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Kmita si occupò immediatamente e con grandissima sollecitudine dei preparativi del viaggio, e specialmente per quanto si riferiva alla scelta degli uomini della scorta che doveva accompagnarlo. Trovò alfine sei fedeli soldati che avevano già servito sotto i suoi ordini, i quali gli erano affezionati e pronti a seguirlo anche in capo al mondo.
Alla loro testa vi era il sergente Soroka, servo fedele della famiglia dei Kmita, vecchio soldato, leale a tutta prova, sebbene fosse colpito da numerose sentenze per atti violenti da lui compiuti.
Dopo il pranzo il principe consegnò a Pan Andrea le lettere ed un lascia passare pei comandanti Svedesi, e nell'accommiatarlo gli rivolse parole affettuose, proprio come un padre ad un figlio, raccomandandogli la massima accortezza e prudenza. Kmita stava prendendo commiato da Ganhoff, Kharlamp ed altri ufficiali, bevendo con loro, come si suol dire, il bicchiere della staffa, quando sull'imbrunire entrò Soroka, e gli chiese:
— Si parte Comandante?
— I cavalli e gli uomini sono già pronti nel cortile.
Il sergente uscì, e gli ufficiali cominciarono a vuotare bicchieri su bicchieri; Kmita fingeva di bere, più che non bevesse realmente.
— Valoroso Colonnello, — disse Ganhoff, già alquanto brillo, — raccomandatemi al favore del Principe Bogoslavio. Egli è un vero cavaliere; non se ne trova uno simile in tutta la Repubblica. Benchè sembri un uomo effemminato, è pieno di coraggio e così valoroso, che durante la battaglia si getta sempre pel primo nel folto della mischia e combatte come un leone.
— Il principe Bogoslavio è coraggioso, non lo nego, — replicò Kharlamp, — ma è troppo ligio alla Francia ed ai suoi costumi.
— È appunto questo che mi piace in lui, — ribattè Ganhoff. — I Francesi hanno modi assai cortesi, che egli ha appreso da loro. — Mentre gli ufficiali continuavano a discutere sui meriti del principe, Kmita rimaneva silenzioso e pareva tutto immerso nei suoi pensieri.
— Perchè siete così taciturno, Pan Kmita? — gli chiese ad un tratto Kharlanp. — Pensate forse a Panna Billevich?
— Panna Billevich, non è nulla per me e neppure per voi — rispose Kmita, bruscamente.
L'orologio della torre del castello suonò le sette. Nel cortile scalpitavano i cavalli, evidentemente impazienti per la lunga attesa.
Una strana inquietudine s'impadronì di Pan Andrea. Egli continuava a ripetere fra sè: — Vado, vado! — L'immaginazione faceva sfilare dinanzi ai suoi occhi ignote regioni, e una moltitudine di faccie nuove che avrebbe vedute; ma nello stesso tempo provava una certa meraviglia al pensare che stava per intraprendere un viaggio, come se fosse una cosa che non gli era mai passata per la mente.
— Bisogna partire! Sarà quel che sarà! — pensava fra sè. L'ora della partenza era suonata ed egli sentiva che la sua nuova esistenza sarebbe stata ben diversa da quella alla quale era abituato. Lasciava tutte le persone, tutte le cose alle quali si era affezionato in quel paese ed in quel castello. Anche il vecchio Kmita vi rimarrebbe, per modo di dire, ed un uomo nuovo... straniero per tutti gli altri, come tutti gli altri lo sarebbero per lui, muoverebbe verso paesi lontani. Stava per incominciare una vita affatto nuova.
Ma se ne andrà egli senza un'ultima parola, senza un saluto? Ma che cosa le dirà?... Dovrà egli dirle: — Ogni vincolo è spezzato fra noi, signora. Andate per la vostra strada, io vado per la mia? Perchè, perchè dirle questo? a quale scopo? Sarebbe tempo e fiato perduto ed una nuova tortura.
— Partirò così! — pensò Kmita. Ma, da un'altra parte si disse che li legava ancora il testamento di un morto. Era necessario parlare chiaramente e senza collera della loro definitiva separazione, e dirle: — Signora, voi non volete essere mia ed io vi rendo la vostra parola. Supponiamo che il testamento non esista e cerchiamo ciascheduno la felicità dove la potremo trovare. Ma ella può rispondere: — Tutto ciò lo dissi da lungo tempo; perchè ripetermelo ora?
— Io non andrò da lei, succeda quel che Dio vuole! — ripetè Kmita a sè stesso.
E calcatosi il berretto in testa uscì dalla sala. Voleva montare addirittura a cavallo e partire senza ulteriore indugio. Ma, mentre attraversava il corridoio, provò ad un tratto una strana sensazione come se qualcuno lo tirasse per i capelli, e lo invase un desiderio così irresistibile di vederla, di parlarle, di possederla, che smise di ragionare, e si spinse innanzi ad occhi chiusi, come un uomo che si getta a capofitto in mare.
Proprio davanti alla porta dell'appartamento assegnato a Pan Billevich, da dove era stata appena tolta la sentinella, s'imbattè in una giovane fantesca del porta spada.
— Pan Billevich è nella sua camera? — le chiese.
— Il porta spada si trova in camera insieme agli ufficiali, — rispose l'interpellata.
— E la signora?
— È in casa.
— Ditele che Pan Kmita deve partire per un lungo viaggio e desidera vederla.
La giovane obbedì: ma prima ch'ella fosse ritornata con la risposta Kmita alzò il saliscendi ed entrò.
— Sono venuto per prendere commiato — diss'egli — perchè non so se c'incontreremo ancora in questo mondo. — Graziosa signora; continuò, non appena la servente si fu allontanata, — volevo partire senza vedervi, ma non ne ho avuto la forza. Dio sa quando ritornerò, anzi, se ritornerò; perchè una disgrazia è sempre pronta. È meglio che noi ci lasciamo senza collera, senz'odio e senza rancore nei nostri cuori, onde un castigo di Dio non colpisca l'uno o l'altro di noi. Avrei molto e molto da dire... ed ora non trovo le parole. Pur troppo tanta felicità non mi era destinata. Come già dissi non dobbiamo tener conto del testamento di vostro nonno, la volontà dell'uomo è nulla contro il volere di Dio. Dio vi conceda felicità e pace. L'importante è che noi dimentichiamo l'uno e l'altro. Io non so quello che mi potrà capitare lungi da voi, nè dove andrò a finire. Ma non posso vivere più a lungo sottoposto alla tortura che soffro qui. E quello che più mi tormenta è l'inerzia. Non v'è nulla da fare qui... nient'altro che pensare tutto il giorno a sfortunati eventi, che ci prepara forse l'avvenire. Questo viaggio mi è tanto necessario come l'acqua ai pesci e l'aria agli uccelli: se dovessi rimanere qui diventerei pazzo.
— Che Dio vi conceda ogni felicità ed ogni bene — dite Panna Alessandra.
Ella rimaneva dinanzi al giovane, come stupefatta dalla notizia della sua partenza e meravigliata delle sue parole. Sul suo viso si leggevano la confusione e lo stupore, ed era chiaro ch'ella si sforzava invano a mostrarsi tranquilla.
— Io non serbo nessun rancore contro di voi — disse alfine.
— Qualche spirito maligno si è posto fra noi e ci ha divisi come se fra noi vi fosse l'Oceano. Ma, giacchè stiamo per separarci vale meglio farlo amichevolmente. Prima però di dividerci, è d'uopo avvenga una spiegazione fra noi. Voi mi riguardate come un traditore, e ciò mi punge più amaramente d'ogni altra cosa; perchè io voglio la salvezza dell'anima mia, e non sono mai stato nè sarò un traditore.
— Io non vi riguardo più come tale, — replicò Olenka.
— Come avete voi potuto credermi tale per un'ora sola? — esclamò Kmita. — Una volta ero dedito alla violenza, a uccidere, a incendiare; ma tradire per interesse, per ambizione... questo mai! Dio me ne guardi! Voi siete una donna, e non potete concepire in che stia la salvezza della patria: quindi a voi non conviene condannare alla cieca. Sappiate, che dal principe Radzivill e dagli Svedesi dipende la salvezza della patria. E chiunque la pensa diversamente, e specialmente opera in conseguenza, contribuisce alla rovina del suo paese. Non vi dico di più perchè il tempo stringe ed io devo partire.
Panna Alessandra s'era completamente rimessa dalla prima impressione. — Voi dite che io vi ho giudicato ingiustamente, — diss'ella, — quest'è vero, lo confesso, e ve ne chiedo perdono.
La sua voce, così dicendo tremava: le lagrime velarono i suoi occhi azzurri, ed egli gridò con trasporto:
— Sì, vi perdono, vi perdono! Vi perdonerei anche la mia morte!
— Che Dio vi accompagni, e vi mantenga sulla retta via. Possiate voi lasciare tutto ciò che vi fa torto!
— Tacete, tacete! — gridò Kmita eccitato; — onde nuovi malintesi non insorgano fra noi! Lasciate ad ognuno seguire l'impulso della propria coscienza. Datemi la vostra mano.... Ohimè! Olenka, non vi rivedrò forse mai più! La mia mente si smarrisce, Olenka! È possibile che non ci rivedremo mai più?
Un torrente di lagrime scendeva dagli occhi della fanciulla ed inondava il suo bel viso.
— Pan Andrea, lasciate i traditori, e tutto andrà bene — diss'ella.
— Tacete, per l'amor di Dio! — replicò Kmita con voce spezzata dall'interno affanno. — Non posso.... Vorrei che mi uccidessero.... Soffrirei meno.... Addio per l'ultima volta: la morte porrà fine alle mie pene in qualche angolo remoto della terra. Perchè piangete? Non piangete, le vostre lagrime mi straziano il cuore.
E cedendo ad un irresistibile trasporto d'amore, afferrò la fanciulla, e malgrado la sua energica resistenza, baciò i suoi occhi, la sua bocca, e quindi cadde ai suoi piedi.
Rialzandosi poi ad un tratto e cacciandosi le mani fra i capelli come un pazzo, si slanciò fuori della camera.
Olenka si avvicinò alla finestra e lo vide mentre saliva in fretta e furia a cavallo: dietro lui mosse la sua scorta. Gli Scozzesi di guardia alla porta presentarono le armi: poi la porta si chiuse, ed il giovane cavaliere ed i suoi uomini, scomparvero fra le tenebre notturne che ormai avvolgevano la terra.