Henryk Sienkiewicz
Quo vadis

CAPITOLO LXVIII.

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CAPITOLO LXVIII.

 

La notizia della miracolosa liberazione di Licia si era diffusa prestamente fra gli sparsi cristiani sopravissuti alla strage. I fedeli andavano a vedere colei che aveva ricevuto indubbiamente la grazia di Cristo. Prima vi andarono Nazario e Miriam, presso i quali si era tenuto nascosto fin allora Pietro l'Apostolo; e dopo loro degli altri. Tutti, come Vinicio, Licia, e gli schiavi cristiani di Petronio, ascoltavano con attenzione la narrazione di Ursus sulla voce che dal fondo dell'anima gli aveva ordinato di lottare colla bestia selvaggia. E tutti se ne andavano consolati, nella speranza che Cristo non avrebbe lasciato sterminare i suoi seguaci in terra, prima della sua venuta nel giorno del giudizio. E la speranza sosteneva i loro cuori, perchè la persecuzione non era ancora cessata. Chiunque era dichiarato cristiano dalla voce pubblica, veniva cacciato subito in prigione dalle guardie della città. Le vittime erano assai meno, perchè la maggioranza dei fedeli erano stati torturati a morte e gli altri si erano salvati nelle provincie lontane ad aspettare che la tempesta passasse, o si erano nascosti in luoghi sicuri, senza osare di riunirsi per la preghiera comune se non nelle cave di sabbia fuori delle porte.

Essi erano ancora perseguitati, e benchè gli spettacoli fossero terminati, i nuovi arrestati venivano tenuti in serbo per i futuri spettacoli, o sottoposti a tormenti speciali. Quantunque non si credesse più in Roma che essi fossero stati gli autori della conflagrazione, pure erano sempre considerati nemici del genere umano e dello Stato, e l'editto contro loro rimaneva in pieno vigore.

L'Apostolo Pietro per molto tempo non si arrischiò a farsi vivo in casa di Petronio, ma, alla fine, una sera, Nazario ne annunciò l'arrivo. Licia, che ora poteva camminare da sola, e Vinicio gli corsero incontro e s'inginocchiarono per abbracciargli i piedi. Li salutò commosso, tanto più che erano dei pochi che gli erano rimasti del gregge che Cristo gli aveva affidato e sul quale il suo gran cuore piangeva. Così, quando Vinicio gli disse:

Signore, per mezzo tuo il Redentore me l'ha restituita, l'Apostolo rispose:

– Te l'ha restituita per la tua fede e perchè tutte le labbra che pronunciano il Suo nome non divenissero .

E in quel mentre egli pensava senza dubbio alle migliaia di fanciulli sbranati dalle belve feroci, alle croci di cui era stata piena l'Arena, ai pali ardenti dei giardini della «Bestia», perchè era nelle sue parole una grande tristezza. Vinicio e Licia notavano pure che i suoi capelli erano divenuti interamente bianchi, che la sua persona si era incurvata, e che sul suo viso era tanta mestizia e tanto dolore, come se egli fosse passato attraverso tutti gli strazî e tutti i tormenti sofferti dalle vittime del furore e della pazzia di Nerone. Ma l'uno e l'altra capivano che se lo stesso Cristo aveva subìto la tortura e la morte, a nessuno era permesso di evitare il martirio. Malgrado questo, alla vista dell'Apostolo curvo dagli anni, dalla fatica e dai dolori, il loro cuore s'era spezzato. Così Vinicio, che intendeva di recarsi presto a Napoli con Licia a incontrarsi con Pomponia, per andarsene tutti assieme in Sicilia, lo supplicò di lasciare Roma con loro.

Ma l'Apostolo pose la sua mano sulla testa del tribuno e rispose:

– Nella mia anima sento le parole che il Signore mi disse sul lago di Tiberiade: «Quando tu eri giovane, tu ti cingevi e andavi dove volevi; ma quando tu sarai vecchio, tu stenderai le tue mani e un altro ti cingerà e ti condurrà dove tu non vorrai.» Perciò è giusto che io segua il mio gregge.

E siccome tacevano, non conoscendo il significato delle sue parole, egli aggiunse:

– Il mio lavoro è vicino alla fine; non trovo più godimento e riposo che nella casa del Signore.

Poi si volse a loro dicendo:

Ricordatemi, perchè vi ho amati come un padre ama i figli; e qualunque cosa facciate in vita, fatela per la gloria di Dio.

Così dicendo, alzò le sue vecchie mani tremolanti e li benedisse; ed essi gli si strinsero intorno sentendo che quella era forse l'ultima benedizione che avrebbero ricevuta da lui. Ma erano destinati a rivederlo un'altra volta.

Pochi giorni dopo Petronio portò dal Palatino notizie terribili. Vi si era scoperto che uno dei liberti di Cesare era cristiano, e su quest'uomo erano state trovate lettere degli apostoli Pietro e Paolo, di Giacomo, di Giovanni e di Giuda. La presenza di Pietro in Roma era nota a Tigellino; ma credeva che l'Apostolo fosse perito cogli altri cristiani. Ora era trapelato che i due capi erano vivi e nella capitale. Egli era così determinato di snidarli ad ogni costo, perchè si sperava che colla loro morte si sarebbe strappata l'ultima radice dell'odiata setta. Petronio aveva sentito da Vestinio che Cesare stesso aveva dato ordine che Pietro e Paolo fossero gettati nel carcere Mamertino nel termine di tre giorni, e che distaccamenti di pretoriani erano stati inviati nel Trastevere a frugare tutte le case.

Vinicio risolse di avvertire l'Apostolo. Venuta la sera, egli ed Ursus indossarono i mantelli gallici e andarono alla casa di Miriam, dove era Pietro. La casa era al margine della divisione del Trastevere, ai piedi del Gianicolo. Lungo la strada essi vedevano le case circondate dai soldati, guidati da persone sconosciute. Tutto il quartiere era sossopra e in alcuni punti s'erano radunati molti curiosi. Qua e i centurioni interrogavano gli arrestati su Pietro, Simone e Paolo di Tarso.

Ursus e Vinicio, che precedevano i soldati, giunsero salvi alla casa di Miriam, nella quale trovarono Pietro circondato da un gruppo di fedeli. Timoteo, coadiutore di Paolo, e Lino erano al fianco dell'Apostolo.

Alla notizia del pericolo imminente, Nazario li condusse tutti attraverso un passaggio sotterraneo, all'entrata del giardino, e di alle cave di pietre, a poche centinaia di passi dalla porta del Gianicolo.

Ursus dovette portare Lino, le cui ossa fratturate durante la tortura, non s'erano ancora saldate. Una volta nelle cave si sentirono salvi; e alla luce di una torcia accesa da Nazario, cominciarono a consultarsi sottovoce, intorno al modo di salvare la vita dell'Apostolo che a loro era così cara.

Signore, disse Vinicio; permetti a Nazario che domani all'alba ti guidi ai Monti Albani. Ivi verrò a incontrarti per condurti ad Anzio, dove è pronta una nave che ci porterà a Napoli e in Sicilia. Benedetto sarà il giorno in cui tu entrerai in casa mia e benedirai il mio focolare.

Gli altri ascoltarono la proposta con gaudio e pregarono l'Apostolo ad accettare.

Nasconditi, o santo duce; non rimanere in Roma. Conserva la verità vivente, così ch'essa non perisca con te e con noi. Ascoltaci, ti supplichiamo come i figli un padre.

Fallo nel nome di Cristo! dissero altri, attaccandosi ai lembi del suo mantello.

Figli miei, rispose Pietro, chi conosce il tempo in cui il Signore porrà termine alla sua vita?

Ma egli non disse che non avrebbe lasciato Roma, ed esitava sul da farsi. Già da tempo nella sua anima s'erano insinuati l'incertezza ed anche la paura. Il suo gregge era sparso; il suo lavoro distrutto; la chiesa, che prima dell'incendio fioriva come un albero rigoglioso, era stata polverizzata dalla potenza della «Bestia». Non rimanevano più che le lagrime, che i ricordi dei tormenti e dei morti. La seminagione aveva dato una ricca messe, ma Satana aveva calpestato tutto nella terra. Le legioni degli angeli non erano venute ad aiutare i morenti, e Nerone che estendeva la sua gloria sulla terra, era più terribile, più potente che mai, era il signore di tutte le terre e di tutti i mari. Più di una volta il pescatore, nella solitudine, aveva steso le mani verso il cielo, domandando: «Signore, che cosa devo fare? Devo agire? E come posso io, debole e vecchio, combattere con questa invincibile potenza del Male, alla quale tu hai permesso di dominare e di vincere

E così invocava dal profondo del suo immenso dolore, ripetendo fra : «Il gregge che Tu mi hai ordinato di nutrire non è più; la Tua chiesa non è più; il deserto e il lutto sono nella Tua capitale; che cosa mi comandi di fare? Devo starmene qui o andare col resto del gregge a glorificare il Tuo nome in segreto, in qualche luogo al di del mare

Egli esitava. Credeva che la verità vivente non sarebbe perita, ma avrebbe trionfato; e a momenti pensava che l'ora non era ancora venuta e non verrebbe che allorquando il Signore discenderebbe sulla terra il giorno del giudizio, nella gloria e nella potenza cento volte più grande di quella di Nerone.

Sovente gli sembrava che se avesse lasciato Roma, i fedeli lo avrebbero seguìto; lui poi li avrebbe condotti lontano, agli ombrosi boschi della Galilea, al tranquillo lago di Tiberiade, tra i pastori buoni come le colombe o le pecorelle pascolanti laggiù tra il timo e la menta. E il cuore del pescatore venne invaso da un desiderio più intenso di pace e di riposo, da una voglia più acre di rivedere il lago e la Galilea; e le lacrime salivano più volte agli occhî del vegliardo.

Ma nel momento in cui egli era determinato ad andarsene, veniva assalito dal terrore.

Come mai poteva abbandonare la città, la cui terra aveva bevuto il sangue dei martiri e dove tante labbra avevano confermata la verità morendo?

Doveva essere lui solo a cedere? E che cosa avrebbe risposto al Signore, udendo queste parole: «Questi sono morti per la fede, ma tu te ne sei fuggito»?

Le notti e i giorni trascorrevano per lui nell'ansietà e nella sofferenza. Gli altri che erano stati sbranati dai leoni, inchiodati alle croci, incendiati nei giardini di Cesare, dopo pochi momenti di tortura s'erano addormentati nel Signore; ma lui non poteva dormire e sentiva tormenti più spasmodici di quelli che i carnefici avevano imaginati per le vittime. Spesso l'alba biancheggiava i tetti delle case mentre egli piangeva ancora dal fondo del suo cuore straziato. «Signore, perchè mi hai tu ingiunto di venire nell'antro della «Bestia» a fondare la tua capitale»?

Da trentatrè anni, dopo la morte del Maestro, egli non conosceva riposo. Col bastone in mano egli era andato per il mondo ad annunciare la «buona novella». La sua forza era stata consumata nei viaggi e nelle fatiche; e, infine, quando egli credeva di avere piantata la dottrina dal Maestro nella città che era la testa del mondo, un alito ardente di collera bruciò via tutto; ed egli vedeva che bisognava ricominciare la lotta da capo. E quale lotta!

Da una parte Cesare, il Senato, il popolo, le legioni dei pretoriani che tenevano il mondo come in una cerchia di ferro, città infinite, legioni senza numero, una potenza che l'occhio dell'uomo non aveva mai veduto; dall'altra lui solo, fiaccato dagli anni e dalle fatiche, le cui mani tremolanti potevano appena tenere il bastone del pellegrino.

Perciò si diceva spesso che non era un'impresa per lui, ma di Cristo, il misurarsi col Cesare di Roma.

Tutti questi pensieri formicolavano nella sua testa piena di preoccupazioni, quando ascoltava le preghiere dell'ultimo gruppo di fedeli. Essi, circondandolo in un cerchio che andava sempre più stringendosi, ripetevano con voci supplichevoli:

Nasconditi, Rabbi, e conducici via dalla potenza della «Bestia».

Finalmente anche Lino inchinò il suo capo pieno di tormenti:

– O Signore, diss'egli, il Redentore ti ha comandato di nutrire le pecore del suo gregge, ma esse non sono più qui, o tutt'al più domani non vi sarà più alcuno; va, dunque, dove tu puoi trovarle ancora. La parola di Dio vive pur sempre in Gerusalemme, in Antiochia, in Efeso e in altre città. Che farai tu rimanendo in Roma? Se tu cadi, non ingrosserai che il trionfo della «Bestia». Il Signore non ha stabilito il limite della vita di Giovanni; Paolo è un cittadino romano, e non possono condannarlo senza processo; ma se la potenza dell'inferno si eleverà contro di te, o maestro, quelli i cui cuori sono già scoraggiati, si domanderanno: «Chi è al disopra di Nerone?» Tu sei la roccia sulla quale è fondata la chiesa di Dio. Moriamo, ma non permettere la vittoria dell'anticristo sul vicario di Dio, e non tornare indietro fino a che il Signore non abbia schiacciato colui che ha versato il sangue degli innocenti.

Guarda alle nostre lacrime! ripetevano tutti gli astanti.

E le lacrime sgorgavano anche dagli occhî di Pietro. Un momento dopo si alzò e stendendo le mani sulle figure inginocchiate disse:

– Sia lodato il nome del Signore e sia fatta la Sua volontà!

 

 


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