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Petronio andò a casa. Nerone e Tigellino andarono all'atrio di Poppea, dove erano aspettati da persone colle quali il prefetto aveva già parlato.
Vi erano due rabbini del Trastevere, mitrati e nelle vesti lunghe e solenni, un giovine copista, loro segretario, e Chilone.
Alla vista di Cesare i sacerdoti impallidirono dall'emozione, e levate le mani fino alle spalle inchinarono le loro teste profondamente.
– Salute, o dominatore della terra, o guardiano di un popolo eletto, o Cesare, leone tra gli uomini, il cui regno è come il sole, come il cedro del Libano, come una primavera, come una palma, come il balsamo di Gerico.
– Rifiutate di chiamarmi dio? domandò Nerone.
I sacerdoti divennero più pallidi. Il capo dei due che aveva parlato prima, parlò di nuovo.
– Le tue parole, o signore, sono dolci come un grappolo d'uva, come un fico maturo, perchè Giove ha riempito il tuo cuore di bontà. Il predecessore di tuo padre, Cesare Caio, era severo; tuttavia i nostri inviati non lo chiamarono Dio, preferendo la morte alla violazione della legge.
– E Caligola non ha ordinato di gettarli ai leoni?
– No, signore; Cesare Caio temeva la collera di Jehova.
Ed entrambi alzarono le loro teste perchè il nome del potente Jehova dava loro coraggio: fiduciosi della sua potenza, guardarono negli occhî di Nerone con più audacia.
– Accusate voi i cristiani di avere incendiata Roma? domandò l'imperatore.
– Noi, signore, li accusiamo di questo solo: che sono nemici della legge, del genere umano, di Roma, di te, e che da tempo hanno minacciato del fuoco le città e il mondo. Il resto ti sarà detto da questo uomo, le cui labbra non hanno mai pronunciato una menzogna e nelle vene della cui madre scorreva il sangue del popolo eletto.
– Chi sei?
– Un uomo che ti ammira, o Ciro, e che è, per di più, un povero stoico.
– Odio gli stoici, disse Nerone, odio Trasea, Musonio e Cornuto. Mi nauseano i loro discorsi, il loro disprezzo per le arti e la loro sudiceria volontaria.
– O signore, il tuo maestro Seneca ha mille tavoli di cedro. Per tuo desiderio ne avrò due volte tanti. Sono stoico per necessità. Metti sul mio stoicismo, o radiante signore, una ghirlanda di rose, con un'anfora di vino, e canterà Anacreonte con tale forza da assordare ogni epicureo.
Nerone, a cui era piaciuto il titolo di Radiante, sorrise e disse:
– Tu mi piaci.
– Quest'uomo vale tant'oro quanto pesa! disse Tigellino.
– Aggiungi al mio peso la tua generosità, rispose Chilone, o il vento mi porterà via la mia ricompensa.
– Non oltrepasserebbe il peso di Vitellio, aggiunse Cesare.
– Ahimè! Apollo, il mio spirito non è di piombo.
– Vedo che la tua fede non ti impedisce di chiamarmi dio.
– O immortale! La mia fede è in te; i cristiani bestemmiano contro quella fede e io li odio.
– Mi permetti tu, o divino, di piangere?
– No, rispose Nerone, il pianto mi annoia.
– Tu hai tre volte ragione, perchè, gli occhî che ti hanno veduto, dovrebbero essere liberi dal pianto. O signore, difendimi dai miei nemici.
– Parla dei cristiani, disse Poppea con un'ombra di impazienza.
– Sarà come tu desideri, o Iside11, rispose Chilone. Dalla giovineaza mi sono dedicato alla filosofia, e ho cercato la verità. L'ho cercata tra i divini saggi dell'antichità, all'accademia di Atene e al tempio Serapide in Alessandria. Quando sentii parlare dei cristiani, credetti si trattasse di qualche nuova scuola in cui avrei potuto imparare il fondo di certe verità; e per mia sventura feci la loro conoscenza. Il primo cristiano che la mala sorte mi fece incontrare fu un certo Glauco, un medico di Napoli. Da lui seppi che adoravano un certo Cristo, il quale aveva promesso di sterminare tutto il popolo e distruggere ogni città del mondo, salvando loro, i cristiani, se lo avessero aiutato a trucidare i figli di Deucalione12. Per questa ragione, o Signora, essi odiano gli uomini, avvelenano le fontane; per questa ragione nelle loro adunanze scagliano maledizioni su Roma e su tutti i templi in cui i nostri dèi sono onorati. Cristo è stato crocifisso; ma egli ha promesso che una volta incendiata Roma, sarebbe ritornato e avrebbe dato la signoria del mondo ai cristiani.
– Il popolo capirà adesso perchè Roma è stata consumata dal fuoco, interruppe Tigellino.
– Molti lo hanno già capito, o signore, perchè io bazzico per i giardini, vado al Campo di Marte e insegno. Ma se mi ascolterete fino alla fine, capirete le mie ragioni di vendetta. Glauco, il medico, non mi rivelò subito che la loro religione insegnava l'odio. Al contrario, egli mi disse che Cristo era un dio buono e che la base della loro religione era l'amore. Il mio cuore sensibile non potè resistere a una rivelazione come questa; mi innamorai di Glauco, confidai in lui, divisi con lui ogni boccone di pane, ogni moneta che avevo, e sai tu, Signora, come mi ha ripagato? Lungo il viaggio da Napoli a Roma, mi diede una coltellata, e mi vendette la moglie, la bella e giovane Berenice, a un mercante di schiavi. Se Sofocle conoscesse la storia della mia vita! Ma che cosa dico? Mi ascolta uno che è assai più di Sofocle.
– Chi ha veduto il viso di Afrodite non è infelice, o Signora, ed io lo vedo adesso. Ma poi cercai le consolazioni nella filosofia. Venuto a Roma cercai degli anziani cristiani per farmi fare giustizia. Credevo che lo avessero obbligato a restituirmi la moglie. Conobbi il loro supremo sacerdote, ne conobbi un altro, chiamato Paolo il quale è stato nella prigione della città e ne è stato liberato; conobbi il figlio di Zebedeo, con Lino, Clito e tanti altri. Sapevo dove abitavano prima dell'incendio, so dove si radunano ora. Posso far vedere una cava al Colle Vaticano ed un cimitero al di là della Porta Nomentana, dove celebrano le loro svergognate cerimonie. Ho veduto l'Apostolo Pietro. Ho veduto come Glauco uccide i fanciulli, perchè l'Apostolo abbia qualcosa da spruzzare le teste dei presenti, ed ho veduto Licia, la figlia adottiva di Pomponia Grecina, la quale si vantava che quantunque fosse stata incapace di svenare un bimbo, ne aveva fatto morire uno; ella ha stregato la piccola Augusta, tua figlia, o Ciro, e tua figlia, o Iside.
– Senti, Cesare? domandò Poppea.
– Può mai essere! sclamò Nerone.
– Posso dimenticare i torti fatti a me, continuò Chilone ma quando io ho udito quelli fatti a voi, io volevo pugnalarla. Sfortunatamente ne fui impedito dal nobile Vinicio, il quale ne è innamorato.
– Vinicio? Non è ella fuggita da lui?
– Ella è fuggita, ma egli è andato alla sua ricerca; non poteva vivere senza di lei. Per una miseria l'ho aiutato in questa ricerca e sono stato io che gli ha additato la casa nella quale viveva coi cristiani nel Trastevere. Vi andammo insieme e con noi venne il tuo atleta, Crotone, che il nobile Vinicio aveva pagato per proteggerlo. Ma Ursus, lo schiavo di Licia, schiacciò Crotone. Egli è un uomo di una forza spaventevole, o signori, può torcere il collo di un toro colla stessa facilità con cui un altro può torcere uno stelo di papavero. Aulo e Pomponia lo amavano per la sua forza.
– Per Ercole! disse Nerone; il mortale che ha schiacciato Crotone merita una statua nel Foro. Ma tu, vecchio, t'inganni, o inventi, perchè Crotone è stato ucciso da Vinicio con un coltello.
– Ecco come la gente calunnia gli dèi. O signore, io stesso ho veduto le costole di Crotone rompersi nelle braccia di Ursus, il quale si precipitò poi su Vinicio. Ne sarebbe stato ucciso se non fosse stato per Licia. Dopo Vinicio rimase ammalato per del tempo; ma lo curarono nella speranza che coll'amore sarebbe divenuto un cristiano. E lo è divenuto.
– Vinicio?
– Sì.
– E fors'anche Petronio? domandò Tigellino ansiosamente.
Chilone si contorse, si fregò le mani, e disse:
– Ammiro la tua penetrazione, o signore. Può darsi che lo sia divenuto. Niente di più facile!
– Ora capisco perchè difendeva i cristiani.
– Petronio cristiano! Petronio nemico della vita e del lusso! Non dire sciocchezze e non cercare di persuadermi, perchè sono pronto a non credere nulla.
– Ma il nobile Vinicio è divenuto cristiano, o signore. Lo giuro per l'aureola che ti circonda, che ciò che dico è la verità e che nulla mi ferisce con tanto disgusto come la menzogna. Pomponia Grecina è una cristiana, il piccolo Aulo è un cristiano, Licia è una cristiana e Vinicio è cristiano. Io l'ho servito fedelmente e lui, in cambio, istigato da Glauco, il medico, mi fece sferzare, quantunque io sia vecchio, e fossi in allora ammalato e affamato. E ho giurato, per Plutone, che io non gliela avrei perdonata. O signore, vendica le mie offese su loro e io ti consegnerò l'Apostolo Pietro, Lino e Clito e Glauco e Crispo, e tutti gli anziani, e Licia e Ursus. Io ve li mostrerò a centinaia, a migliaia; vi additerò le loro case della preghiera, i loro cimiteri. Tutte le tue prigioni non basteranno a contenerli. Senza di me voi non potreste trovarli. Nella sventura ho cercato la consolazione nella sola filosofia; ora voglio cercarla nei favori che mi verranno dall'alto. Sono vecchio, non ho conosciuto la vita, permettetemi d'incominciarla.
– Tu vuoi essere stoico davanti al piatto colmo, disse Nerone.
– Coloro che ti rendono dei servigi lo colmano per questa stessa ragione.
Poppea non si dimenticava dei suoi nemici. Il suo desiderio per Vinicio era piuttosto un momentaneo capriccio nato sotto l'influenza della gelosia, dell'ira e della vanità offesa. Ma la freddezza del giovine patrizio la turbò profondamente e riempì il suo cuore di un risentimento tenace per l'ingiuria patita. Il solo fatto ch'egli aveva osato anteporle un'altra, le sembrava un delitto che domandava vendetta. Odiava Licia fino dal primo momento che l'aveva veduta, quando la bellezza di quel giglio nordico l'aveva inquietata. Petronio, il quale parlava dei fianchi troppo stretti della fanciulla, poteva dire quello che voleva a Cesare, ma non ad Augusta. Poppea con un'occhiata aveva capito ch'ella sola, in tutta Roma, poteva rivaleggiare con lei e anche vincerla. Perciò la votò alla rovina.
– Signore, diss'ella, vendica la nostra bimba.
– Affrettati! sclamò Chilone, affrettati! Altrimenti Vinicio riuscirà a nasconderla. Mostrerò la casa nella quale è tornata dopo il fuoco.
– Ti darò dieci uomini per andarvi subito, disse Tigellino.
– O signore! tu non hai veduto Crotone nelle braccia di Ursus; se tu darai soli cinquanta uomini, mostrerò loro l'abitazione a una certa distanza. Ma se tu non imprigionerai Vinicio, sarò perduto.
– Non sarebbe bene, o divino, finirla una buona volta collo zio e col nipote?
Nerone pensò un momento e poi rispose:
– No, non ora. Il popolo non ci crederebbe se cercassimo di persuaderlo che Petronio, Vinicio e Pomponia Grecina hanno incendiata Roma. Le loro case erano troppo belle. La loro volta verrà più tardi; oggi occorrono altre vittime.
– Allora, o signore, dammi dei soldati che mi costudiscano, disse Chilone.
– Intanto tu verrai ad abitare in casa mia, disse il prefetto a Chilone.
La gioia si diffuse sulla faccia di Chilone.
– Ve li darò tutti nelle mani! solamente fate presto! presto! sclamò egli con voce roca.