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Alla vista di Licia, ogni goccia di sangue del giovine patrizio ebbe un tremito. Dimenticò la folla, il vecchio, le cose incomprensibili che aveva udito, tutto. Non vi era più che Licia per lui. Alla perfine, dopo tutti i suoi sforzi, dopo tanti giorni di ansie e di strazî, egli l'aveva trovata! Per la prima volta egli esperimentava che la gioia può precipitarsi al cuore come una bestia selvaggia e premerlo fino all'ultimo respiro. Egli, il quale s'era imaginato che alla Fortuna fosse stato imposto l'obbligo di soddisfare tutti i suoi desiderî, stentava ora a credere ai suoi occhî e alla propria felicità. Se non fosse stato per questa sua incredulità, il suo carattere ardente lo avrebbe spinto a qualche passo inconsiderato; ma prima voleva convincersi che ciò che vedeva non era la continuazione dei miracoli dei quali era piena la sua testa, e che non era un sogno. Non vi era dubbio, era lei, e soli pochi passi dividevano l'uno dall'altra. Ella era in piena luce, così ch'egli poteva godere della sua vista quanto più gli piaceva. La caduta del cappuccio le aveva scompigliati i capelli; la sua bocca era leggiermente aperta; i suoi occhî volti verso l'apostolo; la sua faccia estasiata. Indossava un mantello di lana oscura, come una figlia del popolo, ma non mai era apparsa così bella a Vinicio; e malgrado l'agitazione, egli era colpito dalla nobiltà di quella superba testa patrizia che si distingueva in quell'abbigliamento quasi da schiava. L'amore lo invadeva come una fiamma; un amore immenso, misto di meraviglia, di rispetto, di adorazione, di passione. Egli la vedeva e s'imparadisava; e si saziava di lei come a una fonte vivificatrice dopo una sete tormentosa. Vicino al gigante licio gli appariva più piccola di prima, quasi una bambina; s'accorse pure ch'era dimagrata. Il colore della sua faccia era divenuto quasi trasparente; a lui faceva l'impressione di un fiore e di un'anima. Ma più ancora sentiva il bisogno di possedere quella donna così diversa da tutte quelle ch'egli aveva veduto o posseduto in Roma o in Oriente. Era pronto a darle tutte per lei, e a dare con loro Roma e il mondo. Si sarebbe abbandonato a un'eterna contemplazione se non fosse stato per Chilone che lo tirò per il mantello, dubitando che facesse qualche cosa da esporli al pericolo. Intanto i cristiani pregavano e cantavano. Poco dopo il Grande Apostolo, proruppe colle parole: «il Signore viene», e immediatamente egli si mise a battezzare coll'acqua della fontana coloro che i presbiteri gli presentavano come preparati a ricevere la santa abluzione. La notte a Vinicio sembrava interminabile. Ora voleva seguire Licia più presto che poteva e impadronirsene lungo la strada o alla sua casa.
Alla fine alcuni incominciarono a lasciare il cimitero, e Chilone bisbigliò:
– Usciamo, signore, non ci siamo tolti il cappuccio e la gente ci guarda.
Infatti non erano che loro che durante il discorso dell'Apostolo non si erano tirato giù il cappuccio per udire meglio. Il consiglio di Chilone era saggio: stando all'entrata potevano osservare bene tutti quelli che uscivano. Era facile riconoscere Ursus per la sua statura.
– Seguiamoli, disse Chilone, vedremo la casa ove entreranno. Domani, o piuttosto oggi, tu ne circonderai le uscite cogli schiavi e te la prenderai.
– Che cosa desiderî di fare, signore?
– La seguiremo alla casa e la prenderemo ora, se tu sei disposto, Crotone.
– Sono dispostissimo, rispose Crotone, e sono pronto a divenire tuo schiavo se non rompo il dorso a quel bisonte che la custodisce.
Chilone fece di tutto per dissuaderli, supplicandoli in nome degli dèi a non farlo. Crotone era stato preso per la loro difesa in caso di un'aggressione, ma non per rapire la fanciulla. Rapirla quando non erano che in due, era come esporsi alla morte e quel che era peggio lasciarsi sfuggire di mano la fanciulla. Mancato il colpo, ella si sarebbe nascosta altrove o se ne sarebbe andata da Roma. Perchè mettere in pericolo la vita e arrischiare di compromettere l'esito dell'impresa?
Benchè Vinicio si fosse trattenuto dal gettarsi su Licia nello stesso cimitero con degli sforzi supremi, pure sentiva che il greco aveva ragione e ne avrebbe ascoltati i consigli se non fosse stato per Crotone, al quale premeva il compenso promesso.
– Signore, ingiungi a quel vecchio caprone di tacere, diss'egli, o permettimi di lasciar cadere il mio pugno sulla sua testa. Una volta a Buxentum, dove m'aveva condotto Lucio Saturnino, sette gladiatori ubriachi si precipitarono su me in una osteria. Nessuno di loro se la cavò colle costole sane. Non dico di prendere la fanciulla ora che è tra la folla, perchè potrebbero prenderci a sassate, ma quando è in casa allora io l'agguanterò, e te la porterò nel luogo che tu mi avrai indicato.
Vinicio era lieto di udire quelle parole e rispose:
– E così sia, per Ercole! Domani potremmo anche non trovarla a casa; se noi li sorprendessimo porterebbero via indubbiamente la fanciulla.
– Quel licio, disse con voce lamentosa Chilone, è terribilmente forte.
– Nessuno dirà a te di tenerlo per le mani, rispose Crotone.
Dovettero però aspettare assai, e i galli incominciavano a salutare l'alba coi loro canti, quando videro uscire Ursus con Licia. Erano accompagnati da altre persone. Chilone credette di scorgere tra loro il Grande Apostolo. Al suo fianco era un altro vecchio di statura bassissima. Poi venivano due donne non giovani e un ragazzo che illuminava la via colla lanterna. Dopo loro era una folla di circa duecento persone. Camminavan colla folla Vinicio, Chilone e Crotone.
– Sì, mio signore, disse Chilone, la tua fanciulla è sotto una potentissima protezione. Quello è il Grande Apostolo; vedi, la gente lo saluta mettendosi in ginocchio.
Infatti la gente passava piegando il ginocchio, ma Vinicio non faceva attenzione. I suoi occhî tenevano dietro a Licia e non pensava ad altro che a portarsela via; abituato agli strattagemmi della guerra, fece subito, con esattezza militare, il suo piano per impadronirsene. Sapeva che il colpo che stava per fare era audace, ma sapeva anche per esperienza che gli attacchi audaci sono generalmente coronati dal successo.
La via era lunga, perciò di tanto in tanto pensava alla fossa scavata tra lui e Licia da quella religione soprannaturale. Ora capiva tutto ciò che era avvenuto e perchè era avvenuto. Aveva per questo abbastanza penetrazione. Fino adesso egli non l'aveva conosciuta. Egli aveva veduto in lei una maravigliosa fanciulla, più bella di tutte le altre, una fanciulla che lo aveva incendiato; sapeva ora che la sua religione l'aveva fatta differente dalle altre donne e vedeva che la sua speranza di destare in lei la stessa passione e di sedurla colla ricchezza e col lusso, era una vana illusione. Finalmente capiva ciò ch'egli e Petronio non avevano capito, che la nuova religione inoculava nell'anima qualche cosa sconosciuta al mondo in cui egli viveva; e che Licia, anche se lo amasse, non avrebbe mai sagrificato per lui alcuna delle verità cristiane; e che se esistevano per lei dei piaceri, erano piaceri che non rassomigliavano punto a quelli dietro cui correvano lui e Petronio e la Corte di Cesare e tutta Roma. Qualunque donna che conosceva sarebbe divenuta la sua amante: quella cristiana non sarebbe divenuta che la sua vittima.
Questo pensiero lo trasportava e gli dava un dolore cocente perchè egli capiva che la sua collera era impotente. Rapire Licia gli sembrava facile; era quasi sicuro che poteva portarsela via, ma era egualmente sicuro che in vista della sua religione, il suo coraggio era inutile e la sua posizione sociale valeva meno che niente. Quel tribuno militare, convinto che la forza e la spada che avevano conquistato il mondo non gli sarebbero mai venute meno, vide per la prima volta in vita sua che al disopra di quella potenza c'era qualche cos'altro; e si domandò sorpreso che cosa era. Non seppe rispondere: per la sua testa passavano semplicemente le scene del cimitero: la folla riunita, Licia che ascoltava come in un'estasi le parole del vegliardo che narrava la passione, la morte, la resurrezione del Dio uomo che aveva redento il mondo e che aveva promesso la felicità sull'altra riva dello Stige.
Tutto questo gli metteva il caos nella testa. Ma fu scosso da Chilone coi suoi lamenti. Egli aveva accettato di trovare Licia. Egli l'aveva cercata mettendo in pericolo la sua vita e l'aveva trovata. Che cosa si voleva di più? Si era mai offerto di rapirla? Chi può domandare una cosa simile a un povero vecchio cui mancavano due dita, devoto alla meditazione, alla scienza e alla virtù? Che cosa avverrebbe se a un signore della condizione di Vinicio accadesse qualche disgrazia nel portar via la fanciulla? È vero che gli dèi sono obbligati a proteggere i loro eletti; ma queste cose sono avvenute più di una volta, come se gli dèi se ne stessero a giocare invece di vigilare su quello che avviene nel mondo. La Fortuna, com'è noto, è cieca e non ci vede neppure di giorno; che cosa accadrebbe di notte? E se qualche cosa avvenisse, se quell'orso licio scagliasse al nobile Vinicio una pietra di molino o un barile di vino, o, peggio ancora, di acqua, chi assicura che invece della giusta ricompensa non capitasse tutto il biasimo sul disgraziato Chilone? Egli, vero filosofo, si era affezionato al nobile Vinicio come Aristotile ad Alessandro il Macedone. Se il nobile signore gli desse quella borsa d'oro ch'egli s'era cacciato nella cintura prima di uscire di casa, vi sarebbe almeno di che invocare l'aiuto in caso di bisogno e di acquietare i cristiani. Oh, perchè non ascoltare i consigli di un vecchio, consigli dettati dalla prudenza e dalla esperienza?
Vinicio si trasse la borsa dalla cintola e la gettò tra le dita di Chilone.
Il greco, sentendola insolitamente pesante, si fece coraggio.
– La mia sola speranza, diss'egli, è questa: che Ercole o Teseo hanno compiuto atti ancora più ardui; che cos'è il mio amico personale Crotone, se non un Ercole? Non chiamerò te, degno signore, un semidio, perchè tu sei un dio intiero e in avvenire tu non dimenticherai un povero servo fedele ai cui bisogni sarà necessario provvedere di tanto intanto, perchè quand'egli si sprofonda nei libri non pensa più ad altro. Alcuni stadî di giardino ed una casina, sia pure con un piccolissimo portico per prendere il fresco d'estate, sarebbe un dono degno della tua munificenza. Intanto io ammirerò le tue eroiche gesta da lontano, e supplicherò Giove di esserti amico, e se ci sarà bisogno farò un tal baccano da sollevare mezza Roma in tuo aiuto. Che miserabile strada a solchi! Non c'è più olio nella lanterna; e se Crotone, il quale è altrettanto nobile che forte, volesse portarmi alle porte nelle sue braccia, saprebbe, per incominciare, se potrà portare facilmente la fanciulla. Poi agirebbe come Enea, guadagnandosi la benevolenza degli dèi, e assicurerebbe l'esito dell'impresa rendendomi interamente soddisfatto.
– Preferirei portare una pecora morta di scabbia un mese fa, rispose il gladiatore; ma dammi la borsa che ti ha regalato il degno tribuno, e ti porterò alle porte.
– Che tu possa urtare il pollice del piede! disse il greco. Che cosa hai imparato da quel sant'uomo che predicava l'indigenza e la carità come le due virtù più eccelse? Non ti ha egli espressamente ingiunto di amarmi? Vedo che non riuscirò mai a fare di te neppure un cristiano da nulla; sarebbe più facile che il sole passasse attraverso le mura della prigione Mamertina, che la verità penetri nel tuo cranio d'ippopotamo.
– Non aver paura! disse Crotone, il quale dotato della forza della bestia non aveva sentimenti umani. Non sarò mai cristiano! Non voglio perdere il mio pane.
– Ma se tu conoscessi solo i rudimenti della filosofa; sapresti che l'oro è vanità.
– Fatti vicino colla tua filosofia. Con un colpo della mia testa nel tuo stomaco vedremo chi ne uscirà vincitore!
– Un bue avrebbe potuto dire la stessa cosa ad Aristotile, gli rispose seccamente Chilone.
Albeggiava. Una pallida luce lambiva i contorni delle mura cittadine. Gli alberi che costeggiano la strada, gli edifici e le tombe sparse qua e là incominciarono a uscire dall'ombra. La strada andava popolandosi. Gli ortolani si affrettavano verso le porte coi loro asini e coi loro muli carichi di erbaggi.. Da una parte e dall'altra scricchiolavano le ruote dei carri che portavano al mercato la cacciagione. Lungo lo stradone ed ai margini strisciava un bruma chiara che prometteva bel tempo. A una certa distanza le persone parevano apparizioni nella nebbia. Vinicio guardava fissamente alla leggiadra figura di Licia, la quale, colla crescente luce, diveniva sempre più argentea.
– Signore, disse Chilone, ti offenderei se pensassi che la tua generosità può avere dei limiti; ma ora che tu mi hai pagato, non posso essere sospetto di parlare per il mio interesse. Saputa l'abitazione della divina Licia, io ti consiglio una volta ancora di andare a casa a prendere gli schiavi e una lettiga. Non ascoltare quella proboscide di elefante, Crotone, che s'impegna a rapire la fanciulla solo per mungerti la borsa come se fosse un sacco di latte rappreso.
– Ho un pugno da assestare tra le tue spalle che ti manderà all'altro mondo, disse Crotone.
– E io ho un barile di vino di Cefalonia che mi terrà in vita sano, ripiccò Chilone.
Vinicio non rispose; avvicinandosi alle porte egli fu colpito da uno strano spettacolo. Due soldati si inginocchiarono al passaggio dell'Apostolo; Pietro mise le mani sui loro elmetti di ferro e li benedisse col segno della croce. Non era mai passato per la testa del patrizio che vi potessero essere cristiani nell'esercito; e con meraviglia pensava che come l'incendio in una città investe una casa dopo l'altra, così la dottrina cristiana si impadroniva ogni giorno di nuove anime e si estendeva su tutto lo spirito umano. Questo fatto, paragonato a Licia, gli diceva chiaramente che se la fanciulla avesse voluto fuggire dalla città, vi sarebbero state molte guardie volenterose di facilitare la sua fuga. Così rese grazie agli dèi che la cosa non fosse avvenuta.
Giunti ai terreni da costruzione, al di là della cinta, i cristiani incominciarono a disperdersi in varie direzioni. Bisognava dunque seguire Licia un po' più da lontano e con maggiore cautela per non destare sospetti. Chilone riprese a dolersi delle piaghe ai piedi, dei dolori alle gambe e a poco a poco restava indietro. Vinicio non lo incalzava, convinto che il greco, pusillanime e inadatto, non sarebbe stato necessario. Se avesse voluto lo avrebbe anche lasciato andare.
Ma l'onesto saggio, venne trattenuto dalla circospezione e, senza dubbio, dalla curiosità perchè continuava a seguirli, e di tanto in tanto a raggiungerli, per ripeter loro i suoi consigli. Adocchiando, gli pareva che il vecchio che accompagnava l'apostolo poteva anche essere Glauco, se non fosse stato per la sua bassa statura.
Camminarono un gran pezzo prima di arrivare in Trastevere e il sole era quasi all'orizzonte quando si sciolse il gruppo che circondava Licia. L'Apostolo, una vecchia ed il ragazzo si avviarono lungo il fiume, il vecchio di bassa statura, Ursus e Licia infilarono un angusto vicolo e, dopo duecento metri circa, entrarono in una casa con due botteghe, una di olive, l'altra di pollame.
Chilone, a cento passi da Vinicio e da Crotone, si fermò di botto, addossandosi al muro e fischiando per farli tornare indietro.
Se ne ritornarono perchè avevano bisogno di consigliarsi.
– Va, Chilone, disse Vinicio, e guarda se la casa ha una seconda uscita dall'altra via.
Chilone, quantunque si fosse doluto dei suoi piedi ammaccati, se ne andò come se avesse avuto le ali di Mercurio ai malleoli e in un batter d'occhio fu di ritorno.
– No, diss'egli, non vi è che un'entrata. Poi congiungendo le mani, disse:
– Ti scongiuro, signore, ti scongiuro in nome di Giove, di Apollo, di Vesta, di Cibele, di Iside, di Osiride, di Mitra Baal e di tutti gli dèi dell'Oriente e dell'Occidente a non farlo. Ascolta...
Smise immediatamente di parlare, vedendo che Vinicio impallidiva dalla collera e che i suoi occhî scintillavano come quelli d'un lupo. Bastava guardarlo per capire che nulla al mondo lo avrebbe rattenuto dal mettere in esecuzione il suo progetto. Crotone incominciò ad aspirare l'aria nel suo petto erculeo e a menare il suo cranio informe da una parte e dall'altra come gli orsi in gabbia, senza che sulla sua faccia apparisse neppur l'ombra della paura.
– Tu mi seguirai, rispose Vinicio con voce di comando.
Un momento dopo scomparvero nell'entrata buia.
Chilone in un balzo fu sull'angolo del vicolo a spiare che cosa stava per avvenire.