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Alla cena, oltre il porta spada di Rossyeni ed Olenka, furono invitati i più distinti ufficiali di Kyedani ed alcuni ufficiali del principe Bogoslavio. Questi comparve così riccamente abbigliato, che tutti gli sguardi erano rivolti a lui. La sua figura appariva tanto bella quanto nobile ed imponente.
Tutti, non eccettuato suo cugino il principe Giovanni, lo guardavano con meraviglia ed ammirazione. E gli anni della gioventù risorsero davvero nella mente del principe Voivoda, quand'egli sorpassava tutti alla Corte di Francia, per bellezza ed eleganza.
Il principe Giovanni si avvicinò a suo cugino, e gli disse:
— Tu risplendi come il sole. È forse per Panna Billevich che ti sei adornato così?
— Il sole penetra facilmente dappertutto ed abbaglia la vista — rispose Bogoslavio vanitosamente. Poi cominciò a discorrere con Ganhoff, vicino al quale si fermò, forse per far risaltare meglio la sua bellezza, perchè Ganhoff era di una bruttezza addirittura ripugnante.
Entrarono le signore... Pani Korf e Olenka. Bogoslavio gettò un rapido sguardo sulla fanciulla e s'inchinò prontamente dinanzi a Pani Korf, era in procinto di portarsi le dita alla bocca per mandare alla maniera cavalleresca un bacio a Panna Billevich, quando ad un tratto s'accorse della sua bellezza altera e dignitosa. Cambiò subito tattica e incedendo verso la donzella, s'inchinò profondamente strisciando in terra le piume di struzzo che ornavano il suo cappello, così volendo l'uso di quell'epoca.
Non avrebbe potuto tributare un omaggio più rispettoso alla Regina di Francia. Panna Billevich, che aveva saputo della sua venuta, indovinò tosto chi le stava dinanzi quindi gli fece a sua volta un profondo inchino.
— Io non credo ai miei occhi, mi sembra di sognare — diss'egli conducendola a tavola; — Ditemi, bella dea, per qual miracolo siete voi scesa dall'Olimpo e venuta a Kyedani?
— Quantunque io sia soltanto una gentildonna e non una dea — rispose Olenka, — io non sono così ingenua da prendere le parole di Vostr'Altezza altrimenti che come un eccesso di cortesia.
— Per quanto io volessi superare tutti in gentilezza, il vostro specchio direbbe sempre più di quello che dico io.
— Non direbbe di più ma con più veracità, — ribattè Olenka.
Così egli giunse alla tavola. Sedette accanto alla fanciulla, ed era chiaro che la sua bellezza gli aveva prodotto una profonda impressione. Egli si aspettava di trovare una donna dalle forme pronunciate, rubiconda come un papavero: invece si era trovato dinanzi una figura sovranamente bella ed altera, le cui nere ciglia rivelavano l'inflessibilità, i cui occhi esprimevano buon senso e dignità; e nello stesso tempo aveva un portamento così nobile, così vago e raro, che in qual si fosse castello di re ella sarebbe stata l'oggetto dell'omaggio e della galanteria dei primi cavalieri e cortigiani del regno.
La sua bellezza eccitava l'ammirazione ed il desiderio; ma nello stesso tempo v'era in lei una maestà che teneva a freno tali sentimenti, talchè Bogoslavio stesso, pensò: — Io ho avuto troppa fretta di stringerle il braccio; con costei ci vuole molta delicatezza e non premura!
Ciò nonostante egli determinò di conquistare il cuore della donzella, e provava una gioia selvaggia al pensare che ben verrebbe quel momento, in cui la maestà della fanciulla e quella pura bellezza avrebbe ceduto al suo amore o al suo odio. La minacciosa faccia di Kmita si ergeva di fronte a tali immagini; ma per l'insolente uomo questo non era che un incentivo di più.
La conversazione divenne generale, o piuttosto si ridusse ad un coro di lodi e di adulazioni per Bogoslavio, che il brillante cavaliere ascoltava con un sorriso, ma senza presuntuosa soddisfazione essendovi abituato. Si parlò dapprima delle sue gesta militari e dei suoi duelli. Gli uditori erano attoniti; il principe Giovanni si attortigliava i baffi con evidente piacere, osservando l'impressione che produceva su tutti i commensali il coraggio e la bravura di suo cugino.
— I duelli interessano gli uomini e specialmente i soldati, — disse Pani Korf; — preferiremmo udir parlare delle avventure amorose di Vostra Altezza, di cui la fama giunse sino a noi.
— La fama mente, signora — replicò Bogoslavio. — Mi vennero fatte delle proposte di matrimonio, non lo nego, Sua Maestà la Regina di Francia fu così gentile...
— Di offrirti la principessa di Rohan, — soggiunse il principe Giovanni.
— E un'altra ancora, — aggiunse Bogoslavio, — ma neanche un re non può comandare al propria cuore di amare, e noi non abbiamo bisogno, grazie a Dio, di cercare delle mogli ricche in Francia. Erano dame belle e gentili, ma qui ne abbiamo delle più belle, e per trovarne non mi occorre uscire da questa sala.
Nel dire così fissò Olenka, la quale, fingendo di non udire, comincio a parlare con suo zio.
— Vostr'Altezza dice bene, — riprese a dire Pani Korf. — Qui non vi è scarsità di bellezze, anzi, vi sono delle fanciulle che per ricchezza e per nascita potrebbero stare al pari di Vostr'Altezza.
— Permettetemi, signora, di distinguere, — rispose Bogoslavio con animazione. — Primieramente io non credo che una nobile dama polacca sia inferiore in alcun modo ad una Rohan o una De la Force; ed in secondo luogo non è cosa nuova pei Radzivill lo sposare una semplice gentildonna, e la storia ne porge molti esempi. Io vi assicuro che la gentildonna, la quale diventasse principessa Radzivill, dovrebbe avere la precedenza sulle principesse di Francia.
— Che affabile signore! — susurrò il porta spada all'orecchio d'Olenka.
— Così io ho sempre pensato, — continuò Bogoslavio, — sebbene più d'una volta mi sono vergognato dei nobili polacchi, paragonandoli a quelli di altre nazioni, dove mai non avvenne come in questa Repubblica, che i nobili abbandonassero il loro Re e vi fossero fra essi uomini pronti ad insidiare alla sua vita. Un nobile francese si permetterà tutto, ma non tradirà giammai il suo Re.
— In nome di Dio, di quali disegni contro la persona di Giovanni Casimiro vai tu fantasticando? — domandò Radzivill. — Dove si potrebbe trovare fra il popolo polacco un mostro che volesse attentare alla vita dell'ex nostro Re? In verità, non è mai avvenuta una cosa tale nella Repubblica da che mondo è mondo.
Bogoslavio chinò la testa.
— Soltanto un mese fa, — diss'egli con accento triste, — sulla strada fra Podlyasye e la Prussia elettorale, mentre mi recavo a Taurogi, venne da me un nobile di famiglia rispettabile. Quel nobile, non conoscendo il mio sincero amore pel nostro Sovrano, e credendo che io fossi un suo nemico come molti altri, promise, dietro considerevole ricompensa, di recarsi in Slesia, di rapire Giovanni Casimiro e consegnarlo agli Svedesi, vivo o morto.
Tutti rimasero muti e stupefatti.
— E quando io, con collera e disgusto, rigettai l'offerta, — proseguì Bogoslavio concludendo, — quell'uomo, con incredibile impudenza, mi disse: — Andrò da Radzeyovski; egli mi pagherà il mio lavoro in oro sonante.
— Non sono amico dell'ex-re, — replicò il principe Giovanni, — ma se quel nobile avesse fatto la proposta a me, lo avrei fatto fucilare immediatamente.
— Nel primo momento volevo far questo, ma non lo feci — rispose Bogoslavio — perchè la proposta mi venne fatta naturalmente a quattr'occhi, e la gente avrebbe potuto gridare contro la violenza dei Radzivill. Lo spaventai, per altro, dicendo che Radzeyoyski o il Re di Svezia a Hmelnitski stesso l'avrebbero messo a morte; in una parola, tanto dissi e tanto feci, che quel furfante finì per abbandonare l'impresa.
— Non fu giusto; non era conveniente lasciarlo andare vivo: egli meritava di essere impalato, — gridò Pan Korf.
Bogoslavio si volse d'un tratto a suo cugino.
— Voglio sperare che la punizione non gli mancherà; ma Vostr'Altezza soltanto può punirlo perchè è un vostro colonnello.
— Un mio colonnello? Chi è? Come si chiama? Parla!
— Si chiama Kmita, — replicò Bogoslavio.
— Kmita! — ripeterono tutti con istupore.
— Non è vero! — gridò Panna Billevich balzando in piedi con gli occhi lampeggianti d'ira ed il respiro ansimante.
Seguì un profondo silenzio. Qualcuno non si era riavuto dallo stupore prodotto dalla terribile notizia; altri erano attoniti per l'arditezza di quella donzella che aveva il coraggio di gettare pubblicamente in faccia a Bogoslavio una smentita. Il porta spada cominciò a balbettare: — Olenka Olenka! — ma Bogoslavio atteggiò il volto a mestizia, e disse senza collera:
— Se egli è vostro parente o vostro fidanzato, sono dolente di aver menzionato questo fatto; ma se è così scacciatelo del vostro cuore, signora, perchè non è degno di voi.
Ella rimase ancora un momento in dubbio; una viva fiamma le imporporò il volto, ma a poco a poco impallidì e divenne tanto pallida, che il suo viso pareva scolpito nel marmo.
Ricadde sulla sua seggiola, e disse:
— Perdonatemi, Altezza, se ho osato smentirvi. Quell'uomo è capace di tutto.
— Possa Iddio punirmi, se io provo altro sentimento per voi fuorchè la pietà! — rispose Bogoslavio con dolcezza.
La cena stava per finire. Il principe Giovanni si alzò pel primo dando il braccio a Pani Korf e il principe Bogoslavio ad Olenka.
— Dio ha già punito il traditore — diss'egli alla donzella, — perchè chi ha perduto voi ha perduto il paradiso. Sono meno di due ore da che vi ho vista per la prima volta, vaga donzella, e io sarei felice di vedervi sempre, non in pena ed in lagrime, ma nella gioia e nella felicità.
— Vi ringrazio, Altezza, — rispose Olenka.
Dopo l'uscita delle signore gli uomini ritornarono a tavola a cercar l'allegria fra le coppe che giravano frequentemente. Il principe Bogoslavio bevette molto, perchè era soddisfatto di sè stesso. Il principe Giovanni disse ad un tratto al porta spada di Rossyeni.
— Io parto domani con le mie truppe per Podlyasye e a Kyedani verrà una guarnigione svedese. Dio sa quando ritornerò. Voi non potete rimanere qui con vostra nipote, non sarebbe più un luogo conveniente per lei. Andrete perciò col principe Bogoslavio a Taurogi, dov'ella rimarrà in compagnia di mia moglie.
— Altezza — rispose il porta-spada, — Dio ci ha dato un angolo di terra nostro: perchè dovremmo noi andare in luoghi stranieri? È una grande gentilezza la vostra di pensare a noi; ma non volendo abusare del favore, noi preferiamo ritornare sotto il nostro tetto.
Il principe non poteva spiegare al porta-spada tutte le ragioni per le quali non voleva lasciar uscire dalle sue mani Olenka a nessun costo: ma gli disse senza alcun riguardo e col suo abituale despotismo:
— Se volete accettare ciò come un favore, tanto meglio, altrimenti vi dichiaro che voi dovete rimanere fra le mie mani come un ostaggio. I Bellevich non sono miei amici, e mi consta che sono pronti a sollevare Jmud quando io sarò partito. Voi mi rispondete di loro.
Evidentemente Bogoslavio sorprese i lampi di collera negli occhi di suo cugino, perchè si appressò tosto.
— Di che cosa discutete? — domandò intromettendosi nel discorso.
— Dicevo al principe, — replicò il porta spada con accento irritato, — che preferisco rimanere imprigionato a Taurogi, anzichè a Kyedani.
— A Taurogi vi è per voi, non una prigione, ma la mia casa, dove vi troverete come se foste a casa vostra. Mio cugino intende tenervi per ostaggio; io non vedo in voi che un caro ospite.
— Ringrazio Vostr'Altezza — rispose il porta spada.
— Brindiamo e beviamo insieme, — soggiunse Bogoslavio — poichè si dice che da una libazione può scaturire una sincera amicizia.
Così dicendo Bogoslavio condusse il porta spada alla tavola e gli versò da bere. Un'ora dopo Pan Billevich si dirigeva con passo incerto alla sua stanza, ripetendo sottovoce:
— Amabile signore! Valoroso signore! Un uomo più onesto non si trova sulla terra.
Finalmente i cugini si trovarono di nuovo soli. Essi avevano ancora da dirsi qualche cosa.
— Per certo, — disse Giovanni, — non vi è neanche una parola di vero in ciò che tu dicesti di Kmita?
— Lo sai quanto me. — Ebbene! non aveva ragione Mazarino? Quest'è un intrigo degno della prima Corte del mondo. Ma quella Panna Billevich è una vera perla. Che sguardo da regina! Chiunque si sente compreso da rispetto vicino a lei. Vidi una volta ad Anversa un arazzo che rappresentava Diana cacciatrice in atto di far assalire dai cani il curioso Atteone. Panna Billevich assomiglia alla dea.
— Attento che quel Kmita non pubblici le lettere, perchè in tal caso i cani ci morderanno a morte, — osservò il principe Giovanni.
— Non è vero! Io convertirò Kmita in un Atteone e lo farò sbranare dai cani.