Henryk Sienkiewicz
Quo vadis

CAPITOLO XIII.

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CAPITOLO XIII.

 

La mattina seguente Petronio aveva appena finito di vestirsi nell'untuario, che entrò Vinicio avvertito da Tiresio.

Egli sapeva che non c'erano notizie dalle porte. Questo fatto invece di consolarlo come una prova che Licia era ancora in Roma, l'afflisse più che mai, perchè pensava che Ursus poteva averla condotta fuori di porta subito dopo il ratto, e cioè prima che Petronio vi avesse mandato gli schiavi a vigilare.

È vero che in autunno le porte della città si chiudono più presto, ma è altresì vero che esse si aprono alle persone che hanno bisogno di uscire; e di queste ce n'è sempre un numero considerevole. Era pure possibile uscire per altre vie, ben note, per esempio, agli schiavi che vogliono fuggire dalla città. Vinicio aveva sparsa la sua gente per gli stradoni che conducono nelle provincie e informato i magistrati delle altre città, della fuga dei due schiavi, con minute descrizioni di Ursus e Licia. Ma era dubbio che si riuscisse a raggiungerli; e se si fosse riuscito, non sapeva se i magistrati avrebbero potuto arrestarli sulla sua semplice richiesta, senza la vidimazione del pretore; non c'era stato tempo di ottenerla. Per suo conto, Vinicio, travestito come schiavo, aveva cercato Licia tutto il giorno, in ogni angolo della città, ma non era riuscito a scoprirne la minima traccia. Aveva pure veduto i servi di Aulo, ma anch'essi pareva che stessero cercando qualche cosa; e ciò lo persuadeva che non era Aulo che l'aveva rapita e che il vecchio generale non sapeva che cosa era avvenuto di lei.

Quando Tiresio gli annunciò che vi era un uomo che si sarebbe assunto l'incarico di trovare Licia, si affrettò alla casa di Petronio; non aveva ancora finito di salutarlo, che domandò dell'uomo.

– Lo vedremo subito. Eunice lo conosce, disse Petronio. Ella verrà a momenti ad accomodarmi le pieghe della toga e ci darà esatte informazioni dell'individuo.

– Oh! la ragazza che volevi regalarmi ieri?

– Quella che tu hai rifiutata, per la qual cosa ti ringrazio perchè è la migliore vestiplica della città intera.

La vestiplica entrò prima ch'egli avesse finito di parlare. Prese la toga da una sedia costellata di perle e l' per adagiarla sulle spalle di Petronio. L'espressione della sua faccia era serena e dai suoi occhî traspariva la gioia.

Petronio si fermò a contemplarla, le parve bellissima. Un istante dopo che lo aveva coperto della toga, incominciò a dar grazia alle pieghe, chinandosi ogni tanto ad allungarne le falde. Notò che le sue braccia erano di un bianco rosato maraviglioso e cioè il suo seno e le sue spalle avevano i riflessi trasparenti della perla o dell'alabastro.

Eunice, domandò egli, è venuto l'uomo di cui hai parlato ieri a Tiresio?

– E venuto, padrone.

– Come si chiama?

Chilone Chilonide.

– Chi è?

– Egli è un medico, un filosofo e un indovino che conosce il destino della gente e predice il futuro.

– Ti ha predetto il tuo?

Eunice si coperse di un rossore che le dava un colore rosso alle orecchie e al collo.

– Sì, padrone.

– Che cosa ti ha predetto?

– La felicità dopo la pena.

– La pena te l'ha inflitta ieri Tiresio; la felicità dovrebbe venire.

– E già venuta, padrone.

– Che cosa?

– Io rimango, diss'ella con un bisbiglio.

Petronio mise la sua mano sulla sua testa dorata.

Oggi tu hai accomodato bene le pieghe, e io sono contento di te, Eunice.

Al contatto di quella mano i suoi occhî si velarono di gaudio e il suo seno incominciò ad ansare con più frequenza.

Petronio e Vinicio passarono nell'atrio dove Chilone Chilonide aspettava. Vedendoli, egli s'inchinò profondamente. Petronio sorrise al pensiero che ieri aveva sospettato quell'uomo amante di Eunice. L'uomo che gli stava dinanzi non poteva essere l'amante di alcuna. Era una figura strana che aveva del ributtante e del ridicolo. Non era vecchio; brillava qua e , per il sudiciume della barba e per le ciocche ondulate, qualche capello grigio. Aveva il ventre rientrato e le spalle cadenti, così che a prima vista pareva un gobbo; su cotesta gobba sorgeva un testone, dalla faccia dello scimmiotto e della volpe; l'occhio acuto. La sua carnagione giallognola era picchiettata di pustole; e il suo naso che ne era pieno, indicava il suo grande amore per la bottiglia. Vestiva male. Indossava una tunica oscura di lana caprina e un mantello dello stesso materiale con dei buchi che mostravano una vera o una simulata povertà. Petronio alla sua presenza si ricordò del Tersite d'Omero. Sicchè al suo inchino egli rispose con un gesto della mano.

Salute, divino Tersite! Come si va colle bozze che Ulisse ti fece a Troia, e che cosa fa lui stesso nei campi Elisi?

Nobile signore, rispose Chilone Chilonide, Ulisse, il più saggio fra i morti, invia, per mio mezzo, un saluto a Petronio, il più saggio tra i vivi, e una preghiera di coprire le mie bozze con un nuovo mantello.

– Per Ecate triforme! sclamò Petronio, la risposta merita un mantello.

Vinicio, impaziente, interruppe la conversazione, interrogandolo direttamente.

Sai tu bene ciò che stai per intraprendere?

– Quando due famiglie di due case di signori parlano di null'altro e quando tutta Roma ripete la stessa notizia, non è difficile saperlo, rispose Chilone. Due sere sono è stata rapita una fanciulla chiamata Licia, ma più propriamente Callina, allevata in casa di Aulo Plauzio. I tuoi schiavi, signore, stavano conducendola dal palazzo di Cesare alla tua insula, ed io mi assumo l'incarico di trovarla in città, o se ha lasciato la città ciò che è poco probabile – di indicarti, nobile tribuno, dove è fuggita e dove si è nascosta.

– Tutto ciò va bene, disse Vinicio, al quale era piaciuta la precisione della risposta. Quali mezzi hai tu per fare quello che dici?

Chilone ebbe un sorriso malizioso.

– Tu ne hai i mezzi, signore; io non ho che la testa.

Anche Petronio sorrise, perfettamente soddisfatto del suo ospite.

Quell'uomo, si diceva a stesso, può trovare la fanciulla.

Miserabile! Se tu m'inganni per del danaro ti farò bastonare.

– Sono un filosofo, signore, e un filosofo non può essere avido di guadagni come quelli che tu mi hai ora offerto con tanta magnanimità.

– Oh, sei tu un filosofo? domandò Petronio. Eunice mi ha detto che tu sei medico e indovino. Dove hai conosciuta Eunice?

– Venne da me per consultarmi, perchè la mia fama era giunta al suo orecchio.

– Quale consulto aveva ella bisogno?

– Sull'amore, signore. Ella voleva essere curata di un amore non corrisposto.

– L'hai tu guarita?

Feci di più, signore. Le ho dato un amuleto che assicura lo scambio dell'amore. A Pafo, nell'isola di Cipro, v'è un tempio, o signore, nel quale si conserva una cintura di Venere. Le ho dato due fili di quella cintura chiusi in un guscio di mandorla.

Glieli hai fatti pagare bene?

– Il ricambio d'amore non è mai pagato abbastanza, ed io, che manco di due dita alla mano destra, sto raccogliendo danaro per comperarmi uno schiavo copista che scriva i miei pensieri per conservarli per il genere umano.

– Di quale scuola sei tu, divino saggio?

– Sono un cinico, signore, perchè io porto un mantello stracciato. Sono uno stoico, perchè sopporto la miseria con pazienza; sono un peripatetico perchè non avendo una lettiga vado a piedi da un negozio di vino all'altro, e lungo la via insegno a coloro che promettono di pagarmi con una brocca di vino.

– E una brocca di vino ti fa diventare un retore?

Eraclito afferma che «tutto è fluido», e puoi tu negare, signore, che il vino non sia fluido?

– Ed egli afferma pure che il fuoco è una divinità; perciò la divinità tinse il tuo naso di rosso.

– Il divino Diogene di Apollonia asseriva che l'aria è l'essenza delle cose; più calda è l'aria e più perfetti diventano gli esseri: ma dall'aria caldissima escono le anime dei sapienti. E siccome gli autunni sono freddi, così un vero sapiente si scalda l'anima col vino; negherai tu, o signore, una brocca di vino di Capua o di Telesia che diffonda calore nelle ossa di un perituro corpo umano?

Chilone Chilonide, dove sei nato?

– Sul Ponto Eusino. Io sono nato a Mesambria.

– Oh, Chilone, tu sei grande!

– E misconosciuto, disse studiatamente il filosofo.

Vinicio incominciava ad esserne stufo. Col raggio di speranza che gli aveva fatto brillare, egli voleva che Chilone si mettesse subito al lavoro; tutte le altre chiacchiere gli sembravano una semplice e inutile perdita di tempo e lo irritavano contro Petronio.

– Quando incomincierai le tue ricerche? domandò Vinicio volgendosi al greco.

– Ho già cominciato, rispose Chilone. Poichè sono qui a rispondere alla tua gentil domanda, io sono alla ricerca. Abbi fiducia, onorevole tribuno, e sappi che se tu perdessi la stringa del tuo sandalo io la troverei e troverei colui che l'ha raccolta per la strada.

– Sei già stato adoperato da qualcuno in simili servizî? domandò Petronio.

Il greco alzò gli occhî. – Oggigiorno gli uomini apprezzano assai poco la virtù e la sapienza, perchè un filosofo non sia obbligato a cercare altri mezzi per vivere.

– Quali sono i tuoi mezzi?

Sapere ogni cosa e dare informazioni a coloro che le desiderano.

– E chi ti paga?

– Ah, signore, io ho bisogno di comperare un copista, altrimenti la mia sapienza andrà perduta con me.

– Se tu non hai nemmeno raccolto abbastanza per comperarti un mantello, vuol dire che i tuoi servigi non sono di grande valore.

– La modestia mi trattiene. Ma ricordati, signore, che non vi sono più tanti benefattori come una volta e per i quali era altrettanto piacere pagare i servigi coll'oro come a trangugiare un'ostrica puteolana. No, i miei servigî non sono piccoli, ma piccola è la gratitudine umana. Quando fugge uno schiavo importante, chi lo rintraccia se non il solo figlio di mio padre? Quando sulle muraglie vi sono parole oltraggiose contro la divina Poppea, chi è che ne scova l'autore? Chi scopre nelle botteghe dei libraî i versi scritti contro Cesare? Chi racconta ciò che si dice nelle case degli alti funzionarî dell'esercito e dei senatori? Chi porta le lettere che gli scrittori non vogliono affidare agli schiavi? Chi ascolta alle porte dei barbieri? Per chi non hanno segreti osti, panattieri? In chi hanno fiducia gli schiavi? Chi può vedere attraverso ogni cosa, dall'atrio al giardino? Chi conosce tutte le strade, tutte le viuzze, tutti gli angiporti? Chi sa ciò che si dice nei bagni, nei circhi, sui mercati, nelle sale di scherma, negli antri dei mercanti di schiavi e perfino nelle arene?

– Per gli dèi! basta, nobile filosofo! sclamò Petronio; noi annegheremo nei tuoi servigi, nelle tue virtù, nella tua sapienza, nella tua eloquenza. Volevamo sapere chi tu sei, e lo sappiamo!

Vinicio ne era lieto, perchè confidava che quest'uomo, come un cane da caccia sulla pesta, non si sarebbe fermato che al nascondiglio.

Bene, diss'egli, hai tu bisogno di indicazioni.

– Ho bisogno di armi.

– Di quale specie? domandò Vinicio maravigliato.

Il greco allungò la mano sinistra e coll'altra fece il segno di chi conti danari.

– Tali sono i tempi, o signore, diss'egli con un sospiro,

– Vuoi tu essere l'asino, disse Petronio, che prende la fortezza con delle sacche piene d'oro?

– lo sono solamente un povero filosofo, rispose Chilone umilmente; l'oro lo avete voi.

Vinicio gli gettò una borsa che il greco colse a volo, quantunque gli mancassero due dita della mano.

Indi alzò la testa e disse:

So più di quello che tu credi. Non sono venuto qui a mani vuote. So che non fu Aulo che rapì la fanciulla, perchè ne ho parlato coi suoi schiavi. So che non è al Palatino, perchè tutti sono occupati della infante Augusta; e forse io indovino anche perchè preferiate che io cerchi la fanciulla anzichè le guardie e i soldati di Cesare. So che la sua fuga è stata effettuata da un servo nativo del paese di lei. Egli non può avere trovato aiuto tra gli schiavi, perchè gli schiavi sono soldati e non lottano contro schiavi. Solo correligionarî hanno potuto prestargli mano.

Senti, Vinicio? interruppe Petronio. Non ti ho detto la stessa cosa, parola per parola?

– Ciò mi onora, disse Chilone. La fanciulla, signore, continuò il filosofo, rivolgendosi di nuovo a Vinicio, adora senza alcun dubbio, la stessa divinità che adora la più virtuosa delle signore romane, quella vera matrona che si chiama Pomponia. Ho pure udito che Pomponia è stata sottoposta al tribunale di famiglia, accusata di adorare non so che dio straniero; ma non ho potuto cavare dalla servitù il nome del dio, come si chiamino i suoi seguaci. Se potessi saperlo andrei da loro, ne diverrei uno dei più devoti e mi guadagnerei la loro confidenza. Ma tu, signore, che hai passatovedi che so anche questo – un po' di giorni in casa del nobile Aulo, non puoi tu darmi qualche indizio?

– Non posso, disse Vinicio.

– Voi, nobili patrizî, mi avete domandato parecchie cose, ed io ho risposto a tutto; permettetemi ora un'interrogazione. Non hai tu veduto, onorevole tribuno, indosso a Pomponia e alla divina Licia, qualche statuetta, qualche imagine, qualche ricordo, qualche amuleto? Non le hai tu vedute fare dei segni, intelligibili solo per loro?

Segni? Aspetta! Sì; Ho veduto una volta Licia che disegnava un pesce sulla sabbia.

– Un pesce? Ah!... oooh! Lo ha fatto una volta o più volte?

– Una sola volta.

– Sei certo, signore, ch'ella ha schizzato un pesce?

– Sì, rispose Vinicio con crescente interesse. Indovini tu che cosa voglia dire?

– Se lo indovino! sclamò Chilone. E accommiatandosi con un inchino, aggiunse: che la fortuna sparga su voi, nobili signori, tutti i suoi doni.

Ordina che ti si porti un mantello, disse Petronio congedandolo.

Ulisse ti ringrazia per Tersite, rispose il greco andandosene con un secondo inchino.

– Che dici di quel nobile sapiente? domandò Petronio.

– Questo, ch'egli troverà Licia, rispose Vinicio con gioia; ma aggiungo che se vi fosse il regno dei vagabondi scaltri, egli ne potrebbe essere il re.

– Senza dubbio. Voglio conoscere questo stoico più da vicino; intanto darò ordine di profumare l'atrio.

Chilone Chilonide, ravvolto nel nuovo mantello, si palleggiava nel palmo della mano, sotto le pieghe, la borsa che aveva ricevuto, rallegrandosi del peso e del tintinnìo. Andando via pian piano, guardandosi intorno se non era spiato dalla casa, entrò sotto il portico di Livia, e arrivato all'angolo di Clivus Virbius, svoltò nella Suburra.

Devo andare da Sporo, si diceva fra , a mescere un po' di vino in nome della dea Fortuna. Alla fine ho trovato ciò che cercavo da tanto tempo. Egli è giovane, irascibile, generoso come le miniere di Cipro, pronto a dare mezza la sua fortuna per quel fanello liciano. Un uomo come lui l'ho cercato per del tempo. Conviene però essere prudenti perchè quel suo cipiglio non predice nulla di buono. Ah! i lupatti dominano il mondo, oggi! Ho meno paura di Petronio. O dèi! Il ruffianesimo paga assai più che la virtù. Ah! ella tracciò un pesce sulla sabbia! Che io muoia soffocato da un pezzo di cacio caprino se so che cosa voglia dire! Ma lo saprò. I pesci vivono nell'acqua e a frugare nell'acqua è più difficile che a frugare sulla terra, ergo, egli mi pagherà in un modo speciale. Un'altra borsa come questa e posso buttar via la bisaccia del mendicante e comperarmi uno schiavo. Che cosa diresti tu, Chilone, se io ti consigliassi di comperare non uno schiavo, ma una schiava? Ti conosco. Tu consentiresti. Se fosse bella come Eunice, per esempio, tu ringiovaniresti vicino a lei e al tempo stesso avresti una buona entrata sicura. Ho venduto alla povera Eunice due fili del mio vecchio mantello. Ella è stupida, ma se Petronio me la desse, la prenderei volentieri. Sì, sì, Chilone Chilonide, tu hai perduto tuo padre e tua madre, tu sei orfano; consolati comperandoti una schiava. Ella deve ben vivere in qualche parte, perciò Vinicio ne pagherà l'abitazione, nella quale tu potresti trovare ricovero; deve vestirsi e Vinicio pagherà per i suoi abiti; deve mangiare ed è naturale che Vinicio ne paghi il vitto. Oh, come è dura la vita! Dove sono andati i tempi in cui con un obolo si poteva comperare tanto porco e tante fave quanto ce ne poteva stare nelle mani, o un pezzo di salsiccia caprina ripiena di sangue, lunga come il braccio di un fanciullo di dodici anni? Ecco quel miserabile di Sporo! Nell'osteria sarà più facile apprendere qualche cosa.

Così ragionando entrò dal vinaio e ordinò un orciuolo di vino nero. Vedendo lo sguardo incredulo del padrone, tirò fuori dalla borsa una moneta d'oro e la mise sul tavolo, dicendo:

Sporo, ho faticato stamane con Seneca dall'alba a mezzogiorno, ed ecco ciò che mi ha dato prima d'andarmene.

Gli occhî dilatati di Sporo si dilatarono ancora di più alla vista dell'oro, e il vino fu in un attimo dinanzi a Chilone.

Intingendovi un dito disegnò sul tavolo un pesce, domandandogli:

Sai tu che cosa significhi?

– Un pesce? Un pesce... Sì, quello è un pesce.

– Tu sei uno sciocco, benchè tu aggiunga tant'acqua nel vino che vi si potrebbe trovare un pesce. Questo è un simbolo che, nel linguaggio dei filosofi, vuol dire il linguaggio della fortuna. Se tu lo avessi indovinato avresti potuto fare fortuna. Onora la filosofia, ti dico, o cambierò vinaio, cosa che il mio amico personale Petronio mi ha incalzato a fare da tanto tempo.

 

 


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