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Cesare, ritornando a Roma, era stizzito perchè era ritornato, e dopo pochi giorni era di nuovo pieno di desiderio di visitare l'Acaia. Egli promulgò anche un editto nel quale dichiarava che la sua assenza sarebbe stata breve e che non avrebbe danneggiato i pubblici affari. Cogli augustiani, tra i quali era Vinicio, andò in Campidoglio a sacrificare agli dèi perchè gli concedessero un felice viaggio.
Ma il giorno dopo, quando visitò il tempio di Vesta, accadde un fatto che mutò tutti i suoi progetti. Nerone temeva gli dèi, sebbene non credesse in loro; temeva specialmente la misteriosa Vesta che lo riempì di tale paura, che alla vista della divinità e del sacro fuoco i capelli gli si drizzarono subito dallo spavento, i denti batterono sui denti, un brivido gli corse per le ossa, ed egli si lasciò cadere nelle braccia di Vinicio che si trovava dietro a lui. Fu subito condotto fuori del tempio e trasportato al Palatino, dove presto si rimise; ma per quel giorno non lasciò il letto. Dichiarò inoltre, con grande meraviglia dei presenti, che differiva il suo viaggio, poichè la dea lo aveva segretamente ammonito contro la fretta. Un'ora dopo fu annunziato per tutta Roma che Cesare, scorgendo i volti mesti dei cittadini, e mosso dall'affetto verso di loro, pari a quello di un padre pei proprî figli, sarebbe rimasto a dividere la loro sorte e i loro piaceri. Il popolo rallegrato da questa determinazione, ed anche sicuro che non sarebbero mancati i giuochi e una distribuzione di frumento, si affollò dinanzi alle porte del Palatino, e acclamò il divino Cesare, il quale interruppe la partita ai dadi che stava facendo per sollazzo cogli augustiani, e disse:
– Sì, bisognava differire il viaggio. L'Egitto e il dominio che mi si predisse sopra l'Oriente non possono sfuggirmi; quindi l'Acaia pure non sarà perduta. Io darò ordine di tagliare l'istmo di Corinto; voglio inalzare in Egitto tale monumento che le piramidi al confronto debbon sembrar balocchi da fanciulli; voglio far costruire una sfinge, grande sette volte più di quella che sta contemplando il deserto, fuori di Memfi; ma ordinerò che abbia il mio volto. Le età venture parleranno soltanto di questo monumento e di me.
– Coi tuoi versi hai già inalzato a te stesso un monumento, non sette, ma tre volte sette maggiore della piramide di Cheope, disse Petronio.
– Ma col mio canto? chiese Nerone.
– Ah, se gli uomini potessero soltanto erigerti una statua simile a quella di Memnone, che cantasse colla tua voce alla levata del sole! Per tutte le età future, i mari che bagnano l'Egitto brulicherebbero di navi nelle quali crocchî di gente delle tre parti dei mondo sarebbero perduti nell'ascoltare il tuo canto.
– Ahimè, chi può far questo? disse Nerone.
– Ma tu puoi dar ordine di scolpire nel basalto te stesso mentre guidi una quadriga.
– È vero, voglio farlo!
– Tu farai un dono all'umanità,
– In Egitto sposerò la Luna, che ora è vedova, e sarò realmente un dio.
– E darai a noi delle stelle per mogli; vogliamo formare una nuova costellazione che sarà detta la costellazione di Nerone. Ma fa di sposare Vitellio col Nilo, perchè egli possa generare degli ippopotami. Dà il deserto a Tigellino, ei sarà re degli sciacalli.
– E che cosa destini fin d'ora a me? chiese Vatinio.
– Che Api ti benedica! Tu preparasti così splendidi giuochi a Benevento, che non posso desiderarti male. Fa un paio di stivali per la sfinge, le cui zampe debbono intorpidirsi durante le rugiade notturne; poi farai sandali per i coloni che fiancheggiano i viali dinanzi ai templi. Ognuno troverà qui un'occupazione adatta. Domizio Afro, per esempio, sarà tesoriere, imperocchè è noto per la sua onestà. Sono lieto, Cesare, quando stai sognando dell'Egitto, e sono afflitto perchè hai differito il tuo viaggio.
– I tuoi occhî mortali nulla videro, perchè la dea resta invisibile a chiunque essa vuole, disse Nerone. Sappi che mentre io ero nel tempio di Vesta, essa mi stava vicino e mi susurrava all'orecchio: «Differisci il viaggio.» Ciò accadde così inaspettatamente che ne rimasi terrorizzato, sebbene io debba essere grato agli dèi per tanta sollecitudine.
– Fummo tutti spaventati, disse Tigellino, e la vestale Rubria svenne.
– Rubria! disse Nerone, che collo di neve ha ella!
– Ma arrossì alla vista del divino Cesare.
– È vero. L'osservai io stesso. Ciò è meraviglioso. Vi è qualche cosa di divino in ogni vestale, e Rubria è bellissima.
Dopo un momento di meditazione, egli soggiunse:
– Ditemi, perchè la gente teme più Vesta degli altri dèi? Che significa ciò? Sebbene io sia il primo sacerdote, oggi fui preso dalla paura. Ricordo solo che caddi all'indietro e che sarei andato in terra se qualcuno non m'avesse sorretto. Chi fu?
– Oh, tu severo Marte! Perchè non fosti a Benevento? Mi dissero che eri malato e invero il tuo volto è cambiato. Ma udii che Crotone voleva ucciderti! È vero?
– Sì, e mi ruppe il braccio; ma io mi difesi.
– Un certo barbaro m'aiutò; egli era più forte di Crotone.
– Più forte di Crotone? Scherzi? Crotone era il più forte degli uomini, ma ora qui è Syphax di Etiopia.
– Io ti racconto, Cesare, ciò che vidi coi miei occhî.
– Dove è questa perla? Non è divenuto re di Nemi?
– Non so dirti, Cesare. L'ho perso di vista.
– Non sai neanche di che popolo ei sia?
– Avevo un braccio rotto e non potei informarmi di lui.
– Me ne occuperò io stesso, disse Tigellino.
Ma Nerone disse ancora a Vinicio:
– Ti ringrazio per avermi sorretto; avrei potuto rompermi la testa cadendo. Una volta tu eri un buon compagno, ma il guerreggiare e il servizio con Corbulone ti hanno reso in qualche modo selvaggio, ti vedo di rado.
– Come sta quella ragazza troppo stretta di anche, della quale eri innamorato e che io presi da Aulo per te?
Vinicio era confuso, ma Petronio gli venne in aiuto in quel momento:
– Io voglio scommettere, signore, ei disse, che egli se n'è dimenticato. Vedi la sua confusione? Domandagli quante ne ha avute da allora, e non ti assicuro che possa risponderti. I Vinicii son buoni soldati, ma anche dei galli da combattimento. Essi abbisognano di tutto un branco. Puniscilo, signore, non invitandolo alla festa che Tigellino promise di preparare in onor tuo sullo stagno di Agrippa.
– Io non lo farò. Confido, o Tigellino, che colà non mancheranno stuoli di bellezze.
– Potrebbero mancare le grazie, là dove è presente Amore? rispose Tigellino.
– La noia mi tormenta, disse Nerone. Sono rimasto in Roma per volontà della dea, ma non posso soffrire la città. Voglio andare ad Anzio. Resto soffocato in queste strade strette, tra queste case cadenti, fra queste viuzze. L'aria mefitica giunge anche alla mia casa e ai miei giardini. Oh, se un terremoto distruggesse Roma, se qualche dio irato la radesse al suolo! Io mostrerei come andrebbe costrutta una città che è la prima del mondo e la mia capitale.
– Cesare, rispose Tigellino, tu dici: Se qualche dio irato distruggesse la città, non è vero?
– È così ebbene?
– Ma tu non sei un dio?
Nerone ritirò la mano con un'espressione di noia, e disse:
– Vedremo l'opera tua sullo stagno d'Agrippa. Dopo andrò ad Anzio. Siete tutti piccini; perciò non intendete che mi occorrono cose immense.
Poi chiuse gli occhî per far capire che aveva bisogno di riposo. Infatti gli augustiani cominciavano ad andar via. Petronio uscì con Vinicio e gli disse:
– Sei invitato, dunque, a partecipare al divertimento. Barbadibronzo ha rinunziato al viaggio, ma sarà più pazzo che mai; si è fissato nelle città come in casa propria. Prova anche tu a trovare in queste pazzie divertimento ed oblìo. Bene! abbiamo conquistato il mondo e abbiamo diritto di divertirci. Tu, Marco, sei un bellissimo ragazzo ed ascrivo in parte a ciò la mia debolezza per te. Per Diana Efesia! Se tu potessi vedere le tue ciglia congiunte e il tuo volto nel quale è evidente il sangue degli antichi quiriti. Vicino a te gli altri sembrano liberti. Davvero se non era per quella pazza religione, Licia, oggi, sarebbe in casa tua. Tenta, ancora una volta, dimostrarmi ch'essi non son nemici della vita e dell'umanità. Hanno agito bene con te, perciò devi esser loro grato; ma al tuo posto detesterei quella religione e cercherei il piacere dovunque potessi trovarlo. Tu sei un grazioso giovane, ripeto, e Roma è piena di donne divorziate.
– Mi meraviglia solo che tutto ciò non tedii te pure.
– E chi ti dice che così non sia? Mi tedia da un pezzo, ma non ho l'età tua. Inoltre ho altre inclinazioni che a te mancano. Amo i libri e tu non hai amore per essi; amo la poesia, che ti annoia; mi piacciono il vasellame, le gemme, un monte di cose, a cui tu non badi; ho un dolore ai lombi che tu non hai; e finalmente ho trovato Eunice, e tu non hai trovato niente di simile. Per me è piacevole la mia casa tra i capolavori; di te non potrò mai fare un uomo dal gusto estetico. So che nella vita non troverò mai niente oltre quello che ho trovato; nemmeno tu stesso non sai ciò che ora continuamente speri e cerchi. Se la morte ti cogliesse, con tutto il tuo coraggio e la tua tristezza, tu morresti stupefatto che fosse necessario lasciare il mondo; ma io accetterei la morte come una necessità, colla convinzione che non v'è frutto nel mondo ch'io non abbia assaggiato. Non ho fretta, nè farò piano; solo cercherò di essere allegro fino in fondo. Vi sono scettici allegri in questo mondo. Per me gli stoici sono pazzi; ma almeno lo stoicismo tempra gli uomini, mentre i cristiani portano nel mondo la tristezza che è come la pioggia nella natura. Sai tu ciò che ho saputo? Che durante i festeggiamenti che Tigellino preparerà allo stagno d'Agrippa vi saranno lupanari e in essi donne delle prime famiglie di Roma. Non ve ne sarà nemmeno una abbastanza bella per consolarti? Vi saranno pure ragazze che per la prima volta vengono in società, come ninfe. Così è il nostro impero romano. L'aria è già mite; la brezza di mezzogiorno riscalderà l'acqua e non porterà pustole sui corpi nudi. E tu, Narciso, sappi questo, che non una ti rifiuterà, non una, fosse anche una vergine vestale.
Vinicio cominciò a fregarsi la testa colla palma della mano, come un uomo eternamente occupato di un solo pensiero.
– Dovrei aver la fortuna di trovare quella che cerco.
– E di chi è la colpa, se non dei cristiani? Ma della gente il cui vessillo è una croce non può essere altrimenti. Ascoltami la Grecia era bella e creò la sapienza; noi creammo la potenza; e che cosa, secondo te, può creare questa dottrina? Se lo sai, spiegalo; giacchè, per Polluce! io non so indovinarlo.
– Tu hai paura, pare, che io divenga cristiano, disse Vinicio scuotendosi le spalle.
– Ho paura che tu ti sciupa la vita da te stesso. Se non puoi essere greco, sii romano; possiedi e godi. Le nostre pazzie hanno un certo senso perchè in esse è una specie di pensiero nostro. Io disprezzo Barbadibronzo, perchè è un buffone greco. Se si tenesse egli stesso per romano, dovrei riconoscere che aveva ragione di permettersi tutte le pazzie. Promettimi che se trovi qualche cristiano, ritornando a casa, gli mostrerai la lingua. Se fosse Glauco, il medico, non se ne meraviglierebbe. Arrivederci allo stagno d'Agrippa.