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Vinicio era stato portato a casa del tessitore Macrino, il quale lo lavò, gli diede degli abiti e da mangiare. Rifocillato, il giovine tribuno disse che voleva rimettersi alla ricerca di Lino in quella stessa notte. Macrino, cristiano, confermò la notizia di Chilone che Lino e Clemente, un capo della religione, erano andati all'Ostriano, dove Pietro doveva battezzare i neofiti della nuova fede. Era saputo dai cristiani che Lino aveva affidato due giorni prima la cura della sua casa in quelle parti a un certo Caio. Per Vinicio era una prova che nè Licia nè Ursus erano rimasti in casa e che entrambi si eran rifugiati all'Ostriano.
Si sentì rianimato. Lino era vecchio e gli sarebbe stato difficile andare e venire ogni giorno dal Trastevere alla porta Nomentana; perciò era probabile ch'egli si fosse accomodato per alcuni giorni con qualche correligionario al di fuori delle mura e con lui Licia e Ursus. Così essi erano senza dubbio riusciti a sfuggire all'incendio che non s'era molto esteso sul declivio dell'Esquilino. Vinicio vide in tutto questo la provvidenza di Cristo che vegliava su lui, e il suo cuore si sentì inondato più che mai d'amore; giurava, nell'anima sua, di dedicare la vita in riconoscenza di tanta grazia.
Senza indugio si mise sulla strada dell'Ostriano. Voleva trovare Licia, Lino, Pietro; li avrebbe condotti con sè lontano, magari in Sicilia, perchè Roma, fra pochi giorni, non sarebbe più che un mucchio di rovine. A che rimanere dinanzi il disastro, con una plebaglia indemoniata? Sui suoi possedimenti c'erano eserciti di schiavi obbedienti che li avrebbero protetti; sarebbero stati in mezzo alla pace della campagna e avrebbero vissuto sotto le ali di Cristo con la benedizione di Pietro. Oh, se avesse potuto trovarli!
Questo non era facile. Si ricordava anche troppo della fatica che aveva dovuto fare per raggiungere la via Portuense. Perciò risolvette di andare questa volta intorno la città, in direzione opposta.
Andando per la via Triumphatoris si poteva arrivare al ponte di Emilio; filando lungo il fiume e passando il colle del Pincio, tutto il Campo Marzio, all'ingiro dei giardini di Pompeo, di Lucullo e di Sallustio, si giungeva, con un'altra camminata, alla via Nomentana. Era la via più breve, ma Macrino e Chilone lo consigliarono di andarvi per un'altra parte; il fuoco, è vero, non era ancora giunto in quei quartieri, ma le vie e i mercati potevano essere gremiti di gente colle masserizie. Chilone era di parere che si andasse attraverso l'Ager Vaticanus alla porta Flaminia e a quel punto si passasse il fiume e si andasse oltre le mura, al di là dei giardini di Acilio alla porta Salaria.
Vinicio dopo un po’ di esitazione accettò il suo consiglio.
Macrino non poteva abbandonare la casa; ma procurò loro due mule, una delle quali avrebbe potuto servire per il viaggio con Licia. Voleva dargli anche uno schiavo; ma Vinicio non ne volle sapere, convinto che il primo drappello di pretoriani che avesse incontrato sulla strada si sarebbe messo ai suoi ordini.
Lui e Chilone si misero subito in cammino per il Pagus Janiculensis, in direzione della via Trionfale. Qui, nei luoghi aperti, c'erano pure dei veicoli, ma loro potevano passarvi in mezzo con assai meno difficoltà, perchè la maggioranza degli abitanti era fuggita dalla via Portuense al mare. Passata la Porta Settimiana cavalcavano tra il fiume e i magnifici giardini di Domizio; i cipressi alti nel cielo rosseggiavano dell'incendio come in un tramonto; la strada si faceva più libera; solo qualche volta dovevano lottare colla corrente della popolazione rustica che si riversava in città. Vinicio incalzava la mula più che poteva e Chilone gli teneva dietro, parlando a sè stesso quasi tutta la via.
– Ci siamo lasciati il fuoco alle spalle e ora ci scalda la schiena. Non vi era mai stato di notte tanta luce sullo stradone. O Giove! Se tu non manderai torrenti di pioggia sul fuoco, non potrai dire indubbiamente di amare Roma. La forza dell'uomo è impotente a spegnere quelle fiamme – una città a cui la Grecia e il mondo ubbidivano! Ed ora il primo greco che viene può fare arrostire nelle sue ceneri le fave. Chi avrebbe potuto prevederlo? È finita! Non vi saranno più nè Roma nè regnanti romani. Chiunque potrà passeggiare per le sue ceneri, una volta che si siano raffreddate, e zuffolare senza pericolo. O dèi! zuffolare sulla città dominatrice del mondo! Quale greco o quale barbaro avrebbe potuto mai sperare una cosa come questa? E tuttavia si può zuffolarvi? perchè sia la cenere d'un mucchio di pastori o di una città consumata dal fuoco, è sempre cenere che il vento tosto o tardi spazza via.
Ragionando in questo modo, si volgeva di tanto in tanto verso la conflagrazione, guardando alle onde delle fiamme con una faccia ammantata di gioia e di perfidia.
– Perisce! Perisce! continuava a dire e non si rialzerà più mai! E dove il mondo manderà adesso il suo frumento, le sue olive e il suo denaro? Chi gli spremerà l'oro e le sue lacrime? Il marmo non brucia, ma cade in polvere. Il Campidoglio non sarà più che polvere, il Palatino diventerà polvere. O Giove! Roma era come un pastore e le altre nazioni erano il gregge. Quando il pastore aveva fame, scannava una delle pecore, ne mangiava la carne e a te, o padre degli dèi, ne offriva la pelle. Chi, o Giove Tonante, scannerà ora, e nelle mani di chi passerà la ferula del pastore? Perchè Roma brucia, o padre, come se tu l'avessi incendiata coi tuoi fulmini!
– Affrettati, gridò Vinicio, che cosa stai tu facendo?
– Piango su Roma, signore, sulla città di Giove!
Per un po' cavalcarono in silenzio, ascoltando i cupi muggiti del fuoco e lo sbattimento delle ali dei volatili. La moltitudine dei colombi che avevano i loro nidi intorno le ville e nei piccoli paesi della Campania, ed altri uccelli dai monti vicini e dal mare, scambiavano il fulgore dell'incendio colla luce del sole e correvano a stormi nel fuoco.
– Dove eri quando scoppiò l'incendio?
– Andavo dal mio amico Euricio, che ha bottega vicino al Circo Massimo, e proprio mentre meditavo sulla dottrina di Cristo, udii gridare: «Fuoco!» La gente si radunava intorno al Circo per salvarsi o per godersi lo spettacolo; ma quando le fiamme avvilupparono tutto il Circo e il fuoco incominciò in altri punti, ciascuno dovette pensare alla propria salvezza.
– Hai tu veduto gettare torce nelle case?
– Che cosa non ho io veduto, o pronipote di Enea? Ho veduto gente farsi largo tra la folla colle spade; ho veduto risse sanguinose; ho veduto le viscere umane sotto i piedi della folla. Ah, se tu avessi veduto tutto questo, tu avresti pensato che la città fosse stata invasa dai barbari e i cittadini passati a fil di spada. Le moltitudini intorno dicevano che la fine del mondo era venuta. Alcuni avevano completamente perduta le testa, e invece di darsi alla fuga, aspettavano stupidamente che le fiamme li investissero. Parecchî cadevano nell'attonitaggine, altri piangevano dalla disperazione e molti pure urlavano dalla gioia. O signore, vi sono tanti scellerati nel mondo che non sanno considerare i beneficî della vostra dolce dominazione e di quelle giuste leggi in virtù delle quali voi prendete tutto ciò che hanno gli altri e ve lo appropriate. Il popolo non vuole sottomettersi alla volontà di Dio!
Vinicio era troppo preoccupato delle sue cose per accorgersi dell'ironia nascosta nelle parole di Chilone. Un brivido di terrore lo invase al pensiero che Licia potesse essere in mezzo al caos di quelle vie terribili, dove le viscere umane venivano calpestate. Impaurito, gli fece per la decima volta la stessa interrogazione:
– Li hai tu veduti all'Ostriano coi tuoi occhî?
– Li ho veduti con questi occhî, o figlio di Venere; ho veduto la fanciulla, il buon licio, il santo Lino e l'apostolo Pietro.
– Prima dell'incendio?
– Prima dell'incendio, o Mitra!
Un dubbio nacque in Vinicio, se il Chilone non mentiva; perciò lo guardò in viso con aria minacciosa.
– Che cosa stavano facendo? gli domandò imperiosamente.
Chilone si trovò confuso. Gli pareva, come pareva a molti, che colla scomparsa di Roma fosse finita anche la dominazione romana. Ma egli si trovava a faccia a faccia con Vinicio; si rammentava che il giovine soldato gli aveva proibito sotto pena di un terribile castigo di spiare i cristiani, e specialmente Lino e Licia.
– Signore, diss'egli, perchè non credi che io voglia loro bene? Te lo giuro. Mi trovavo all'Ostriano perchè sono un mezzo cristiano. Pirrone mi ha insegnato a dare più importanza alla virtù che alla filosofia; per questa ragione aderisco sempre più alla gente virtuosa. Di più, io sono povero; e quando tu, o Giove, eri ad Anzio, io soffrivo sovente la fame fra i miei libri; perciò io sedevo vicino al muro dell'Ostriano, perchè i cristiani, quantunque poveri, fanno più carità che tutti gli abitanti di Roma messi insieme.
Questa ragione parve a Vinicio possibile, onde lo interrogò con voce meno altezzosa:
– E sai tu dove abita Lino in questo momento?
– Tu mi hai punito crudelmente una volta per essere curioso, rispose il greco.
– O signore, disse Chilone poco dopo, senza me, tu non avresti potuto trovare la fanciulla; e se la troviamo ora vorrai tu dimenticare il filosofo indigente?
– Tu riceverai una casa con un vigneto in Ameriola.8
– Grazie a te, o Ercole! Con un vigneto? Grazie a te! Oh sì, con un vigneto!
Stavano passando il colle Vaticano vermiglio dal fuoco; ma oltre la Naumachia, voltarono a destra per traversare il campo Vaticano, giungere alla riva, passarla, e andare alla Porta Flaminia.
In questo mentre Chilone trattenne la mula e disse:
– Mi è venuto un buon pensiero, o signore.
– Parla! gli ingiunse Vinicio.
– Tra il Gianicolo e il colle Vaticano, oltre i giardini di Agrippina, vi sono cave dalle quali sono state estratte le pietre per edificare il Circo di Nerone. Ascoltami, signore. Recentemente gli ebrei, dei quali, come sai, è una moltitudine nel Trastevere, hanno incominciato a perseguitare scelleratamente i cristiani. Tu ti ricordi che al tempo del divino Claudio vi furono tali disordini che Cesare dovette bandirli da Roma. Ora che sono ritornati e che si sentono sicuri per la protezione di Augusta, infastidiscono i cristiani insolentemente. Io lo so, l'ho veduto io. Nessun editto è stato affisso contro i cristiani, ma gli ebrei si dolgono col prefetto della città che i cristiani massacrano i bimbi, adorano un asino e predicano una religione non riconosciuta dal Senato; essi li bastonano, attaccano le loro case della preghiera con tanto accanimento, che i cristiani sono obbligati a nascondersi.
– Che cosa vuoi tu dire? domandò Vinicio,
– Questo, signore, che in Trastevere le sinagoghe esistono apertamente; mentre i cristiani, per evitare le persecuzioni, sono obbligati a pregare in segreto e a riunirsi nelle baracche fuori delle mura o nelle cave di pietre. Coloro che abitano il Trastevere hanno proprio scelto quel luogo che fu scavato per costruire il Circo e varie case lungo il Tevere. Ora che la città perisce, i seguaci di Cristo pregano; senza dubbio ne troveremo un numero infinito nella cava; così io suggerisco di andarvi per la strada.
– Ma tu mi hai detto che Lino è andato all'Ostriano! sclamò Vinicio impazientito.
– Ma tu mi hai promesso una casa colla vigna ad Ameriola, rispose Chilone; per questa ragione io desidero di cercare la fanciulla dove spero di trovarla. Possono essere ritornati al Trastevere dopo lo scoppio dell'incendio. Possono essere andati intorno le mura esterne della città, come facciamo noi in questo momento. Lino ha una casa e probabilmente vuole essere vicino per vedere se il fuoco ha invaso anche il suo quartiere. Se sono ritornati, ti giuro per Proserpina che li troveremo nella cava della preghiera, o alla peggio noi avremo loro notizie.
– Tu hai ragione; guidami dunque! disse il tribuno.
Chilone voltò a sinistra verso il colle, senza farselo dire due volte.
Per un po' il versante del colle celava l'incendio, così che mentre le alture circostanti erano nel bagliore, i due uomini erano nell'ombra. Passato il Circo volsero a sinistra ed entrarono in una specie di passaggio completamente buio. Nell'oscurità Vinicio vide luccicare una moltitudine di lanterne.
– Sono là dentro, disse Chilone. Oggi ve ne saranno più che ogni altro giorno, perchè le altre case della preghiera sono bruciate o piene di fumo, come in tutto il Trastevere.
– Hai ragione, disse Vinicio, ne sento gli inni.
Difatti le voci della gente che cantava uscivano dall'apertura buia e le lanterne scomparivano l'una dopo l'altra nelle tenebre. Dai passaggi laterali apparivano continuamente nuove forme, così che poco dopo Vinicio e Chilone si trovarono in mezzo a tutta la gente radunata.
Chilone sdrucciolò dal mulo; fece cenno a un giovine che sedeva vicino, e gli disse:
– Sono un vescovo di Cristo; guarda questo mulo, e ne avrai la mia benedizione e il perdono dei tuoi peccati.
Indi, senza aspettare la risposta, gli gettò le redini e se ne andò con Vinicio in mezzo alla folla che procedeva. Entrarono nella cava, si spinsero innanzi per il passaggio buio verso i pallidi raggi delle lanterne e giunsero al largo, dove si vedeva che le pietre erano state portate via da poco.
In quel luogo spazioso c'era più luce che nel corridoio, perchè oltre le lanterne vi ardevano le candele e le fiaccole. Vinicio vide tutta una massa di gente in ginocchio colle mani alzate. Non poteva vedere nè Licia, nè l'Apostolo Pietro, nè Lino, ma si trovava circondato da facce accese e piene di emozione. Su alcune di esse c'era l'inquietudine, su altre era diffusa la speranza. Era evidente che si aspettava ad ogni momento qualche cosa di insolito,
Intanto l'inno era cessato, e al disopra dell'adunanza apparve Crispo, che Vinicio conosceva, da una nicchia, colla faccia di un mezzo delirante, pallida, austera, esaltata. Tutti gli occhî si volsero a lui, come se tutti fossero stati in attesa di una parola di conforto e di speranza. Dopo aver benedetto la radunanza, incominciò a parlare con una voce che aveva del grido:
– Piangete per i vostri peccati, perchè l'ora è venuta! Mirate, il Signore ha mandato giù le fiamme distruggitrici sulla novella Babilonia, la città della depravazione e del delitto. L'ora del giudizio è suonata, l'ora dell'ira e della dissoluzione. Il Signore ha promesso di venire e lo vedrete fra non molto. Non verrà come l'Agnello che ha offerto il sangue per i nostri peccati, ma come un giudice tremendo che nella sua giustizia rovescierà miscredenti e peccatori nell'abisso. Guai al mondo! guai ai peccatori! per loro non vi sarà misericordia. Ti vedo, o Cristo! Cadono le stelle a miriadi, il sole si oscura, la terra spalanca i suoi abissi, i morti risorgono, ma tu vieni al suono delle trombe, circondato da legioni di angeli, tra i tuoni e i lampi. Io ti vedo, ti odo, o Cristo!
Rimase silenzioso, cogli occhî alzati, come se avesse veduto lontano qualche cosa di spaventevole.
In quel momento si sentì un sordo muggito nella cava, che si riprodusse una volta, due, tre, dieci volte.
Gli edifici di intiere vie incominciavano a precipitare con fragore. Ma la maggioranza dei cristiani scambiò il rombo per un segno visibile che l'ora spaventevole si avvicinava; la fede nella seconda venuta di Cristo e nella prossima fine del mondo era di tutti i cristiani, specialmente dopo l'incendio. L'assemblea rimase terrorizzata. Molte voci ripetevano: «Il giorno del giudizio, guardate, viene.» Alcuni si coprivano la faccia con le mani, persuasi che la terra sarebbe stata scossa dalle sue fondamenta e che le bestie dell'inferno sarebbero uscite per gettarsi sui peccatori. Altri gridavano: «Cristo, abbiate misericordia di noi! Salvatore, pietà!» Molti confessavano i loro peccati ad alta voce, e molti altri si gettavano nelle braccia degli amici per avere qualcuno al cuore nell'ora spaventevole.
Ma vi erano anche quelli colla faccia estasiata e col sorriso celeste che non avevano paura.
In alcuni angoli si udivano delle voci; erano di coloro che coll'eccitamento religioso avevano incominciato a pronunciare parole incomprensibili, in un linguaggio sconosciuto. Parecchî gridavano:
A momenti si faceva un silenzio sepolcrale, come se tutti si trattenessero il respiro in attesa di quello che poteva avvenire. E in allora si udiva il rumore lontano di qualche quartiere che andava in rovina e i lamenti e le grida ricominciavano.
– Rinunciate alle ricchezze terrene, perchè fra poco non ci sarà più terra sotto i vostri piedi. Rinunciate agli amori terreni, perchè il Signore condannerà coloro che amano la moglie o il figlio più di Lui. Guai a colui che ama la creatura più del Creatore! Guai ai ricchi! Guai ai lussuriosi! Guai ai dissoluti! Guai al marito, alla moglie, al figlio!
Immediatamente un rombo più spaventevole di ogni altro scosse il sotterraneo. Tutti caddero a terra, protendendo le braccia in croce per tener lontano gli spiriti maligni.
Seguì il silenzio, durante il quale non si udivano che la respirazione ansante e il mormorìo pieno di terrore. Gesù, Gesù, Gesù! e in certi luoghi si faceva sentire il pianto dei bimbi.
In quel momento una voce calma parlò alla moltitudine prostrata:
– La pace sia con voi!
Era la voce di Pietro l'Apostolo, entrato nella cava poco prima. Al suono della sua voce scomparve il terrore, come passa dal gregge non appena ricompare il pastore.
La gente si levò da terra come per cercare protezione sotto le sue ali.
Tese le mani verso loro e disse:
– Perchè avete il cuore agitato? Chi di voi può dire ciò che avverrà prima che venga l'ora?
«Il Signore ha punito col fuoco la Babilonia, ma la sua misericordia sarà per coloro che si sono purificati col battesimo, e voi, i cui peccati sono stati redenti col sangue dell'Agnello, morirete col Suo nome sulle labbra. La pace sia con voi!»
Dopo le spietate parole di Crispo, quelle di Pietro passarono sugli astanti come balsamo. Alla paura di Dio penetrava nei loro animi l'amore di Dio. La gente trovava il Cristo che aveva imparato ad amare colle narrazioni di Pietro; non già il giudice implacabile di Crispo, ma l'Agnello paziente e buono, la cui misericordia sorpassava cento volte la nequizia dell'uomo. Un sentimento di sollievo s'impadronì di tutta l'assemblea e la gratitudine per l'Apostolo riempì i loro cuori. Da varie parti si ricominciò a gridare:
– Noi siamo il tuo gregge, nutriscici!
– Non abbandonarci nel giorno del disastro!
E caddero sulle ginocchia; Vinicio gli si avvicinò, prese il lembo del suo mantello e, curvato, disse:
– Salvami, signore; io l'ho cercata nel fumo dell'incendio e nella calca: in nessun luogo ho potuto trovarla, ma credo che tu possa rendermela.
Pietro pose la mano sulla testa del tribuno:
– Abbi fede, diss'egli, e vieni con me.