Giuseppe Giacosa
Come le foglie

ATTO SECONDO.

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ATTO SECONDO.

 

 

Stanza semplice ma non misera del tutto disadorna. Poco alta. Soffitto di legno, pareti di legno. Nella parete a sinistra dello spettatore, un finestrone assai più largo che alto. Occorre che si possano aprire e chiudere le persiane. Fuori, alberi vicini. Nel fondo, due usci. Quello a sinistra mette in una piccola anticamera e di alla scala. È la porta comune. Quello a destra mette nella camera di Giulia. Fra di essi, appoggiata alla parete, una credenza di legno con suvvi stoviglie. Nella parete a destra dello spettatore all'altezza della prima quinta, l'uscio che mette nella camera di Nennele. Tra questo e il fondo, un tavolino appoggiato al muro. Nel mezzo della stanza, una tavola rotonda coperta da un tappeto. Una sedia a sdraio di legno ricurvo presso la finestra. Sedie di legno.

 

 

 

SCENA PRIMA.

 

 

Nennele seduta alla tavola del mezzo sta leggendo. Tommy, a cavalcioni di una seggiola presso la finestra, fuma una pipa corta di legno all'inglese. Giovanni entra dalla comune.

 

Giovanni.

 

Nennele.

 

Nennele.

 

Papà.

 

Giovanni.

 

Mi avevi domandato dei danari ieri sera, ti avevo pregato di ricordarmelo stamattina.

 

Nennele.

 

È vero. Non ho osato.

 

Giovanni.

 

Perchè? M'è venuto in mente ora e sono salito a portarteli.

Le monete.

 

 

Nennele.

 

Troppi.

 

Giovanni.

 

Cento franchi. Ne avrai fino alla fine del mese.

 

Nennele.

 

Preferisco pochi alla volta.

 

Giovanni.

 

Gran somma!

 

Nennele.

 

No, ma.... Degli ultimi che m'hai dato, mi mancano trenta lire.

 

Giovanni.

 

Ti mancano...?

 

Nennele.

 

A conti fatti mi dovrebbero rimanere trenta lire e non me le ritrovo.

 

Giovanni.

 

Avrai dimenticato di segnare qualche partita.

 

Nennele.

 

Bisogna dire. Benchè a ripensarci.... o le avrò perdute.... Comunque sia, preferisco domandarteli più spesso. Prendi. Tengo due marenghi.

 

Giovanni.

 

Tieni, tieni tutto. Bisogna imparare.

A Tommy.

Ti secchi eh, povero Tommy?

 

Tommy.

 

E già con quest'ozio forzato.

 

Giovanni.

 

Ci vuol pazienza.

 

Tommy.

 

Ti fa un bel dire a te che sei occupato tutto il giorno.

 

Giovanni.

 

Troveremo, troveremo.

S'avvia.

 

 

Nennele.

 

Scendi? Bada che son quattro giorni che non vai fuori di casa.

 

Giovanni.

 

Ho da fare.

 

Nennele.

 

E hai l'aria stanca.

 

Giovanni.

 

No. Questo no. Non sono mai stato così bene come in questi tre mesi

da che siamo qui. Ah! oggi è giovedì. Viene Massimo.

 

Tommy con tono di chi ne sia seccato.

 

Sì.

 

Giovanni.

 

Ebbene, andrò poi stassera ad accompagnarlo alla stazione quando riparte. Sei contenta?

 

Nennele.

 

Va bene.

Via Giovanni.

 

 

 

SCENA SECONDA.

 

Nennele e Tommy.

 

Tommy.

 

È certo che per lui nulla è mutato. O è mutato in meglio. Lavorava a Milano, lavora qui. Nessun seccatore. Aria buona di campagna aperta. Va in letto alle nove. Dorme. Che fai?

 

Nennele.

 

Studio.

 

Tommy.

 

Del resto, centomila lire di rendita e nello stesso luogo dove siamo, una villa all'inglese, invece di questa bicocca gemebonda, e anch'io non domanderei nulla di più al creatore del cielo e della terra.

 

Nennele.

 

Che importa la casa, quando la bellezza sia fuori delle finestre?

 

Tommy.

 

Bisogna abbellire la bellezza. La natura è un artefice incompiuto. Intanto qui sotto ci vorrei un parco con dei grandi alberi infruttiferi. E dell'erba sempre rasa. E un'erma solitaria fra i tronchi. E non vedere mammà nel bel mezzo della spianata, seduta sull'ignobile tripode, col cavalletto davanti, intenta a vituperare col pennello la beltà delle cose.

 

Nennele.

 

Sta ancora dipingendo?

 

Tommy.

 

Imperterrita. A quest'ora ha già messo a macerare il suo cinquantesimo Monte Bianco di cotone entro il cinquantesimo lago d'anice.

 

Nennele.

 

È sola mammà?

 

Tommy.

 

Ma ti pare! È coi due artisti confratelli. I très honorés maîtres. I grandi crimini non si commettono senza complici. Ma il Monte Bianco lascia fare e non ha l'aria di aversene a male. Guardali. Sembrano montati a macchina tutti e tre. Levano la testa come passerini che aspettano l'imbeccata, insaccano negli occhi la loro porzione di paesaggio e s'affrettano a renderla irriconoscibile sulla tela. Li hai visti mai da vicino quei due?

 

Nennele.

 

Uno sì. Quel vecchietto. Viene qui qualche volta.

 

Tommy.

 

Lo mandano. Di quando in quando la nostra ingegnosa matrigna s'accorge di aver dimenticato in casa un tubo colore, un pennello, il ventaglio, e sempre trotta il vecchio. Mai che si muova quello giovane. E allora il terzetto pittorico si muta in duettino contemplativo.

 

Nennele.

 

Come sei acerbo! Che hai?

 

Tommy.

 

Nulla.

 

Nennele.

 

Che disgusto però!

 

Tommy.

 

Quando è che ti sei accorta di quel denaro?

 

Nennele.

 

Che denaro?

 

Tommy.

 

Le trenta lire che ti mancano.

 

Nennele.

 

Ieri l'altro.

 

Tommy.

 

Dove li tieni?

 

Nennele.

 

, nel cassetto del tavolino.

 

Tommy.

 

Non crederai mica che m'informi per profittarne.

 

Nennele.

 

Oh Tommy.

 

Tommy dopo una leggiera esitazione.

 

Al bisogno te ne domanderei.

 

Nennele.

 

Ne vuoi?

 

Tommy.

 

Povera Nennele!

 

Nennele.

 

Ma già tu ne avevi di tuo.

 

Tommy.

 

Tempo passato. Passato prossimo. Ma passato.

 

Nennele.

 

Poco posso darti. Ne vuoi? Lesinerò sul resto.

Fa per aprire il cassetto.

 

 

Tommy vincendo la tentazione.

 

Chiudi, chiudi. E tieni sempre chiuso a chiave. Non bisogna indurre la gente in tentazione. Gli artisti sono deboli.

Accenna fuori dalla finestra.

 

 

Nennele.

Non pensar male. Ti sei persuaso, di', che il papà non ne aveva messi in disparte.

 

Tommy.

 

Mah. Pare proprio.

 

Nennele.

 

Ti rincresce?

 

Tommy.

 

Figurati.

 

Nennele.

 

E ora stammi a sentire.

 

Tommy.

 

A sentir che?

 

Nennele.

 

Se ho imparato. Se so. Prendi.

Gli un libro.

Segui cogli occhi senza interrogare. Comincia di qui. L'articolo.

 

Tommy.

 

L'articolo! Tu studi di queste cose?

 

Nennele.

 

Devo insegnarle, non le so.

 

Tommy.

 

Non sai cos'è: l'articolo?

 

Nennele.

 

Avanti, dimmelo tu.

 

Tommy.

 

La, il.

 

Nennele.

 

Sai che quelle parole sono degli articoli. Ma non mi sapresti dire netto e spedito che cosa sia l'articolo. E ancora questo forse - ma l'avverbio, ma l'interiezione! Ah!

 

Tommy.

 

Vediamo.

 

Nennele.

 

L'articolo è una paroletta che si può declinare.

 

Tommy.

 

Declinabile, dice.

 

Nennele.

 

Ma non recito mica la lezione: non voglio andare alla lettera. Voglio essere sicura della cognizione. È una parola che si può declinare e che messa innanzi ad un nome indica, determina.... sì, insomma, indica se questo è maschile o femminile, singolare o plurale. Per esempio, il pero e la mela. Il è articolo di sesso maschile perchè pero è mascolino.

 

 

 

SCENA TERZA.

 

Massimo e detti.

 

Massimo entra dal fondo, depone un canestrino sulla prima seggiola, e rimane in ascolto non visto dai due.

 

Nennele continuando.

 

E la è articolo di sesso....

 

Tommy.

 

Non si dice: sesso, si dice: genere. Sesso è una parola di cattivo genere.

 

Nennele.

 

Di genere femminile.

 

Massimo.

 

Cosa diavolo state facendo?

 

Nennele.

 

Oh, eri tu? Studio la grammatica per insegnare l'inglese.

 

Massimo.

 

Lo insegni in italiano?

 

Nennele.

 

No. In francese.

 

Massimo.

 

E per insegnare l'inglese in francese, studi la grammatica italiana?

 

Nennele.

 

Perchè parlare so. Quel che mi manca, sono gli elementi. È di sapere che siano quelle cose che sono eguali in tutte le lingue. Capisci?

 

Massimo.

 

No.

 

Nennele.

 

Ho fatto una figura l'altro giorno! A quella lezione d'inglese che mi hai procurato tu: il figlio della vedova Rouillet.

 

Massimo.

 

Ci sei andata?

 

Nennele.

 

Non mi pareva vero di guadagnarmi la vita.

 

Massimo.

 

La vita è molto.

 

Nennele.

 

Già un luogo impossibile. La via, la casa, la scala, le stanze: il limbo dei santi padri. E lontano! Pioveva a rovescio. Laghi dapertutto. Buono che Tommy mi accompagnava.

 

Massimo.

 

Per bagnarvi in due.

 

Nennele.

 

Ha preso una carrozza.

 

Tommy.

 

Non dire queste cose a Massimo, gli fanno pena.

 

Massimo.

 

A me? Tutt'altro. Che ci stanno a fare le carrozze in piazza?

 

Nennele.

 

Arrivo. Tommy mi saluta. Salgo le scale a tastoni. Avevo un batticuore! Suono. Viene la vedova in persona ad aprirmi.

 

Massimo.

 

Perchè batti tanto su quel vedova? Non l'ha ammazzato lei suo marito.

 

Nennele.

 

Quella è la vedova tipo. Dalla nascita.

 

Tommy con rimprovero esagerato.

 

Nennele! Una signora che ti paga!

 

Massimo lo guarda, poi a Nennele.

 

Andiamo avanti.

 

Nennele.

 

La vedi.... scusa.... la signora, mi conduce in una specie di tinello dove ci mangiano, perchè sapeva di cavoli, e mi squadra da capo a piedi.... con un'aria! Poi mi domanda la mia età.

 

Massimo.

 

Ahi.

 

Nennele.

 

Perchè?

 

Massimo.

 

Ti avevo fatta più vecchia di quello che sei. La tua gioventù poteva essere un impedimento.

 

Nennele.

 

Bravo! Avvertimi! Per poco non s'è litigato. Essa mi dava 26 anni, io picchiavo sui miei 22. Breve: chiama il figliuolo.

 

Tommy.

 

L'orfano.

 

Nennele.

 

Che ha nome Gastone. Un mostricciattolo moccicoso a sedici anni. E Gastone appare. Io stendo il mio Ollendorf sulla tavola e faccio per cominciare. E la madre si mette a sedere a canto al figliuolo e mi pianta gli occhi in faccia come per sconcertarmi. Io comincio a dire una proposizione in francese, la traduco in inglese e la faccio ripetere a Gastone. Ma quella! Quella voleva la grammatica, le regole, le definizioni. Una tortura. Ho misurato d'un tratto l'abisso della mia ignoranza. Sai cosa mi ha trattenuto dal fuggire? L'idea della scala buia, che non si può scendere correndo. Non c'era altro che lasciarla dire e seguitare intrepida: il temperino del mio maestro, il cappello della zia, l'ombrello del mio vicino....

 

 

 

SCENA QUARTA.

 

Detti. 1.° Pittore, un vecchietto, capelli lunghi, aspetto di artista romantico; entra dal fondo non visto.

 

 

1.° Pittore, parlando quasi sillabato.

 

Perdono. L'ombrello della signora.

 

Nennele.

 

Eh!?

Si volta stupita.

 

 

Tommy id. id.

 

Il pittore!

Nennele scoppia in una risata e così pure Tommy e Massimo.

 

. Pittore.

 

Perdono. Ho sbagliato forse? Domando l'ombrello della signora.

 

Nennele sempre ridendo.

 

L'ombrello di mammà vuol dire. Tommy.... stai stai, vado io a pigliarlo.

Via a destra.

 

Tommy al pittore.

 

Scusi, il caso ha voluto che lei ripetesse entrando....

 

1.° Pittore.

 

Prego, prego, intendo. Ma la signora m'aveva mandato. C'è il sole risplendente.

 

Nennele torna coll'ombrello e lo al pittore.

 

Eccolo.

 

1.° Pittore.

 

Signorina, la ringrazio. Signori.

Via.

 

 

 

SCENA QUINTA.

 

Tommy, Massimo, Nennele, poi Marta e il Groom.

 

Massimo.

 

Chi è?

 

Tommy.

 

È uno dei pittori di mammà. Un norvegese. Mammà ha scovato due pittori norvegesi al Circolo degli artisti e adesso lavorano insieme.

 

Massimo.

 

Allo stesso quadro?

 

Tommy.

 

No, non sono così discreti. Oh sì! Ne fanno tre dei quadri. Fanno insieme dal vero, copiano al Monte Bianco, ma ciascuno fa il suo. Non ti va?

 

Massimo.

 

Non me ne intendo.

 

Tommy.

 

Hai l'aria di disapprovare. Mammà lo fa a scopo di lucro, sai. Oh sarà una risorsa per la casa.

 

Massimo.

 

Li vende?

 

Tommy.

 

Questo è un altro discorso. Li venderebbe.

 

Massimo a Nennele.

 

Sicchè quante lezioni hai dato?

 

Nennele.

 

Una sola. Dovevo dar ieri la seconda, ma ho scritto che non mi sentivo bene.

 

Tommy.

 

Di' pure che hai scritto per mio consiglio, anzi che ti ho dettato io la lettera. È la verità. Se Massimo disapprova, sappia almeno con chi pigliarsela.

 

Massimo.

 

Infatti Massimo disapprova. Ma non se la piglia con nessuno. Era da prevedere....

 

Nennele.

 

Con gente così inetta!

 

Massimo.

 

Vedi, non volevo proprio dir questo. Era da prevedere che alla prima prova tu avresti ingrossate le difficoltà dell'impresa e te ne saresti scoraggita. Ciò avviene di tutte le cose. Quanto alla signora Rouillet se non è nata vedova come tu dici, lo è rimasta dopo otto mesi di matrimonio, perchè suo marito, ingegnere, è morto sotto una frana in una miniera, dove era sceso, dopo uno scoppio di grisou; la vedova campa di una magra pensione che l'obbliga a mangiare piuttosto cavoli che tartufi, i quali tartufi del resto non olezzano nemmeno essi. Il figlio si chiama Gastone, perchè i nomi si usa darli i primissimi giorni di vita, quando cioè tutti quanti siamo belli e brutti ad un modo. Io, se avrò mai dei figliuoli li chiamerò Giuseppe o Clemente o Bartolomeo, per cansare il pericolo delle antitesi ironiche, ed anche per una certa mia inclinazione a trovare la poesia nelle cose prosaiche. Ma non puoi pretendere che tutti abbiano la mia saggezza. La domanda sull'età, te l'ho spiegata. Nelle case dove non ci sono sale di ricevimento, è naturale che la madre rimanga nel tinello, anche se il figliuolo ci sta imparando l'inglese da una bella signorina italiana, e finalmente quella voleva la grammatica perchè a' suoi tempi le lingue si studiavano così e perchè l'ha studiata e la sa.

 

Tommy.

 

Piglia e insacca.

 

Nennele.

 

E io non la so.

 

Massimo.

 

Oh Dio!

 

Nennele.

 

È vero. Non l'ho mai studiata. Sono passato da una bambinaia toscana ad una governante inglese e da questa ad una tedesca.

 

Massimo.

 

Hai fatto le cose da signore. Senza fatica.

 

Nennele.

 

E sono un'ignorante.

 

Massimo.

 

Tornaci e te la caverai benissimo.

 

Tommy.

 

Ma sì. Tre lire per lezione, due lezioni la settimana, sono sei lire la settimana: ventiquattro lire il mese. Quasi il salario di una cuoca.

 

Massimo.

 

Meno, meno. Se levi un franco e cinquanta di carrozza ogni volta, restano dodici franchi il mese, quasi la paga di molte piccole operaie che vanno a piedi anche quando piove.

 

Tommy.

 

Buum!

 

Massimo.

 

Che vuoi dire?

 

Tommy.

 

Niente. Buum. Una cannonata.

 

Massimo.

 

E tu ti contenti di vivere alle spalle di tuo padre?

 

Tommy.

 

Non ho fatto altro da che sono al mondo, e ho sempre goduto della stima pubblica.

 

Massimo.

 

Stima!

 

Tommy.

 

Sissignore. E se vuoi che ti parli sul serio, te ne dirò anche le ragioni. L'uomo non vive di solo pane.

 

Massimo.

 

Fuori il tuo companatico.

 

Tommy.

 

C'è al mondo della gente che ha il cómpito della pura intellettualità: che vuol dire di raffinare le sensazioni, di custodire le tradizioni eleganti....

 

Massimo.

 

Le guardie del sepolcro.

 

Tommy.

 

In una parola: di mostrare la bellezza.

 

Massimo.

 

Per bacco. E tu hai quel cómpito ?

 

Tommy.

 

L'avevo quando ero ricco.

 

Massimo.

 

Ma guarda! Così, se non c'eri tu e se non fossero i tuoi simili, questo povero mondo.... - Ma la bellezza è in noi. E ce n'è più in me che in te, e più intera, e più schietta. A me quel lago una sensazione di bellezza a qualunque ora ed in qualunque condizione mi trovi. A te per goderne, occorre di aver dormito in un buon letto, di essere ben vestito, seduto in poltrona con un sigaro in bocca. La tua bellezza la fanno dunque in gran parte il materassaio, il sarto, il negoziante di mobili e lo spaccio dei tabacchi.

 

 

A Nennele.

 

 

Credi a me. Tornaci.

 

Tommy con violenza.

 

Non voglio.

 

Nennele.

 

Tommy!

 

Tommy a Massimo.

 

È ora di finirla con l'Arcadia edificante che hai cercato di introdurre in casa nostra. Che mia sorella lavori, se trova, nulla di meglio. Io pure cerco di lavorare. Non sorridere perchè me ne sono venuto via dalle tue imprese. Un famoso impiego mi avevi dato. Assistere gli operai che perforano una montagna coperta di ghiaccio. Una via spedita per mandarmi al creatore. Fuori gelo serrato e dentro l'Africa tenebrosa.

 

Massimo.

 

Io ci duro da un anno.

 

Tommy.

 

Tu, tu! E novanta lire il mese.

 

Massimo.

 

Colla tavola e l'alloggio in casa mia. Dovevo pagare un altro assistente che assistesse te e ti insegnasse il mestiere!

 

Tommy.

 

Un fumo umido e spesso.... Uomini ignudi e sudati! Cose da vignette di giornale illustrato. In capo a dieci giorni avevo consumato tre vestiti.

 

Massimo.

 

O già se ti vestivi di bianco!

 

Tommy.

 

Dovevo anche rinnovare la guardaroba? Bell'affare.

Torna a sedere presso la finestra.

Per lei e per me voglio un lavoro conforme....

 

Massimo.

 

A che cosa?

 

Tommy.

 

Alle nostre attitudini.

 

Massimo.

 

Tu l'hai bell'e trovato. Una pipa inglese, del buon tabacco inglese, una seggiola presso la finestra e sei a posto.

 

Nennele.

 

Non ti permetto di parlare così a mio fratello.

 

Massimo.

 

Il papà è di sotto, eh?

 

Nennele.

 

Sì.

 

Massimo.

 

Vado a salutarlo.

S'avvia. Sull'uscio si imbatte in Marta che accompagna un piccolo groom elegantissimo il quale tiene in mano una lettera. Marta esce subito. Il groom dice qualche parola che non si sente a Massimo.

 

 

Massimo.

 

Che? Il signor Rosani figlio? Eccolo . Guarda, Tommaso. Qui c'è del lavoro per te.

 

Tommy accorre, prende il biglietto e lo legge.

 

Massimo.

 

Ah, Irene.

 

Nennele.

 

Ti ho già detto che mi chiamo Nennele.

 

Massimo.

 

Scusa: il tuo nome è Irene, come quello di tuo fratello è Tommaso. Io non ci ho colpa, ma è così e non mi riesce di chiamarvi altrimenti. Detesto i vezzeggiativi. Volevo dirti che in quel canestro ci sono sei trote dell'Arve, pescate stanotte a Chamonix, squisite. Faccio colazione con voi.

Via.

 

 

 

SCENA SESTA.

 

Tommy, Nennele, il Groom, poi Marta.

 

 

Tommy ha letto il biglietto ed è andato alla tavola a scrivere. Straccia un primo foglio, ne ricomincia un altro, con movimenti del capo che esprimono contrasto interno di sentimenti. Nennele intanto ha preso il canestro. Chiama dalla comune.

 

Marta.

Guarda il groom con aria diffidente.

 

Marta entra. È una contadina vestita molto umilmente.

 

Nennele.

 

Prendi. Sono delle trote per la colazione.

Marta esce col canestro.

 

 

Tommy ha finito di scrivere e chiama il groom.

 

Vieni qui.

Lo conduce presso la finestra, gli parla sottovoce, quello gli risponde allo stesso modo.

 

Nennele s'avvia per uscire a destra.

 

Tommy.

 

Stai pure, sai.

 

Nennele.

 

No, caro, non sono curiosa.

 

Tommy.

 

È fatto.

il biglietto al groom.

Va.

A Nennele.

Io non ci sono poi a colazione. Non voglio trovarmi col signor Precettore.

 

Nennele incredula.

 

Sì.

 

Tommy.

 

D'altronde m'è capitato un invito, in buon punto.

Silenzio.

 

 

Nennele.

 

Bada che sono le undici, se vuoi andarti a vestire.

 

Tommy.

 

Aspetto che rientri mammà. Ho da parlarle.

 

Nennele.

 

Tu? Miracolo.

 

Tommy.

 

Il mio invito è per l'una. E ci vado quale mi trovo. Un déjeuner d'uomini.

Nennele tace.

 

 

Tommy.

 

Non credi?

 

Nennele.

 

No. Non credo.

 

Tommy.

 

E va bene!

S'avvia verso la destra.

 

 

Nennele.

 

Tommy. Stiamo uniti noi due. Stiamo uniti noi due. Ho tanto bisogno che tu sia con me. Mi sento così abbandonata! Così disarmata!

 

Tommy.

 

Che c'è adesso? Che hai?

 

Nennele.

 

Non lo so. A Milano, la rovina, benchè improvvisa, non mi aveva abbattuta scoraggita. E sì che imaginavo la miseria, te lo ricordi? La miseria non è venuta. Delle privazioni gravi, non mi pare che ne facciamo nessuno. Forse è questo. Non so, non so. Tutto l'insieme della nostra vita, mi ha un'aria sospetta! Mi pare che nessuno è al suo posto. Mi pare che il papà non comanda come dovrebbe.... Mammà.... lo vedi! Tu, tu che a Milano mi piacevi tanto....

 

Tommy.

 

Sono diverso?

 

Nennele.

 

No. Ed è ben questo. Non sei diverso. E qui, in questa casa, con questa vita.... non va più. Sento qualche cosa che si sconsacra. Non ti so dire.

 

Tommy.

 

Prenderò a modello Massimo.

 

Nennele si trova vicina alla tavola.

Che puzza!

Prende la busta del biglietto portato dal groom e la butta in terra.

 

 

Tommy.

 

Ohe !

 

Nennele.

 

È la busta soltanto.... non temere! Ecco mammà!

Va correndo verso l'uscio della sua camera.

I tuoi commensali non sanno di buono.

Via.

 

 

 

SCENA SETTIMA.

 

Tommy, Giulia depone entrando una cassetta da pittore.

 

Giulia.

 

Un'altra volta mi fate il piacere di non accogliere a risate i miei amici quando hanno la compiacenza di rendermi un servizio.

 

Tommy.

 

Gli ho domandato scusa.

 

Giulia.

 

Me l'ha detto, ma non ha capito nulla ed è tornato tutto confuso. - Che buon profumo! M'hai preso la mia boccetta.

 

Tommy.

 

Mammà, non dirlo. Ti fai torto.

 

Giulia.

 

Perchè?

 

Tommy.

 

Ti assicuro che ti fai torto....

 

Giulia.

 

Ah!

Capisce.

Ho visto uscire il groom. Sì.

 

Tommy.

 

Ma che groom!

 

Giulia.

 

Sì che non lo si conosce! È la più bella livrea di Ginevra e dintorni. Vuoi vedere?

Apre la cassetta dove c'è lo studio.

 

 

Tommy.

 

Che cosa?

 

Giulia.

 

Il mio studio di stamani. L'ho buttato giù di getto. Ero invasata. Quell'Helmer Strile è un grande maestro. L'altro, il vecchio, non conta, ha una tecnica discreta, ma davanti al vero vede solamente quello che c'è. Non penetra, non sa estrarre.

Mostrando la sua pittura.

Guardami quel cielo, di' tu se l'aria non trema. Pensare che a Milano dipingevo come un'educanda! Non sono ancora della forza di Helmer, no, ma sento di poterci arrivare. Me l'ha assicurato lui. Figurati che voleva portarselo via questo studio. Mi ha detto una parola grande! Voi datate da oggi, mi ha detto: perchè cominciate a rendere l'occulto. Ha delle espressioni! Dice che la pittura è la penetrazione dell'occulto, che non si rivolge ai sensi ma alle anime. Infatti egli trasfigura. I suoi paesaggi volano. Tutte le cose hanno le ali.

 

Tommy.

 

Fermati. - Mi puoi dare cento lire?

 

Giulia.

 

Che dici?

 

Tommy.

 

Se mi puoi dare cento lire. Sul serio, mi occorrono.

 

Giulia.

 

Ma non le ho. Quei pochi risparmi se ne sono andati. Non per me, sai. La sola tassa di buon ingresso al circolo artistico mi costa 180 lire. Avrei potuto domandarle a tuo padre, perchè in fin dei conti non ci sono entrata per mio gusto. È stato per farmi conoscere. Ho anche dovuto comprare un quadro.

 

Tommy.

 

Un quadro?

 

Giulia.

 

Sicuro. Il direttore dell'Art-Roman ha la mania di dipingere. Dei cerotti! Ma se volevo ingraziarmi quella rivista che va per le mani di tutti i forestieri, bisognava passare di . Non saranno gli Svizzeri già ad arricchirmi colla pittura. Ma tu? Le tue dodici mila lire?

 

Tommy.

 

Ho perduto ieri sera l'ultimo migliaio. M'ero tenuto a galla fin'ora, ma ieri sera è stata una tale disdetta....

 

Giulia.

 

Dove? dove? In casa dell'Orloff?

 

Tommy.

 

E già. Dove vuoi che sia?

 

Giulia.

 

È proprio russa?

 

Tommy.

 

Sicuro.

 

Giulia.

 

E ha proprio avuto un marito?

 

Tommy.

 

Che domanda!

 

Giulia.

 

Che età avrà?

 

Tommy.

 

Trentadue anni.

 

Giulia.

 

Dicono quarantacinque. Dicono che ne cerchi un altro dei mariti.

 

Tommy.

 

Sono i discorsi del Circolo?

 

Giulia.

 

Fai male a giocare.

 

Tommy.

 

È la sola maniera pulita per un uomo come me di rifarsi uno stato. Mi costa, sai, insistere. Dammi quelle cento lire.

 

Giulia.

 

Non le ho, ti dico. Forse domani.

 

Tommy.

 

Perchè domani e non oggi?

 

Giulia.

 

Ci sarebbe un'occasione, ma tuo padre non vorrà e neanche Nennele poichè è lei che comanda in questa casa.

 

Tommy.

 

Che c'entra Nennele? Quale occasione?

 

Giulia.

 

Stassera c'è concerto al Circolo per inaugurare la piccola Esposizione estiva. Io ho mandato una dozzina di studi. Helmer Strile ha tanto insistito che andassi anche al concerto. Mi vorrebbe presentare al Goupil, il famoso negoziante parigino che è qui di passata....

 

Tommy.

 

È pazzo.

 

Giulia.

 

Infatti gli ho detto di no. Peccato, perchè Helmer assicura di farmi vendere tutti i miei studi.

 

Tommy.

 

Chiacchiere.

 

Giulia.

 

Non so vedere che male ci sarebbe.

 

Tommy.

 

Andresti col papà?

 

Giulia.

 

Oh pover'uomo, la sera è stanco.

 

Tommy.

 

Allora niente.

 

Giulia.

 

Hai perduto sulla parola?

 

Tommy.

 

Che? Non devo un soldo. Ma oggi mi sento in vena.

 

Giulia.

 

Ci torni?

 

Tommy.

 

Sono a colazione.

 

Giulia.

 

Gioca anche lei l'Orloff?

 

Tommy.

 

Mai. Le spiace anzi.

 

Giulia per ingraziarsi Tommy.

 

Che figura interessante! Si direbbe una madonna di Mastro Luca. La mattina passa spesso di qui guidando due ponney. Ha un'aria misteriosa ed estatica.

Tommy.

 

Mi aggiri per avermi alleato. - Come è basso quello che stiamo pensando e facendo tu ed io!

 

Giulia.

 

Perchè basso?

 

Tommy.

 

Non lo capisci? Vuol dire che sei migliore di me, perchè io lo capisco e....

Stende la mano.

Cinquanta, .

 

Giulia.

 

Come se il Circolo non fosse un luogo per bene! Ci va tutta la colonia forestiera. Helmer aveva proposto di venirmi a pigliare e di ricondurmi. Ma questo non mi va. Non che ci sia male; ma in certe cose io sono riguardosa all'eccesso. Verrebbe il vecchio.

 

Tommy.

 

A che ora il concerto?

 

Giulia.

 

Dalle nove alla mezzanotte. Oh ci ho bell'e rinunziato! Lo dirò a tuo padre, per non avermi poi a rimproverare l'occasione perduta. Ma senza insistere. Quanto ai danari....

Leva di tasca il portamonete.

Ti do due marenghi.

 

Tommy.

 

E tre lire per la carrozza; non posso arrivare impolverato.

 

Giulia gli le tre lire.

 

Prendi.

 

Tommy.

 

Grazie.

 

Giulia.

 

Ma se guadagni faremo a metà.

 

Tommy.

 

Va bene.

 

 

 

SCENA OTTAVA.

 

Massimo e detti.

 

Massimo.

 

Tommaso....

A Giulia.

Oh come va Zia?

 

Giulia.

 

L'uomo selvaggio, è disceso dai monti.

 

Massimo.

 

Abbiamo parlato dei fatti tuoi ora col papà. Mi ha detto che ti secchi a non far nulla.

 

Tommy.

 

Sfido!

 

Massimo.

 

Meglio. Ho un'idea.

 

Tommy.

 

Me la dirai più tardi, ora....

 

Massimo.

 

No, bisogna che te la dica subito. Se ti va, cerco di combinare oggi stesso. Riparto stassera. Io ho un amico qui in Ginevra che è il padrone di una grande segheria a vapore. So che sta cercando un segretario.

 

Tommy.

 

Grazie, no.

 

Giulia.

 

Segretario d'uno spaccalegna!

 

Massimo.

 

Ma che spaccalegna!

 

Giulia.

 

Segare, spaccare.

 

Massimo.

 

E cos'è Tommaso? Un principe di casa d'Austria?

 

Tommy.

 

Conosco le tue ragioni, le ho già lette stampate, ma non ho tempo di discuterle ora. Sono aspettato a déjeuner.

 

Massimo.

 

Ah! Era un invito il biglietto di quel scimiotto?

 

Giulia.

 

Scimiotto! Se ti sentissero! Il groom dell'Orloff.

 

Massimo.

 

Dell'Orloff?

A Tommy.

Sei invitato a colazione da quella sgualdrina?

 

Tommy.

 

Massimo!

 

Massimo.

 

Per dire la parola pulita. E ci vai?

 

Tommy.

 

Certo.

S'avvia.

 

Massimo lo ghermisce per un braccio.

 

Stai qui. Zia, fammi il piacere di andar di un momento.

A Tommy che si divincola.

Guarda che ti strappi il vestito.

 

Tommy.

 

Lasciami.

 

Massimo.

 

Ma sì. Tanto non esci finchè non voglio. Zia.

 

Giulia.

 

Non far scene, da bravo, non far scene! Dio!

 

Massimo.

 

Ti prego di lasciarci soli. Ho da dire delle cose che egli solo può sentire.

 

Giulia a Tommy.

 

Vado a parlare a tuo padre.

Via dalla comune.

 

 

 

SCENA NONA.

 

Massimo e Tommy.

 

Massimo.

 

E subito ti domando scusa della mia violenza; ma è stato più forte di me. Sai chi è l'Orloff? Non rispondi. Te lo dico io. È una donna che fu già soggetta alla sorveglianza della polizia.

 

Tommy.

 

Della polizia internazionale politica.

 

Massimo.

 

No. Questo lo dice lei.... calunniando i nichilisti, perchè la voce era corsa e bisognava trovare un ripiego. Il preteso signor Orloff....

 

Tommy.

 

Perchè preteso? Era suo marito.

 

Massimo.

 

Sicuro. E degno marito. Soltanto non si chiamava Orloff, ma Borkì. Orloff è il nome di una terra. Il signor Borkì aveva tenuto in Odessa una casa equivoca. Arricchitosi, stimò bene di cambiar ditta. Quando morì quattro anni or sono, lasciando centomila lire alla chiesa russa di Ginevra, i giornali di Odessa ne raccontarono la vita ed i miracoli. Lo sapevi?

 

Tommy.

 

Ti avverto che fai proprio quello che occorre per indurmi ad andarci caso mai mi fosse rimasto qualche dubbio.

 

Massimo.

 

Già. Questo è il rifugio dei poltroni consapevoli. Vogliono poter dire che il male l'hanno fatto per ripicco.

 

Tommy.

 

Se per dugento e cinquanta lire il mese che dai a nostro padre, il quale te le ripaga di sacrosanto lavoro, tu credi di poter spadroneggiare qui dentro!

 

Massimo.

 

Do a tuo padre, quello che avrei dato a chiunque altro. Non sono un benefattore: posso dunque parlare. E se lo fossi, parlerei lo stesso, perchè disprezzo le vostre delicatezze astinenti. Non si tratta di tirannia, benchè occorrendo mi sentirei di chiuderti a forza in una camera, coi tuoi ventisette anni e di non lasciartene uscire.

 

Tommy.

 

Con qual diritto?

 

Massimo.

 

Col diritto che mi danno due braccia più robuste delle tue al servizio di una testa più sana. Se ti vedessi in procinto di tirarti una pistolettata, tutti mi riconoscerebbero il diritto di strapparti la pistola di mano anche a costo di fare a legnate. Le tue relazioni con quella signora, sarebbero a te ed agli altri più nocive che un colpo di revolver. E ti disarmo.

 

Tommy.

 

Ho conosciuto quella signora due anni fa, quando venni a Ginevra per la gara del Tennis. Una riunione a invito sceltissima. Essa stava in prima fila circondata dal fiore della gioventù sportiva.

 

Massimo.

 

Non del paese. La folla cosmopolita.

 

Tommy.

 

L'ho riveduta tre mesi or sono. Le sue maniere sono di gran dama. Il suo nome figura a capo di tutte le opere benefiche. La sua casa è un modello di eleganza correttissima. Vi si giuoca, perchè il giuoco, fra la gente per bene, esprime quel distacco dal denaro che è il segno degli uomini superiori. Tu queste cose non le puoi intendere. Essa non gioca. Lascia fare per compiacenza, perchè ama aver gente in casa. E ti so dire che ci ho incontrato della gente a cui faresti tanto di cappello.

 

Massimo.

 

No, no, no! Tanto di cappello non lo faccio a nessuno. A cui renderei il saluto, può darsi. Ma gente ricca. I ricchi che la frequentano sono degli imbecilli e nulla più. Ma uno povero che ci bazzichi non può essere che un cattivo soggetto.

 

Tommy.

 

Sei severo per i poveri!

 

Massimo.

 

Perchè li stimo di più. Credi che ti conoscerei se tu fossi ancora milionario? Vi ho cercati mai per l'addietro, te ed i tuoi? Che m'importa la parentela? Non sento la voce del sangue, o la sento soltanto quando parla in una piena comunanza di lotte, di sofferenze e di vittorie. Ah! Tre mesi fa, quando ti ho veduto giovane, intelligente e ricondotto alla legge comune del bisogno, quali speranze ho concepito di te! Se tu fossi nato povero, saresti riuscito un tale brav'uomo. Se tu sapessi cosa stai per gettar via. Vieni qui, che ti ripigli. Lasciamo le parole aspre. Non ti parlo di dovere, ti parlo di felicità. Ma credi che ci sia paragone fra quello che ho goduto io della vita e quello che hai goduto tu? Ma soltanto la gioia di volere! E vincere! Altro che le gare del Tennis! Il vostro mondo è un guscio di noce. La vostra gaiezza sta in una bottiglia di champagne. Credi di aver riso mai tu? Di quel ridere che fa buon sangue e scarica il cervello come uno sternuto? Voi sorridete e deridete: ecco tutto. La vostra giocondità esce di piccola vena. La prosperità non vi rallegra, l'avversità vi atterra. Non ridete che della gente simile a voi. Dei dissimili, oggi non ridete più perchè vi fanno paura. Noi ridiamo di noi, di voi, delle vicende prospere e delle avverse. Voi schiumate la pentola: il buon brodo sta in fondo. Vede più cose un merciaiolo ambulante nel giro della sua provincia, che voi nel giro della terra. Vi lagnate di che tutti i paesi si somigliano, e non vi accorgete che tutti gli uomini sono differenti.

 

Tommy.

 

Sì, la canzonatura della ricchezza!

 

Massimo.

 

Ma guardala fuori, la ricchezza. È , fuori della finestra. Sono quei prati, quei boschi, quel lago e quei vigneti. La ricchezza è delle cose.

 

Tommy.

 

Ma intanto ti affanni a conquistarla.

 

Massimo.

 

Cerco di bastare a me stesso. La legge della vita è di non campare a spese altrui. dei vivi, dei morti.

Pausa.

Perchè vai in quella casa? Rispondimi colla stessa buona fede con cui te lo domando. Non vorrei più trattenerti a forza. Ti lascio liberissimo. Perchè ci vai? Non sei innamorato di quella donna?

 

Tommy.

 

Chi lo sa?

 

Massimo.

 

Dimmelo in faccia.... senza ridere.

 

Tommy.

 

Ci vado per cercar fortuna. Ecco.

 

Massimo.

 

Al gioco? Al gioco.... che.... esprime, il distacco del danaro.... come hai detto un momento fa? Ah! che è il segno degli uomini superiori.

 

Tommy.

 

Non parlavo di me.

 

Massimo.

 

Si capisce.

 

Tommy.

 

Se tu credi ch'io non mi disprezzi!

 

Massimo.

 

E io!

 

Tommy.

 

Ma non mi sono fatto da me, quello che sono.

 

Massimo.

 

Puoi rifarti.

 

Tommy.

 

Non so volere.

 

Massimo.

 

Appoggiati a qualcheduno che voglia in tua vece.

 

Tommy.

 

A te, per esempio?

 

Massimo.

 

Io so infatti.

 

Tommy.

 

Non c'intendiamo.

 

Massimo.

 

A tua sorella.

 

Tommy.

 

A Nennele? Tu hai tanta stima di Nennele?

 

Massimo.

 

Credo di sì.

 

Tommy.

 

Curiosa!

 

Massimo.

 

Molta stima e molta pietà.

 

Tommy.

 

Perchè pietà?

 

Massimo.

 

Perchè le tue relazioni, non le gioveranno al certo. E potrebbero impedirle qualche buon collocamento.

 

Tommy.

 

Ah, ah, ah, il movente! Volevo ben dire, tanto zelo per la mia salute morale!

 

Massimo.

 

Quando io avessi in animo di sposare tua sorella.... se anche tu fossi patentato e bollato per la più fetida canaglia della terra, me la sposerei ad ogni modo.

 

Tommy.

 

Se ti volesse.

 

Massimo.

 

Oh già!

 

Tommy.

 

E se non ti volesse? Eh?! Se non ti volesse? Che figura ci farebbe la tua volontà? Di'. Se non ti volesse?! E non ti vorrà! Siamo di una razza diversa! Addio.

 

Massimo lo prende a braccetto, ironico.

 

Dicono che l'Orloff sia alla ricerca di un secondo marito. Dovresti farti avanti.

 

Tommy.

 

Guarda. È un'idea.

Vede entrare Nennele.

Nennele.

 

 

 

SCENA DECIMA.

 

Nennele e detti.

 

Nennele viene dalla sua camera.

 

 

Massimo.

 

Trattieni tuo fratello che va a perdersi. Io ho fatto quello che ho potuto.

 

Nennele.

 

Anch'io.

 

Tommy.

 

Tu?

 

Nennele.

 

So dove vai. Bel merito. Passa qui sotto tutte le mattine, col suo paggetto. Non so chi sia. Ma non dev'essere una gran cosa, se non hai osato dirmi che l'invito ti veniva da lei. Hai sentito il bisogno di mentire per sviarmi.

 

 

 

SCENA UNDICESIMA.

 

Detti, Giulia e Giovanni.

 

Giulia entra dal fondo.

 

Nennele, prepara la tua più bella toeletta. Stassera ti conduco al concerto del Circolo.

 

Nennele.

 

Io!

 

Tommy.

 

Che?

 

Giulia.

 Non mi era venuto in mente. È stato vostro padre a pensarci. Non mi pareva bello andar sola. Tommy non è compagnia che basti. Mentre invece sotto la salvaguardia d'una signorina.... E ha ragione.

 

Tommy.

 

Nennele non ci andrà.

 

Giovanni.

 

Come dici?

 

Tommy.

 

Ti domando scusa, ma tu non conosci....

 

Giovanni.

 

Che cosa? Spiegati.

 

Tommy.

 

Quella non è una società....

 

Giulia.

 

Non è una società rispettabile?

A Giovanni.

Domanda a Max che conosce Ginevra da anni.

 

Tommy.

 

Non ho detto....

 

Giulia.

 

Domanda a Max, domanda a Max.

 

 

A Massimo.

 

Di' tu.

 

Massimo.

 

Ah già. Sono io Max. Non mi ricordo mai che tu mi poetizzi a quel modo. È una società allegra e rispettabilissima.

 

Giulia a Giovanni.

 

Vedi?

A Tommy.

Tu poi....

 

Tommy.

 

Io parlo di Nennele.

 

Nennele.

 

Di me sola?

 

Tommy.

 

E non è questione della società.

A Giovanni.

Se tu hai permesso che mammà ci entrasse, è segno....

 

Giovanni.

 

Non ho permesso. Me l'ha detto a cose fatte. Mi ha detto che non costava un soldo, che bisognava, per poter smerciare le sue pitture.

 

Tommy.

 

Infatti, mammà è un'artista. Ci si è messa con ardore.... produce....

 

Nennele.

 

Tu parli così!

 

Tommy.

 

E la frequentazione degli artisti può giovarle a farsi strada. Ma Nennele!

 

Nennele.

 

Se può mammà, posso anch'io. Non vedo che ci sia differenza. O è male andarci e

A Tommy.

ti saresti opposto anche per lei.... o non è male, e l'accompagno.

 

Massimo.

 

Approvo. Approvo.

 

Tommy a Nennele.

 

Sai benissimo....

 

Giovanni.

 

Che sa Nennele?... Ho da saperlo anch'io. Non ammetto reticenze. Fuori.

 

Tommy.

 

Voglio dire che la nostra condizione....

 

Giulia.

 

La nostra condizione c'è anche per te.... e tu frequenti il bel mondo. E quale!

 

Giovanni stupito.

 

Tommy!?

 

Giulia.

 

Non va oggi a colazione dalla signora Orloff?

 

Giovanni.

 

Chi è?

 

Giulia.

 

È una bella....

 

Giovanni.

 

Non domando a te!

A Massimo e Tommy.

Chi è questa signora Orloff?

Silenzio.

Non rispondete.... nessuno? Sarò il solo in casa mia che ignora.

 

Nennele con grande impeto.

 

Oh papà. Devi guardare.... devi guardare.

 

Giulia.

 

Parla con rispetto....

 

Giovanni.

 

Che vuoi che veda dal mio guscio? Sono dalla mattina alla sera.... e ancora....

 

Nennele.

 

Devi uscirne, devi comandare. Non vedi? Tutto si dissolve in questa casa.

 

Giulia.

 

Ma che è? Ma che si dissolve? Ma si può dire!?

 

Giovanni.

 

Sta zitta.

 

Giulia.

 

Si viveva tranquilli.... io lavoro.... si dissolve!

 

Giovanni.

 

Sta zitta.

 

Tommy a Massimo.

 

Sei contento eh!

 

Massimo.

 

Oh tanto!

 

Nennele.

 

Comandare.... comandare, Che importa il danaro! Farò la serva se occorre.... Ma tu, ma tu, la tua mano ci vuole. Ci vuole qui. Ci voleva a Milano.

 

Tommy.

 

Nennele!

 

Giovanni.

 

Lasciala. Ha ragione. Ti ricordi, Massimo, quello che ti dicevo a Milano? Un bue da lavoro e nulla più. Li ho rovinati.... e non ho saputo armarli per la rovina....

 

Nennele.

 

Papà....

 

Giulia a Tommy.

 

Ecco. Ecco.... bel profitto!

 

Giovanni.

 

Te lo dicevo, Massimo.... sono un cattivo padre....

 

Nennele.

 

No, no, no....

 

Giovanni.

 

E dovevi esser tu a rimproverarmelo....

 

Nennele avvinghiandosi a lui.

 

No, no.... perdonami. No, perdonami....

 

Tommy a Massimo.

 

Oggi mi condurrai dal tuo amico. Accetto l'impiego.

 

Giulia a Tommy e Massimo.

 

Quella per fare le cose grosse!

 

Giovanni carezzevole a Nennele.

 

Sì, cara.... sì, cara, mi vuoi bene, lo so.... mi proverò.... vedrai.... lasciami.... adesso.... lasciami.... c'è dell'altro ancora.... voglio.... sapere.... ogni cosa.... bisogna che Tommy....

 

Massimo.

 

Tommaso.... ha rinunziato al bel mondo, come dice tua moglie. Ti spiegherò poi. Quanto al Circolo....

 

Giulia.

 

Ma chi ci pensa nemmeno al Circolo? Sì che ho voglia di divertirmi!

 

Giovanni.

 

Perchè Tommy non voleva che Nennele...?

 

Massimo.

 

Aveva ragione.... quando parlava delle condizioni in cui siete. Nennele cerca delle lezioni e quando venissero a sapere che si diverte.... le sarebbe poi difficile trovarne.

 

Marta appare dal fondo.

 

Nennele pronta, a Marta.

 

Vieni per apparecchiare? Basto io. Va.

Prende dalla credenza la tovaglia.

 

Giovanni a Massimo.

 

Oggi discorreremo a lungo con te.

 

Massimo.

 

Quanto vorrai.

 

Giovanni va a sedere pensieroso presso la finestra.

 

 

Massimo a Nennele.

 

Posso aiutarti?

 

Nennele.

 

Se vuoi.

Apparecchiano in due.

 

 

Giulia a Tommy.

 

Adesso bisogna che scriva un biglietto.

 

Tommy.

 

Io pure. Ma.... chi lo porta? Bisognerebbe subito.

 

Giulia.

 

Penso io.

Va in camera sua.

 

Tommy si mette a scrivere al tavolino.

 

Nennele a Massimo.

 

Domani ripiglio le lezioni.

 

Massimo.

 

A te credo.

 

Nennele.

 

E agli altri?

 

Massimo.

 

Troppo bello. Quando il tempo s'aggiusta in fretta....

 

Cala la tela.


 

 

 


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