Henryk Sienkiewicz
Quo vadis

CAPITOLO XVIII.

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CAPITOLO XVIII.

 

Petronio a Vinicio,

 

«Si va male, carissime. Si vede chiaro che Venere ti ha disturbata la mente, privato della ragione e della memoria, e della facoltà di pensare a cosa che non sia l'amore. Leggi qualche volta la tua risposta alla mia lettera e vedrai come tu sia diventato indifferente a tutto ciò che non sia Licia, come non ti occupi che di lei, come ritorni sempre a lei e giri intorno a lei a guisa del falcone al disopra della sua preda che aspetta di agguantare. Per Polluce! trovala presto, o quello che in te non ha incenerito il fuoco diverrà quella sfinge egiziana della quale si narra che, invaghitasi della pallida Iside, divenne sorda e insensibile a ogni cosa, e aspetta solo la notte per guardare coi suoi occhî di sasso l'amante adorato.

«Travestiti, va per la città di sera e frequenta le case della preghiera in compagnia del filosofo. Tutto ciò che suscita la speranza e ammazza il tempo è degno di lode. Ma per la mia amicizia, fa una cosa: Ursus, lo schiavo di Licia, è probabilmente un uomo di una forza straordinaria. Prenditi Crotone e andate in giro in tre; sarà più sicuro e più saggio. I cristiani, dal momento che vi appartengono Pomponia e Licia, non sono sicuramente quei furfanti che la gente s'imagina. Ma quando si tratta di una pecorella del loro gregge non scherzano, come hanno dimostrato portandosi via Licia. Sono sicuro che non appena la vedrai, non saprai frenarti e tenterai di portartela via. Come potrai farlo col solo Chilone?

«Con Crotone neanche dieci Ursus basteranno a difendere la fanciulla. Non lasciarti saccheggiare da Chilone, ma non risparmiare denaro per Crotone. Questo è il migliore di tutti i consigli che ti posso dare.

«Qui si è cessato di parlare dell'infante Augusta o di dire ch'essa è stata vittima dell'incantesimo. Poppea la ricorda ancora di tanto in tanto; ma la mente di Cesare e piena di qualcos'altro. Se poi è vero che la divina Augusta è di nuovo incinta, della bimba non resterà più traccia. Siamo stati alcuni giorni a Napoli o piuttosto a Baia. Se tu fossi capace di avere un pensiero qualunque, ti le orecchie della nostra vita, perchè certamente a Roma non si parlerà che di noi. Andammo, direttamente a Baia, dove fummo assaliti subito dai ricordi della madre e dai rimorsi di coscienza.

«Sai tu dove è già giunto Barbadibronzo? A questo: che per lui l'assassinio della madre è un semplice tema di versi e argomento per delle scene tragiche e buffonesche. Prima aveva dei rimorsi solo perchè è vile, ora che è convinto che la terra gli sta sotto i piedi come un tempo e che nessun dio si vendica di lui, finge dei rimorsi solo per commuovere gli altri della fatalità della sua sventura. Qualche volta di notte salta in piedi, grida che le Furie lo inseguono e ci sveglia tutti, guarda intorno, assume la posa di un attore che rappresenta Oreste, e anche la posa di un istrione; declama versi greci e osserva se noi stiamo ammirandolo. Apparentemente lo ammiriamo; e invece di dirgli: Va a letto, buffone! assumiamo anche noi l'aria tragica e proteggiamo il grande artista dalle Furie. Per Castore! Avresti almeno dovuto sentire ch'egli ha fatto la sua comparsa sul palcoscenico di Napoli.

«Dalla città e dai dintorni si è radunata tutta la razzamaglia greca che putiva di sudore e di aglio in tal modo, che mi fece ringraziare gli dèi di non essermi messo in prima fila cogli augustiani. Io ero dietro le scene con Barbadibronzo. Lo crederesti? egli tremava davvero. Mi prese la mano e se la mise sul cuore che gli batteva fortemente; ansava; e al momento di uscire sulla scena impallidiva come una pergamena e la sua fronte si copriva di goccie di sudore. E sì ch'egli sapeva che in ogni fila erano pretoriani armati di mazze per suscitare l'entusiasmo se ci fosse stato bisogno. Ma non ci fu bisogno. Una moltitudine di scimmie dei dintorni di Cartagine non avrebbe potuto urlare come fece tutta questa plebaglia. Ti assicuro che la puzza dell'aglio veniva sulla scena; tuttavia Nerone s'inchinava, si metteva la mano sul cuore, buttava baci alla folla e versava lacrime.

«Rientrò tra noi che lo aspettavamo dietro le quinte, precipitosamente, come un ubriaco, gridando: «Che cosa sono i trionfi di Giulio Cesare in confronto di questo mio trionfo?» La plebaglia continuava a urlare e ad applaudire, sapendo che se lo ingraziava per dei favori, dei doni, dei banchetti, dei biglietti di lotteria e per delle altre rappresentazioni col buffone imperiale. Non mi meravigliavo che lo applaudissero. Perchè uno spettacolo simile non era mai stato veduto prima di quella sera. A ogni momento Barbadibronzo ripeteva: «Vedete che cosa sono i Greci! Vedete che cosa sono i Greci!» Da quella rappresentazione mi è parso che il suo odio per Roma vada aumentando; si inviarono subito corrieri straordinarî a Roma ad annunciare i trionfi, e ci aspettiamo uno di questi giorni i ringraziamenti del Senato. Dopo la prima rappresentazione avvenne un fatto strano. La folla era appena in istrada che cadde il teatro. Tanti, anche tra i Greci, vedono in questo avvenimento la collera degli dèi per la disonorata dignità di Cesare; egli, al contrario, vede in esso la bontà degli dèi per il suo canto e per coloro che l'ascoltano. Si offersero sagrifici in tutti i templi. Per Nerone è un grande incoraggiamento per il viaggio all'Acaia.

«Nondimeno pochi giorni dopo mi disse ch'egli aveva dei dubbî su ciò che poteva dire il popolo di Roma, il quale avrebbe potuto rivoltarsi e per l'affetto che aveva per lui e per paura di vedersi menomata la distribuzione del pane e diminuiti gli spettacoli colla sua assenza prolungata.

«Comunque ce n’andremo a Benevento a goderci le feste ciabattinesche che ci prepara Vatinio e di partiremo per la Grecia, scortati dai divini fratelli di Elena.

«Inquanto a me, ho notato che l'uomo, trovandosi tra i pazzi, impazzisce egli stesso e per di più prova un certo piacere nelle stravaganze pazzesche. La Grecia e il viaggio in un migliaio di navi; una specie di processione trionfale in onore di Bacco tra le ninfe e le baccanti incoronate di mirto, di pampini e di madreselva; vi saranno donne nelle pelli di tigri attaccate alle bighe; fiori, tirsi, ghirlande, grida di evoè! musica, poesia, l'Ellade plaudente.

«Tutto ciò è bello, ma noi accarezziamo progetti più audaci. Vogliamo creare una specie di imperio orientale, un impero di palme, di sole, di poesia e mutare la realtà in un sogno e tramutare la realtà in una vita deliziosa. Vogliamo dimenticare Roma; trasportare il centro del mondo in qualche luogo tra la Grecia, l'Asia e l'Egitto; vivere la vita degli dèi; ignorare ciò che è comune, errare lungo l'arcipelago, nelle galee d'oro sotto l'ombra delle vele di porpora, incarnare in una sola persona Apollo, Osiride e Baal; essere rosei coll'alba, d'oro col sole, d'argento colla luna; dare ordini, cantare, sognare. E vuoi tu credere che io che ho ancora un sesterzio di giudizio e un asse di buonsenso mi lascio trasportare da questa fantasia anche per la ragione semplicissima che se non sono cose possibili, sono almeno grandiose e straordinarie? Coi secoli, un impero favoloso come questo sembrerebbe al genere umano un sogno! Salvo quando Venere assume le forme di una Licia, o anche di una schiava Eunice, o quando l'arte abbellisce la vita, la vita in è vuota e sovente ha la faccia di una scimmia. Barbadibronzo non effettuerà i suoi progetti, anche perchè in questo favoloso regno orientale di poesia non hanno luogo il tradimento, la bassezza e l'assassinio; e in lui colla posa di poeta non v'è che un miserabile istrione, un auriga stupido e un frivolo tiranno. Intanto uccidiamo la gente tutte le volte che in un modo o nell'altro ci dispiace. Il povero Torquato è già fra le ombre: egli si è aperte le vene giorni sono; Lucano e Licinio assumeranno il consolato con terrore; il vecchio Trasea non sfuggirà la morte, perchè egli osa essere onesto. Tigellino non può ancora ingiungermi di segarmi le vene perchè sono ancora necessario non solo come elegantiæ arbiter, ma come uomo di gusto, senza i cui consigli la spedizione all'Acaia potrebbe risolversi in un fiasco. Più di una volta mi viene in mente che presto o tardi dovrò aprirmi le vene. E sai tu quale ne sarà la ragione? Perchè Barbadibronzo non potrà avere la mia coppa che tu hai veduto e ammirata. Dovessi tu essermi vicino al momento della morte, te la regalerei; se mi sarai lontano la manderò in frantumi. Intanto io ho ancora dinanzi a me Benevento dei ciabattini, la Grecia Olimpica e il Fato, il quale addita a ciascuno la strada ignota e impreveduta.

«Sta bene e prenditi Crotone; altrimenti ti strapperanno Licia una seconda volta. Quando Chilone non ti sia più utile, inviamelo dovunque io mi trova. Ne farò forse un secondo Vatinio e fors'anco consoli e senatori tremeranno al suo conspetto, come tremano al conspetto del cavaliere Dratevka. Varrebbe la pena di vivere per vedere un tale spettacolo. Trovata Licia, fammelo sapere, perchè io possa offrire in vostro nome una coppia di cigni e un paio di colombe nel tempio rotondo di Venere di qui. Ho veduto Licia in sogno, seduta sulle tue ginocchia, che domandava i tuoi baci. Provati a fare che il sogno diventi profetico. Che il tuo cielo sia senza nubi; o, se mai dovesse averne, abbiano esse il colore e il profumo delle rose! Sta sano e addio

 

 


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