Henryk Sienkiewicz
Quo vadis

CAPITOLO LXXI.

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CAPITOLO LXXI.

 

Roma era stata pazza per un pezzo, così che la città conquistatrice del mondo pareva pronta a sfasciarsi per mancanza di direzione. Anche prima che l'ora degli apostoli fosse suonata era stata scoperta la congiura di Pisone. La messe spietata delle teste più cospicue di Roma fu tale, che anche a coloro che credevano imperatore un dio, parve ormai il dio della morte. La gente si svegliava il mattino e si domandava a chi era toccato il turno. Il corteggio dei fantasmi che seguiva Cesare aumentava di giorno in giorno.

Pisone pagò il fio della congiura con la testa. A lui tennero dietro Seneca, Lucano, Fenio Rufo, Plauzio Laterano, Flavio Scevino, Afranio Quinziano, e il dissoluto compagno delle orgie di Cesare, Tullio Senecione, e Proculo, Ararico, Tugurino, Grato, Silano, Prossimo – una volta tutto devoto a Nerone – e Sulpizio Aspro.

Alcuni vennero uccisi per la nessuna importanza che avevano, alcuni per la paura che suscitavano; altri per la loro ricchezza; altri ancora per il loro coraggio. Cesare, esterrefatto dal numero dei cospiratori, circondò le mura di soldati e tenne la città come in uno stato d'assedio, mandando ogni giorno i centurioni colle sentenze di morte alle case dei sospetti. I condannati si umiliavano con lettere a Cesare piene di adulazioni e di ringraziamenti per le sue sentenze, lasciandogli parte dei loro beni, allo scopo di salvare il resto per i loro figli. Pareva alla fine che Nerone oltrepassasse ogni misura per convincersi fino a qual punto gli uomini erano affondati nell'abiezione e fino a quando avrebbero sopportato il sanguinoso dominio. Dopo i cospiratori, vennero condannati a morte i loro parenti, i loro amici e anche le loro conoscenze. Gli abitanti dei palazzi principeschi edificati dopo l'incendio, quando uscivano per le strade erano sicuri di vedere una lunga fila di funerali. Pompeo, Cornelio, Marziale, Flavio Nepote e Stazio Domizio morirono accusati di poco amore per Cesare; Novio Prisco, come amico di Seneca. Rufio Crispo fu privato del diritto del fuoco e dell'acqua perchè era stato una volta marito di Poppea. Il grande Trasea fu rovinato dalla sua virtù; tanti pagarono colla vita il delitto di essere d'origine nobile; anche Poppea cadde vittima dell'ira subitanea di .

Il Senato si prosternava dinanzi al terribile sovrano; inalzava un tempio in suo onore; faceva offerte in favore della sua voce; incoronava le sue statue, e gli assegnava dei sacerdoti considerandolo un dio.

I senatori si recavano al Palatino trepidanti a glorificare il canto Periodonices e si abbandonavano con lui in mezzo alle orgie dei corpi nudi, del vino e dei fiori.

Ma intanto disotto, nel campo inzuppato di sangue, e di lacrime germogliava la semente di Pietro, e diveniva sempre più forte ad ogni movimento.

 

 


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