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Dal precedente specchio è agevole il raccogliere che il numero complessivo di voti favorevoli all'unione delle provincie italiane sommando insieme tutti nove i plebisciti, oltrepassò quattro milioni, mentre tutti insieme i voti avversi all'unione nazionale e favorevoli ai governi caduti, oltrepassò appena le trenta migliaja, o circa il sette per mille, quindi fu meno dell'uno per cento del total numero di voti espressi. Insomma più del 99 per 100 si chiarirono amici dell'unione Italiana e della Libertà.
Tra tutti i governi caduti, quel di Toscana, benchè battuto ancor esso a grande maggioranza, pure ottenne il 39 per mille, o quasi il quattro per cento dei voti; e questo fa più del quintuplo dei voti proporzionalmente raccolti dagli altri governi cessati. Ed è agevole lo spiegarne la ragione: il governo dei granduchi Lorenesi in Toscana, quantunque non buono, era il meno tristo dei governi italiani. Quello che ne ebbe in minor proporzione di tutti gli altri fu il regno Lombardo-Veneto; non già chè l'amministrazione austriaca fosse pessima; anzi era meno cattiva che quella dei governi italiani indigeni prima del 1848; ma perchè era un governo straniero.
Concorsero al plebiscito Lombardo nel 1848 le sette provincie di Milano, Pavia, Como, Sondrio, Cremona, Bergamo e Brescia, soggette all'Austria prima del 22 marzo 1848 e che tornarono nella sua soggezione dall'agosto 1848 al giugno 1859; ma non si credette necessario rinnovare il plebiscito nel 1860, ritenendosi tuttora valido quello del 1848. Scrivo in lettere distinte il nome della città che era capitale di Stato, o principale città della rispettiva regione.
Ai plebisciti del marzo 1860 concorsero le sette provincie toscane di Firenze, Siena, Arezzo, Grosseto, Livorno, Pisa e Lucca, già soggette al Granduca di Toscana; le Romagne, ossia le quattro antiche legazioni Pontificie di Bologna, Ferrara, Ravenna e Forlì; l'ex-ducato di Modena, composto delle tre attuali provincie di Modena, Reggio dell'Emilia e Massa Carrara; e l'ex-ducato di Parma, composto delle due attuali provincie di Parma, e di Piacenza.
Al plebiscito dell'ottobre 1860, di qua dal Faro, concorsero le quindici provincie Napoletane di terraferma, cioè Napoli, Caserta, o Terra di lavoro; Salerno o Principato citeriore; Avellino, o Principato ulteriore; Campobasso, detto ancora Terra di Molise, e più anticamente il Sannio; Chieti, o Abbruzzo citeriore; Teramo od Abbruzzo ulteriore primo; Aquila od Abbruzzo ulteriore secondo; Foggia, o Capitanata; Potenza o Basilicata; Bari, o Terra di Bari; Lecce, o Terra d'Otranto; Cosenza, o Calabria citeriore; Reggio, o Calabria ulteriore prima; e Catanzaro, o Calabria ulteriore seconda. Malgrado la poco acconcia nomenclatura, l'Abbruzzo che si chiama ufficialmente ulteriore primo è, rispetto a Napoli, al di là dell'Abbruzzo ulteriore secondo, ed il simile è da notarsi circa le due Calabrie ulteriori. Vi si aggiunse la provincia di Benevento, la quale, benchè circondata dal regno Napoletano, fu soggetta ai papi sino al 1860, ma si sollevò all'arrivo di Garibaldi in Napoli.
Al plebiscito Siculo concorsero le sette provincie dell'isola, cioè Palermo, Messina, Catania, Siracusa, Caltanissetta, Girgenti e Trapani.
Ai due plebisciti del novembre 1860 concorsero da una parte le quattro provincie già Pontificie delle Marche, cioè Ancona, Macerata, Ascoli e Pesaro-Urbino; dall'altra la provincia, che era pure pontificia, di Perugia, ossia l'Umbria.
Le provincie venete che fecero il plebiscito nell'ottobre del 66 sono otto: Venezia, Padova, Verona, Rovigo, Vicenza, Treviso, Belluno ed Udine. Vi si aggiunse Mantova, perchè quella città, sebbene lombarda, pur essendo uno dei quattro grandi fortilizii del celebre quadrilatero, non fu ceduta dall'Austria nel 1859 insieme col resto della Lombardia, ma soltanto nel 1866, insieme colla Venezia.
La provincia attuale di Roma, della quale si prese il plebiscito il 2 ottobre 1870, si compone dei cinque circondari di Roma, Velletri, Frosinone, Viterbo e Civitavecchia, i quali erano rimasti nella dizione pontificia sino al 20 settembre.
Per una pedanteria ufficiale e poco liberale, non si volle interrogare il voto delle così dette vecchie provincie del regno, cioè del Piemonte, della Liguria e dell'isola di Sardegna. Vero è che praticamente il plebiscito è come fatto anche per quelle provincie, conciossiachè non havvi ombra di dubbio che gli abitanti avrebbero votato e voterebbero tuttora con quasi assoluta unanimità per la loro unione colle altre provincia italiane.
Ben vi era luogo di consultare i voti della Savoja e della provincia di Nizza. Furon consultati di fatto nel 1860, come riferimmo nel capitolo relativo alla storia di quell'anno, e riuscirono favorevoli alla loro unione colla Francia.
Nessuno pensa nè pensar può all'annessione della piccolissima e simpatica repubblica di San Marino. Rimanevano e rimangono tuttavia sei provincie di lingua italiana sotto dominio straniero: Malta, Corsica, Monaco, il Cantone del Ticino, Trento colla sua provincia, Trieste con Gorizia e coll'Istria; ma sono tutte terre nel contorno e non nell'interno della penisola italiana, nè vi era per esse la possibilità o l'opportunità d'una guerra o di un plebiscito come per Milano, Firenze, Bologna, Modena, Parma, Palermo, Napoli, Ancona, Perugia, Venezia e Roma.
L'isola di Malta è troppo vicina all'Africa, troppo piccola. Se mai volesse spontaneamente riunirsi all'Italia, sia la ben venuta: ma i suoi abitanti, i quali parlano più l'arabo che l'italiano, amano troppo poco l'Italia perchè porti il pregio di domandare all'Inghilterra di farcene dono, come essa fece il nobile sacrifizio di cedere le isole Jonie alla Grecia, la quale aveva un grande bisogno di quel compimento della sua nazionalità, mentre l'Italia non ha alcun bisogno di possedere Malta. Il simile in parte può dirsi del minuscolo principato di Monaco.
I Corsi chiamati ad un plebiscito voterebbero all'unanimità di rimanere colla Francia; e così gli abitanti del cantone del Ticino deciderebbero di rimanere nella confederazione Svizzera, non già per poca simpatia verso l'Italia, come a Malta, a Monaco ed in Corsica, ma perchè preferiscono le istituzioni elvetiche alle italiane.
Differente è il caso pel così detto Tirolo Italiano, che non è Tirolo affatto, cioè per la provincia di Trento, e per la grande città di Trieste, con Gorizia e colla penisola dell'Istria. Io credo che ivi un plebiscito darebbe una decisa maggioranza in favore dell'unione coll'Italia nelle città, che sono italiane di lingua e di affezione; meno decisa nelle campagne ove la popolazione è slava. Ad ogni modo la grave quistione dell'annessione di quelle provincie allo Stato italiano non deve essere un motivo di guerra. Per ora non si potrebbero neppure intavolare delle trattative con probabilità di buon riuscimento; è desiderabile però che venga l'opportunità di amichevoli trattative coll'Austria per la pacifica cessione di quelle estreme ma belle ed interessanti parti dell'Italia, salvo il diritto degli abitanti di decidere a pluralità di voti la loro sorte politica.
Per comodità ed istruzione dei lettori, specialmente italiani, completerò l'annoverazione delle sessantanove provincie dell'attual regno d'Italia, aggiungendo ai nomi già indicati delle sessantuna che fecero il plebiscito, i nomi delle otto antiche provincie del regno di Sardegna rimaste nel regno d'Italia, imperocchè siffatte notizie non appartengono soltanto alla geografia ma ancora alla storia.
In Piemonte vi erano e vi sono le quattro grosse provincie di Torino, Alessandria, Novara e Cuneo; in Liguria le due provincie di Genova e di Porto Maurizio; in Sardegna le due di Cagliari e Sassari.
Le lunghe fila di nomi proprii sogliono esser tediose a leggersi e faticose ad apprendersi a memoria; nondimeno osservi il lettore, italiano o straniero, quanti di quei sessantanove nomi di città italiane sono circondati da un'aureola di celebrità istorica, artistica o poetica: Roma, Bologna, Ravenna, Ferrara, Urbino nell'antico Stato Romano; Firenze, Pisa, Siena in Toscana; Napoli, Salerno nelle provincie continentali dell'ex-regno di Napoli; Palermo, Siracusa, Messina, Catania, Agrigento, o Girgenti, in Sicilia; Modena, Parma, Piacenza, negli ex-ducati; Venezia, Padova, Verona, Vicenza nelle provincie venete; Milano, Pavia, Mantova in Lombardia; Torino in Piemonte; Genova nella Liguria! Quante sono le città straniere, anche più grandi e più ricche di queste, che parlino altrettanto alla memoria ed all'imaginazione? Tanto egli è vero che la storia particolare dell'Italia ha maggiori rapporti colla storia generale del mondo che la storia di qualsivoglia altro determinato paese.