Henryk Sienkiewicz
Quo vadis

CAPITOLO XXXIX.

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CAPITOLO XXXIX.

 

Ursus attingeva l'acqua a una cisterna, e mentre tirava su colla fune la doppia anfora, cantava un canto licio sottovoce, guardando intanto con piacere Licia e Vinicio, i quali, tra i cipressi del giardino di Lino, parevano bianchi come statue. La brezza non moveva i loro abiti. Scendeva un crepuscolo viola dorato ed essi parlavano nella tranquillità della sera, colla mano dell'uno in quella dell'altra.

– Non ti accadrà, Marco, qualche sventura per avere lasciato Anzio a insaputa di Cesare? domandò Licia.

– No, mia cara, rispose Vinicio. Cesare ha annunciato che si sarebbe chiuso in casa per due giorni con Terpno per comporre nuovi canti. Sovente fa così, e in queste occasioni egli non conosce si ricorda di altro. Di più, che cos'è per me Cesare, se io sono qui vicino a te e se ti vedo? Ti ho sospirata anche troppo e in quest'ultime notti non potevo più dormire. Più di una volta, assopito dalla stanchezza, mi levavo subitamente, spaventato che ti minacciasse qualche sciagura; e più di una volta sognavo che mi avevano rubato la posta dei cavalli che mi dovevano condurre a Roma. Inoltre non posso vivere a lungo lontano da te; ti amo troppo, carissima.

Sapevo che tu venivi. Ho mandato Ursus due volte alle Carinæ a domandare di te. Lino e Ursus mi deridevano.

Si vedeva che ella lo aspettava per davvero, perchè invece del solito abito scuro indossava una morbida stola bianca, dalle cui graziose pieghe emergevano le braccia e la testa come le pratelline dalla neve. Adornavano i suoi capelli pochi anemoni vermigli.

Vinicio premette alle labbra le mani di lei, poi sedettero sulla panchina di pietra, sotto i pampini, l'uno piegato sull'altra, contemplando il crepuscolo, i cui morenti raggi erano riflessi nei loro occhî.

L'incanto della sera tranquilla li dominava completamente.

– Quanta calma è qui, e come è bello il mondo, disse Vinicio in una voce sommessa. La notte è meravigliosamente quieta. Io mi sento assai più felice che prima. Dimmi Licia, che cosa vuol dire? Non avrei mai pensato che ci fosse un amore come questo. Credevo che l'amore fosse semplicemente del desiderio e del fuoco nel sangue; ma ora, per la prima volta, vedo che è possibile amare con ogni stilla di sangue e con ogni respiro e sentire la dolcezza della calma incommensurabile come se il sonno e la morte avessero assopita l'anima nel riposo. È una sensazione nuova. La tranquillità degli alberi pare in me. Ora capisco che ci possa essere una felicità ancora ignota agli uomini. Ora comprendo perchè tu e Pomponia Grecina godevate una tranquillità come questa. Sì, questa è opera di Cristo.

Licia adagiò il suo bel viso sulla spalla di Vinicio.

– Mio caro Marco...

E non potè aggiungere altro. La gioia, la gratitudine e la sicurezza ch'ella alla perfine era libera di amare, le tolsero il respiro e l'emozione le riempì gli occhî di lacrime.

Vinicio cinse le sue forme sottili col braccio, se la tirò vicina, e disse:

Licia! Sia benedetto il momento in cui ho udito il tuo nome per la prima volta.

– Io ti amo, Marco, diss'ella con un alito di voce.

Ricaddero nel silenzio come sopraffatti dall'emozione.

I chiari barlumi del tramonto si erano spenti sulle cime dei cipressi e il giardino venne inondato dalla luce argentea della crescente luna. Un po' dopo, Vinicio disse:

– Lo so. Ero appena entrato, ti avevo appena baciate le care mani, che lessi nei tuoi occhî la domanda se io mi ero sottomesso alla religione che tu professi e se io ero battezzato. No, non lo sono ancora; ma sai tu, mio diletto fiore, perchè? Paolo mi disse: «Io ti ho convinto che Dio è nato e si lasciò crocifiggere per la salute del mondo; ora tocca a Pietro a lavarti al fonte della grazia, a lui che primo stese le mani sul tuo capo e ti benedisse.» Ed io, mia carissima, voglio che tu assista al mio battesimo, e desidero che Pomponia sia la mia matrina. Questo è il perchè non sono ancora battezzato, benchè io creda al Salvatore e alla sua dottrina. Paolo mi ha convinto, mi ha convertito; e poteva essere altrimenti? Come non avrei creduto che Cristo sia stato sul mondo, se lo dice il Suo discepolo e se lo dice Paolo, dinanzi al quale apparve? Come non avrei creduto che Lui era Dio, se è risorto dalla morte? Altri lo videro in città e sul lago e sui monti: e fu visto da gente le cui labbra non mentirono mai. Incominciai a crederlo all'Ostriano, ascoltando Pietro, poichè mi dicevo: ogni altro uomo nel mondo intero potrebbe mentire, non questo che dice: io vidi. Ma temevo la tua religione. Mi pareva che essa mi ti volesse rapire. Pensavo che non vi fosse in essa sapienza, bellezza, felicità. Ma oggi che la conosco, quale individuo sarei io mai se non volessi che la verità dominasse invece della menzogna, l'amore invece dell'odio, la virtù invece del delitto, la fedeltà invece della infedeltà, la misericordia invece della vendetta? Quale uomo sarebbe mai colui che non volesse tutto questo? La vostra religione insegna queste verità. Altre vogliono pure la giustizia; ma la tua è la sola che renda il cuore dell'uomo giusto, lo purifichi e lo renda fedele come il tuo e quello di Pomponia. Sarei cieco se non lo vedessi. E se, oltre a questo, Cristo ha promesso la vita eterna ed una felicità incommensurabile come solo può dare l'onnipotenza di Dio, che cosa si può bramare di più? Se io domandassi a Seneca perchè egli esalta più la virtù che la malvagità, la quale ci rende più felici, non saprebbe rispondere con qualche cosa di sensato.

«Ora so perchè devo essere virtuoso, perchè la virtù e l'amore derivano da Dio e perchè quando la morte mi chiuderà gli occhî, io troverò la vita e la felicità, troverò me stesso e te. Perchè non amare e non accettare una religione che insegna la verità e annulla la morte? Chi non preferisce il bene al male? Credevo la tua religione fosse contraria alla felicità; Paolo mi ha invece convinto che la rende più profonda. Tutto ciò entra appena nella mia testa, ma io sento che è vero, perchè non sono mai stato così felice, avrei potuto esserlo se ti avessi portata a casa mia e posseduta colla forza. Pensa a quello che mi hai detto appunto un momento fa: «Ti amo»; e io non avrei potuto farti dire queste parole con tutta la potenza di Roma. O Licia! La ragione dichiara questa religione divina e la migliore; lo dice il cuore. Chi può resistere a queste due potenze?

Licia lo ascoltava guardandolo coi suoi occhî azzurri, i quali, nella luce della luna, erano come fiori mistici bagnati di rugiada.

– Sì, Marco, ciò è vero, diss'ella, sprofondando sempre più la sua testa nella sua spalla.

E in quel momento si sentivano supremamente felici, poichè intendevano che oltre l'amore c'era un'altra forza che li univa, soave e irresistibile, colla quale l'amore diveniva infinito, non soggetto a mutamenti, a inganni, a tradimenti e neanche alla morte. I loro cuori si sentivano assolutamente sicuri che per qualunque cosa che potesse avvenire, essi non avrebbero cessato di amarsi e di essere l'uno dell'altro. Per questa ragione si insinuava nella loro anima una fiducia indicibile.

Vinicio sentiva inoltre che quell'amore non era semplicemente profondo e puro, ma anche nuovo; tale come il mondo non conosceva e non poteva dare. Nel suo cervello era tutto questo amore: Licia, la dottrina di Cristo, la luce della luna tranquillamente adagiata sui cipressi, la notte solenne – così che gli sembrava che l'universo intero ne fosse pieno.

Un istante dopo bisbigliò con voce tremante:

– Tu sarai l'anima della mia anima, l'essere più caro per me. I nostri cuori palpiteranno insieme e inalzeremo insieme la preghiera e la gratitudine a Cristo. O mia carissima! vivere assieme, onorare assieme il dolce Dio, e sapere che chiusi gli occhî dalla morte, si riapriranno ancora, come dopo un sonno soave, alla nuova luce, che cosa si potrebbe imaginare di più delizioso? Stupisco solo di non averlo capito prima. E sai tu che cosa mi pare? Che nessuno possa resistere a questa religione. Fra duecento o trecento anni sarà la religione di tutti. La gente dimenticherà Giove e non vi sarà più altro Dio che Cristo e non altri templi che cristiani. A chi non deve essere cara la propria felicità? Ah! io ho assistito alla conversazione tra Paolo e Petronio. Sai tu che cosa ah, abbia finito per dire Petronio? «Ciò non fa per me», ma non seppe dire altro.

Ripetimi le parole di Paolo, disse Licia.

– La conversazione ebbe luogo a casa mia, di sera. Petronio incominciò a parlare colla solita celia gaia. Paolo gli disse: «Come mai tu, o saggio Petronio, puoi negare che Cristo sia esistito e sia risorto, dal momento che tu non eri al mondo a quel tempo, e dal momento che Pietro e Giovanni lo hanno veduto e io stesso l'ho veduto sulla strada di Damasco? Provaci, prima di tutto, colla tua sapienza, che noi siamo bugiardi e poi nega la nostra testimonianzaPetronio rispose ch'egli non aveva idea di negare, visto che avvenivano molte cose incomprensibili, affermate da persone degne di fede. Ma la scoperta, aggiunse, di un altro dio straniero è una cosa diversa dall'accettare la sua dottrina. «Non ho punto voglia di imparare cosa che può deformare la vita e sciupare la sua bellezza. Non importa se i nostri dèi siano veri o falsi; essi sono belli, il loro impero ci è piacevole e noi viviamo senza preoccupazioni.» – «Tu sei preparato a respingere la religione dell'amore, della giustizia e della misericordia, disse Paolo, per paura delle preoccupazioni; ma pensa, Petronio, la tua vita è proprio veramente libera da ogni preoccupazione? Guarda, tu alcuno dei più ricchi e più potenti, sa, quando va a letto, se si sveglierà con una sentenza di morte. Dimmi, Petronio, non è vero che se Cesare appartenesse a questa religione dell'amore e della giustizia, anche la tua felicità sarebbe più sicura? Tu temi per i tuoi piaceri, ma la tua vita non sarebbe più lieta? In quanto agli ornamenti e alla bellezza della vita, se voi avete inalzato tanti splendidi templi e statue alle divinità maligne, vendicatrici, adultere e infedeli, che cosa non farete in onore di un Dio buono e misericordioso? Tu sei soddisfatto della tua sorte perchè sei ricco e vivi nell'opulenza; ma benchè nato da una grande famiglia, ti poteva ben capitare di essere povero e abbandonato da tutti, e allora sarebbe stato meglio per te che la gente fosse stata cristiana. Genitori ricchi di Roma, che non amano affaticarsi intorno ai loro figli, li cacciano spesso da casa; questi fanciulli sono chiamati alunni. Il caso avrebbe potuto fare di te uno di loro. Ma questo, non potrebbe avvenire se i parenti fossero della nostra religione. Se tu, adulto, avessi sposata una donna che tu amavi, saresti stato desideroso di sapertela fedele per tutta la vita. Guarda che cosa avviene intorno a voi; quale viltà, quale vergogna, quale traffico della fedeltà delle mogli! Sì, voi stessi vi maravigliate se vi trovate dinanzi a una donna che chiamate univira cioè di un solo marito. Ma io ti dico che le donne che portano Cristo nel cuore non violeranno mai la fede giurata ai loro mariti, come i mariti cristiani rimarranno sempre fedeli alle loro mogli. Voi non siete sicuri dei vostri regnanti, dei vostri padri, delle vostre consorti, dei vostri figli, dei vostri servi. Tutti tremano dinanzi a voi, e voi tremate dinanzi i vostri schiavi, perchè sapete che possono rivoltarsi a ogni momento contro la vostra oppressione, come è avvenuto più di una volta. Benchè ricco, tu non sei sicuro che non ti giunga domani l'ordine di rinunciare alle tue ricchezze; tu sei giovine, ma domani ti si può ingiungere di morire. Tu ami, e ti aspetta il tradimento; tu sei innamorato delle ville e delle statue, ma domani un ordine ti può lanciare nei luoghi desolati della Pandataria; tu hai migliaia di domestici, ma domani tutti questi servi possono lasciarti dissanguare. Se tutto questo è vero, come puoi tu essere tranquillo e felice, come puoi tu abbandonarti ai piaceri? Ma io proclamo l'amore, proclamo la religione che ingiunge ai Cesari di amare i loro sudditi, ai padroni i loro schiavi, agli schiavi di servire con amor e di essere buoni e misericordiosi, l'amore che promette per ultimo una felicità interminabile come un mare senza fine. Come dunque, Petronio, puoi tu dire che quella religione distrugge la vita, se invece la corregge e se tu saresti cento volte più felice e più sicuro s'essa dominasse tutto il mondo, come la signoria di Roma

«Così parlò Paolo. Petronio rispose: «Ciò non fa per me. Fingendosi sonnolento, se ne andò, e andandosene, aggiunse: Preferisco la mia Eunice, o piccolo ebreo, ma non mi piacerebbe di discutere con te sulla piattaforma

«Io ascoltavo le parole di Paolo coll'anima estasiata, e quando s'intrattenne delle nostre donne, esaltai con tutto il cuore la religione nella quale tu sei cresciuta come un giglio cresce in un campo fecondo in primavera. E pensai: Vi è Poppea che buttò via due mariti per Nerone, vi è Calvia Crispinilla, vi è Nigidia, vi sono quasi tutte quelle che conosco, tranne Pomponia; costoro mercanteggiarono la fede e il giuramento; ma Pomponia Licia sono della stessa stoffa. Licia non abbandonerebbe il focolare domestico, non lo ingannerebbe e non ne spegnerebbe il fuoco, se anche tutto ciò in cui avessi fede mi abbandonasse e mi tradisse. Perciò io ti domandavo intimamente come potevo mostrarmiti grato, se non adorandoti e amandoti? Sentivi tu che ad Anzio io parlavo e conversavo con te tutto il tempo, come se tu mi fossi stata vicina? Ti amo cento volte di più per essermi sfuggita dal palazzo di Cesare. Non so più che farne della casa di Nerone. Non sento più il bisogno del suo lusso, della sua musica; non voglio che te. Dimmi una sola parola e lascieremo Roma per andarcene a vivere lontano.

Senza muovere la testa dove era adagiata, Licia, come stesse meditando, alzò gli occhî alle cime argentee dei cipressi e disse:

Benissimo, Marco. Tu mi hai scritto della Sicilia, dove Aulo desidera passare gli ultimi anni della sua vita.

Vinicio l'interruppe:

– È vero, mia cara. I nostri poderi sono vicini. Essa è una costa incantevole, dove il clima è più dolce e le notti ancora più luminose di quelle di Roma, odorose, trasparenti: laggiù la vita e la felicità sono una stessa cosa.

E si mise a sognare sull'avvenire.

– Ivi potremo dimenticare le ansie. Passeggeremo sotto gli olivi e ci riposeremo all'ombra dei cespugli. O Licia! Quale paradiso: amarci l'un l'altra, guardando il mare insieme, il cielo insieme e adorare insieme il buon Dio, e fare in pace ciò che è giusto e vero.

Entrambi tacquero, assorti nella contemplazione del futuro.

E nel silenzio profondo egli se la strinse sempre più vicino, lasciando che le gemme dell'anello sul dito luccicassero nei raggi della luna. Nella parte occupata dai lavoratori della campagna, si dormiva sommersi in un silenzio sepolcrale.

– Mi permetterai di vedere Pomponia? domandò Licia.

– Senza dubbio, mia cara. Li inviteremo entrambi a casa nostra o andremo da loro. Se lo desideri, prenderemo con noi l'apostolo Pietro. Egli è curvato dagli anni e dal lavoro. Paolo verrà a farci visita e convertirà Aulo Plauzio; e come i soldati fondano colonie nei lontani paesi, così noi fonderemo una colonia di cristiani.

Licia gli prese la mano per premersela alle labbra; ma Vinicio, come se avesse avuto paura di spaventare la felicità, le bisbigliò:

– No, Licia, no! Sono io che ti onoro e ti amo; dammi le tue mani.

– Ti adoro.

Depose baci sulle sue mani candide come il gelsomino, e per del tempo non sentivano più che il palpito dei loro cuori. L'aria era tranquilla; i cipressi erano immobili come se anch'essi si fossero trattenuti il respiro.

Tutto a un tratto il silenzio venne interrotto da ruggiti profondi, come se fossero usciti dalle viscere della terra. Licia ebbe un brivido in tutta la persona. Vinicio si alzò, dicendo:

– Sono i leoni che ruggiscono nel vivarium.

Entrambi ascoltavano. Al primo ruggito ne rispose un secondo, un terzo, un decimo, da ogni parte della città.

Certe volte in Roma ve n'erano parecchie migliaia acquartierati nelle varie arene. Soventi, di notte, si avvicinavano alle grate delle uscite e colla enorme testa appoggiata ai ferri, manifestavano coi ruggiti la loro voglia immensa per la libertà e per il deserto. Così, in questa occasione, si rispondevano l'un l'altro nella quiete della notte, assordando la città coi loro ruggiti. Vi era qualcosa di così cupo e terribile nei ruggiti, che Licia, uscita dalle visioni serene del futuro, ascoltava col cuore stretto dalla paura e dalla tristezza

Vinicio la cinse col suo braccio.

– Non aver paura, cara. I giuochi incominceranno fra qualche giorno e le cavee ne sono piene.

Rientrarono in casa di Lino, accompagnati dai ruggiti che divenivano sempre più violenti e rumorosi.

 

 


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