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A TUTTO IL 1869
Indubitatamente la guerra è una delle più odiose ed orribili calamità. Nondimeno, come non havvi quasi alcun bene il quale non tragga con sè o dietro di sè qualche male, così per compenso non evvi alcun male che non sia accompagnato o seguito da un qualche bene. Anzi è mia ferma persuasione che nell'universale ordine delle cose la somma dei beni supera di gran lunga la somma dei mali. Persino le sanguinose rivoluzioni, e le ancor più sanguinose guerre, da me in sì gran numero descritte o ricordate in questa Sintesi Istorica, ebbero per lo più delle durevoli conseguenze largamente restauratrici dei temporanei danni da esse cagionati.
È uffizio ben più consolante per lo storico, ma sfortunatamente più raro, il registrare gli avvenimenti che furono benefici, non pure nelle loro conseguenze, ma eziandio nei mezzi stessi coi quali si produssero. Tali sono per intero, od almeno in gran parte, le conquiste della Scienza, della Poesia, delle Arti e dell'Industria, delle quali già più volte, benchè molto brevemente, ci siamo intrattenuti. Godo ora di dover fare menzione onorevole di una delle più splendide vittorie ottenute sulla bruta materia dall'industria umana. All'epoca stessa delle guerre poc'anzi da me narrate, fu intrapresa la costruzione del gran canale marittimo di Suez.
L'importanza d'una comunicazione diretta fra il mare Mediterraneo ed il mar Rosso, attraverso all'istmo che divide l'Asia dall'Africa, è tanto grande, che fu conosciuta sino dai più antichi tempi. Credesi infatti che il primo ad eseguirla sia stato il più celebre fra i re dell'Egitto, Ramses il grande, ossia Sesostri; e che egli abbia fatto servire per la comunicazione fra i due mari il braccio Pelusiaco del Nilo, ed un canale appositamente scavato, che scendeva dal Nilo sino all'antica Arsinoe, ora Suez.
Ma siccome il canale fu più volte ostruito dai venti colle arene del deserto, così ebbero ad aprirlo e riaprirlo in epoche successive, Necao, penultimo re indigeno dell'Egitto, poi i re di Persia, poscia il re greco-egizio Tolomeo Filadelfo, indi gl'imperatori romani Trajano ed Adriano; ed infine i Califfi.
Si erano quasi interamente perdute le traccie dell'antico canale, allorchè nel 1854 il francese Ferdinando Lesseps concepì l'ardito disegno di aprirne uno, tutto di acqua marina, ed acconcio al passaggio delle grandi navi moderne. Il canale è stato eseguito da ingegneri francesi e da operai europei ed egiziani, con una lunghezza totale, compresa la traversata dei laghi intermedii, di centosessanta chilometri, da Suez, che è situato sul mar Rosso, sino a Porto Said sul Mediterraneo. La larghezza alla superficie dell'acqua è di settantacinque metri; la profondità da otto a dieci metri. Questa specie di fiume di acqua salsa, che lentamente scorre dal mar Rosso al Mediterraneo, alquanto più basso, è parallelamente accompagnato da un canale di più ristretta sezione, il quale corre in senso opposto dal Nilo al mar Rosso. La solenne inaugurazione fu fatta il 20 novembre 1860. Il canale di Suez abbrevia di circa la metà il viaggio degli europei alle Indie, alla China, al Giappone ed all'Australia, risparmiando il lungo giro attorno al capo di Buona Speranza.
Questa è giustamente vantata come una delle più grandi e più utili opere moderne; dunque il fatto storico ed innegabile, che da più di tremila anni in qua era già stato compiuto lo stesso lavoro, sia pur anche in un modo che parrebbe oggi a noi meno perfetto del nostro, ma che era più acconcio agl'interessi degli antichi egiziani, è una evidente prova che l'orgoglio moderno è ignorante ed ingiusto nel considerare l'antica civiltà come di molto inferiore alla nostra.
Tutte le nazioni europee traggono largo vantaggio commerciale dal canale di Suez, ma più di tutte l'Inghilterra, benchè Palmerston, uno dei suoi più celebri uomini di Stato, per non breve tempo abbia chiamato una chimera lo schema di Lesseps, eppoi gli abbia fatto una seria ed ostinata, benchè fortunatamente frustranea, opposizione diplomatica. Ne profitta ancor l'Italia; ma potrebbe e dovrebbe approfittarne assai di più, attesa la sua posizione in mezzo al mare Mediterraneo, che fu ed è ancora chiamato dagli Arabi Bar-Rum, cioè mare di Roma, in memoria dell'epoca nella quale Roma era la padrona del Mediterraneo e di tutto il mondo civile.
Presentemente gli Italiani non hanno più la pretesa che Roma sia la capitale del mondo, ma vogliono che sia la capitale d'Italia. Perciò, se era di alta importanza per l'Italia la liberazione di Venezia dal dominio austriaco, era di un'eguale od ancor maggiore importanza la liberazione di Roma dal dominio politico del papa. Nel 1867 fu fatto in Roma un tentativo di rivoluzione, ma fu soffocato nel sangue. Ne fu vittima anche una donna generosa, Giuditta Tavani. Sperando un miglior successo dall'attaccar Roma al di fuori, alcune migliaja di volontarii italiani invasero da tre parti il territorio Romano. Una colonna, capitanata da Nicotera venendo da Napoli, andò ad occupare prima Frosinone, poi Velletri. Un'altra sotto Acerbi, venendo dalla Toscana, occupò Viterbo. Una terza, più numerosa delle altre due, sotto Menotti Garibaldi, entrando nello Stato Romano dalla parte di Rieti, battè una colonna pontificia a Monte Libretti, e di là andò ad occupare Monte Maggiore.
Ivi venne il generale Garibaldi a prenderne il comando. Alla mezzanotte che diede principio al giorno 25 ottobre 1867, ci mettemmo in marcia attraverso all'ondulata campagna Romana, condotti da due guide tenute sotto il braccio, una da me e l'altra da Nuvolari, perchè non ci fuggissero. Subito dietro a me ed a Nuvolari venivano a cavallo il generale Garibaldi, i suoi due figli Menotti e Ricciotti, il suo genero Stefano Canzio; il venerando patriota Nicola Fabrizi; Alberto Mario, ed altri pochi a cavallo; poi a piedi varii battaglioni di volontari, condotti da Stallo, da Frigyesi, da Salomone, da Valzania, da Vincenzo Caldesi e da altri valorosi.
All'alba si giunse sotto Monterotondo distante da Roma ventotto chilometri. Questo paese, cinto di terrapieni, e con un palazzo castello, o rocca, di proprietà del principe di Piombino, era allora occupato da una legione francese detta di Antibo, al servizio del papa, e formata di soldati presi dall'esercito francese.
Il generale Garibaldi, fatto a cavallo un giro d'attorno al paese, ed osservate col suo sguardo di aquila le posizioni, per quanto lo permetteva la crescente luce crepuscolare, distribuì gli ordini ai varii corpi, perchè circondassero la terra, ed egli intanto occupò il sobborgo, senza che trovassimo alcuna resistenza.
I Francesi distribuiti sopra tutto il terrapieno che forma il contorno del paese, e dalle finestre o feritoje della rocca, tiravano contro di noi con ottimi fucili e con artiglieria, facendo poche perdite, riparati come erano dagli spaldi. Noi tiravamo contro di essi coll'unica nostra arma di cattivi fucili.
Cadevano per conseguenza in maggior numero i nostri che i pontificii. Poca speranza eravi di prender d'assalto la posizione, molto meno per fame, giacchè il cibo mancava a noi e non agli assediati. I meno buoni fra i volontari partivano, disperando della riuscita, ed anche per la cattiva ragione che l'impresa, ove fosse coronata di buon esito, profitterebbe alla Monarchia. Non pensavano cotesti sbagliati repubblicani che la liberazione di Roma, più che ai re gioverebbe all'Italia ed al progresso della civiltà.
Verso sera Garibaldi mi disse: Filopanti, fatemi delle barricate mobili. — Farò quel che posso, generale, io risposi. Ma nulla vi era a proposito; non un legno, non uno strumento, non un chiodo. Eravi però una grande biroccia. La feci condurre ad una vicina cascina, e caricare di fascine, quante mai ve ne potevano stare. Stretto il combustibile colla corda, tirato il veicolo sino al sobborgo, introdottovi dello zolfo trovato presso un bottegajo, e postovi fuoco, insegnai a pochi volontari di spingerla avanti a loro, correndo e facendosi scudo alla meglio col mucchio di fascine sulla biroccia contro le schioppettate dei francesi, sino a che le avessero poste in contatto colla porta. Allora si ritirassero di corsa nel sobborgo.
Tutto ciò fu eseguito bene e senza perdita, essendo già notte. L'incendio delle fascine si comunicò alla porta. Essa abbruciava lentamente, ma verso la mezzanotte cadde. Allora tutti i volontarii entrarono in fretta, passando sulle bragie. Entrò pure il generale a piedi, sorreggendosi col suo bastone. I francesi eransi ritirati nel Castello.
Restava a prendersi il castello stesso, ossia palazzo di Piombino. Tiravamo contro di esso delle fucilate senza frutto. Garibaldi mi diede ordine di minare il castello. Mentre io studiava il modo di eludere la grave difficoltà della quasi totale mancanza di polvere, alcuni volontari, penetrati nelle scuderie del principe di Piombino, diedero fuoco alla paglia. Il fumo spaventò le donne che abitavano nel castello, e fra esse la moglie del governatore pontificio. Le loro grida ed il timore dell'incendio del castello, indussero il colonnello comandante la legione d'Antibo ad arrendersi. Allora il generale Garibaldi mi diede un ordine più gradevole e che fu facilmente eseguito: spegnete l'incendio, poichè ora il castello è nostro. Gli Antiboini furono mandati inermi nel territorio del regno, dove il governo italiano li mise in libertà.
La presa di Monterotondo non fu un gran fatto, ma è il principale e quasi unico buon successo di quella campagna. Di là, recando con noi il piccolo ma importante trofeo di due cannoni che avevamo catturati, ci avanzammo a Castel Giubileo, luogo dell'antica Fidene. Si voleva passare l'Aniene, ma i papalini avevano rotto il ponte e ci mancava qualsivoglia materiale ed istrumento per ristabilire il passaggio. Garibaldi perciò si accinse a girar l'ostacolo, marciando a sinistra per congiungersi a Pianciani che era a Tivoli, e mandò me in traccia di Nicotera, che non si sapeva dove fosse; ma lo trovai a Velletri e gli comunicai l'ordine di venire ad unirsi colla sua colonna al centro. Io stava per portare un simile ordine ad Acerbi a Viterbo, ma, avendo saputo lo sbarco dei francesi a Civitavecchia, mandai per me a Viterbo il capitano Friscianti, e corsi in Romagna per cercarvi dei rinforzi. Intanto avvenne la funesta, non però per noi ingloriosa battaglia di Mentana, nel giorno 3 novembre, fra i garibaldini da una parte, i pontificii e francesi dall'altra. Dapprima la battaglia inclinava a favore dei nostri, ma infine fummo vinti. Non piccolo fu il numero degli uccisi e dei prigionieri. Gli altri con Garibaldi si ritirarono a Passo Corese sul territorio del regno. L'impresa, materialmente fallita il 3 novembre 1867, attese e maturò il suo riuscimento, che avvenne ai 20 di settembre 1870.
L'anno 1867 fu notabile ancora per la magnifica esposizione mondiale d'arti e d'industria tenuta a Parigi. La prima esposizione mondiale del medesimo genere erasi tenuta a Londra nel 1851, entro un palazzo lungo 1848 piedi inglesi, con pareti e tetto di cristallo e membrature di ferro.
Come nell'Esposizione inglese del 1851, il continente, cioè il palazzo di Cristallo, era più ammirabile che ciascuna delle belle cose contenute, così nella bellissima Esposizione francese del 1867, era singolarmente felice e splendido il concetto del palazzo principale. Consisteva in un vastissimo recinto di forma ellittica, con amplissimo cortile nel mezzo. L'immenso edificio era distinto in zone concentriche ed in settori. Percorrendolo nel senso del raggio, si ammiravano i varii prodotti di un medesimo paese: per esempio il settore maggiore, naturalmente era il francese; poi l'inglese, e via dicendo: invece percorrendo le zone concentriche si osservavano dei prodotti tutti di una medesima categoria, ma appartenenti a diverse nazioni. Per cagion d'esempio la corsia più grande, e più alta, come al solito delle esposizioni, era la corsia delle grandi macchine, le francesi dapprima, poi le britanniche, e via dicendo.
Nell'anno 1868 avvenne una rivoluzione in Ispagna. I generali Prim e Serrano e l'ammiraglio Topete, si pronunciarono avversi alla regina Isabella II. Nella battaglia d'Alcolea, il 28 luglio 1868, i rivoluzionarii comandati da Serrano vinsero i soldati della regina. L'indomani 29 luglio anniversario della rivoluzione francese del 1830, vi fu la rivoluzione a Madrid. Ecco la regina Isabella in fuga, ed ecco gli spagnuoli, come le rane di Esopo, in cerca d'un re. Non fu interamente il caso della favola per la Spagna, cioè non trovarono un re paragonabile ad un travicello nè ad un serpente, ma ne vennero indirettamente altre funeste conseguenze, cioè un disastro per la Francia.
Dapprima la corona di Spagna fu offerta al giovine principe Tomaso di Savoja, che la ricusò; poi ad un giovine principe di Hoenzollern, il quale pure la ricusò. Il re di Prussia suo parente lodò il rifiuto, ma ragionevolmente respinse la pretesa della Francia, la quale voleva che la Prussia guarentisse l'irrevocabilità del rifiuto. Ciò fornì a Napoleone III il pretesto di una dichiarazione di guerra contro la Prussia, di cui diremo nel prossimo capitolo. Le Cortes nominarono a re di Spagna Amedeo di Savoja, figlio del re d'Italia. Dopo meno di tre anni di leale regno costituzionale, Amedeo onoratamente si ritirò nel 1873, portando in braccio la buona e dotta regina sua moglie.
In seguito a questa abdicazione, fu proclamata la Repubblica spagnuola, e ne fu presidente l'eminente oratore Emilio Castelar. Forse i due più eloquenti oratori viventi sono Emilio Castellar e Guglielmo Gladstone. Caduta la Repubblica spagnuola per un pronunciamento di generali monarchici, fu chiamato al trono Alfonso XII, figlio della fuggitiva regina Isabella, ma dopo un breve ed insignificante regno egli morì, lasciando per suo successore nominale il figlio fanciullo.