Henryk Sienkiewicz
Quo vadis

CAPITOLO XVI.

«»

Link alle concordanze:  Normali In evidenza

I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio

CAPITOLO XVI.

 

Ma Chilone non si fece vedere per del tempo, e Vinicio non sapeva che pensare di lui. Invano egli si ripeteva che la ricerca se doveva essere coronata di successo doveva essere graduale. Il suo sangue e la sua natura impulsiva si rivoltavano contro la ragione. Fare nulla, aspettare, sedere colle braccia incrociate, non si conciliava in modo alcuno colla sua indole. Cercare per i vicoli nell'oscuro mantello dello schiavo gli pareva un inutile travestimento che non poteva dargli pace. I liberti, persone pratiche, ai quali aveva dato ordine di cercare ciascuno per proprio conto, si erano rivelati assai meno abili di Chilone. E intanto nacque in lui, coll'amore per Licia, l'ostinatezza del giocatore determinato a vincere. Vinicio era sempre stato così. Dalla giovinezza egli aveva ottenuto ciò che desiderava, colla prepotenza di chi non capisce disfatte o il bisogno di cedere su qualche punto. Per un po' di tempo la disciplina militare era riuscita a frenarlo, ma anche a convincerlo che nessun subordinato poteva trasgredire i suoi ordini. La lunga dimora in Oriente, tra gente pieghevole e usata all'obbedienza passiva, lo confermò nell'idea che il suo «voglio» non aveva limiti. Ora la sua vanità era gravemente ferita. Nell'opposizione, nella resistenza e nella fuga di Licia – la quale era per lui incomprensibilec'era pure per lui un enigma, la cui soluzione metteva orribilmente alla tortura la sua mente. Sentiva che Atte aveva detto la verità e che a Licia egli non era indifferente. E se ciò era vero, perchè preferiva la vita errabonda e la miseria al suo amore, alla sua tenerezza e alla vita in una sontuosa residenza? A questa interrogazione non trovava risposta e solo giungeva a un'idea oscura che tra lui e Licia, tra il mondo a cui apparteneva lui e Petronio e il mondo di Licia e Pomponia, esisteva qualche differenza, qualche malinteso profondo come un abisso che nessuno poteva colmare. Così gli pareva che doveva rinunciare a Licia; a questo pensiero perdeva il resto dell'equilibrio che Petronio voleva conservasse. In certi momenti non sapeva se amava o odiava Licia; riconosceva solo ch'egli doveva trovarla e che avrebbe piuttosto voluto che la terra la inghiottisse, che non vederla e non possederla. Colla potenza dell'imaginazione egli se la vedeva qualche volta dinanzi, come in una luce meridiana. Si rammentava di ogni parola che le aveva detto e di ogni parola che aveva udito da lei. Se la sentiva vicina, sul petto, tra le braccia, e subito dopo un desiderio infinito lo ravvolgeva come in una fiamma. L'amava e la chiamava. Il pensiero di essere amato, ch'ella aderirebbe ai suoi desiderî, lo contorceva dal dolore e gli inondava il cuore di tenerezza. Ma c'erano anche momenti in cui egli diveniva pallido di collera, e si deliziava pensando all'umiliazione e alle torture che avrebbe inflitto a Licia, trovandola. Non solo voleva averla, ma l'avrebbe messa sotto i piedi come l'infima delle schiave. Al tempo stesso sentiva che se gli avessero proposto o di essere schiavo della fanciulla, o di non vederla più mai, egli avrebbe scelto di essere schiavo. Vi erano giorni in cui pensava ai segni che gli avrebbero lasciato sulle membra rosee i colpi di verga; e nello stesso minuto sognava di baciarne i segni; gli venne pure in mente che sarebbe stato felice se avesse potuto ucciderla.

I tormenti dell'animo, gli spasimi dell'incertezza e l'angoscia profonda gli scossero la salute e gli sfiorarono la bellezza. Divenne un padrone crudele e incomprensibile. Schiavi e liberti gli si avvicinavano tremanti. Le punizioni cadevan su loro senza ragionepunizioni spietate e immeritate – e perciò incominciavano ad odiarlo; lui che lo sentiva e ne sentiva l'isolamento, se ne vendicava con maggiore ferocia. Non faceva così con Chilone per paura che egli smettesse le ricerche. Il greco, che lo aveva capito, incominciò a dominarlo e a divenire sempre più esigente. In sulle prime, a ciascuna visita, assicurava Vinicio che tutto sarebbe andato via come un olio e con sollecitudine; ora incominciava a vedere delle difficoltà, e senza cessare, è vero, di garantire l'indubitato successo della ricerca, non nascondeva che la cosa sarebbe andata per le lunghe.

Alla fine, dopo tanti giorni di aspettativa, comparve con una faccia così scombuiata, che il giovine divenne pallido come un cencio di bucato, e andandogli incontro ebbe appena la forza di domandargli:

– Non è ella fra i cristiani?

C'è, signore, rispose Chilone; ma ho trovato fra loro Glauco.

– Di chi mi parli, e chi è Glauco

Pare che tu ti sia dimenticato, signore, del vecchio col quale ho fatto il viaggio da Roma a Napoli e che per difenderlo perdetti due dita – una perdita che m'impedisce di scrivere. Gli aggressori che gli portarono via la moglie e il bimbo lo accoltellarono. Lo lasciarono moribondo in un osteria in Minturno e lo piansi per molto tempo. Ohimè! Mi sono convinto ch'egli è ancor vivo e che appartiene ai cristiani in Roma.

Vinicio, che non capiva la questione, suppose solo che Glauco diveniva un ostacolo alla scoperta di Licia; si rattenne l'ira e disse:

– Se tu l'hai difeso dovrebbe esserti grato e aiutarti.

– Ah! degno tribuno, anche gli dèi non sono sempre riconoscenti; imaginati se possono esserlo sempre gli uomini. Sgraziatamente egli è un vecchio, di mente debole, è intristito dagli anni e dalle disillusioni; per questa ragione non solo egli non mi è grato, ma da quello che ho sentito dai correligionarî, egli mi accusa di avere prestato mano agli aggressori e dice che io sono la causa della sua sventura. Questa è la ricompensa per le mie dita!

Miserabile! Sono certo che è come egli dice, rispose Vinicio.

– Tu allora ne sai più di lui, signore, perchè egli non ne ha che il sospetto: cosa che non gli impedirebbe di incitare i cristiani e vendicarsi di me in un modo crudele. Lo avrebbe già fatto e gli altri lo avrebbero aiutato, se fortunatamente egli non ignorasse il mio nome. Comunque, io lo riconobbi subito e al primo impeto sentii il bisogno di gettarmi sul suo collo. Me lo impedirono la prudenza e l'abitudine di pensare prima di fare un passo. Uscendo dalla casa della preghiera procurai d'informarmi sul suo conto, e coloro che lo conoscevano raccontarono ch'egli era l'uomo ch'era stato tradito dal suo compagno di viaggio. Fu così che venni a sapere le dicerie ch'egli aveva sparse contro di me.

– Che mi può interessare questa tua storia? Narrami che cosa hai veduto nella casa della preghiera.

So che non ti interessa, signore; ma interessa me che ho cara la mia pelle. Dal momento ch'io voglio che mi sopravviva la mia sapienza, rinuncerei piuttosto alla ricompensa che mi hai offerto che alla mia vita per un miserabile lucro; del quale da vero filosofo, posso far senza e vivere per la ricerca della divina saggezza.

Vinicio gli si avvicinò collo sguardo sinistro, e con voce sommessa incominciò a dirgli:

– Chi ti ha detto che la mano di Glauco ti darebbe la morte più prestamente della mia? Non sai tu, cane, che io ti farò seppellire immediatamente nel mio giardino come una carogna?

Chilone, vile come era, guardò Vinicio e in un batter di ciglio capì che con un'altra parola imprudente, sarebbe stato perduto senza remissione.

– La cercherò, signore, e la troverò, gridò egli sollecitamente.

Seguì un momento di silenzio, durante il quale si sentiva l'ansamento di Vinicio e il canto degli schiavi che lavoravano in giardino.

Poco dopo, il greco, veduto che il giovine si era un po' pacificato, riprese a dire:

– La morte mi passò vicino, ma io la guardai colla calma di Socrate. No, signore, non ho detto che rifiuto di cercarla; volevo semplicemente dire che ora a cercarla è di un grande pericolo per me. Una volta tu hai dubitato che ci fosse al mondo un certo Euricio, e benchè tu abbia veduto coi tuoi proprî occhî che il figlio di mio padre non mentisce, tu sospetti che io abbia inventato Glauco. Ah! magari fosse un personaggio di mia invenzione, che potrei andare tra i cristiani senza paura, come andavo prima. Darei volentieri la mia vecchia schiava che ho comperato tre giorni sono per tener da conto la mia vecchiaia ed essere d'aiuto alla mia condizione di mutilato. Glauco non è morto, signore: e s'egli mi vedesse una sola volta, addio a Chilone. E allora chi troverebbe la fanciulla?

Ritacque e si rasciugò le lacrime.

Finchè Glauco vive, ogni ricerca è impossibile, perchè posso imbattermi in lui a ogni momento. Se lo incontrassi non ci sarebbe più scampo per me e con me cesserebbero tutte le mie ricerche.

– A che tendi? Che cosa si può fare? Che cosa vuoi? domandò Vinicio.

Aristotile ci insegna, signore, che le piccole cose non devono essere sagrificate alle grandi, e il re Priamo soleva dire sovente che la vecchiaia è un pesante fardello. Proprio, il peso della vecchiaia e la sfortuna pesano tanto e da tanto tempo sul povero Glauco, che la morte gli sarebbe un sollievo. Perchè, cos'è la morte, secondo Seneca, se non la liberazione?

– Fa il buffone con Petronio, non con me. Dimmi, che cosa vuoi?

– Se la virtù è buffoneria, piaccia agli dèi di conservarmi buffone per tutta la vita. Io voglio, signore, eliminare Glauco perchè, lui vivo, la mia vita e le mie ricerche saranno continuamente in pericolo.

Procurati degli individui che lo bastonino a morte; li pagherò io.

– Ti ruberebbero e si varrebbero del segreto. In Roma vi sono tanti ribaldi quanti sono i granelli di sabbia nell'arena; ma tu non ti puoi imaginare come si facciano pagare quando un uomo onesto ha bisogno della loro ribalderia. No, insigne tribuno! se gli agenti di servizio cogliessero gli assassini sul fatto? Essi direbbero senza dubbio chi li ha prezzolati e tu avresti delle noie. Non si occuperebbero di me perchè io non darei il mio nome. Fai male a non fidarti di me, perchè, malgrado la mia natura mordace, ci tengo alla vita e al compenso che mi hai promesso.

– Che cosa ti occorre?

– Mille sesterzi, perchè ti prego di ricordarti che devo trovare onesti furfanti che non si dileguino una volta che hanno intascato il danaro. Il lavoro fatto bene deve essere ben pagato. Si dovrebbe aggiungere qualche cosa per me, per asciugarmi le lacrime che dovrò versare per la morte di Glauco. Chiamo gli dei in testimonio del bene che gli voglio. Se riceverò oggi mille sesterzi, fra due giorni la sua anima sarà con Plutone; se i morti conservano la memoria e il pensiero, solo allora egli saprà come io l'ho amato. Troverò oggi stesso le persone che mi abbisognano e dirò loro che mi tratterrò cento sesterzi per ogni giorno della vita di Glauco. Ho inoltre una certa idea che mi pare infallibile.

Vinicio gli promise una volta ancora la somma richiesta e gli proibì di parlargli nuovamente di Glauco. Gli domandò che cosa aveva sognato di nuovo, dove era stato tutto quel tempo, che cosa aveva veduto e che cosa aveva scoperto. Chilone non aveva molto da raccontare. Egli era stato in due altre case di preghiera – aveva osservato bene tutte le persone, specialmente le donne – senza vederne una che rassomigliasse a Licia.

I cristiani lo consideravano uno della setta, e dal giorno del riscatto del figlio di Euricio era considerato uno dei seguaci di Cristo. Egli aveva pure saputo da loro che un grande legislatore cristiano, certo Paolo di Tarso, era stato fatto imprigionare in Roma dagli ebrei. Egli era risoluto a farne la conoscenza.

Più di ogni altra cosa era contento che il supremo sacerdote di tutta la setta, il quale era stato discepolo di Cristo e al quale Cristo aveva confidato la supremazia dei cristiani di tutto il mondo, poteva arrivare in Roma da un momento all'altro. Tutti i cristiani desiderano di vederlo e di udirne gli insegnamenti. Si terranno delle grandi riunioni alle quali egli sarà presente. Farà di più. Dal momento che non è difficile nascondersi nella folla vi condurrà anche Vinicio. Allora, indubbiamente, vi troverebbero Licia. Se Glauco venisse eliminato non si correrebbe neppure un grande pericolo. Si vendicano anche i cristiani, ma in generale sono gente pacifica.

Qui Chilone incominciò a raccontare, con un certo stupore, ch'egli non aveva mai notato che i cristiani si abbandonino all’orgia, avvelenino i pozzi e le fontane, fossero i nemici del genere umano, adorassero un asino o mangiassero la carne dei fanciulli. No, egli aveva veduto nulla di tutto questo. Certamente che vi si troverebbe anche tra loro gente che per del danaro sopprimerebbe Glauco; ma la religione cristiana, per quello che era conosciuto, non incitava al delitto, al contrario, ingiungeva di perdonare le offese.

Vinicio, che si ricordava ciò che Pomponia gli aveva detto in casa di Atte, ascoltava le parole di Chilone con piacere. Benchè il suo amore per Licia assumesse a momenti l'apparenza dell'odio, si sentiva consolato udendo che la religione professata da lei e da Pomponia non era delittuosa, immorale. Tuttavia nacque in lui un sentimento indefinibile che fosse appunto la religione di Cristo, a lui ignota e misteriosa, che lo dividesse da Licia; e per questo incominciò a temerla e a odiarla.

 

 


«»

Best viewed with any browser at 800x600 or 768x1024 on Tablet PC
IntraText® (VA2) - Some rights reserved by EuloTech SRL - 1996-2010. Content in this page is licensed under a Creative Commons License