io non chiedo a quella signora di intercedere per me, — diss'egli alteramente.
Panna Alessandra rimase silenziosa ed impassibile.
— Entrate! — comandò Volodyovski, rivolgendosi verso la porta rimasta socchiusa.
Si udirono dei pesanti passi nella stanza vicina, e dopo un istante dei soldati, con Yuzva Butrym alla testa, penetrarono nella sala.
— Impadronitevi di quell'uomo, — comandò il piccolo cavaliere accennando Kmita, — conducetelo fuori del villaggio e fucilatelo.
— Che nessuno mi tocchi! — gridò Kmita. — Andrò io stesso.
Volodyovski fece un cenno col capo ai soldati, che si contentarono di circondarlo. Kmita si mosse, calmo, imperterrito, senza pronunciare una parola, senza gettare uno sguardo sopra nessuno. Panna Alessandra uscì contemporaneamente dalla sala per un'altra porta. Attraversò due o tre stanze a tastoni in causa dell'oscurità, ma presa ad un tratto da un capogiro, cadde a terra come morta.
Fra coloro che si trovavano nella sala regnò per alcuni istanti un silenzio sepolcrale. Finalmente Billevich lo ruppe, chiedendo:
— Non v'è misericordia per lui?
— Mi dispiace, — rispose Zagloba — perchè quel giovane va virilmente incontro alla morte.
— Signori! — esclamò Pan Billevich — Voi attirate la vendetta del principe sul mio capo.
— Noi ci rechiamo a Podlyasye, perchè colà gli squadroni si sono sollevati contro i traditori, e voi verrete con noi, — disse Volodyovski. — Potrete rifugiarvi in Byalovyej. dove un parente di Pan Skshetuski è cacciatore del Re. Colà nessuno verrà a cercarvi.
— Ma la mia proprietà andrà perduta.
— La Repubblica vi restituirà ogni cosa.
— Pan Michele — disse Zagloba ad un tratto, — conviene perquisire il prigioniero prima di fucilarlo. Chi sa che non possieda qualche lettera importante per noi.
— Ho dato ordine di condurlo fuori del villaggio, affinchè la signora non udisse lo sparo dei fucili; ma se tu prendi un buon cavallo sarai ancora a tempo di raggiungerlo, prima che le palle abbiano forato qualche scritto che può avere indosso.
Zagloba uscì immediatamente dalla sala e Pan Michele, rivolgendosi a Pan Billevich, gli chiese:
— Dov'è andata Panna Alessandra?
— Sarà andata a pregare per l'anima di quello sciagurato.
— Permettetemi, signori, di andar a vedere che cos'è avvenuto di lei, — disse il porta-spada. — A dir il vero deve provare un grande dolore, perchè so che lo amava.
— Signori, dobbiamo rimetterci in cammino, — disse il piccolo cavaliere. — Qui siamo troppo vicino a Kyedani, e Radzivill dev'essere già ritornato. Non abbiamo tempo da perdere.
— Saremo pronti fra pochi istanti, — replicò Pan Billevich lasciando la sala.
Di lì a poco lo sì udì gridare disperatamente. I cavalieri accorsero, e così pure i servi con molti lumi. Pan Billevich teneva fra le braccia Olenka, che aveva trovato stesa al suolo priva di sensi.
Volodyovski si slanciò in suo aiuto; la donzella venne rialzata ed adagiata sopra un sofà. Ella non dava segno di vita, ma dopo alcuni minuti riaprì gli occhi.
— Dio mio! — esclamò Pan Billevich, rientrando nella sala con i cavalieri dopo di aver affidato Olenka alle cure delle sue cameriere, — non potevate prendere quello sciagurato a condurlo con voi, lungi da qui, fucilandolo in seguito? Come posso fuggire con una fanciulla accasciata dal dolore e semimorta?
— Ormai si è riavuta, — rispose Volodyovski. — La adagieremo in un carrozza, poichè qui non possiamo lasciarla. Dovete fuggire entrambi, chè la vendetta di Radzivill non risparmia nessuno.
Pan Billevich si allontanò, e dopo alcuni istanti ritornò con la nipote, la quale si era abbastanza rimessa e si dichiarò pronta a partire. Ma aveva il volto stranamente acceso ed i suoi occhi rilucevano come se avesse la febbre.
— Andiamo! — disse Volodyovski.
— Andiamo, — ripeterono tutti gli ufficiali. Ma proprio in quel momento la porta si spalancò, e Zagloba piombò nella sala come una bomba.
— Ho sospeso l'esecuzione! — egli gridò.
Olenka, da rossa che era, si fece ad un tratto pallida come un cadavere; pareva in procinto di svenire di nuovo, ma nessuno se ne avvide, perchè tutti gli sguardi erano rivolti su Zagloba, il quale ansava come un mantice.
— Hai sospeso l'esecuzione? — gli chiese Volodyovski. — Perchè?
— Perchè?... lasciatemi prender fiato. Ecco, perchè... perchè senza Kmita.... senza quell'onorevole cavaliere, noi penderemmo ora tutti quanti dagli alberi di Kyedani. Signori miei, noi stavamo per fucilare il nostro salvatore.
— Il nostro salvatore? — ripeterono tutti ad una voce. — In qual modo?
— Leggete questa lettera. Qui è la risposta alla vostra domanda.
Così dicendo Zagloba porse un foglio a Volodyovski, il quale cominciò a leggere, fermandosi di tratto in tratto per guardare i suoi camerati; perchè quest'era appunto la lettera, in cui Radzivill rimproverava amaramente a Kmita di aver preservato da morte i colonnelli e Zagloba a Kyedani.
— Ebbene, che ne dite? — ripeteva Zagloba ad ogni intervallo.
Terminava la lettera, come già sappiamo, con l'incarico di trarre Billevich e sua nipote a Kyedani. Pan Andrea serbava la lettera, forse per mostrarla al porta-spada in caso di necessità; ma questa necessità non si era presentata. Ad ogni modo non rimaneva alcun dubbio, che soltanto per l'intercessione di Kmita i due Skshetuski, Volodyovski e Zagloba non erano stati fucilati immediatamente a Kyedani dopo il famoso trattato con Pontus de la Gardie.
— Signori, — disse Zagloba, — se voi persistete nella vostra idea di fucilarlo, io vi lascio, quant'è vero Dio.
— Non persistiamo, — replicò Volodyovski.
— Fu una vera fortuna che Pan Zagloba lesse subito la lettera, — osservò Skshetuski.
— Pan Zagloba riflette sempre prima di agire, — disse il vecchio nobile. — Chiunque altro avrebbe aspettato a leggere la lettera, ma non io. In nome di Dio! — dissi a Kmita dopo aver letto lo scritto — perchè non ci avete mostrato questa lettera? — Ed egli rispose: — Perchè non mi conveniva. — Quell'uomo che affrontava così impavido una morte immeritata, destò la mia ammirazione a tal punto che lo abbracciai. Voi siete il nostro benefattore, gridai, senza di voi, i corvi ci avrebbero già divorati. — Diedi tosto ordine che lo riconducessero qui, e galoppai a briglia sciolta per narrarvi al più presto possibile l'accaduto.
— Kmita è un uomo strano, nel quale vi sono molte buone qualità e molte cattive, — osservò Pan Stanislao. — Se non fosse così...
Non potè finire la frase, perchè si spalancò la porta ed entrarono i soldati con Kmita.
— Voi siete libero — gli disse tosto Volodyovski, — e finchè noi viviamo, nessuno di noi vi molesterà.
Fece cenno ai soldati di ritirarsi, e Pan Andrea rimase solo nel mezzo della sala. Era calmo; non una nube di tristezza oscurava la sua fronte; guardò gli ufficiali che gli stavano dinanzi con una certa alterigia.
— Voi siete libero! — ripetè Volodyovski. — Andate dove vi piace, anche da Radzivill, sebbene sia cosa deplorevole, che un uomo, quale voi siete, rimanga presso quel traditore della patria.
— Prima di lasciarmi libero riflettete bene — rispose Kmita, — poichè vi assicuro che non andrò in nessun altro luogo fuorchè da Radzivill.
— Unitevi a noi; lasciate che il fulmine scenda a sterminare quel tiranno di Kyedani — gridò Zagloba.
— Voi sarete per noi un amico ed un caro camerata: la patria, vostra madre, vi perdonerà le vostre offese.
— Iddio deciderà chi serve meglio la patria; voi che iniziate per conto vostro la guerra civile, oppur io, che servo il Capitano generale il quale, può salvare questa disgraziata Repubblica. Voi andate per la vostra strada, io andrò per la mia.
— Com'è vero Iddio! — disse Zagloba. — Se non avessi veduto che andavate così imperterrito alla morte, direi che lo spavento vi ha turbato il cervello. A chi avete voi giurato la vostra fede? a Radzivill o a Giovanni Casimiro? agli Svedesi o alla repubblica? Voi avete perduto la testa!
— Io lo sapevo che sarebbe invano tentare di convincervi. Addio!
— Aspettate! — disse Zagloba — giacchè è una questione di molta importanza. Ditemi: vi promise Radzivill che ci avrebbe risparmiati quando voi intercedeste per noi a Kyedani?
— Certo — disse Kmita. — Voi dovevate rimanere a Birji durante la guerra.
— Ebbene conoscetelo ora il vostro Radzivill, — soggiunse Zagloba, e, così dicendo, gli consegnò la lettera trovata nella tasca del mantello di Kovalski. Kmita la prese e cominciò a scorrerla coll'occhio. Man mano che leggeva il sangue gli saliva alla testa. Tutto ad un tratto spiegazzò il foglio fra le mani e lo gettò a terra.
— Addio! — diss'egli. — Avrei preferito perire per vostra mano, piuttosto che leggere questo scritto. — E nel dir così lasciò la sala.