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DAL 1866 AL 1889 DAL 1871 AL 1889 | «» |
I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio
La mia sintesi cronologica e mnemotecnica della Storia dell'Europa dalla Rivoluzione francese sino ad oggi, come quella che ho fatta in quattro volumi, ed in altra edizione della Storia universale del mondo dai primi albori della vita umana sino al tempo presente, volge al suo termine. Per compiere non già una succinta epitome ma una piena esposizione di tutti i fatti istorici, riuscirebbe insufficiente, non che un libro di mediocre mole, una grande biblioteca. Mi sono perciò ristretto a riferire gli eventi più luminosi e più importanti, a renderli di facile ricordanza, a mostrarne le ragioni palesi, che consistono nella loro scambievole concatenazione, e ad accennare la dipendenza che possono aver avuto anche da cause misteriose. La principale conseguenza che i sagaci e riflessivi lettori trarranno dal mio libro sarà tutt'altro che atta ad ispirare la sfiducia, o l'ignavia. Si comprenderà che nelle più solenni congiunture dalle quali dipende in ispecial modo la salvezza o la rovina dell'Umanità un braccio possente ma invisibile ci spinge e sorregge; ma che in pari tempo gl'individui separatamente, come le nazioni collettivamente, debbono esercitare i loro maggiori sforzi per riescire al bene proprio ed al bene universale coi mezzi ordinarii e noti a tutti.
Poco mi rimane a dire circa i fatti avvenuti negli ultimi diciannove anni dal 1870 sino alla fine del 1889.
L'Assemblea francese eletta nel giorno 8 di febbrajo 1871, principalmente per far la pace colla Germania, conteneva una maggioranza retrograda; non perchè la maggioranza degli elettori fosse recisamente retrograda: ma perchè vedeva la dura necessità di conchiuder la pace, e per avere maggior sicurezza di veder trionfare il partito della pace, stimò opportuno di confidare per allora la somma del potere agli amici del passato. Perciò l'Assemblea il 24 maggio 1873 diede un voto che indusse Thiers ad abdicare la carica di presidente della Repubblica e conferì quel supremo uffizio per sette anni al maresciallo Mac-Mahon. Nondimeno, essendosi a poco a poco rinforzato nella Camera dei Deputati e nel Senato il partito repubblicano per mezzo delle morti e delle elezioni suppletive, il 25 febbrajo 1875 fu votata una costituzione, secondo la quale il potere legislativo si esercita congiuntamente dalla Camera dei Deputati e dal Senato; la Camera dei Deputati si elegge a suffragio universale dei maschi maggiori di ventun anni, il Senato si compone di 300 senatori, 225 dei quali sono eletti dai consigli dei dipartimenti, dei circondari e dei comuni, e 75 dall'Assemblea nazionale, o Congresso formato dalla riunione delle due Camere: ed il presidente della Repubblica è nominato per sette anni dall'Assemblea nazionale. La costituzione francese del 1875 ha specialmente questo di buono che dichiara sè medesima soggetta a revisione, sotto certe determinate condizioni; mentre i precedenti statuti di Francia e di altri paesi hanno generalmente l'assurda pretesa di essere immutabili ed eterni; di guisa che, se l'esperienza mostra desiderabile una riforma, o le mutate circostanze la rendono necessaria, non havvi altro rimedio che in una pacifica illegalità, od in una sanguinosa rivoluzione.
Il 16 maggio 1877 Mac-Mahon licenziò il liberale gabinetto presieduto da Jules Simon, e lo surrogò col retrogrado ministero Broglie. Tuttavia, siccome le elezioni generali del 14 ottobre 1877 condussero alla nuova Camera una maggioranza sinceramente repubblicana e le elezioni del 5 gennajo 1879 diedero anche al Senato una maggioranza favorevole alla repubblica, Mac-Mahon fece una spontanea e lodevole rinuncia alla carica di presidente della Repubblica Francese. Il Congresso nel giorno 30 di gennajo gli diede a successore Giulio Grévy, antecedentemente presidente della Camera dei Deputati. L'indomani la novella Camera elesse a suo proprio presidente Leone Gambetta. Il principale avvenimento occorso sotto la presidenza di Grévy è la spedizione che ha sottoposto Tunisi alla Francia.
La naturale bellezza e ricchezza del territorio di Tunisi ove fu Cartagine, antica e possente nemica, poi floridissima colonia di Roma; la sua posizione alla distanza di soli 260 chilometri incirca tanto dalle coste della Sicilia come da quelle della Sardegna, avrebbe di leggieri tentato l'Italia, se l'Italia fosse abbastanza forte per poter impunemente sfidare la rivalità della Francia, e così poco saggia da cercare delle dispendiose occupazioni straniere prima di aver prosciugate le tante sue paludi, e ridotte a buona cultura. La Francia, padrona dell'Algeria, aveva, per lo contrario, la tentazione egualmente che la forza di far sua anche la reggenza di Tunisi; natural cosa era pertanto che il Bey Tunisino, temendo più della Francia che dell'Italia, mostrasse maggior fiducia nei consigli italiani che in quelli di Francia, e che fra due rivali compagnie ferroviarie, una italiana ed un'altra francese, ambedue sussidiate dai loro rispettivi governi, il Bey inclinasse maggiormente a favorire gli interessi della compagnia italiana.
Questa innocente predilezione del Bey fornì al governo francese uno dei pretesti per effettuare la spedizione stessa che il Bey paventava. Ed un altro pretesto fu il bisogno di andar a castigare la tribù dei Krumiri nomadi sudditi del Bey, i quali avevano fatto un'incursione predatoria nella confinante Algeria. Il 21 d'aprile 1881 i Francesi s'impadronirono dell'isoletta di Tabarca; il primo di maggio sbarcarono a Biserta; nel 12 di maggio il generai Bréart estorse dal vecchio ed imbelle Bey un trattato pel quale egli accetta nominalmente il protettorato, effettivamente il vassallaggio francese.
Costretto Grévy nel 1887 a dimettersi pei disordini del suo genero, gli fu eletto successore Sadi Carnot, figlio del figlio del grande geometra, strategista e politico, Lazzaro Carnot.
Gli altri principali gruppi di avvenimenti occorsi in questo breve periodo di tempo sono la guerra della Russia colla Turchia, quella del Chili contro la Bolivia ed il Perù, e la spedizione degl'Inglesi nell'Egitto: intorno ai quali fatti diedi brevi cenni istorici in altri capitoli precedenti.
Ma poichè una delle principali distinzioni di questa mia sintesi consiste in un metodo speciale e mnemotecnico di Cronologia, ed un'altra, indicata nel titolo dell'opera, consiste nell'essere non tanto un compendio della storia universale, quanto della storia speciale d'Italia, così stimo opportuno di riferire le date della nascita e della morte di sei personaggi contemporanei, i quali hanno avuto in diversi modi una parte più efficace di qualsivoglia altro uomo individuale nelle recenti vicende della nazionalità italiana. Riferirò la loro cronologia non secondo l'ordine di tempo della lor nascita, ma secondo quello della morte, e comincierò per conseguenza da Cavour, il quale fra i sei illustri personaggi, fu il primo a morire, il penultimo a nascere, come Pio IX fu primo a nascere, penultimo a morire.
Camillo Benso di Cavour, nacque in Torino il 10 agosto 1810. Per ajuto di memoria se vi cale, notate i due dieci, e la coincidenza colla gran data del 10 agosto 1792, nella storia della Rivoluzione francese. Benchè il suo nome scrivasi usualmente ed abusivamente alla francese, egli era tuttavia italiano non solo di nascita, ma ancora di origine, perchè la sua famiglia trae il titolo e nome di marchesi o conti di Cavour da Cavuro, piccolo paese di Piemonte nella provincia di Torino. Egli fu ministro di Vittorio Emanuele per la prima volta il 4 novembre 1852. Morì in Torino ai 6 di giugno 1861. Le ultime sue parole furono la ripetizione del suo celebre motto: Libera Chiesa in libero Stato.
Giuseppe Mazzini nacque in Genova il 22 di giugno 1805. Fondò nel 1831 la società della giovine Italia con indirizzo repubblicano e col motto: Dio e Popolo. Passò la metà della sua vita di 66 anni in esiglio, ma morì in Pisa il 10 marzo 1872.
Luigi Napoleone, o Napoleone III, della famiglia Bonaparte, e quindi di origine italiana, nacque in Parigi il 20 aprile 1808; morì a Chislehurst, in Inghilterra, il 9 gennajo 1873.
Vittorio Emanuele nacque in Torino il 14 marzo 1820. Suo figlio Umberto, ora re d'Italia, nacque il 14 marzo 1844. Spirò nel palazzo del Quirinale a Roma il 9 gennajo 1878, quinto anniversario della morte del suo alleato Napoleone III. Ha sepoltura nel Pantheon di Roma, ove giacciono eziandio gli avanzi mortali di Raffaele di Urbino. I suoi più celebri ministri di parte destra furono Gioberti, Azeglio, Cavour, Ricasoli, Lanza, Minghetti; di parte sinistra, Rattazzi, Depretis, Nicotera, Crispi. La destra parlamentare italiana cadde dal potere nel giorno 18 marzo 1876: minuscola e rosea rivoluzione, la quale rammenta per la data la rivoluzione di Berlino 18 marzo 1848, la prima delle cinque gloriose giornate di Milano nello stesso giorno 18 marzo 1848, e la terribile rivolta scoppiata a Parigi il 18 marzo 1871. I più rinomati ministri del re Umberto, suo figlio e successore, sono stati finora Depretis, Cairoli, Mancini, Magliani, Zanardelli, Baccelli, Baccarini e Crispi.
Pio IX (Giovanni Maria Mastai) nacque in Sinigallia il 13 maggio 1792, anno centenario della scoperta dell'America, che avvenne nel 1492, ed anno identico della proclamazione della Repubblica francese. Pio IX, il più rivoluzionario, benchè senza volerlo, di tutti i papi, è ancora il solo che nella sua vita sia stato in America, avendo dimorato al Chili, come segretario di un nunzio, dal 1823 al 1825.
Noto per incidenza che nel medesimo anno nacque il musicista più popolare dei tempi moderni, cioè Gioachino Rossini, autore della musica altamente ritmica ed altamente bella della Semiramide, del Barbiere di Siviglia, del Guglielmo Tell. Egli vide la luce pochi giorni prima di Pio nono, ed a poca distanza da Sinigallia, cioè
a Pesaro, il 29 di febbrajo 1792. Notate per ajuto di memoria che il 29 febbrajo è quel giorno che distingue il ritmo del quadriennale ciclo giuliano, non ricorrendo che negli anni bisestili. Laonde Rossini, quando stava per compiere il settantesimo sesto anno, che pur fu l'ultimo della sua vita nel 1868, convitò nella sua dimora di Passy in Parigi, i suoi amici, scrivendo loro con ingegnoso scherzo; venite a pranzare da un giovinetto che celebra il suo decimo nono giorno natalizio. Un giorno, a Bologna, io lo interrogai: Maestro, qual è il principal secreto della musica che piace, voi che ne avete fatto tanta? Il ritmo, egli mi rispose. Dico io: sordi intellettuali sono coloro che non sentono o non apprezzano il ritmo delle armonie cronologiche, più meravigliose di quelle del Cigno di Pesaro, de' suoi degni maestri Palestrina, Haydn e Mozart, e de' suoi degni discepoli Bellini, Donizetti e Verdi.
Giovanni Maria Mastai fu eletto sommo pontefice, ed assunse il nome di Pio IX, nel giorno 16 di giugno 1846. Diede l'amnistia il 16 luglio dello stesso anno; accordò la costituzione ai 14 di marzo 1848, anniversario della nascita di Vittorio Emanuele e di Umberto. Fuggito da Roma il 24 novembre 1848, ventesimo sesto anniversario secolare della fondazione di Roma, vi tornò il 12 aprile 1851. Quattro anni dopo, celebrando l'anniversario del suo ritorno in un banchetto, presso la Chiesa suburbana di Sant'Agnese, fuori di Porta Pia, con seguito di Cardinali, e di altri personaggi ecclesiastici, politici, e militari, e degli allievi del collegio de Propaganda Fide, cadde, per la rottura del pavimento, in una sottoposta cantina. Siccome vi furono degli storpiamenti di molti del suo corteo, ma non di lui, e nessuna morte, i clericali ebbero la stolidezza, ed anche l'empietà, di strombazzare questo caso, in parte deplorabile ed in parte ridicolo, come un miracolo del cielo per attestare la necessità del poter temporale. Ora se la influenza misteriosa intervenne, è ragionevole il pensare piuttosto che fu indicata la volontà contraria del cielo, e non il favore, al poter temporale: imperciocchè avvenne che Pio IX perdè il sopraddetto poter temporale, per la breccia della sopraddetta Porta Pia. Pio IX dichiarò sè stesso infallibile il 13 luglio 1870; morì 29 giorni dopo Vittorio Emanuele, cioè nel giorno 7 di febbrajo 1878. Ordinò per disposizione testamentaria d'esser sepolto nella basilica suburbana di San Lorenzo, quindi fuori di Roma. Il trasporto però non fu eseguito che il 13 di luglio 1881, anniversario della dichiarazione di infallibilità. La funebre cerimonia fu turbata dalle dimostrazioni di due partiti opposti, cioè dalle torcie dei credenti nel potere temporale o spirituale di Pio IX, e dai fischi dei liberali. A molti sembrerà biasimevole questa condotta in faccia al grave spettacolo di un funerale: altri la stimeranno un giusto giudizio dall'alto contro all'empio dogma dell'infallibilità, proclamata il 13 luglio 1870.
Ci rimangono per ultimo a registrare le date biografiche di Giuseppe Garibaldi. Egli nacque a Nizza il giorno 4 di luglio 1807, anniversario, come altre volte già notai, della dichiarazione dell'indipendenza Americana. Addì 8 febbrajo 1846, come pur narrai, egli vinse la battaglia di Sant'Antonio del Salto in America; 8 febbrajo 1849 votò l'articolo relativo alla fondazione della Repubblica romana; 9 febbrajo 1849 votò l'intero decreto fondamentale; 30 aprile 1849 respinse i Francesi. Durante il giugno dello stesso anno, non unico ma principal difensore di Roma, combattè di nuovo contro di essi sul Gianicolo; la sera del 30 giugno venne all'Assemblea costituente a proporci di far saltare i ponti sul Tevere, come già Orazio Coclite aveva prima difeso, poi fatto realmente demolire il ponte Sublicio fra Roma ed il Gianicolo. Continuo a ricordare altre notabili date della vita di Garibaldi. Il 21 luglio 1860 egli vinse la battaglia di Milazzo; il 9 novembre 1860 rinunziò un regno, e tornossene povero a Caprera, al rovescio di ciò che fece Napoleone Bonaparte il 18 Brumale, ossia 9 novembre 1799. Il 21 luglio 1866, anniversario della battaglia delle Termopili, e di quelle delle Piramidi e di Milazzo, Garibaldi vinse la battaglia di Bececca; il 22 ed il 23 di gennajo 1871, combattè e vinse la battaglia di Digione in Francia. L'ultimo suo atto pubblico fu di intervenire personalmente alla commemorazione centenaria dei vespri siciliani del 1282, celebrata a Palermo nel 1882. Infine egli esalò la grande anima a Caprera il 2 di giugno dello stesso anno 1882.
L'assoluta veracità è il primo fra i doveri dello storiografo; ma questa non gli toglie di esprimere la propria predilezione per gli uomini grandi e buoni, nè l'avversione pei tristi. I doveri della verità e dell'imparzialità comandano solamente allo storico di non nascondere i principali difetti dei quali non furono immuni anche gli eroi; nè la parte importante di bene che volontariamente od involontariamente fecero anche coloro che sono a considerarsi in complesso più cattivi che buoni. Perciò feci il debito mio cercando di mettere in luce le virtù, ma non tacendo i difetti di quelle grandi figure che il lettore può essersi accorto che mi sono particolarmente care; ed in ispecie Ercole, Omero, Romolo, Bruto primo: personaggi involti in parte nelle nubi della leggenda, ma che io ho cercato industriosamente di ridurre a positiva verità istorica; ed altri di autenticità incontestata, Alessandro, Archimede, Giulio Cesare, Marco Aurelio, Dante Alighieri, Cristoforo Colombo, Elisabetta d'Inghilterra, Washington, Danton, Robespierre, Napoleone, Mazzini, Vittorio Emanuele, Garibaldi.
La presente edizione, benchè economica, è corredata dei ritratti di alcuni fra i più celebri personaggi; ma ho procurato di far conoscere alla meglio i loro ritratti morali. Per avere il ritratto morale di Giuseppe Garibaldi fa d'uopo conoscere anche le sue idee religiose. Egli le ebbe vaghe e vacillanti come la maggior parte degli uomini del nostro tempo, i quali sono più o meno scettici e materialisti, ed ostentano di esserlo anche più di quanto lo sono.
Garibaldi fu troppo acerbo, talvolta anche grossolano, nel parlare e scrivere contro i preti; però mai non fece male personalmente ad alcuno di essi. Commise un atto di debolezza, allorchè nel congresso della pace a Ginevra da lui presieduto nel 1867, avendo nominato rispettosamente la Divinità in un suo discorso, i mormorii di una parte dell'uditorio lo indussero a dire: intesi soltanto il Dio dei filosofi, cioè il Vero: parole non cattive, nè false, ma equivoche, e perciò non degne di lui. Ed un altro atto ancora più biasimevole di debolezza fu l'accettare il titolo di presidente onorario della Società Atea di Venezia, benchè poscia spiegasse di averlo fatto in omaggio non ad una od altra opinione, ma alla libertà del pensiero. Stimo abbastanza importante il ripubblicare qui una bella sua lettera, la quale indica non tanto le sue opinioni, quanto i suoi intimi sentimenti in fatto di religione. Non ne cangio una sillaba, benchè le lodi personali, che la sua bontà ed amicizia per me gli suggerì, parranno a molti, ben naturalmente, eccessive. La data della lettera, forse senza ch'egli vi pensasse, è l'anniversario di un giorno per lui glorioso, e nel quale io ebbi la fortuna di combattere presso di lui.
«Grazie per la vostra lettera — la di cui seconda parte è certo immensamente più importante della prima — ove nell'indulgente amicizia vostra, vi siete compiaciuto di rispondere al mio quesito sull'origine dei venti.
«A voi, gran sacerdote del Vero — io devo la mia parte di gratitudine, per gl'insegnamenti all'Umanità, ed all'Italia in particolare che tanto ne abbisogna.
«La santa missione a cui vi accingete — con quel coraggio ch'io vi conobbi sulle mura di Roma al tempo della gloriosa Repubblica, e sui colli di Mentana in epoca più recente — è ben ardua — e solo un'anima della vostra tempra poteva affrontarla, col sublime concetto di combattere le miserie, di superstizioni e di dottrine politiche, che dividono i nostri fratelli di patria.
«Voi dovrete combattere, cattolicismo, protestantismo, e tante altre sette che da secoli dividono la famiglia umana con fiumi di sangue. L'ateismo, non esclusivo — vi sarà meno ostile — perchè professato da pochi istruiti individui — non così il regnante indifferentismo — che in questo secolo del 5 per cento, forma la gran maggioranza dei popoli.
«Comunque, voi non siete uomo da titubare davanti, ad ostacoli per formidabili che sieno — ed io terrò a grande onore d'esser annoverato tra i vostri discepoli — persuaso che col solo apostolato del Vero, da voi assunto, si possa finalmente costituire dovutamente lo sventurato nostro paese.
«Il Vero è la bandiera che sventola sulla cattedra delle vostre predicazioni — ed all'altissima mente che partorì l'Universo io certo non ardirò di dettare il Vero. Anzi, io credo, ognuno che non sia un prete, od un trafficante qualunque della merce uomo — s'inchinerà convinto dalle vostre lezioni — Dio, ed immortalità dell'anima! Dolci, edificanti, indispensabili alla vita umana sono tali credenze.
«E chi non si compiace di figurarsi un Regolatore di cotesti infiniti: Contenente, e Contenuto, che con tanta maestria ci dipingete nella gigante Opera vostra? Chi non ama, pensando a sua Madre — tanto amorevole, — alla sua bambina tanto amata — di figurarsele corrispondendo agli amorosi sensi — anche dopo la trasformazione dalla creta?
«Io accenno e non insegno! E voi, Maestro, che ci avete insegnato matematicamente i misteri dei Cosmos e delle Geuranie — accennate pure, non è vero? all'anima Infinita dell'Universo. All'Incognita, cui probabilmente giungerà giammai il telescopio intellettuale dell'uomo? La pressentiamo, la congetturiamo, cotesta infinita ma Ipotetica Potenza. Ma... chi ardirebbe d'insegnarla!
«Alla Religione del Vero, quindi, da voi predicata con tanta scienza — io m'onoro d'appartenere — e, non dubito, essa sarà adottata da quella parte eletta delle nazioni — che crede al progresso, ed alla fratellanza umana, edificata sulle macerie delle menzogne, delle superstizioni, e delle tirannidi.
«Per la vita vostro
Questa notabile lettera del gran solitario di Caprera è come un anello di spiegazione fra le parole da lui pronunciate al Congresso di Ginevra, e quelle che pronunziò negli ultimi istanti della sua vita.
Infatti le ultime sue parole, nell'agonia del 2 giugno 1882, indicarono l'amorevole rimembranza di lui per due sue figlie defunte, la sua benevolenza anche verso le creature sensitive ma irragionevoli, e la sua credenza che l'anima umana esiste al di là della tomba. Vedendo sulla finestra due uccelletti, due capinere, disse: «sono le anime delle mie figliuole, che volano intorno al loro padre moribondo. Rispettate questi animali: date loro del miglio quand'io non sarò più.»
L'anno 1882, il quale ha veduto la morte di Garibaldi, ha visto quella pure di un uomo poco meno illustre, cioè di Leone Gambetta. Nè mancar potevano pel trapasso di un tal uomo le curiose coincidenze. Grande nel 1871 per l'operosità e pel patriotismo, benchè non al grado miracoloso di cui la Francia avrebbe avuto bisogno; grande per l'unione dell'audacia alla prudenza ed alla costanza nella fondazione e nel consolidamento della Repubblica; grande sempre nell'eloquenza, fu mediocre ed impotente nel breve suo ministero del 1882, principalmente per l'impopolarità del suo ateo collega Paul Bert. Leone Gambetta morì presso Parigi, nell'età di soli 44 anni, assistito dal già suo collega Paul Bert, e da' suoi due medici Paul e Bert, cinque soli minuti prima dello spirare dell'anno 1882. Dopo splendide esequie civili celebrategli a Parigi, ebbe sepoltura a Nizza, città nativa di Massena e di Garibaldi, per volontà di suo padre nato in Italia.
Non mi rimangono omai da aggiungere, pel compimento della mia sintesi istorica, che poche altre date, o cifre, ma relative ad eventi lieti e consolanti.
Il 5 di maggio 1881, anniversario della convocazione degli Stati Generali donde uscì la grande rivoluzione di Francia nel 1789, e della partenza di Garibaldi e de' suoi mille da Quarto per la liberazione della Sicilia e di Napoli, fu aperta l'esposizione nazionale Italiana a Milano. Ebbe a scorgervisi una qualche decadenza nel ramo delle Belle Arti, in paragone dell'ultima esposizione Italiana a Firenze nel 1861, ma un considerevole ed importante progresso nelle Arti Industriali.
Nel medesimo anno 1881 ha avuto luogo l'esposizione Internazionale di elettricità a Parigi. Le macchine a vapore, di una forza complessiva di quasi mille e cinquecento cavalli, somministravano la forza motrice. L'apparecchio elettrodinamico, solito a chiamarsi macchina di Gramme, ma inventato dapprima da Antonio Pacinotti, poscia imitato dal fisico francese Gramme, convertiva la forza motrice in elettricità. I fili metallici trasportavano a distanza questa elettricità, e durante il giorno le macchine inverse di Pacinotti, o Gramme, la riconvertivano in forza motrice; nella sera essa trasformavasi per mezzo dell'arco voltaico in luce, e produceva un'abbagliante illuminazione all'interno ed all'esterno del grande edifizio. Antonio Pacinotti, abbastanza giovine anche adesso, pochi anni fa era professore di Fisica nella grande Università di Bologna, ma ha dovuto contentarsi di passare alla piccolissima Università di Cagliari, perchè la sua facondia non è uguale alla sua scienza, e perchè le scoperte Italiane non sono abbastanza apprezzate, nè dal pubblico, nè dal governo, nè dalla stessa gioventù studiosa.
La novella ferrovia da Como a Lucerna attraverso alle Alpi Elvetiche, e segnatamente la galleria del San Gottardo che ne fa parte, è una delle opere più grandiose dell'industria moderna. Essa agevola le comunicazioni fra l'Italia da una parte, e dall'altra la Svizzera, la Germania occidentale, Belgio, ed Inghilterra, e in generale fra l'oriente e l'occidente. La perforazione del Gottardo fu portata sino al rompimento dell'ultimo diaframma, cioè sino al punto ove gli operai da mezzogiorno s'incontrarono e si dieder la mano con quelli da settentrione nel giorno 29 di febbrajo 1880. Terminato l'allargamento ed il rivestimento, la locomotiva percorse per la prima volta l'intera galleria, nella sua grande lunghezza di quasi quindici chilometri, nel giorno 24 di dicembre 1881.
La galleria del Cenisio, tra l'Italia e la Francia, servì di tipo al lavoro di quella del Gottardo. Due cadute d'acqua una presso l'imbocco meridionale, e l'altra presso l'imbocco settentrionale, comprimevano l'aria. L'aria compressa, condotta per via di tubi sino alla macchina perforatrice, operava in essa come il vapore opera nella macchina a vapore. Gli scalpelli rapidamente spinti dallo stantuffo della macchina ad aria compressa, voltati e ritirati e spinti di nuovo, percotevano la dura roccia, scavandovi i fori entro i quali poi s'introduceva la dinamite, per la mina. Ritiratisi gli operai, ed avvenuto lo scoppio, l'aria compressa serviva altresì a discacciare il fumo e l'aria viziata. La galleria del Cenisio, lunga 12,200 metri, era stata la più lunga del mondo; quella del San Gottardo la supera ora in lunghezza di oltre a due chilometri.
Benchè il telegrafo elettrico sia la più ammirata fra le numerose invenzioni fisiche del nostro secolo, la più utile è quella delle strade ferrate. Tuttavia, tanto il telegrafo come le navi a vapore e le strade ferrate, diminuendo le vecchie divisioni e gelosie internazionali, e moltiplicando le relazioni commerciali ed intellettuali, avvicinano il giorno della universale e vera fratellanza umana. Per la qual cosa Luigi Galvani che scoperse l'elettricità dinamica, Alessandro Volta che inventò la pila, Oersted, Ampère, Arago, Wheatstone, i quali mossero altri grandi passi verso la completa invenzione del telegrafo elettrico, Samuele Morse che l'ha effettuato, Bell pure che ha inventato il telefono, bella imitazione del telegrafo per trasmettere a distanza le vibrazioni sonore, e quindi la voce parlata e la musica, hanno ben meritato dell'Umanità: ma i più grandi benefattori di essa furono il Branca, il Papin, il Newcomen, e al disopra di essi Giacomo Watt, successivi inventori della macchina a vapore; Roberto Fulton che l'applicò alla navigazione fluviale e marittima; ma più ancora Giorgio Stephenson che l'applicò alle strade ferrate.
In quella guisa che, secondo un assioma geometrico, il Tutto è maggiore di ogni sua parte, così i doveri verso l'intera Umanità sono più sacri di quelli che abbiamo verso la Nazione, o verso la patria più ristretta. Con tutto ciò, siccome il bene dell'Uman genere non è che la somma del bene di tutte le sue membra, così ognuno di noi tiene obbligo di curare la sua propria e personale felicità, ma altresì di immolare il proprio vantaggio privato, e ben anco la vita, ove l'occasione lo richiegga, per la famiglia, per la Patria, e per l'Umanità, come fecero tanti eroi, dei quali siam venuti passando in rassegna i nomi, le date istoriche, e le gesta.
FINE.
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