Henryk Sienkiewicz
Quo vadis

CAPITOLO LXII.

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CAPITOLO LXII.

 

Il dramma Aureolus veniva dato abitualmente nei teatri e negli anfiteatri, disposti in modo che si potevano aprire come se fossero due palcoscenici separati. Ma dopo lo spettacolo nei giardini di Cesare, il solito metodo venne omesso, perchè si voleva che il più gran numero di gente assistesse alla morte dello schiavo crocifisso che nel dramma era divorato da un orso. Nei teatri la parte dell'orso era rappresentata da un attore cucito in una pelle, ma questa volta la rappresentazione doveva esser vera. Era una nuova idea di Tigellino. In sulle prime Cesare non voleva andarvi, ma poi si lasciò persuadere dal favorito. Tigellino gli spiegò che dopo quello che era avvenuto nei giardini era più che necessario farsi vedere in mezzo al popolo e gli promise che lo schiavo crocifisso non lo avrebbe insultato come Crispo. Il pubblico era un po' sazio e stufo di sangue; perciò si dovette promettere una bella distribuzione di biglietti di lotteria e di doni, coronata da un banchetto. Lo spettacolo doveva aver luogo di sera in un anfiteatro brillantemente illuminato.

All'imbrunire, tutto l'anfiteatro era zeppo; gli augustiani, con alla testa Tigellino, intervennero tutti, non solo per lo spettacolo, ma anche per dimostrare la loro devozione a Cesare e ciò che pensavano di Chilone, del quale si parlava per tutta Roma.

Ad onta di questo, si susurravano l'un l'altro che Cesare, ritornando dai giardini, era caduto in uno stato di frenesia, senza poter dormire per il terrore e le visioni spaventevoli che non gli avevano dato tregua; per questa ragione egli aveva annunciato nella mattina susseguente allo spettacolo la sua prossima partenza all'Acaia.

Parecchî negavano però la storia, affermando che egli sarebbe stato anzi più implacabile coi cristiani. Non mancavano neanche i vili che prevedevano che l'accusa che Chilone aveva buttato in faccia a Cesare avrebbe condotto a delle conseguenze crudeli. Per ultimo c'erano anche quelli che in nome dell'umanità scongiuravano Tigellino a metter fine alla carneficina.

Guardate a ciò che fate, disse Barco Sorano. Voi volevate pacificare la collera del popolo e convincerlo che la punizione cadeva sui colpevoli, e il risultato che avete ottenuto è appunto il contrario.

– È così! aggiunse Antistio Vero; si susurra dappertutto che i cristiani sono innocenti. Se questo vuol dire avere del giudizio, Chilone aveva ragione di dire che il vostro cervello non riempirebbe il guscio di una noce.

Tigellino si volse a loro, dicendo:

Barco Sorano, la gente susurra pure che tua figlia Servilia nasconde i suoi schiavi cristiani dalla giustizia di Cesare; dicono lo stesso di tua moglie, Antistio.

– Non è vero, esclamò Barco spaventato.

– Le vostre divorziate vogliono rovinare mia moglie, invidiose della sua virtù, replicò Antistio Vero, non meno impaurito di Barco.

Altri parlavano di Chilone.

– Che cosa gli è avvenuto? domandò Eprio Marcello. Li denunciò lui stesso a Tigellino; da mendicante divenne ricco; poteva vivere i suoi giorni in pace, avere degli splendidi funerali e una tomba, ma nossignori! Preferì perdere tutto e rovinarsi completamente! Deve essere davvero maniaco!

– Non è divenuto maniaco, disse Tigellino, ma cristiano.

– È impossibile! disse Vitellio.

– Non ho io detto, soggiunse Vestinio: «Uccidete i cristiani, se vi piace, ma, credetemi, voi non potete sostenere la guerra col loro Dio. Con lui non si scherza»? Vedete ora che cosa avviene. Io non ho incendiato Roma, ma se l'imperatore me lo permettesse, offrirei subito un'ecatombe al loro nume. E tutti dovrebbero fare lo stesso, perchè, ripeto, con lui non si scherza! Ricordatevi delle mie parole.

– E io ho detto qualche cosa di più, soggiunse Petronio. Tigellino rideva quand'io dicevo che i cristiani si armavano; ora aggiungo che conquistano.

– Come? Come? domandarono parecchie voci.

– Per Polluce! conquistano! Se un uomo come Chilone non ha potuto resistere, chi può resistere? Se voi non credete che i cristiani aumentano a ogni spettacolo, fatevi calderaî o frequentate i barbieri e saprete come la pensa il popolo e che cosa avviene in città.

– Per il sacro peplo di Diana! egli dice la verità, disse Vestinio

Barco si volse a Petronio:

– La conclusione?

Concludo dove tu hai cominciato: di sangue se ne è sparso abbastanza.

Tigellino lo guardò con una punta ironica, e rispose:

– Eh, un po' ancora!

– Se la tua testa non basta, ne hai un'altra sul tuo bastone, disse Petronio.

La conversazione venne interrotta dalla venuta di Cesare, il quale andò ad occupare il suo posto in compagnia di Pitagora. Subito dopo incominciò la rappresentazione di Aureolus, senza che vi si prestasse grande attenzione, perchè la mente del pubblico era tutta occupata di Chilone. Gli spettatori, abituati al sangue e alle torture, si annoiavano, fischiavano, buttavano qua e frizzi poco lusinghieri per la corte imperiale e domandavano con insistenza la scena dell'orso, la quale era la sola interessante per loro. Se non si fosse trattato dei doni e di Chilone, il teatro sarebbe rimasto vuoto.

Finalmente la scena tanto aspettata venne. I servi del Circo entrarono prima con una croce di legno, tanto bassa che un orso sulle sue zampe di dietro potesse raggiungere il petto del martire: poi due uomini condussero o piuttosto trascinarono sul palco Chilone, poichè lo sgraziato aveva le gambe rotte. Lo misero sulla croce e lo inchiodarono al legno con tanta sollecitudine, che gli augustiani non riuscirono a vederlo bene in viso; solo dopo che la croce fu inchiodata al suo posto tutti gli occhî ebbero modo di contemplare la vittima. Ma erano pochi coloro che potevano riconoscere in quell'uomo nudo il Chilone di pochi giorni prima. Dopo le torture alle quali Tigellino lo aveva sottoposto, non vi era una goccia di sangue sulla sua faccia emaciata; solo se ne vedeva la traccia sui peli della barba, rimastavi dopo lo strappamento della lingua. Attraverso la sua pelle trasparente gli si potevano vedere le ossa. Pareva assai più vecchio, quasi decrepito. Prima i suoi occhî gettavano occhiate piene di inquietudine e di odio e sulle sue guance erano costantemente riflesse la trepidazione e lo spavento; ora la sua faccia aveva un'espressione dolorosa, ma aveva assunto la dolcezza e la serenità delle facce addormentate o morte. Forse gli faceva coraggio il ricordo del ladrone sulla croce, a cui Cristo aveva perdonato; o forse egli rivolgeva dal fondo dell'anima al Dio della misericordia queste parole:

– O Signore, ho morsicato come un verme velenoso, ma sono stato sventurato tutta la vita. Io avevo fame e la gente mi veniva sopra coi piedi, mi percuoteva e mi derideva. Ero povero e infelice e ora mi si tortura inchiodato alla croce; ma Tu, o Misericordioso, non mi respingerai in quest'ora.

E la pace scendeva indubbiamente nel suo cuore annichilito. Nessuno rideva, perchè vi era nell'uomo crocifisso qualche cosa di così calmo, pareva così vecchio, così impotente, così debole, ed eccitava tanto alla compassione colla sua umiltà, che ciascuno si domandava inconsciamente come era possibile torturare e inchiodare alle croci gli uomini che sarebbero morti in qualunque modo perchè già moribondi.

La folla era silenziosa. Tra gli augustiani, Vestinio si volgeva a destra e a sinistra, bisbigliando con voce terrorizzata:

Vedete come muoiono!

Altri aspettavano ansiosamente l'orso, desiderosi che lo spettacolo avesse tosto fine.

L'orso entrò nell'arena, allungando da una parte e dall'altra la testa che teneva bassa, guardando intorno come se stesse pensando o cercando qualchecosa. Finalmente vide la croce e l'uomo nudo. Gli si avvicinò, rizzandosi sulle sue gambe posteriori; un momento dopo ricadde sulle quattro zampe, sdraiandosi ai piedi della croce, e brontolando, come se si fosse fatta sentire nel suo cuore di bestia la pietà per quel resto d'uomo.

Le grida degli schiavi del Circo aizzavano l'animale; ma il popolo taceva.

Intanto Chilone alzò lentamente la testa e girò gli occhî sul pubblico. Alla fine il suo sguardo si fermò in qualche punto dell'ultima fila dell'anfiteatro; il suo petto si commosse e qualche cosa avvenne che sorprese di meraviglia. La sua faccia si illuminò di un sorriso; un raggio di luce parve gli cingesse il capo di un'aureola; i suoi occhî si rialzarono prima di morire e poco dopo due grosse lacrime sospese alle palpebre gli scesero con lentezza per le guance.

Era morto.

Nello stesso momento risuonò una voce maschia dall'ultima fila sotto il velario:

Pace ai martiri!

Nell'anfiteatro imperava un silenzio profondo.

 

 


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