Henryk Sienkiewicz
Quo vadis

CAPITOLO XIX.

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CAPITOLO XIX.

 

Vinicio aveva appena finito di leggere, che Chilone si spinse pianamente nella biblioteca, senza essere annunciato da alcuno perchè i servi avevano ordine di lasciarlo entrare a ogni ora, di giorno e di notte.

– Che la divina madre del tuo magnanimo antenato, Enea, ti conceda tutti i favori, come il figlio di Maia li ha concessi a me.

– Che cosa vuoi dire? domandò Vinicio, balzando in piedi dinanzi alla tavola alla quale sedeva.

Chilone alzò la testa e disse

Eureka!

Il giovine patrizio si sentì così commosso che per un po' non potè pronunciare una parola.

– L'hai tu veduta? domandò egli alla fine.

– Ho veduto Ursus, signore, e ho parlato con lui.

Sai dove sono nascosti?

– No, signore. Un altro, per vanteria, avrebbe fatto sapere al licio che lo aveva conosciuto; un altro avrebbe cercato di cavargli di bocca dove abita e ne avrebbe ricevuto un tal pugno da divenire indifferente per tutte le cose terrene; o avrebbe fatto nascere nel gigante il sospetto che lo avrebbe indotto a cambiare il quartiere a Licia, magari questa stessa notte. Io ho fatto nulla di tutto questo. Mi basta di sapere che Ursus lavora vicino all'Emporio, per un mugnaio chiamato Demate, lo stesso nome del tuo liberto; ora ogni tuo schiavo può andare al mattino sulle sue tracce e scoprire il luogo del loro nascondiglio. Io ti porto solo l'assicurazione che fino a quando Ursus è qui, la divina Licia è in Roma. La seconda notizia è ch'ella sarà stanotte quasi di certo all'Ostriano.

– All'Ostriano? Dov'è esso? interruppe Vinicio desideroso evidentemente di correre al luogo indicato.

– È un vecchio ipogeo tra le vie Salaria e la via Nomentana. Il pontefice massimo dei cristiani, del quale ti ho parlato e che era aspettato, è venuto e stanotte predicherà e battezzerà in quel cimitero. Tengono nascosta la loro religione perchè quantunque non vi siano editti che la proibiscono, il popolo la vede di mal occhio, Ursus mi ha detto che vi converranno tutti stanotte, perchè tutti desiderano di vedere e di udire il primo discepolo di Cristo, che essi chiamano l'Apostolo. Uomini e donne pregheranno insieme; e delle donne rimarrà assente la sola Pomponia, la quale non potrebbe spiegare ad Aulo, un adoratore degli dèi antichi, l'uscita notturna. Licia, signore, la quale è in custodia di Ursus e dei cristiani anziani, vi andrà indubbiamente colle altre donne.

Vinicio, che aveva vissuto fino a quel momento in uno stato febbrile e che era stato tenuto in piedi solo dalla speranza, ora che tale speranza stava per avverarsi si sentì subito venir meno come un uomo cui il viaggio è stato superiore alle sue forze. Chilone se ne accorse e decise subito di trarne vantaggio.

– Alle porte della città ci sono le guardie e i cristiani devono saperlo. Ma essi non hanno bisogno di passare dalle porte, come non hanno bisogno di passare per il Tevere, e benchè siano lontane le strade dal fiume, vale la pena di fare una strada per vedere il grande Apostolo. Ci sono del resto mille vie per uscire dalle mura e so che le conoscono.

«All'Ostriano tu troverai Licia; e se anche non vi andasse, cosa che non voglio neanche supporre, vi troverai senza dubbio Ursus, il quale mi ha promesso di uccidere Glauco. Lui stesso mi ha detto che vi sarebbe e che lo ucciderebbe. Hai capito, nobile signore? O tu seguirai Ursus e saprai dove abita Licia, o tu ordinerai alla tua gente di agguantarlo come assassino; una volta nelle tue mani gli farai confessare dove l'ha nascosta. Io ho fatto del mio meglio per servirti. Un altro ti avrebbe raccontato di avere bevuto con Ursus dieci fiaschi del miglior vino, prima di essere riuscito a slegargli la lingua; un altro ti avrebbe detto di avere perduto con lui mille sesterzî al giuoco o di averne spesi duemila per corromperlo; so che tu mi avresti reso il doppio, ma ad onta di ciò, per una volta in vita mia, cioè volevo dire come sempre in vita mia, sarò onesto, perchè credo, come dice il magnanimo Petronio, che la tua bontà ecceda tutte le mie speranze e tutte le mie aspettazioni.

Vinicio, soldato e abituato a consigliarsi e ad agire da in qualunque circostanza, si lasciò sopraffare da un istante di debolezza.

– Non ne sarai disilluso; ma prima tu verrai con me all'Ostriano.

– Io, all'Ostriano? domandò Chilone che non aveva il benchè minimo desiderio andarvi. Nobile signore, io ti ho promesso di additarti ove è Licia, non ti ho promesso di rapirla. Pensa, signore, che cosa mi avverrebbe se quell'orso licio, dopo aver fatto in pezzi Glauco, si accorgesse di averlo ucciso ingiustamente. Non mi considererebbe, senza una ragione al mondo, si sa, come l'istigatore dell'assassinio? Ricordati, signore, che tanto più l'uomo è sommo filosofo, quanto più è difficile per lui di rispondere alle sciocche interrogazioni della gente comune. Che cosa potrei rispondergli se mi domandasse il perchè io ho calunniato Glauco? Ma se tu sospetti che io t'inganni, mi pagherai solo quando ti avrò fatto vedere la casa in cui abita Licia; per oggi mostrami solo parte della tua generosità, così che se ti accadesse, signore, gli dèi non vogliano, di soccombere in qualche accidente, io non rimarrò assolutamente senza ricompensa. Il tuo cuore non potrebbe permetterlo.

Vinicio andò a uno scrigno chiamato arca, posto sur un piedestallo di marmo, ne trasse una borsa e la gettò a Chilone.

– Sono scrupoli, diss'egli; quando Licia sarà in casa mia riceverai altrettante monete d'oro.

–  Tu sei Giove! sclamò Chilone.

Vinicio aggrottò le sopracciglia.

– Ti si darà da mangiare, qui, diss'egli, e poi ti potrai riposare. Tu non lascierai questa casa che stasera; caduta la notte, verrai con me all'Ostriano.

Sulla faccia del greco apparvero la paura e l'esitazione; poscia ridivenne calmo e disse:

– Chi ti può disobbedire, o signore? Ricevi queste mie parole come un buon augurio, proprio come il nostro grande eroe riceve le parole nel tempio di Ammone. In quanto a me, questi scrupoli – e qui scosse la borsa – hanno sorpassato i miei, senza contare che la tua compagnia è per me un piacere e una felicità.

Vinicio lo interruppe impazientemente e gli domandò i particolari della sua conversazione con Ursus. Dalla risposta avuta pareva chiaro che l'abitazione di Licia doveva essere scoperta nella notte o che bisognava rapirla lungo la strada, al ritorno dall'Ostriano. A questo pensiero si sentì trasportato da una gioia selvaggia. Sicuro ormai di trovarla, la sua collera per lei e il risentimento dell'offesa svanirono quasi interamente. Per quella gioia le perdonava tutto. Egli non vedeva più in lei che un essere caro e desiderato che tornava da un grande viaggio. Avrebbe voluto chiamare i servi per dar loro l'ordine di adornare la casa di ghirlande. Non aveva più nulla da dire neppure contro Ursus. Egli era pronto a perdonare tutto a tutti. Chilone, per il quale, ad onta dei servigi, aveva sentito fino a questo punto della ripulsione, gli appariva per la prima volta una persona arguta e ammodo. La sua casa ridiveniva gaia. I suoi occhî e il suo volto raggiavano. Egli si sentiva un’altra volta giovine e aspirava di nuovo alla gioia della vita. La cupa sofferenza di prima non gli aveva dato una giusta misura del come amava Licia. Lo capiva adesso che sperava di possederla. Il suo desiderio si risvegliava in lui come la terra scaldata dal sole si risveglia in primavera.

Era un desiderio meno cieco e meno violento di una volta, ma più tenero e più giocondo. Una forza sovrumana lo convinceva che se avesse veduto Licia coi suoi occhî, tutti i cristiani della terra, e Cesare stesso, non avrebbero potuto portargliela via.

Chilone, reso audace dalla contentezza del giovine tribuno, riguadagnò il coraggio di parlare e di dargli dei consigli. A Vinicio, secondo lui, non conveniva considerare la causa come vinta; ma conveniva servirsi di tutta la prudenza, senza della quale il loro lavoro poteva risolversi in nulla. Sopratutto implorava Vinicio di non rapire la fanciulla dall'Ostriano. Si doveva andare laggiù incappucciati, colla faccia nascosta e limitarsi ad osservare la gente da un angolo oscuro del cimitero. Vedendo Licia, bisognava seguirla ad una certa distanza, assicurarsi della casa in cui entrava e all'alba del domani circondarne l'edificio e portarla via in pieno giorno. Dal momento ch'ella era un ostaggio che apparteneva specialmente a Cesare, potevano rapirla senza incappare nella legge. In caso non la trovassero all'Ostriano si doveva tener dietro a Ursus e il risultato sarebbe stato identico. Andare al cimitero con una folla di servitori non era pratico: si sarebbero facilmente tirata addosso l'attenzione; poi ai cristiani bastava spegnere le lanterne, come fecero quando la rapirono, per lasciare tutto al buio e involarsi nei luoghi conosciuti a loro soli. Lui e Vinicio dovevano armarsi e, meglio ancora, prendere con loro una coppia di uomini fidati o forti per difenderli in caso di bisogno.

Vinicio fu perfettamente d'accordo con lui su ciò ch'egli aveva detto e, ricordandosi del consiglio di Petronio, ordinò ai suoi schiavi di fargli venire Crotone. Chilone, il quale conosceva tutti in Roma, provò un sollievo udendo il nome del famoso atleta, la cui forza sovrumana, spiegata nel Circo, lo aveva fatto rimanere a bocca aperta più di una volta; si dichiarò pronto a seguirlo all'Ostriano. Coll'aiuto di Crotone gli pareva anche che la sua borsa piena d'oro fosse più al sicuro.

Chiamato dal capo dell'atrium, si mise a tavola di buon umore. Mangiando, diceva agli schiavi ch'egli aveva trovato per il loro padrone un unguento miracoloso. Il più gramo ronzino strofinato con esso alla zampa, lasciava indietro qualunque corridore. La preparazione dell'unguento gliel'aveva insegnata un cristiano: gli anziani cristiani erano assai più abili negli incantesimi e nei miracoli che i Tessali, benchè la Tessaglia fosse rinomata come il paese della magìa. I cristiani avevano in lui una grande fiducia, accordata facilmente a chiunque sapesse il significato di un pesce. Parlava e fissava gli occhî negli occhî degli schiavi, nella speranza di scoprire tra loro un cristiano e informarne Vinicio. Caduta la speranza, si diede a mangiare e a bere lentamente, senza risparmiare le lodi per il cuoco, e dicendo che avrebbe fatto di tutto per riscattarlo da Vinicio. La sua gioia veniva solo attristata dal pensiero che a notte gli sarebbe toccato andare all'Ostriano. Si consolava però perchè vi sarebbe andato travestito, nell'oscurità, in compagnia di due uomini, uno dei quali così forte che era divenuto l'idolo di Roma; l'altro, un patrizio di alto grado nell'esercito.

– Anche se scoprissero Vinicio, diceva a stesso, non oserebbero mettere le mani su lui. Inquanto a me, saranno bravi se riusciranno solo a vedere la punta del mio naso.

Si ricordò allora della conversazione col lavoratore, e la ricordanza lo riempiva di gioia. Non aveva dubbio alcuno ch'egli fosse Ursus. Sapeva dell'enorme forza di questo lavoratore, dalla descrizione che gli aveva fatto Vinicio e dalle parole di coloro che avevano condotto via Licia dal palazzo di Cesare. Non c'era da meravigliarsi che Euricio, parlandogli di persone di una forza straordinaria, gli avesse additato Ursus. La confusione e l'ira poi del lavoratore all'udire i nomi di Vinicio e di Licia non gli lasciavano dubbio che coteste due persone lo interessavano in modo speciale. Il lavoratore gli aveva pure parlato della sua penitenza per l'uomo ucciso. Ursus aveva ammazzato Atacino. Finalmente la descrizione del gigante rispondeva perfettamente a quella che Vinicio gli aveva fatto del licio. Il solo nome poteva far nascere qualche dubbio, ma Chilone sapeva che i cristiani si mutavano i nomi al fonte battesimale.

– Se Ursus ammazzasse Glauco, diceva a stesso, tanto meglio, ma se non lo ammazzasse sarebbe anch'esso un buon segno, perchè dimostrerebbe come sia difficile per i cristiani uccidere il proprio simile. Descrissi Glauco come un vero figlio di Giuda e un traditore di tutti i cristiani. Sono stato così eloquente che anche una pietra si sarebbe commossa e avrebbe promesso di piombare sulla testa di Glauco. Sono a malapena riuscito a persuadere l'orso licio a mettergli la zampa addosso. Egli esitava, tentennava, parlava del suo castigo e della sua compunzione. È certo che tra loro l'assassinio non è comune. Le proprie offese devono essere perdonate e non vi è troppa libertà di vendicare gli altri. Ergo, fermati! pensa; Chilone, che cosa ti può minacciare? Glauco non è libero di vendicarsi di te. Se Ursus non uccidesse Glauco per l'enorme delitto come quello di tradire tutti i cristiani, tanto meno ucciderà te per la piccola offesa di avere tradito un cristiano. E finalmente, una volta additato all'ardente piccione selvatico il nido della tortorella, mi laverò le mani di ogni cosa, e me ne andrò a Napoli. Anche i cristiani parlano di un certo lavamento di mani; è evidente che questo è il metodo col quale un affare con loro è finito. Che buona gente sono questi cristiani, e come gli uomini parlano male di loro! O Dio! tale è la giustizia di questo mondo. Io amo la loro religione che non permette l'assassinio. E se proibisce di uccidere, probabilmente proibirà di rubare, di ingannare, di fare falsa testimonianza, cose non facili a mettersi in pratica. Insegna, indubbiamente, non solo a morire onestamente, come insegnano gli stoici, ma anche a vivere onestamente. Se avessi dei beni e una casa come questa e tanti schiavi quanto Vinicio, forse diverrei e rimarrei cristiano fino a quando lo troverei conveniente. Perchè un uomo ricco si può permettere ogni cosa, anche di essere virtuoso. Questa è una religione pei ricchi; tuttavia non capisco come vi siano tanti poveri tra i seguaci di Cristo. A che cosa è buona per loro e perchè si lasciano legare le mani dalla virtù? Dovrò pensarci a questo. Intanto gloria a te, Mercurio, che mi hai aiutato a scovare questo orso. Se tu l'hai fatto per le due bianche giovenche dalle corna dorate, allora non ti riconosco più. Vergognati, o uccisore di Argo! un dio intelligente come te, doveva prevedere che non avrebbe preso nulla! Ti offrirò la mia gratitudine; e se tu preferisci invece due bestie, vuol dire che tu stesso sei la terza bestia e in questo caso dovresti essere un pastore e non un dio. Bada a quello che fai, prima che io, come filosofo, non provi al genere umano che tu non esisti; perchè allora si cesserà di portarti sacrifici. È più utile essere in pace coi filosofi.

Parlando così a stesso e a Mercurio, si allungò sul divano, mise il mantello sotto la testa e si addormentò, mentre gli schiavi sparecchiavano la tavola. Si risvegliò o piuttosto lo risvegliarono, solo quando venne Crotone. Andò nell'atrio e contemplò con viva soddisfazione le forme dell'istruttore, dell'ex gladiatore, il quale pareva riempisse di l'ampiezza dello spazio.

Crotone si era già messo d'accordo sul prezzo con Vinicio, col quale stava parlando.

– Per Ercole! è bene signore che tu mi abbia mandato a chiamare oggi, perchè domani dovrò andarmene a Benevento, invitato dal nobile Vatinio a lottare alla presenza di Cesare con un certo Syphax, il più formidabile negro che l'Africa abbia mai prodotto. Imagina, signore, come la sua colonna vertebrale scricchiolerà nelle mie braccia, e come, in aggiunta, fracasserò la sua mascella nera col mio pugno!

– Per Polluce! Sono sicuro, Crotone, che tu lo farai, rispose Vinicio.

– E tu farai benissimo, aggiunse Chilone. Sì, coll'aggiunta della sua mascella fracassata! La tua è una buona idea e l'atto è degno di te. Ungiti però bene le membra d'olio d'olivo oggi, e cingiti bene i fianchi, mio Ercole, perchè sappi che tu potresti incontrare un Caco. L'uomo che custodisce la fanciulla alla quale il degno Vinicio si interessa, ha probabilmente una forza eccezionale.

Chilone diceva solo così per pungere l'ambizione di Crotone.

– Ciò è vero, disse Vinicio. Io non l'ho veduto, ma mi si dice ch'egli può prendere un toro per le corna e trascinarlo dovunque gli piace.

Ohe! sclamò Chilone, il quale non aveva pensato che Ursus fosse così forte.

Crotone sorrise di disprezzo.

– M'impegno, nobile signore, diss'egli, di afferrare con questa mano chiunque mi additerai e con quest'altra di difendermi contro sette lici e portare la fanciulla a casa tua, anche se tutti i cristiani mi inseguissero come lupi calabresi. Se non farò quello che ho detto sarò contento di lasciarmi bastonare in questo impluvio.

– Non glielo permettere, signore, gridò Chilone. Essi ci piglierebbero a sassate e a che cosa varrebbe la sua forza? Non è meglio portar via la fanciulla dalla sua abitazione senza esporti o esporla ai pericoli?

– Questo è vero, Crotone, disse Vinicio.

Ricevo il tuo denaro e farò la volontà tua! Ma ricordati, signore, che domani io vado a Benevento.

– Ho cinquecento schiavi in città, rispose Vinicio.

Fece loro segno di ritirarsi, passò alla biblioteca e sedette a scrivere la seguenti parole a Petronio

«Chilone ha trovato Licia. Vado stasera con lui e Crotone all'Ostriano, e me la porterò via dalla sua casa stanotte o domani. Che gli dèi ti largiscano ogni bene. Sta sano, o carissimo, perchè la gioia non mi permetterà di scriverti altro.»

Deposto lo stile col quale aveva scritto, incominciò a passeggiare a gran passi, perchè, oltre la gioja che inondava la sua anima, egli era febbricitante. Diceva a stesso che domani Licia sarebbe stata in casa sua. Non sapeva come fare con lei, ma sentiva che se avesse voluto amarlo egli sarebbe divenuto il suo schiavo. Si ricordava dell'assicurazione di Atte ch'egli era stato amato, e ciò lo commoveva indicibilmente. Tutta la questione si riduceva dunque a vincere un certo pudore verginale e a farle violare certe cerimonie che la sua religione cristiana le ingiungeva. Se ciò era vero, Licia, una volta in casa sua, si lascierebbe persuadere o cederebbe alla forza. Ella dovrebbe dire a stessa: «è fatto!» E poi diventerebbe graziosa e amabile.

La comparsa di Chilone interruppe i piacevoli pensieri.

Signore, disse il greco, mi è venuto in mente che i cristiani hanno contrassegni o parole d'ordine senza delle quali nessuno è ammesso all'Ostriano. So che è così per le case della preghiera, e io le ricevevo da Euricio. Permettetemi allora che io vada da lui e sappia precisamente il contrassegno d'entrata.

Volentieri, rispose Vinicio, tu parli come un antiveggente e perciò ti lodo. Va dunque da Euricio o dove ti piace; ma come sicurezza del tuo ritorno lascierai qui sul tavolo la borsa che ti ho dato.

Chilone, il quale si separava sempre di malavoglia dal denaro, si contorse; tuttavia ubbidì e se n'andò.

Dalle Carinae al Circo, vicino alla bottega di Euricio, la distanza non era molta, perciò fu di ritorno assai prima di sera.

– Ecco i contrassegni, signore. Senz'essi non saremmo stati ammessi. Mi sono informato bene della strada. Dissi a Euricio che avevo bisogno dei contrassegni solo per i miei amici, perchè io non vi sarei andato per riguardo alla mia vecchiaia e perchè dovevo vedere io stesso domani il grande Apostolo, il quale mi avrebbe riassunto la parte importante del suo sermone.

– Come! tu non vi vuoi andare? Tu lo devi! disse Vinicio.

So che lo devo; ma vi voglio andare bene incappucciato, e consiglio te a fare lo stesso, altrimenti spaventeremo gli uccelli.

Infatti incominciarono a prepararsi, perchè la sera era discesa. Indossarono tabarri col cappuccio e si munirono di lanterne; Vinicio si armò e distribuì ai suoi compagni dei coltelli curvi e brevi; Chilone si mise in testa una parrucca che si era procurata nella bottega del vecchio, e uscirono affrettando il passo per arrivare alla porta Nomentana prima che la chiudessero.

 

 


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