Henryk Sienkiewicz
Il diluvio

PARTE PRIMA

CAPITOLO XXXII.

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CAPITOLO XXXII.

Radzivill sarebbe piombato su Podlyasye molto prima, se più ragioni non lo avessero trattenuto a Kyedani. In primo luogo aspettava i rinforzi del Re di Svezia, che Pontus de la Gardie ritardava a bella posta. Sebbene legami di parentela unissero il generale al Re, pure non poteva reggere al paragone con quel magnate di Lituania: ed in quanto a ricchezza, sebbene a quel momento non vi fosse moneta sonante nella tesoreria di Radzivill, tutti i generali svedesi avrebbero potuto considerarsi ricchi con metà dei possedimenti di Radzivill. Egli aspettava perciò impazientemente l'arrivo di uno squadrone svedese, e nel sollecitare Pontus disse più d'una volta ai suoi cortigiani:

— Un paio d'anni fa avrebbe considerato come un favore di ricevere una mia lettera e l'avrebbe lasciata in eredità a' suoi discendenti; ma oggi egli si l'aria di un superiore.

Al che un certo nobile dalla parola pronta e sincera, conosciuto in tutto il paese, si permise di rispondere tosto:

— Onde non smentire il noto proverbio, Altezza, il quale dice: Come un uomo si fa il suo letto così egli vi dorme.

Radzivill andò in furia, e diede ordine di chiudere il nobile nella prigione; ma il giorno successivo lo lasciò libero e gli regalò un anello d'oro, perchè di quel nobile si diceva che aveva denaro sonante, e il principe voleva farsene prestare da lui. Il nobile accettò l'anello ma non diede il denaro.

I rinforzi svedesi vennero alfine, e cioè ottocento uomini della cavalleria pesante. Pontus inviò direttamente al castello di Tykotsin trecento fanti e trecento cavalleggeri, volendo che vi fosse una guarnigione delle sue truppe per ogni evento.

Si sperava che il principe, appena ricevuti i rinforzi, prendesse tosto il campo, ma egli tentennava ancora, a cagione delle notizie pervenutegli da Podlyasye circa il disaccordo che colà regnava, mancandovi l'unione fra i confederati e circa i malintesi fra Kotovski, Lipnitski e Yahub Kmita.

— Bisogna dar loro tempodiceva il principe, — di prendersi l'un l'altro pei capelli. Si faranno reciprocamente a pezzi ed allora noi piomberemo su Hovanski.

Ma ad un tratto cominciarono a udirsi notizie affatto diverse; i colonnelli non solo non si prendevano pei capelli ma si erano in un sol corpo a Byalystok. Il principe cercò invano di spiegarsi la causa di questo cambiamento. Alle fine il nome di Zagloba, eletto comandante, gli giunse all'orecchio. Fu pure informato delle fortificazioni da loro erette, degli approvigionamenti, dei cannoni, della crescente potenza dei confederati, il cui numero aumentava per l'affluenza dei volontari. Il principe Giovanni provò un tale dispetto che Ganhoff, soldato pauroso, non osò accostarlo per un pezzo.

Dalla Polonia, intanto, giungevano le migliori notizie. I successi degli Svedesi sorpassavano ogni aspettazione. Le provincie si arrendevano una dopo l'altra; nella Grande Polonia gli Svedesi governavano come in Isvezia; a Varsavia governava Radzeyovski, la Piccola Polonia non opponeva resistenza; Cracovia poteva cadere da un momento all'altro; il Re, abbandonato dall'esercito e dai nobili, senza la menoma fiducia nel suo popolo, si era ritirato in Slesia, e lo stesso Carlo Gustavo rimaneva attonito per la straordinaria facilità con cui egli aveva schiacciato quel potere, fino allora sempre vittorioso nelle guerre contro gli Svedesi.

Ma Radzivill aveva il presentimento che questa facile conquista costituiva un pericolo per lui; poichè gli Svedesi, acciecati dai loro trionfi non vorrebbero fare più assegnamento su lui, specialmente da che egli non aveva dimostrato di possedere quel potere e quell'autorità che ognuno gli attribuiva e che egli stesso pretendeva di avere.

Gli darebbe poi, il Re di Svezia, la Lituania e la cosidetta Russia Bianca? Non preferirà egli di accontentare piuttosto un vicino eternamente affamato con una piccola porzione della Repubblica, tanto da serbarsi le mani libere su tutto il rimanente della Polonia?

Tali erano le domande che tormentavano continuamente l'anima del principe Giovanni. Egli passava i giorni e le notti in una incessante agitazione.

In tali condizioni si preparava alla guerra contro Podlyasye, quando il giorno precedente alla marcia gli fu annunciato che il principe Bogoslavio aveva lasciato Taurogi.

Questa notizia fece risorgere il principe Giovanni a nuova vita, poichè Bogoslavio recava con la sua gioventù ed una fede cieca nel futuro. In lui solo si sarebbe rinnovata la discendenza di Birji; per lui solo lavorava il principe Giovanni.

Appena udì che Bogoslavio veniva, egli pensò di muovergli incontro; ma l'etichetta non lo permetteva essendo suo cugino molto più giovane di lui, e perciò mandò una carrozza dorata con un intero squadrone di scorta, e dai bastioni eretti da Kmita, si spararono i mortai, come se si fosse trattato dell'arrivo di un re.

Quando i cugini dopo il solito cerimoniale, furono finalmente lasciati soli, Giovanni strinse Bogoslavio in un tenero abbraccio, e ripetè con voce commossa:

— La mia gioventù è ritornata! La mia salute è rifiorita in un attimo.

Ma Bogoslavio lo contemplò attentamente, e domandò:

— Che cosa disturba Vostra Altezza?

— Non diamoci titoli fra noi. Soffro di un male che mi può togliere dal mondo da un momento all'altro. Ma non ne parliamo. Come stanno mia moglie e Maryska?

— Hanno lasciato Taurogi e sono andate a Tyltsa. Stanno bene; Maria è un bottone di rosa, e sarà una stupenda rosa quando sarà fiorita. In fede mia non vi sono piedi più belli in tutto il mondo e le sue treccie toccano il suolo.

Iddio ti ha ispirato di venire; mi sento meglio e più vivace quando ti vedo, — soggiunse il principe Giovanni. — Ma che nuove mi rechi dei pubblici affari? Che cosa fa l'Elettore?

Sai che ha fatto una lega con le città prussiane?

— Lo so.

— Ma esse non se ne fidano molto. Danziga non vuol ricevere le sue guarnigioni. I Tedeschi hanno buon naso.

So anche questo. Ma tu non gli hai scritto? Quali sono i suoi disegni a nostro riguardo?

— A nostro riguardo? — ripetè Bogoslavio macchinalmente.

Egli girò gli occhi intorno alla stanza, poi si alzò. Il principe Giovanni pensò che cercasse qualche cosa, ma l'altro corse ad uno specchio in un angolo, e ritraendosi a conveniente distanza, si stropicciò tutta la faccia con un dito della mano destra; finalmente disse:

— La mia pelle s'è increspata un pochino durante il viaggio, ma domani mattina tornerà liscia. Tu domandi quali sono i disegni dell'Elettore a riguardo nostro? Mi ha scritto che non ci dimenticherà... Ecco quanto.

— Che significa ciò?

— Ho la sua lettera, te la mostrerò. Egli scrive che, qualunque cosa accada, non ci dimenticherà; e lo credo, perchè i suoi interessi lo richiedono. L'Elettore si cura della Repubblica come io mi curo d'una vecchia parrucca, e sarebbe contentissimo di darla in mano agli Svedesi, se egli potesse afferrare la Prussia; ma il potere degli Svedesi comincia ad inquietarlo, perciò gradirebbe di aver pronta un'alleanza per ogni futuro evento; ed egli l'avrà, se tu salirai sul trono della Lituania.

— Io mandai lettere al Re di Svezia ed a molti altri dei nostri dignitari. Tu devi aver ricevuto una lettera dalle mani di Kmita.

— Stavo appunto per parlarti di lui. Quale opinione hai tu di colui?

— È una testa calda, un uomo impetuoso, pericoloso, che non sopporta freno; ma è uno di quegli uomini rari che ci servono in buona fede.

— Oh certo! — rispose Bogoslavio, — ed è venuto da me a mostrarmi quasi il regno de' cieli.

— Che cosa? — domandò Giovanni con inquietudine.

— Si dice, signor fratello, che la bile ti cagiona dei soffocamenti. Promettimi di ascoltarmi con calma e ti narrerò alcune gesta del tuo Kmita, per cui verrai a conoscerlo meglio.

Bene, sarò calmo, ma incomincia.

— Un miracolo di Dio mi ha salvato dalle mani di quel demonio incarnato, prese a dire Bogoslavio. E qui cominciò a riferire a puntino tutto quanto era avvenuto a Pilvinski.

Fu un vero miracolo che il principe Giovanni non avesse un accesso d'asma; per altro era a temersi che un colpo apopletico sopravvenisse e lo ponesse in fin di vita. Egli tremava, digrignava i denti, si copriva gli occhi con le mani; finalmente gridò con voce rauca:

— Ha fatto ciò? Benissimo! Si è dimenticato che la sua fidanzata è nelle mie mani.

Frenati per amor di Dio, ed ascolta. Io lo trattai come si conveniva ad un cavaliere, e se non notai quest'avventura nel mio diario e non me ne vanto, si è perchè è vergognoso ch'io mi sia lasciato giocare da quel saltimbanco quasi come un fanciullo... io, di cui Mazarino diceva, che in fatto d'intrighi e di scaltrezza non v'era l'eguale in tutta la Corte di Francia. Ma basta intorno a ciò! Io pensai sulle prime d'aver ammazzato il tuo Kmita; ora invece ho prove nelle mani che egli vive.

— Non importa! Lo ritroveremo! Lo seppelliremo vivo! Lo andremo a cercare in capo al mondo! Intanto voglio assestargli un colpo più doloroso che se lo scorticassi vivo.

— Tu non gli darai nessun colpo, perchè non faresti che danneggiare te stesso. Ascolta! Nel venire scorsi per via un individuo che conduceva il suo cavallo a mano, a breve distanza dalla mia carrozza. Lo notai specialmente per la qualità del cavallo, e diedi ordine di chiamarlo. — Dove vai? — gli chiesi. — Vado a Kyedani. — A che fare? — A portare una lettera al principe Voivoda, — Gli comandai di darmi la lettera, e siccome non vi sono segreti fra noi, la lessi. Eccola!

E diede la lettera di Kmita al principe Giovanni, scritta nella foresta avanti di partire coi Kyemlich.

Il principe scorse la lettera, e, spiegazzandola con rabbia, esclamò:

— È vero! nel nome di Dio è vero! Egli ha le mie lettere, in cui vi sono cose che insospettirebbero lo stesso Re di Svezia, anzi potrebbero offenderlo mortalmente.

Non potè dire di più perchè si sentì soffocare.

Il principe Bogoslavio comprese che si trattava di uno dei suoi soliti accessi d'asma, perciò chiamò i servi e disse:

Prestate le vostre cure al principe, vostro signore, e quando si sarà rimesso pregatelo di venire nella mia camera; intanto io vado a riposare. E così dicendo, uscì.

Due ore dopo Radzivill, con gli occhi iniettati di sangue ed il volto livido, batteva alla porta della camera di Bogoslavio. Questi lo ricevette stando a letto, col viso spalmato di latte di mandorle per rendere più morbida e fresca la pelle. Senza la parrucca in testa, senza il belletto sulla faccia, dimostrava dieci anni di più. Giovanni non fece attenzione a ciò.

— Ho riflettuto, — diss'egli. — Quel Kmita non pubblicherà le lettere, perchè se ciò facesse, scriverebbe la sentenza di morte della fanciulla che ama. Egli comprende bene che mi tiene fra le sue mani finchè le possiede. Ma io non posso vendicarmi e ciò mi rode.

— Ad ogni modo sarà necessario ricuperare quelle letteredisse Bogoslavio.

— Ma in qual modo?

I due cugini tacquero per alcuni minuti. Bogoslavio ruppe alfine il silenzio.

— Che specie di ragazza è la sua fidanzata?

— Si chiama Panna Billevich.

Billevich o Myeleshko è tutt'uno. Io non ti domando il suo nome, bensì se è bella o brutta.

— Io non bado a queste cose; ma mi sembra che sia molto bella. La Regina della Polonia non è certo più bella di lei.

— La regina della Polonia? Maria Lodovica? Ai tempi di Cinq-Mars era bella; ma ora i cani ringhiano quando la vedono. Se Panna Billevich assomiglia a lei mi guarderò bene di avvicinarla; ma se è proprio una meraviglia, la condurrò a Taurogi, e colà penseremo insieme a vendicarci di Kmita.

Il principe Giovanni meditò un minuto.

— Io non te la daròdisse alfineperchè tu le useresti violenza, ed allora Kmita pubblicherà le lettere.

— Io usar violenza ad una donna? Senza vantarmi, posso dire che ebbi delle avventure con donne inferiori a lei, e non ne ho mai violentato nessuna. Soltanto una volta... in Fiandra... una pazzerella... figlia d'un gioielliere. Dopo di me vennero gli Spagnuoli e la faccenda venne attribuita a loro.

— Tu non conosci questa ragazza: è di famiglia antica ed onorata. È una virtù austera; la direste una monaca.

— Oh! noi conosciamo anche le monache.

— E d'altra parte ella ci odia. Ha tentato di influenzare Kmita. Fra le nostre donne non ve ne sono molte come lei. Ha la mente d'un uomo, ed è il più ardente partigiano di Giovanni Casimiro.

Tentare non nuoce, — replicò Bogoslavio ridendo. — Tu vai a Podlyasye, che cosa vuoi farne di lei? Non puoi condurla con te lasciarla qui, perchè verranno gli Svedesi, ed a Taurogi la fanciulla rimarrebbe nelle nostre mani, come un ostaggio. Non è meglio dunque che io ve la conduca, e che mandi a Kmita, non un assassino, ma un messaggero con una lettera, dicendogli: Datemi le lettere ed io vi renderò la vostra fidanzata?

— È vero, — rispose il principe Giovanni — questo è un buon espediente. Ma tu mi prometti nuovamente di non usarle violenza.

— Sì... e ripeto che sarebbe una vergogna per me...

— Allora bisogna che tu prenda anche lo zio, il porta spada di Rossyeni, che è qui con lei.

— Lo zio non lo voglio.

— Ed essa non vorrà andare da sola.

— Questo si vedrà. Invitali a cena questa sera, onde io veda se ella merita che io mi occupi di lei; e se è degna della mia attenzione penserò tosto al miglior modo per ottenere l'intento. Ma guardati bene dal menzionare ciò che Kmita ha fatto, perchè ciò aumenterebbe il suo amore e fa sua devozione per lui. Durante la cena, lasciami dire e fare e non contraddirmi. Vedrai quali mezzi adopero e rammenterai i bei giorni della tua gioventù.


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