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DAL 1821 AL 1858 DAL 1850 AL 1858 La Crimea. | «» |
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La Crimea.
Comechè gli effetti della rivoluzione europea del 1848 siano stati in gran parte distrutti nel 1849 e nel 1851, rimasero nondimeno in vita quattro popolari conquiste, le quali avevano una considerevole importanza in sè medesime, ed eran gravide di più larghe conseguenze future: il suffragio universale in Francia, l'abolizione della schiavitù assoluta nelle colonie francesi, la soppressione della servitù della gleba nell'impero Austro-Ungarico, e la costituzione in Piemonte.
La costituzione della Repubblica Francese era stata violata colla spedizione di Roma. Luigi Napoleone Bonaparte, presidente della Repubblica, aveva promosso quell'iniqua intrapresa per rendersi amico il clero, e spianarsi la via all'impero. Nel giorno 2 dicembre 1851, non solo egli violò, ma distrusse la costituzione da lui giurata, col suo colpo di Stato, di trista fama. Fece arrestare nella notte, i capi del partito popolare ed un gran numero di deputati. Nel mattino un suo decreto affisso ai muri dichiarava sciolta l'Assemblea, e convocati i comizii per istabilire una nuova costituzione.
Una parte della popolazione di Parigi insorse nel giorno 4 di dicembre per difendere la libertà e la legge, ma fu schiacciata. È dovere dello storico il riferire le verità importanti, anche dove a lui o ad altri dispiacciano. Ora l'usurpazione consumata da Luigi Napoleone è un fatto ben doloroso per gli amici delle istituzioni liberali; ma un altro fatto più doloroso ancora, ed umiliante, è questo: che un plebiscito di sette milioni e mezzo di suffragi, nei giorni 20 e 21 dicembre, a grande maggioranza assolse indirettamente il delitto dell'usurpatore, conferendogli direttamente la presidenza per dieci anni, ed il potere costituente. La nuova costituzione, da lui a suo beneplacito formulata, fa promulgata il 14 di gennajo 1852. In seguito ad un nuovo plebiscito il dittatore assunse nel giorno 2 dicembre 1852, il nome ed il titolo di Napoleone III imperatore dei Francesi.
Fu un delitto il colpo di Stato di Napoleone I nel 18 di Brumale, un altro delitto il colpo di stato di Napoleone III nel 2 dicembre 1851. Un delitto non ne legittima un altro. L'inviolabilità assoluta della persona umana è un principio sacro e generale, limitato soltanto dal principio della legittima difesa. Perciò sono delitti di sempre crescente gravità: il duello, ossia il suicidio giuocato a sorte, il suicidio propriamente detto; l'assassinio privato; il regicidio, ossia l'assassinio di un pubblico magistrato; l'insurrezione ingiusta o non necessaria, e la guerra aggressiva. Quanto è lecito e lodevole il combattere per la Libertà e per la Patria in una guerra giusta e difensiva, od ancora in una insurrezione veramente necessaria, altrettanto stimo illecite e biasimevoli le congiure e gli attentati contro la vita di un uomo qualunque egli siasi, principe o privato, in tempo di pace.
Nell'epoca antica l'uccisione dei tiranni era conforme ai principii di legislazione che allora erano in vigore; e perciò era lecita, e qualche volta, benchè non sempre, riuscì utile. Nell'epoca moderna gli attentati, riusciti o non riusciti, contro la vita dei principi, buoni o cattivi, hanno sempre sortito un effetto dannoso alla causa della libertà. Riferisco nondimeno per memoria le date di tre attentati contro Napoleone III: quello dell'Ippodromo nel 1853, quello di Pianori nel 1855, e quello di Orsini il 14 di gennajo 1858. Se l'attentato di Felice Orsini avesse avuto effetto, è palese che Napoleone III non avrebbe intrapresa la spedizione del 1859. Orsini, prima di salir al patibolo, diresse una nobile preghiera a Napoleone di liberar l'Italia. Però l'idea della liberazione d'Italia era fissa nella sua mente sino dalla sua gioventù, non solo per un qualche amore ch'egli aveva per l'Italia, ma per l'odio anche maggiore da lui nutrito contro l'Austria. Quell'odio era a lui ispirato da ragioni politiche generali, e dalle rimembranze domestiche del ripudio dato alla sua avola materna Giuseppina. Onde apparecchiare dalla lontana l'alleanza fra la Francia e l'Italia contro l'Austria, Napoleone III offerse al Piemonte una propizia occasione di guadagnarsi un onore non molto dispendioso nella guerra di Crimea.
Sotto il pretesto d'una gara di monaci per la custodia del santo sepolcro a Gerusalemme, ma in realtà per la speranza d'impadronirsi di Costantinopoli, Nicolò imperatore di Russia dichiarò la guerra contro la Porta Ottomana. Temendo che la preponderanza Russa divenisse pericolosa per l'Europa, qual ella sarebbe divenuta col possesso del Bosforo, la Francia e l'Inghilterra strinsero alleanza, fra loro e colla Turchia, contro la Russia. Le flotte delle tre potenze alleate si riunirono nel giorno 8 di settembre 1854. Addì 14 settembre i tre eserciti alleati sbarcarono nell'antica Tauride, ossia in Crimea, e vinsero contro i Russi la battaglia dell'Alma nel giorno 20 settembre nostro, ossia 8 settembre giuliano, o russo. Ho la noja di dover darne una ai miei lettori contemporanei, notando un pajo delle solite coincidenze cronologiche, che saranno, io spero, meglio intese ed apprezzate da coloro che verran poi: il giorno della battaglia dell'Alma fu l'anniversario di quello della battaglia di Maratona secondo lo stile giuliano, seguito dalla parte soccombente, cioè dai Russi; e l'anniversario della battaglia di Salamina secondo il calendario della parte vincitrice, vale a dire dei Francesi e degl'Inglesi. Nicolò imperatore di Russia rappresentava allora in qualche guisa nel mondo moderno l'antica parte di Dario e di Serse, essendo egli il possente protettore dei minori despoti dell'Europa. Se la vittoria avesse arriso allo Czar, l'Italia non sarebbe ora libera.
La battaglia dell'Alma fu principalmente una pugna terrestre, ma partecipò ancora al carattere di conflitto navale per la circostanza che la flotta degli alleati bombardava i Russi, schierati sulla riva del fiumicello Alma, e quindi in una linea perpendicolare al lido, cioè in modo da poter essere infilati e gravemente danneggiati dai projettili dell'armata navale. Partecipò dell'indole d'una battaglia marittima anche per le conseguenze che ebbe tre giorni dopo. Perocchè nel giorno 23 settembre 1854, i Russi per ostruire il porto di Sebastopoli affondarono le loro proprie navi da guerra. Ecco un risultato di guerra al quale possono applaudir di cuore anche gli amici della pace perpetua: la distruzione dei mezzi di distruzione. Altro tedio ai miei contemporanei: il giorno 23 settembre 1854 presentò una coincidenza cronologica la quale non si verifica che una volta in un periodo di più di diecimila anni: fu il giorno dell'equinozio di autunno, e perciò ancora il principio dell'anno repubblicano francese, ed insiememente il principio dell'anno Maomettano e Turco, e dell'anno civile Ebraico.
La grande contesa continuò e finì, quasi come in campo chiuso, all'estremità meridionale della penisola di Crimea, sotto la città di Sebastopoli. Per tacito accordo si facevano dipendere dall'espugnazione di quella città le sorti della guerra, come quelle del giuoco degli scacchi dalla presa del re. I Russi ricevevano frequenti rinforzi per via di terra, attraverso all'angusto istmo di Perekop; gli alleati ne ricevevano per via di mare. Uno dei più considerevoli loro rinforzi fu quello ad essi mandato dall'Italiano Piemonte, entrato nell'alleanza nel 1855. Francesi, Inglesi e Turchi vinsero contro i Russi la battaglia di Inkermann nel giorno 5 di novembre 1854; Francesi, Inglesi, Turchi e Piemontesi insieme vinsero la battaglia di Traktir, o della Cernaja, nel giorno 16 agosto 1855.
I Piemontesi erano comandati da Alfonso Lamarmora. Lode speciale si guadagnarono nella battaglia della Cernaja i bersaglieri Piemontesi, respingendo i Russi con un fuoco vivissimo ben mantenuto. L'istituzione, e la disciplina dei veloci ed arditi bersaglieri Piemontesi, che allora formavano un sol corpo unito, persino il loro uniforme colla succinta tunica e colle pittoresche piume, sono cose dovute principalmente ad Alessandro Lamarmora, il quale morì in quella stessa campagna.
Tuttavia pel valore dei soldati Russi, e per l'abilità del loro generale del genio Todtleben, Sebastopoli prolungò la sua resistenza quasi per un anno, cioè dal giorno 23 settembre 1854 sino all'8 settembre 1855. In questo giorno, l'esercito degli alleati, comandato dal maresciallo francese Pellissier, prese d'assalto il forte di Malakoff, indi tutta la città. Così ebbe termine quella specie di gigantesca e sanguinosa partita a scacchi. Sebastopoli fu smantellata dai vincitori, ma poi riconsegnata ai Russi nel trattato di pace che presto ne seguì. La Russia vi incorse gravi perdite d'uomini, di danari e di prestigio. Gli alleati non ne trassero alcun vantaggio materiale, ma soltanto qualche onore. Il maggior vantaggio morale venne al più piccolo dei quattro alleati, cioè al Piemonte; perchè la parte onorevole e fortunata da esso sostenuta nella guerra di Crimea rialzò grandemente lo spirito nazionale in tutte le parti dell'Italia.
L'Italia era ancora divisa, come già in altro capitolo si disse, in molti piccoli stati, tutti governati dispoticamente, e soggetti alla straniera protezione Austriaca, eccettuato il regno costituzionale subalpino. Eran vive però in tutte le regioni italiane le aspirazioni verso la libertà, e più forte ancora era l'abborrimento del giogo straniero. Il sentimento nazionale dei moderni Italiani è principal merito nei nostri poeti. Nelle Georgiche Virgilio cantò con versi d'insuperabile bellezza e maestà le lodi dell'Italia, feconda altrice di biade, santa madre d'eroi; nel suo maggior poema, l'Eneide, egli pose a tenzone gli abitanti dell'Italia meridionale, dal Tevere allo stretto Siculo, condotti da Turno, contro quelli dell'Italia settentrionale, dal Tevere sino alle Alpi, capitanati da Enea: ma fece predire per bocca di Giunone, poi confermare per decreto di Giove, che, terminata la guerra, le due grandi divisioni italiche stringerebbero fra loro un'eterna alleanza, e formerebbero una sola gente. Dante Alighieri nella Divina Commedia flagellò l'ignavia degl'Italiani suoi contemporanei; e nel libro della Monarchia espose il lusinghiero concetto della restaurazione d'una supremazia Italica. Francesco Petrarca cantò
il bel Paese
Che Appennin parte, e il mar circonda e l'Alpe,
e confortò gl'Italiani, Latin sangue gentile, a sgombrar da sè le dannose some della signoria straniera. Dietro le traccie di quei tre grandi, altri minori, e più recenti, come Pietro Bembo, Giovanni Guidiccioni, Vincenzo Filicaja, Vittorio Alfieri, Giovanni Berchet, Giacomo Leopardi, Alessandro Manzoni, Giuseppe Giusti, s'infervorarono a risvegliare coi lor versi la gran dormiente.
Altrettanto fecero colle lor prose Francesco Guerrazzi, Massimo d'Azeglio, Cesare Balbo, Vincenzo Gioberti; e più che altri Giuseppe Mazzini. Quest'ultimo eccitò lo spirito nazionale in una maniera più efficace ancora che cogli scritti, cioè scendendo nel campo dell'azione colle congiure, e con moltiplicati tentativi d'insurrezione, sempre abortiti in quanto all'effetto immediato, ma produttori di durevoli conseguenze per la compassione ed ammirazione tributata ai martiri politici. La moltitudine si avvezzava a riflettere che non poteva non esser cosa buona l'indipendenza nazionale se per amor d'essa tante anime nobili affrontavano il patibolo. Finalmente il sogno dei poeti cominciò ad incarnarsi nei fatti; e potentemente vi contribuirono la politica abilità di Camillo Benso di Cavour; il carattere leale e cavalleresco di Vittorio Emanuele; il valore e le epiche gesta di Garibaldi; le buone disposizioni a favor dell'Italia nella mente di un antico carbonaro divenuto imperatore dei Francesi; infine una misteriosa ed affievolita ma non ancora spenta eredità dell'indole Romana nel moderno popolo Italiano.
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