IntraText Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText | Cerca |
I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio
Kmita aveva i lascia-passare di Radzivill per tutti i capitani e governatori svedesi, ma non osava servirsene, poichè supponeva che il principe Bogoslavio dopo il fatto di Pilvisyhki, avesse mandato messaggi agli Svedesi coll'ordine di arrestarlo. Per questa ragione Pan Andrea aveva assunto un nome straniero e rinunciato al suo rango. Evitando perciò Lomja ed Ostrolenko, dove poteva essere giunto il primo avviso, diresse i suoi cavalli e la sua compagnia verso Pjasnysh, donde intendeva andare per Pultusk a Varsavia.
Il paese, al confine, era occupato per la maggior parte dagli Svedesi, i quali si limitavano, del resto, a porre delle guarnigioni nelle città più importanti, senza inoltrarsi nella profondità delle immense foreste abitate da uomini armati e semiselvaggi.
— Più tardi incontreremo gli Svedesi, — diceva il vecchio Kyemlich, — meglio sarà per noi.
— Ma alfine dobbiamo incontrarli, — rispondeva Pan Andrea.
— Nelle grandi città non vi è nulla da temere da parte loro. Mi sono informato, e so che il Re di Svezia ha severamente vietato ogni violenza ed estorsione. Ma le piccole squadre mandate lontano dagli occhi dei comandanti non si curano degli ordini e derubano la gente pacifica.
Essi continuavano il loro cammino attraverso le foreste, credendosi più sicuri.
Kmita incontrò più volte delle bande, più o meno numerose, degli abitatori di quei boschi immensi, coperti di pelli di lupi, di volpi e d'orsi. Più d'una volta lo avevano fermato, e quei semiselvaggi che temevano gli Svedesi più del fuoco, perchè fra loro correvano delle terribili storie che li dipingevano come tanti diavoli usciti dall'inferno, gli chiedevano:
— Chi sei tu? Uno Svedese?
— No — rispondeva Pan Andrea, ed allora essi gli dicevano:
Kmita contemplava con curiosità quegli abitatori delle selve, e si meravigliava della loro statura e della sincerità dei loro discorsi.
Continuò il viaggio. Uscì dalla profondità delle foreste, giunse in luogo abitato dove trovò un movimento insolito in tutti i villaggi. Le strade erano piene di nobili che viaggiavano con carri, carrozze o a cavallo. Tutti si affrettavano alle città più vicine, per prestare, dinanzi ai comandanti, giuramento di fedeltà al nuovo Re. In ricambio ne riportavano degli attestati che garantivano le persone e le proprietà. Nelle capitali di provincia e dei distretti le «capitolazioni» venivano pubblicate con l'assicurazione della libertà di coscienza e del mantenimento dei privilegi dei diversi ordini di nobiltà.
I nobili si recavano a prestare il giuramento, non solo di buona volontà, ma con premura, perchè severe punizioni minacciavano i retrivi, sopratutto la confisca dei loro beni.
Pan Andrea porgeva attento orecchio a quanto dicevano i nobili, e sebbene essi non amassero troppo di parlare con lui, ritenendo che egli fosse un povero diavolo, egli notò che, nemmeno fra compaesani, conoscenti ed amici, parlavano sinceramente intorno agli Svedesi ed al loro Governo. Si lagnavano però altamente delle requisizioni; e con ragione, perchè ad ogni villaggio giungevano ordini dei comandanti di fornire grandi quantità di grano, pane, sale, bestiame, denaro; i quali ordini spesso eccedevano i limiti del possibile.
— È doloroso, fratelli, — diceva talvolta un nobile ad un altro, — ma infine dobbiamo esser grati al nuovo regnante. Egli è un gran Re ed un prode guerriero; vincerà i Tartari, frenerà i Turchi, ricaccerà i Russi oltre i confini; e noi, in unione cogli Svedesi, prospereremo.
— Se anche non fossimo contenti, — rispondeva l'altro, — che cosa dobbiamo fare contro tale potenza?
Alle volte parlavano del loro recente giuramento. Kmita s'irritava udendo tali discorsi e discussioni; e una volta, che un certo nobile disse in sua presenza in un albergo che un uomo deve rimanere fedele a colui al quale ha giurato fede, Pan Andrea gridò:
— Dovreste avere due bocche: una per i veri e l'altra per i falsi giuramenti, perchè voi avete giurato fedeltà a Giovanni Casimiro!
Tutti gli altri nobili presenti guardarono Kmita con meraviglia, sembrando loro impossibile tanto ardire. Alcuni arrossirono. Alla fine, il più ragguardevole fra quegli uomini, disse:
— Nessuno qui ha rotto la fede all'altro re. Egli stesso la ruppe, perchè lasciò la patria senza curarne la difesa.
— Il re Lokyetek fu obbligato molte volte a lasciare il paese, e sempre vi ritornò, perchè il timore di Dio regnava ancora nel cuore degli uomini, — ribattè Kmita. — Non fu Giovanni Casimiro il disertore, ma coloro che lo vendettero e che ora lo calunniano per scusare i propri torti dinanzi a Dio, agli uomini ed alla propria coscienza.
— Voi parlate troppo arditamente, giovanotto! Donde venite voi che pretendete insegnare a noi, nel nostro paese, il timor di Dio? Badate che gli Svedesi non vi odano!
— Se siete curiosi, vi dirò donde vengo. Io sono dell'Elettorato di Prussia e appartengo all'Elettore. Ma essendo di origine sarmatica, nutro affetto per questo paese e mi vergogno dell'indifferenza di questo popolo.
Allora i nobili, dimenticando la propria collera, gli si fecero attorno e cominciarono ad interrogarlo con premura e curiosità.
— Voi siete dell'Elettorato di Prussia? Diteci quel che sapete. Che cosa fa l'Elettore? Pensa egli a riscattarci dall'oppressione?
— Da quale oppressione? Voi siete contenti del nuovo regnante, dunque non parlate di oppressione.
— Siamo contenti perchè non possiamo liberarcene. Ci stanno con la spada alla gola. Ma parlate come se noi non fossimo contenti.
— Dategli un po' da bere che possa sciogliere la lingua. Parlate liberamente, non vi sono traditori fra noi.
— Voi siete tutti traditori! — gridò Pan Andrea, — ed io non voglio bere con voi; voi siete servi degli Svedesi.
Poi uscì dalla sala, chiudendo con forza la porta, ed essi rimasero in preda alla vergogna ed allo stupore. Nessuno pose mano alla spada; nessuno rincorse Kmita per vendicarsi dell'insulto.
Egli risalì a cavallo e si diresse verso Pryasnish. A un mezzo miglio da quel paese alcune pattuglie svedesi lo fermarono e lo condussero dinanzi al comandante. La pattuglia era formata di soli sei uomini, più un sott'ufficiale; quindi Soroka e i due Kyemlich cominciarono a guardarli come lupi affamati un branco di pecore, e gli occhi interrogarono Kmita se non desse ordine di circondarli.
Pan Andrea stesso fu preso da una non lieve tentazione, specialmente perchè il fiume Vengyerka scorreva lì vicino fra alte rive coperte di canneti; ma si trattenne, e si lasciò condurre quietamente dal comandante.
Colà egli disse chi era, che veniva dall'Elettorato e andava ogni anno a Sobota con cavalli. I Kyemlich pure avevano degli attestati di cui si erano provvisti a Leng, quindi il comandante non sollevò nessuna difficoltà, solamente chiese che qualità di cavalli conducevano alla fiera e volle vederli.
Quando i servi di Kmita gli presentarono i cavalli, il comandante li guardò attentamente, e disse:
— Li compero io. Da un altro li avrei presi senza pagarli, ma siccome voi siete Prussiano non voglio danneggiarvi.
Kmita parve alquanto confuso quando si vide costretto a vendere i cavalli, perchè con la vendita, cessava per lui ogni motivo di procedere innanzi nel suo cammino, ed egli era obbligato a ritornare in Prussia. Domandò perciò un prezzo uguale al triplo del valore reale della merce. Contro ogni aspettazione l'ufficiale non si adirò nè fece obbiezione.
— Accettato! — disse. Conducete i cavalli sotto la tettoia, ed io vi porterò subito il prezzo.
I Kyemlich si rallegrarono in cuor loro; ma Pan Andrea si arrabbiò e si diede ad imprecare. Ad ogni modo non c'era altra via di scampo. Rifiutare equivaleva a far sospettare che negoziavano solo in apparenza.
Intanto ritornò l'ufficiale, e diede a Kmita un foglio di carta con uno scritto.
— Che è questo? — domandò Pan Andrea.
— Denaro, o come denaro. È un ordine di pagamento.
— E dove mi pagheranno?
— A Varsavia, — disse l'ufficiale ridendo maliziosamente
— Che! che! Noi vendiamo soltanto contro moneta sonante, — esclamò il vecchio Kyemlich.
Kmita si volse, e guardandolo minacciosamente, disse:
— Per me la parola del comandante equivale a denaro. Io vado volentieri a Varsavia, dove posso comperare della mercanzia dagli Armeni che mi verrà ben pagata in Prussia.
Poi, appena l'ufficiale se ne fu andato, Pan Andrea disse per consolare Kyemlich:
— Questi ordini sono i migliori passaporti; noi possiam andare a Cracovia a fare le nostre lagnanze, perchè essi non ci pagheranno. È più facile fabbricare del formaggio con delle pietre che cavar denaro dagli Svedesi. Io vi pagherò di mia tasca i cavalli; voi non perderete nulla.
Il vecchio si rimise, ma per effetto di abitudine non cessò di lagnarsi.
Ma Pan Andrea fu contento di trovarsi per tale modo aperta la strada. Gli Svedesi non lo pagherebbero nè a Varsavia nè in altro luogo.... sicchè egli poteva andar continuamente dove gli piacerebbe, col pretesto di chieder giustizia, anche dallo stesso Re di Svezia, che era a Cracovia, occupato nell'assedio dell'antica Capitale del Regno.
Intanto Kmita risolse di passare la notte a Pjasnysh per dar riposo ai cavalli; e senza cambiare il nome assunto si decise a svestire l'abito del povero nobile. Egli vedeva che ognuno disprezzava un mercante di cavalli, e che sotto quelle spoglie tutti potevano più facilmente provocarlo.
Perciò si provvide di vesti adatte al suo grado e alla sua nascita, ed entrò in un albergo col proposito di intrattenersi con i suoi confratelli. Ma non ebbe punto a rallegrarsi per quello che udì. I nobili bevevano alla salute del Re di Svezia, ed urtando i bicchieri cogli ufficiali svedesi ridevano ai lazzi che costoro si permettevano contro la persona di Giovanni Casimiro e di Charnyetski.
La paura di perdere la vita ed i beni, faceva sì che quei nobili s'intrattenevano affabilmente con gli invasori e facevano ogni sforzo per mostrarsi allegri. Ma quando un capitano svedese dichiarò che la fede luterana era tanto buona quanto la cattolica, un certo Pan Grabkovski, che gli sedeva vicino, non potendo sopportare la bestemmia lo colpì alla tempia con un'ascia, e approfittando della confusione fuggì dall'albergo e si perdette tra la folla.
Gli altri si slanciarono per inseguirlo; ma in quel mentre giunse una notizia che fece divergere l'attenzione verso un altro punto. La notizia che Cracovia si era arresa, che Pan Charnyetski era stato fatto prigioniero, e che l'ultima barriera che si opponeva al dominio svedese sarebbe tosto distrutta.
I nobili ne furono colpiti al primo momento, ma gli Svedesi ne gioirono e gridarono: — Evviva! La fanteria e la cavalleria uscirono sulla piazza in assetto di guerra e si misero a sparare con cannoni e moschetti. Poi ruotolarono sulla piazza barili d'acquavite, d'idromele e di birra per le truppe ed i cittadini.
Kmita ne provava un immenso disgusto e si ritirò nel suo quartiere fuori della città. Ma non potè dormire. Una specie di febbre lo tormentava, e il suo cuore era assediato da un'infinità di dubbi. Non erasi egli ravveduto troppo tardi, e proprio quando l'intero paese era caduto nelle mani straniere? La coscienza lo rimordeva, non sapeva che cosa fare. Raccogliere delle truppe per molestare gli Svedesi, era come voler farsi inseguire come un bandito anzichè farsi trattare da soldato. D'altronde, chi lo avrebbe seguito? In Lituania gli uomini si univano a lui senza paura, perchè colà egli era il più celebre soldato, ma qui, se qualcuno avesse udito parlare di Kmita, lo avrebbe ritenuto per un traditore ed un amico degli Svedesi, e il suo nuovo nome di Babinich non lo conosceva nessuno.
Tutto era inutile! Inutile andare dal Re, perchè è troppo tardi. Inutile andare a Podlyasye, perchè i confederati lo riguardavano come un traditore. Inutile recarsi in Lituania, perchè colà tutto apparteneva a Radzivill. Inutile rimanere dov'era, perchè non vi aveva nulla da fare. Meglio di tutto sarebbe stato morire, non pensar più a nulla, e portare con sè i suoi rimorsi all'altro mondo.
Dopo una notte agitatissima, balzò dal letto prima dell'alba, svegliò i suoi uomini e partì. Andarono verso Varsavia, ma senza sapere per qual motivo nè a qual fine.