IntraText Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText | Cerca |
I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio
Concilio Vaticano. Guerra Franco-Germanica.
Comune di Parigi.
L'esagerata idea del vantaggio di aver degli amici sul trono di Spagna è stata quattro volte fatale alla Francia sotto Luigi XIV, sotto Napoleone I, sotto Luigi Filippo, e sotto Napoleone III. L'errore commesso da Napoleone III nel muover guerra alla Prussia, riescì funesto alla Francia, ma ebbe delle fortunate conseguenze per l'Italia. E così pure furono altrettante fortune per l'Italia gli errori di Pio IX. Se Pio IX, pur chiarendosi nemico qual egli si era della libertà italiana, avesse saputo tenersi amici gli altri popoli cattolici, bramosi della libertà, ma desiderosi altresì di non separarsi dall'antica fede, il pericolo dell'Italia avrebbe potuto esser grave. Per nostra fortuna Pio IX si alienò tutti i popoli col suo Sillabo del 1864, che condanna i principii di libertà; ed indignò governi popoli insieme, colla dichiarazione della sua propria infallibilità nel 1870. E questa dichiarazione diviene tanto più pericolosa ed odiosa, in quanto che si pretende essere ella indipendente dalla proclamazione del concilio ed anteriore ad esso; di guisa che, ammessa come dogma l'infallibilità pontificia, diverrebbe un dogma ancora il sillabo o qualsivoglia altra cosa iniqua od assurda che possa essere stata pronunciata solennemente da Pio IX e da' suoi predecessori.
La prima solenne proclamazione della sua infallibilità per parte di Pio IX, con susseguente acquiescenza della maggioranza del Concilio Vaticano, ebbe luogo il 13 luglio 1870. Votarono in contrario i prelati più dotti e più virtuosi; ma cinque giorni dopo piegarono il capo essi pure, in una nuova e più solenne votazione, la quale riuscì quasi unanime, il giorno 18 luglio 1870, cioè 1248 anni dopo l'Egira di Maometto, la quale avvenne, come a suo luogo dissi, il 18 luglio 622. La proclamazione fu accompagnata dal sinistro bagliore e fragore dei fulmini di un terribile temporale.
Sobbarcando gl'interessi della religione a quelli del regno mondano, stavano per dichiarare articolo di fede anche la necessità del potere temporale del papa; ma il concilio fu provvidenzialmente interrotto e disperso da un tuono più terribile e più serio del tuono elettrico che aveva rumoreggiato sul Vaticano; cioè dall'annunzio della guerra scoppiata fra la Germania e la Francia. Quella guerra produsse l'immediata distruzione della monarchia politica pontificia, della quale si voleva empiamente fare un dogma.
Indicai il pretesto della guerra franco-germanica, cioè la guarentigia per la successione spagnuola, ed anche il vero motivo, cioè le antiche rivalità nazionali circa il possesso della riva sinistra del Reno. Per avere la probabilità di ottenere il favore della fortuna, bisogna non deridere la fortuna, nè bestemmiare la Provvidenza, come scioccamente fanno oggi i Francesi, ma far poco a fidanza con loro e tenere gli occhi ben aperti. Moltke non ebbe una cieca fede nella sorte, ma seguì sapientemente, energicamente, indefessamente il sistema di Federico II e di Napoleone I. Per lo contrario Napoleone III e Mac-Mahon, per fiacchezza di mente e di cuore, seguirono la tattica di Soubise, di Beaulieu e di Colli. Avevano un mezzo milione di soldati, ma li portarono sul terreno della battaglia a spizzichi, o li dispersero sopra una lunghissima linea. Moltke ne aveva altrettanti, ma seppe tenerli abbastanza uniti, soldati prussiani, bavaresi, sassoni, e quelli di tutte le altre parti della Germania, eccettuati quelli dell'Austria, la quale rimase neutrale.
Così i tedeschi poterono successivamente battere i francesi in tutti gli scontri, col seguente ordine cronologico:
Sconfitta e morte del generale Douay alla battaglia di Wissembourg, il 4 agosto 1870;
Disfatta del maresciallo Mac-Mahon nella battaglia di Woerth, il 6 agosto;
Disfatta del maresciallo Bazaine nella battaglia di Rézonville, il 18 agosto;
Disfatta dell'imperatore Napoleone III nella battaglia di Sédan, nel primo giorno di settembre;
Capitolazione di Strasburgo, il 27 settembre;
Capitolazione di Metz, il 25 ottobre;
Capitolazione di Parigi, il 26 febbraio 1871.
I soldati tedeschi erano valorosi, i soldati francesi lo erano altrettanto; ma mentre il numero complessivo dei soldati francesi disponibili dal confine Svizzero sino al confine del Belgio era incirca eguale a quello dei tedeschi, avvenne che sul ristretto campo di ciascuna battaglia i francesi, per l'imperizia dei loro generali, non superata che da quella dei generali italiani nel 1866, trovavansi sempre inferiori di numero; non di rado in ragione di uno contro due; e così toccò ad essi la peggio in tutti gli scontri.
La battaglia di Sédan, come ho già detto, avvenne il primo giorno di settembre 1870. Quello fu il giorno anniversario della battaglia di Maratona, avvenuta 2349 anni indietro. Napoleone III si rese prigioniero e consegnò la sua spada al re di Prussia nel seguente giorno 2 settembre, anniversario non semplice ma secolare della battaglia di Azio, la quale diè principio all'impero di Augusto ed al governo degli imperatori, 1900 anni precisi avanti quel giorno. Inoltre l'anno della battaglia di Sédan fu un anno secolare della grande battaglia di Arbela, che distrusse l'impero Persiano, assai più grande ancora di quelli dei due Napoleoni. Tutto l'esercito francese a Sédan fu pure fatto prigioniero e trasportato in Germania.
I principali personaggi della guerra del 1870-1871, da parte francese, furono tutti sfortunati, ad eccezione di Garibaldi. Dalla parte tedesca il primo fu Moltke, fortunato e sapiente strategico di poco inferiore, benchè d'indole grandemente diversa, a Napoleone I e piuttosto simile a Wellington. Era presente il re di Prussia, poscia imperatore, Guglielmo I, e suo figlio, che per troppo breve tempo fu imperatore dopo di lui, Federico III: il costui figlio Guglielmo II, era ancora fanciullo; ed il loro potente ministro Bismark.
Nel giorno 4 di settembre 1870, ossia 18 Fructidor dell'anno 78, secondo il calendario repubblicano, Parigi era in fermento per le infauste ed umilianti notizie di Sédan. AdolfeThiers, storico illustre della rivoluzione francese e di Napoleone I, già primo ministro di Luigi Filippo, e futuro presidente della terza Repubblica francese, propose al Corpo Legislativo uno dei soliti cataplasmi politici, buoni da far perdere il tempo, di una commissione pel governo e per la difesa del paese. Una moltitudine popolare entrata nell'aula dell'Assemblea domandò coi clamori la decadenza della dinastia imperiale, e la proclamazione della Repubblica. La sinistra dichiarò Napoleone III decaduto dal trono. Poteva sottintendersi la proclamazione del suo figlio minorenne come imperatore, con una reggenza; ma Leone Gambetta andò al palazzo municipale e fece francamente proclamare la Repubblica. Questa rivoluzione ebbe almeno l'incontrastabil merito di compiersi senza lo spargimento di una stilla di sangue.
Fu nominata una suprema commissione di governo della Repubblica, col nome di governo della difesa nazionale. Uno de' suoi membri era Leone Gambetta. Dopo pochi giorni i tedeschi assediarono Parigi e ne compirono d'ogn'intorno il blocco. Gambetta, conoscendo l'impossibilità di dirigere il governo e la difesa della nazione dal seno d'una città assediata, ottenuto l'assenso de' suoi colleghi della commissione suprema, uscì arditamente da Parigi, sospeso da un pallone aereostatico, e lasciatosi cadere all'avventura, poichè non esiste ancora la direzione degli aerostati, andò a stabilirsi a Tours, poscia a Bordeaux, ed impresse un nuovo e valido impulso alle disanimate ma non esauste forze della Francia.
Da Tours, il 24 settembre, la delegazione, presieduta da Gambetta, del governo della difesa nazionale, annunziò in un proclama che la Francia era risoluta a continuare la lotta contro la Prussia sino all'ultima estremità. Infatti la resistenza, che non fu coronata dalla vittoria ma che era necessaria per l'onore della Francia, durò per quattro altri mesi ancora.
Non essendo allora possibile nè conforme agli interessi dell'Italia un'alleanza regolare di essa colla Francia, Garibaldi, alla testa di poche migliaja di volontari italiani, portò alla Repubblica Francese un ajuto, piccolo per verità ed insufficiente, ma onorevole. La delegazione di Tours gli affidò anche il comando di tutte le truppe francesi irregolari, e se ne fece, insieme cogli ausiliarii italiani, un esercito che fu chiamato l'armata dei Vogesi.
Esso componevasi della parte italiana, che vestiva la pittoresca e tradizionale camicia rossa, e della parte francese, che era la maggiore. La parte francese era composta dei così detti soldati mobili, i quali erano chiamati col nome diminutivo e quasi derisorio, les moblots, e dei volontari bersaglieri, chiamati dal popolo con simpatia les francs-tireurs: minori di numero, ma superiori per abilità e per valore ai mobili.
Altri eserciti furono improvvisati, dopo la cattura del principale e regolare esercito a Sédan. Ma sventuratamente mancò un concetto direttivo dopo Sédan come prima. I soldati fecero ancora buone prove di valore; i comandanti, cioè Garibaldi nei Vogesi, Aurelles de Palàdine, Cissey, Bourbaki, Faidherbe, nelle armate della Loira, del Centro, del Nord e dell'Est, Trochu in Parigi, avrebbero tutti voluto liberare la Francia, ma non seppero mai unire i loro sforzi e farli convergere alla levata del blocco di Parigi, o ad alcun altro grande scopo concreto e determinato.
Non ho voluto unire a quei nomi onorati quello disonorato di Bazaine, il quale, per favorire il Bonapartismo, se non un suo infame interesse personale, cedette la forte città di Metz prima dell'inevitabile necessità. Certo è però che i generali repubblicani, dopo qualche buon successo insufficiente, furon tutti battuti uno dopo l'altro, eccettuato però Garibaldi. Il quale per verità mai non ottenne in Francia una di quelle grandi vittorie che decidono le sorti d'una guerra, ma uscì sempre con vantaggio ed onore da' suoi scontri colle armi tedesche a Châtillon, ad Autun, a Baune, e segnatamente a Digione. Il combattimento di Baune avvenne il 26 novembre 1870; quello di Digione nei due giorni successivi 22 e 23 gennajo 1871.
L'indomani di quel giorno egli potè dirigere a' suoi soldati, in un bullettino, queste enfatiche ma veraci parole: «Ebbene! voi li avete riveduti i talloni dei terribili soldati di Guglielmo, o giovani figli della Libertà. In due giorni di accanito combattimento avete scritto una pagina che onora la Repubblica; avete vinto le più agguerrite truppe del Mondo...»
Così egli avrebbe terminato se la sola rettorica avesse guidato la sua penna; ma egli mirava non a conchiudere dei periodi sonori, ma a dir cose vere ed utili; perciò aggiunse dalle parole tutt'altro che declamatorie: benchè non abbiate esattamente adempiuto a tutte quelle regole che danno il vantaggio delle battaglie;... e continuò col fare ai suoi soldati varie raccomandazioni pratiche piene di senno.
Nella battaglia di Digione fu pressochè distrutto il sessantunesimo reggimento prussiano, il quale anche lasciò sotto un mucchio di cadaveri, e perciò onoratamente, la propria bandiera. Fu presa da un franco tiratore francese della brigata Menotti Garibaldi; e fu l'unica insegna perduta dall'esercito tedesco in tutta quella guerra.
Però Manteuffel comandante la prima armata prussiana, si vantò d'avere appositamente messa a repentaglio una parte delle sue forze onde tenere in iscacco Garibaldi per tre giorni consecutivi, impedirgli la congiunzione con Bourbaki, e battere separatamente questo ultimo. Bourbaki di fatto fu battuto, mentre inconsultamente si allontanava dal centro per l'illusorio scopo di tagliare le comunicazioni dei prussiani colla Germania meridionale. Non volendo sopravvivere alla sua sconfitta, Bourbaki si tirò un colpo di pistola nella testa. Non ne riportò che una grave ferita, della quale guarì solo dopo qualche mese; ma tanto crebbe il disordine de' suoi soldati, che assiderati dal freddo e domati dalla sventura, passarono il vicino confine e si ripararono, deponendo le armi, nella neutrale ed ospitale Svizzera.
L'assedio di Parigi, cominciato il 19 settembre 1870 durò quattro mesi ed una settimana. La resistenza fu altamente onorevole pel valore e pel patriotismo degli abitanti della grande città, ma ebbe il solito e fatale esito di quasi tutti gli assedii, cioè una resa; la quale fu stipulata colla convenzione di Versailles il 28 gennajo 1871.
L'8 febbrajo 1871, ebbero luogo le elezioni generali. L'Assemblea nazionale che ne risultò, nominò Thiers capo del potere esecutivo della Repubblica francese, e nel primo giorno di marzo 1871 votò i preliminari di pace, il pagamento di cinque mila milioni di franchi alla Germania, e, condizione ancor più dolorosa per la Francia, la cessione di tutta l'Alsazia, e di una parte della Lorena, compresa la città di Metz.
Il 18 marzo 1871 fu il principio d'un'infausta guerra civica, chiamata brevemente la Comune, per la doppia ragione che aveva una manifesta tendenza a contrapporre il governo locale della Comune di Parigi al governo nazionale, risiedente dapprima a Bordeaux, poi a Versailles, ed una tendenza più generale e più vaga ad una confederazione fra tutti i municipii non solo della Francia ma di tutto il mondo. Le truppe del governo che combattevano contro gl'insorti, erano comandate dal maresciallo Mac-Mahon, tornato per la pace dalla sua prigionia in Germania; quelle della Comune erano comandate dal generale italiano La Cecilia. Insurrezioni simili a quella di Parigi scoppiarono a Lione, a Marsiglia ed in altre città della Francia. Il combattere terminò colla vittoria delle truppe del governo nazionale, il 29 aprile, ma i più fanatici o più perversi fra gl'insorti, per disperazione o per vendetta, diedero in preda al fuoco il palazzo delle Tuileries, il palazzo di città ed altri pubblici edifizii. Cattivo e falso socialismo l'incendio. Il popolo ha bisogno di nuove abitazioni, non di distruggere le vecchie. I comunisti uccisero ben anche gli ostaggi, e fra essi l'arcivescovo di Parigi. Nessuno ha diritto di prendere in ostaggio i non volenti. Di quell'eccidio han colpa i comunardi, ma egualmente o più ancora il governo centrale di Versailles, il quale ricusò l'offerto cambio dei prigionieri. Le truppe vincitrici commisero delle vendette e delle carnificine più abbominevoli ancora che gli eccessi degl'insorti.
Terminerò la lugubre storia della Comune con un aneddoto bello e consolante. Io dapprima dubitai che potesse essere stato inventato da alcuna delle effemeridi che ne parlarono, ma mi è stato confermato da una persona autorevole, allora presente in Parigi. Un monello parigino (un gamin de Paris), camminava in uno dei molti drappelli d'insorti che si conducevano ad essere fucilati. Passando davanti ad una bottega di orologiajo, il ragazzo domandò ad uno degli uffiziali che lo scortavano al macello il permesso di portar il suo oriuolo all'orologiaio per mandarlo a sua madre, con promessa di tornar subito. L'uffiziale stimò che fosse un pretesto, ma per compassione finse di credergli in parola e lo lasciò andare. Dopo pochi minuti, il monello, preferendo alla vita l'onore di mantenere la sua parola, raggiunse correndo i compagni. L'uffiziale dissimulò la propria ammirazione e commozione mandandolo via bruscamente con un calcio.